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Una facile missione palingenetica

postato il 29 Feb 2012 in Main thread
da Vobby

Decidendo arbitrariamente che la questione che voglio sottoporre a voi, stimati colleghi autori, e a voi, numerosi e affezionati lettori, abbia qualcosa a che fare con il primo argomento trattato su questo blog (no, non lo sbiancamento anale, il due), passo subito ad illustrarvi i termini del problema.

Il due è ovviamente duplice e perciò eminentemente ambiguo. E’ composto da due (!) membri e, comprendendoli, li supera. E’ qualcosa di altro da loro, ma non può prescindere da essi. Un due può essere la coppia uomo-donna, il dinamico duo di batman e robin, il cioccolato e la nocciola che formano i pan di stelle. Loro hanno unito efficacemente i due termini riuscendo a diventare una nuova, originale e sublime unità.
Capite bene però che per quanto la sintesi fra uomo e cioccolato possa funzionare benissimo, ed essere anzi appetibile (e appetitosa), quella fra batman e nocciola lo è un po’ meno. Sembrerebbe quindi che ci siano degli uno destinati a non formare mai dei due. Forse però questa è solo apparenza. Forse a batman può piacere la nocciola, ed è proprio questo il nocciolo (sono stato appena punito con crampo folgorante al bicipite femorale sinistro) della questione.
Gli uno di cui parleremo, introducendo così la nostra missione palingenetica, sono la società e il piacere.

A me (e a diversi altri) sembra che il piacere sia stato sacrificato sull’altare della società.
Esso, il piacere, è eminentemente egoistico. Il suo sentimento è un luogo solitario, che se certamente è raggiungibile in due o tanti, è sempre singolarmente esperibile. Esso ha perciò alcuni problemi di compatibilità con la dimensione collettiva della società: fuori di casa mia, ci saranno probabilmente altri individui in competizione con me per la conquista di diversi oggetti del desiderio. Probabilmente ce ne sarebbe per tutti, ma se di biscotti, per esempio, ne voglio tanti, perchè il mio desiderio è illimitato, come faccio a vivere in una società in cui i biscotti devono essere per lo meno parzialmente distribuiti?

Si è pensato di risolvere il problema con la morale. La morale è semplicemente la domesticazione del principio del piacere ai fini della vita collettiva. Pensate a Socrate, che nei dialoghi platonici cerca di convincerci che il bene sia diverso del piacere: il suo tentativo è quello di diffondere una morale diversa tanto dall’etica della moltitudine, per sua natura incline al conflitto, tanto a quella dell’aristocrazia, incline alla sopraffazione in base alla legge del più forte. Perchè il pericolo di lasciare troppo spazio al perseguimento del piacere all’interno della società è questo: che il mio privato desiderio di godimenti carnali (i biscotti) diventi nello spazio pubblico perseguimento di potere e dominio violento (per avere così tutti i biscotti che voglio).

E quindi, continua Socrate, subire ingiustizia è meglio che commetterla ed essere puniti è meglio che sfuggire alla legge. E’ doloroso, ma che importa, il dolore non è il male, perchè non è il piacere a essere il bene.

Inaspettatamente, la morale interessa ambiti diversi oltre ai biscotti: il sesso, la famiglia, il galateo, l’etichetta… per arrivare alle usanze religiose e al rispetto della legge.

Sembra funzionare, ma c’è un piccolo problema: privandosi del piacere si potrà forse condurre una vita all’interno di una società, ma in questo modo, evidentemente, questa vita non sarà piacevole.
La monogamia, ad esempio, e l’istituzione familiare nel suo insieme non sono qualcosa di naturale (checchè ne dica una certa legge), e possono provocare ogni tipo di frustrazioni, sfocianti anche in turpi atti di violenza.

Perciò, ecco sintetizzati i termini del problema: la morale costituisce un limite al libero sviluppo e alla libera espressione delle nostre facoltà. Stesso dicasi per le leggi, convenzioni con carattere autoritario. Ma è proprio grazie alle convenzioni, morali e legali, che è possibile la vita pubblica.

E’ possibile la società edonista? Quale società può evitare di porre limiti alla libera ricerca del piacere? Questa società è diversa da un caotico inferno di violenza e sopraffazione, che di piacere ne porterebbe solo a pochi?

La domanda è difficile, ma confido nel vostro genio! Dopotutto la questione è cruciale e merita ogni sforzo per essere risolta. Fatto questo, potremmo essere tutti più felici.

P.S. Forse ho sintetizzato un po’ troppo, ma ho il sospetto che sia un bene… Dopotutto, se non da risolvere, è un problema semplice da spiegare.

Zanne e artigli

postato il 2 Gen 2012 in Main thread
da Vobby

Il motivo per cui trovo deprecabile gran parte delle specie animali attualmente in vita è, in fondo, che sono un essere umano. Capita, quando si appartiene alla specie dominante, di chiamare “animali” tutte le altre specie e “natura” tutto ciò che non appartiene alla nostra civiltà. Lo spettacolo degli animali che popolano la natura dovrebbe affascinarmi e interessarmi in quanto altro da me.
E invece? Io, che appartengo alla specie che ha fatto dell’intelligenza e dell’articolazione sociale la chiave del proprio successo, piuttosto che godermi un divertente e sanguinario spettacolo di belve feroci che si squartano a vicenda di continuo, non posso fare a meno di scorgere nel mondo animale qualcosa che cerca di assomigliarmi. Il problema è questo: l’uomo è solo il più intelligente e sociale di tutti gli altri animali, il primo ad aver raggiunto il livello di intelligenza e socialità tale da potersi lasciare alle spalle cose come pelliccia e artigli. Non è emerso, purtroppo, come unico animale intelligente e sociale in un mondo di mostri sanguinari. Se così fosse stato, lo spettacolo offertoci dalla natura sarebbe molto più divertente. Invece, è come guardare il proprio sbiadito riflesso.
Per questo, a differenza degli animali odierni, i dinosauri meritano il mio amore più profondo e la mia stima più assoluta.
Il tirannosauro non era come il leone odierno, che vive circondato dei suoi simili, con i quali divide il lavoro, si scambia tenere leccatine e organizza tecniche di caccia. Macchè. Il superpredatore antico si era meritato la vetta della piramide alimentare aggiungendo zanne su zanne e tonnellate su tonnellate nel corso della sua evoluzione. Non versi espressivi, cortecce cerebrali sviluppate e annusamenti di culo vicendevoli, come fanno quei rammolliti dei predatori odierni.
Il predatore si riflette sulle prede: se si devono fronteggiare morsi in grado di asportare quintali di carne, bisogna difendersi ammassando muscoli, corna e corazze. Vogliamo mettere a confronto il triceratopo con il rinoceronte? E l’anchilosauro con cosa, il pangolino? Siamo seri, i mammiferi sono scarsi. Tentavi falliti di diventare homo sapiens, nulla più. La natura odierna delude, perchè per cercare il genio e la società conviene volgere lo sguardo verso noi stessi, mentre per la violenza, bè, è sufficiente dedicare uno sguardo fugace al mesozoico, e otterremmo lo spettacolo più soddisfacente possiibile.
Oppure, forse, no. Forse, dopotutto, i dinosauri ci sembrano tanto interessanti anche perchè ci dicono qualcosa di noi stessi.
Perchè esattamente come, pur essendoci liberati della pelliccia, abbiamo conservato il bisogno di coprirci dal freddo, se pure abbiamo perso gli artigli, siamo ancora in grado di ferire e uccidere.
Qualcosa nella nostra socializzazione ha fatto nascere il dominio, che ha asservito le intelligenze alla sua conservazione. Abbiamo usato il carbone per la polvere da sparo prima che per l’industria civile, l’acciaio prima per la spada che per la solidità delle nostre abitazioni.
La mia idea è che sia successo qualcosa di molto sbagliato agli albori della civiltà.
Ma quali che ne siano le cause, esse ormai non sono importanti; nei rapporti individuali e sociali, come in quelli politici e internazionali, la maggior parte delle volte è esattamente come per il tirannosauro e il triceratopo, che sapevano bene di doversi contendere la sopravvivenza in un furioso corpo a corpo: è una questione di forza.
Ebbene, visto che essa esiste ed è così centrale nel nostro mondo, tanto vale parlarne. Sia la Forza l’argomento del mese.
Tollererò, malvolentieri, non più di un post inerente Star wars.

Azione disperata

postato il 17 Nov 2011 in Main thread
da Vobby

Si intende spesso l’espressione “azione disperata” come sinonimo di “azione certamente fallimentare”. Significa che non ci sono speranze di vittoria, che moriremo tutti, che la situazione che abbiamo di fronte è tale per cui non sono possibili esiti positivi.

Si riporti la disperazione dove le compete, cioè nella testa degli agenti: l’azione è disperata perchè loro sanno di non poter vincere. Cioè non hanno speranza di vittoria, non nel senso di possibilità oggettiva di vincere, bensì di situazione soggettiva di sperarlo.

Se l’azione in questione è davvero certamente fallimentare, allora la disperazione è lo spirito giusto! Questo perchè gli speranzosi davanti a un fallimento assicurato sono scemi prima e delusi dopo.

Forse cominciate a intravedere l’illusorio ossimoro che a me è sembrato di cogliere…

Il fatto che l’azione sia disperata, in quanto è azione, presuppone che si vada avanti lo stesso. E non che si provi lo stesso a vincere perchè l’azione è, dicevamo, disperata. Perciò si capisce che l’agire disperato è preceduto da una lucida analisi della realtà in base alla quale si è capito che non si potrà riuscire nei propri intenti e, soprattutto, da una motivazione per la quale si agisce comunque. Quindi, cosa è successo? Gli intenti, che altro non sono se non una costruzione mentale, una speranza (!), sono stati brutalmente uccisi dallo studio della situazione in cui ci si trova ad operare,per venire subito sostituiti dal contrario della speranza, la disperazione (!). Quindi, disperatamente, si abbassa il tiro: non posso realizzare i miei sogni, ma le motivazioni ideali per cui volevo realizzarli sono ancora valide, perciò non mi resta altro da fare che realizzare qualcosa di meno. E’ importante, perchè quel meno è l’unica cosa che poteva essere realizzata! Meglio scheggiare la dura roccia della realtà piuttosto che rompercisi inutilmente la testa contro!

L’agente disperato è un personaggio interessante: lui non prova a vincere tutto ma sa di vincere poco, perchè ha impiegato del tempo a capire come fare. Si trova in un mondo a lui ostile, lo sa benissimo e in virtù di questa consapevolezza vi si muove con disinvoltura. E’ assolutamente lucido, ma per nulla cinico: è probabilmente mosso da nobilissimi scopi, che certamente non vedrà realizzati. Non gli importa, perchè vuole avvicinare ad essi il mondo, non sè stesso. Ha capito che l’unica via breve è quella lunga.

Si è detto dell’ostilità che circonda questo grande altruista: alla sua destra si trovano i suoi innumerevoli nemici, i cinici e i codardi, gli egoisti. Alla sua sinistra si dibatte invece la folta schiera degli stupidi, narcisisti idealisti, che pretendono di agire senza capire e che non sanno neppure cosa dicono e perchè fanno. Egli disprezza la loro inadeguatezza nel perseguire scopi che spesso condivide. Li mette continuamente al muro con le sue superiori argomentazioni, venendo a sua volta accusato di apatia e conservatorismo da chi, fornendo nient’altro che scuse alla violenza della reazione, sta inconsapevolmente danneggiando la causa.

In ultima istanza, odia le sue stesse mancanze: ignoranza e debolezza. Allenamento e studio sono le sue principali occupazioni.

Bere in tedesco

postato il 28 Ott 2011 in Main thread
da Vobby

Trinken, innanzitutto.
Ma poi: avete mai notato come la parte superiore di una bottiglia somigli a un imbuto? E avete mai notato come sia difficile seguire una lezione di tedesco con i postumi della sbornia?
Ispirata dalle nostre pessime condizioni, la professoressa ha voluto renderci edotti sul lessico dello stare male per motivi alcooolici*.
Perciò generosamente condivido queste conoscenze:
Bere troppo: zaufen. Verbo che significa anche abbeverarsi, o insomma bere riferendosi ad animali. Ha senso.
Stare male, brillo: blau sein. Letteralmente, essere blu. Non ha senso.
Ubriaco: betrunken.
Avere i postumi: haben ein Kater. Letteralmente, avere un gatto, probabilmente nero e maschio. Ha ancora meno senso.
Vino: Wein.
Piangere: weinen. Letteralmente, “vinare”.
Ridere: lachen.
Come ho accennato stavo maluccio, quindi potrei aver preso fischi per fiaschi*.
Ah, imbuto in tedesco dovrebbe essere Trichter. Per non andare fuori tema.

*Ho messo tre o perchè non sapevo se metterne una o due.
*Haha, fiaschi, bere, haha.

Oggi, sabato 15 ottobre 2011

postato il 15 Ott 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

“Avevano iniziato a considerare il governo degli USA come una mera appendice dei propri affari. Ora sappiamo che il governo esercitato dalla finanza organizzata è altrettanto pericoloso del governo della malavita organizzata”.

Michael Moore? Naomi Klein? Qualche manifestante di Occupy Wall Street? No, Franklin D. Roosevelt.
Argomentare oggi questa attualissima affermazione non è necessario, dal momento che la sua veridicità è immediatamente notata dal cittadino anche solo vagamente informato dell’attualità economica e politica.
Piuttosto, va aggiunta una seconda determinazione al governo della finanza: esso, prima e più che pericoloso, è assolutamente antidemocratico. E anche questo è immediatamente evidente, perché non ci vuol molto a capire che dove governano i finanzieri non governa il popolo.
Spostiamo lo sguardo dalla Grande Depressione per posarlo sull’attuale crisi del debito che si sta verificando in Europa.
Perché la finanza eserciti le sue funzioni di pericolosità e antidemocraticità deve innanzitutto farsi governo. E l’istituzione che naturalmente è portata a esprimere la volontà della finanza è certamente la banca, luogo di incrocio e base per le operazioni di borsa.
Se la banca è centrale, se la banca centrale è indipendente dallo Stato, cioè da qualsivoglia controllo pubblico sul suo operato, e quindi dipendente solo dai privati che attraverso essa operano, se la banca centrale indipendente ha il compito, scritto a chiare lettere nel suo statuto, di limitare l’inflazione, cioè di decidere la quantità di risorse che lo Stato può gestire per intervenire nell’economia e, infine, se questo già di per sè completo potere di controllo sulla moneta e sulla politica monetaria in generale è esercitato non già su uno Stato, ma su di un’organizzazione sovranazionale che di stati ne comprende 27, possiamo stare pur certi che il governo della finanza (pericoloso e antidemocratico, ripetiamolo) è assicurato.
Insomma, la Banca Centrale Europea è un portentoso organo di governo-ombra, per quanto dopo tutto eserciti questa sua funzione alla luce del sole, essendo decisamente maldestri e inutili i tentativi fatti dalla casta politica per nascondere questo fatto: le ricette anticrisi prescritte dalla BCE sono eseguite in tutti i paesi interessati con grande solerzia e senza alcun dialogo. Opposizione e maggioranza fanno fronte comune davanti agli ordini della finanza.
La più coraggiosa delle politiche potrebbe fare poco di fronte alla BCE, mancando gli strumenti istituzionali per controllarne l’operato. Tanto meno può agire la classe politica a cui siamo ormai assuefatti, politica debole, politica serva, che preferisce chinare la testa di fronte al denaro piuttosto che alzarla insieme alle grandi masse di persone.
Il fatto che a una banca (una banca!) sia sufficiente inviare una lettera al capo del governo per far scattare sull’attenti l’intero parlamento di fronte a proposte (ordini) francamente irricevili mi lascia disgustato. Indignato.
Una banca non può decidere la politica economica del mio paese, una banca non può mettere mano alla mia costituzione. Non glielo si deve permettere.
E quali sono poi questi ordini? Privatizzazioni, tagli della spesa, ovvero meno pensioni e riduzione degli stipendi, deregolamentazione dei contratti di lavoro e quindi, in sostanza, questo: ancora meno potere allo Stato, ulteriore trasferimento di risorse, quindi di potere, dalla sfera pubblica a quella privata. Abbiamo di fronte una tecnostruttura che perpetra sè stessa e il suo potere.
La civiltà, la legge, devono ritirarsi per lasciar crescere la giungla dell’economia incontrollata.
Oggi, sabato 15 ottobre 2011, folle di cittadini si stanno riunendo in diverse grandi città dall’oriente all’occidente. Il loro scopo è quello di rompere le catene che legano le mani della politica di fronte all’economia.
E’ quello di riaffermare una mutilata e offesa sovranità.
Di far riguadagnare terreno alla democrazia.
La manifestazione di oggi costituisce insieme il culmine di una grande stagione di mobilitazione e l’inizio di una lunga lotta sociale e politica.
Se non saranno le forze di questo movimento a costruire il futuro, a farlo sarà la banca, il governo della finanza.
Sappiamo tutti da che parte stare: “we are the 99%!”
Speriamo in bene, e muoviamoci per realizzarlo.

P.S.: dedico questo articolo a mia sorella Anna, ormai da qualche ora arrivata a Roma per la manifestazione. Se verrà anche solo sfiorata da una manganellata, mi toccherà dare alle fiamme la capitale.

In morte di Socrate

postato il 8 Set 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

(Socrate è stato condannato a morte; i suoi discepoli sono disperati, e decidono di riunirsi intorno a lui per ascoltare le sue ultime parole, già rassegnati all’idea che il loro maestro rifiuterà la fuga. Una nostra vecchia conoscenza, Eumolpo, si reca per primo dal nostro pederasta preferito, certo che la sua compagnia lo avrebbe confortato in queste difficili ore.)

-Socrate: (nell’atto di posare un bicchiere dopo averne bevuto il contenuto in solo sorso) “hic”.
-Eumolpo: Maestro! Padre spirituale di noi tutti! Hai già assunto il veleno mortale, senza bisogno di conforto alcuno?!? Quanta forza d’animo! Che coraggio!
-S: Ma che cazzo dici, pezzo d’idiota! Sto tracannando vino, altro che veleno! La cicuta è in quel bicchiere all’angolo del tavolo, ma -hic- ho cambiato idea, non la berrò per nessun motivo al mondo!
-E: L’ebbrezza deve aver offuscato la tua mente, oppure stai scherzando! Metti fine alle tue sofferenze, maestro, e alle pene di chi ti ama! Vuota in fretta l’amaro calice!
-S: Ma di che sofferenze parli, cretino! Su, scoliamoci insieme quest’altra bottiglia di buon vino, prima che io scappi.
-E: Hai davvero cambiato idea allora, o Socrate? Fuggirai da Atene come di avevamo suggerito? Questo mi rende felice, ma anche confuso..
-S: E certo che fuggo! Solo un coglione resterebbe qui a farsi ammazzare da qualche boia fetente, servo di uno stato corrotto. Nè mi sembra più saggio uccidersi con la cicuta, quando potrei trascorrere un’altra decina d’anni in compagnia di teneri fanciulli e dolce nettare! Ah!
-E: Ma… Maestro, io… noi credevamo che tu avessi scelto di accettare la sentenza del Tribunale, che tu desiderassi morire pur di insegnare a noi e ai posteri il rispetto per la Legge, la deferenza nei confronti dell’autorità, verso le istituzioni di questa Repubblica… perché adesso parli di corruzione dello Stato? La Democrazia è il sistema di governo migliore mai creato! Davvero, non capisco..
-S: E allora bevi, che “in vino veritas”, come diranno i futuri! E metti da parte questo tono solenne, queste parole altisonanti, e soprattutto quelle maledette maiuscole! Ora basta. So cosa vi ho detto. Ho parlato molto, troppo, senza davvero comprendere il senso dei miei stessi insegnamenti. Ma ho fatto bene a bere, in questo momento che poteva essermi fatale! Ho capito qualcosa, ho visto le cose con più -hic-, con più chiarezza! E’ tutto sbagliato, Eumolpo, tutto falso. Questa notte fuggirò, adorato allievo, perchè ho smesso di vedere la giustizia in questo stato che troppi si ostinano a chiamare giusto!
-E: Ma cosa dici, Socrate! Questa è la Democrazia! E’ lo Stato giusto per eccellenza, il governo di tutti!
-S: Ora mi stai facendo girare le palle, Eumolpo! Bevi, che ne hai bisogno. Questo tuo stato così giusto mi vuole morto, te ne sei già dimenticato? Smettila, dimentica quello che ti hanno insegnato, scordati delle mie stesse parole, ma ascoltami ora! “Il governo di tutti” non è altro che il governo dei demoi, dei gruppuscoli d’interesse, non sono altro che delle schifose lobby! Fanno finta che ci sia una reale competizione per il potere, loro, quella maledetta accozzaglia di mercanti e usurai, assumono il comando dello stato e lo usano per fare ancora più soldi! La feroce conquista dell’Eubea, i furti della lega delio-attica (non merita maiuscole!)… Questi scempi, tali vergognose macchie sulla storia della città, credi che abbiano almeno servito gli interessi di tutti gli ateniesi? Col cazzo! Affogano nel lusso questi bastardi, nello sperpero e nella speculazione* di risorse pubbliche! Li vedi con le loro triremi e quinqueremi, a farsi i giretti del Pireo, mentre il popolo, quello vero, e i meteci, nati stranieri, vivono di stenti e lavorano per loro, senza avere alcun diritto..
-E: Ma cosa vai dicendo, Socrate! Il popolo intero vota, e i meteci non sono cittadini, sono stranieri, appunto, è giusto che non prendano parte alle decisioni politiche!
-S: Ancora a parlare di giustizia, e di giustizia in questa politica??? Continua a bere, deficiente! E fai attenzione: certo che gli stranieri non sono cittadini, le nostre leggi sulla cittadinanza fanno rivoltare lo stomaco! Ci piace, anzi piace a loro, agli stronzi pieni di dracme, farli lavorare come muli, questi poveracci.. per quante altre generazioni dovranno spalare la merda dalle strade, prima di cominciare a votare?!?
-E: Ma -hic- è vero ma… E’ la volontà popolare, ti ripeto, -hic- no?
-S: Certo che no! Quale volontà? Branco di pecore, questo è diventato il popolo sovrano, o forse lo è sempre stato! Sono convinti di discutere e di informarsi, nell’agorà, e invece stanno lì a farsi rincoglionire e manipolare da qualche sofista prezzolato, maledetti linguivendoli!
-E: Sì! Che merda i sofi..-hic-, i sofisti! Questo lo abbiamo sempre detto!
-S: Ma non solo loro: ogni rito cittadino, ogni festa, ognuna di queste cazzate non serve ad altro che a irregimentare, a far marciare in fila, col passo dell’oca, senza nemmeno saperlo, questo maledetto popolo di servi…!
-E:…Anche la tragedia?
-S: Anche la tragedia! Serve solo a confondere e distrarre chi dovrebbe decidere i destini della polis!
-E: Ma la funzione -hic, la funzione educativa…
-S: Puah! Eschilo aveva qualcosa da insegnare, e forse anche Sofocle! Ma che affoghi nell’Acheronte la nuova generazione di tragediografi, Euripide coi suoi degni compari! “Oh, poveri i figli di Medea! O che miserie le piccole Troiane!” Di questo piange il “popolo sovrano”, quando dovrebbe governare! Puah! Psicodrammi adolescenziali senza il minimo spessore, privi di qualsivoglia messaggio politico!
-E: Sì… Sì! Hai ragione maestro! Hic! Finalmente anche io ci vedo chiaro!
-S: (Ormai completamente sbronzo ed euforico) Bravo, mio dolce discepolo! Il vino ha dissipato le nubi anche dalla tua mente! Hai capito finalmente le bugie che si annidano dietro…
(Entra Platone)
…il rispetto delle leggi, la deferenza verso l’autorità, la dignità delle istituzioni! Forza ora, alla goccia!
-E: Sì!
(Bevono felici, senza capirci proprio più un cazzo)
(Eumolpo scompare sotto il tavolo, definitivamente ciucco)
-Platone: Socrate, Maestro, Padre Nostro! Quanta gioia mi dà la possibilità di assistere al tuo ultimo, supremo gesto di coerenza, saggezza e coraggio!
-S: Ma cosa dici Platone, questo è… (guarda il bicchiere che ha in mano. Inorridisce) MA PORCACCIA EUROPA INCULATA DA ZEUS-TORO!
-P: Sì, così! Bestemmia queste divinità false e bugiarde!
-S: Ma va’ a farti fott.. argh..
(Cade a terra. Rantola, muore. Platone si sente particolarmente commosso. Eumolpo russa.)

Fine

*non manca mai, la speculazione.

La competizione più dura

postato il 2 Ago 2011 in Main thread
da Vobby

Quello che giova al nimico nuoce a te, quello che giova a te nuoce al nimico.[Niccolò Machiavelli, Dell’arte della guerra]

Dei primi due uomini a entrare in competizione, uno è stato ucciso.
Dei primi due gruppi umani a entrare in competizione, uno è stato in parte distrutto e in parte schiavizzato.
E se non i primi i secondi, perchè la guerra è un fenomeno più antico dell’agricoltura.

La guerra, “l’uso illimitato della forza bruta”, ha sempre accompagnato l’uomo durante il corso delle ultime migliaia di anni. Da quando la storia ha avuto inizio, almeno un gruppo di Homo sapiens ha vissuto in stato di guerra con un altro. Anche considerando realtà geograficamente circoscritte si osserva che dove c’è indipendenza di diverse realtà e gruppi politici, c’è guerra, non importa quanto sia ridotto l’ambiente considerato: perfino l’isola di Pasqua ha conosciuto una serie di guerre devastanti*, che ridussero una società relativamente progredita e organizzata in classi e in diverse e autonome entità statuali all’insieme di poche migliaia di raccoglitori e cacciatori di ratti che entrarono in contatto con gli europei.
Allo spettro della guerra non si sfugge in alcun modo: le feste in onore di Zeus Olimpio celebrate nella Grecia antica sembrano prestarsi immediatamente come dimostrazione di quanto detto: esse costituivano un periodo di pace obbligatoria, durante la quale nessun greco poteva permettersi di compiere atti di guerra; ma in cosa si risolvevano, se non nell’esaltazione della guerra stessa? Corsa, corsa con armi, lancio del giavellotto, corsa dei carri, lotta, pugilato, pancrazio… queste competizioni semplicemente riproducono singoli aspetti del conflitto armato, descrivono la competizione sportiva come uso “limitato” della forza bruta. Eventi analoghi si verificarono nel Medioevo, durante il quale i rappresentanti della nobiltà, se non erano impegnati a cavalcare armati su territori altrui, impiegavano gran parte del loro tempo partecipando a tornei.
Quindi: il fatto che gli esseri umani, da quando ha avuto inizio la cosiddetta “civiltà”, non siano mai riusciti a vivere completamente in pace può dirci qualcosa sulla natura umana? Ma anche: non ci dice qualcosa sulla nostra natura il fatto che pur vivendo in tempi e luoghi pacifici non riusciamo a liberarci del bisogno di dare sfogo, almeno sublimandolo, a un nostro pressante bisogno di competere e quindi di guerreggiare?
No. Difficile anche solo dire che esista, una natura umana. Tutto ciò, piuttosto, ci dice qualcosa sulla civiltà.

Alcuni dicono la cosa più bella, sulla nera terra, sia un’armata di cavalieri. Altri dicono di fanti, altri di navi. Per me invece, è ciò che si ama [Saffo, frammento 16]

Il concetto stesso di civiltà è inscindibile da quelli di competizione, sopraffazione e guerra. Proviamo a dimostrarlo.
Quando comincia la civiltà, e quindi la storia? Nel momento in cui l’Homo sapiens diede vita ai primi gruppi gerarchicamente organizzati, oserei dire. Anche quel che si impara in prima elementare sembra conciliarsi con questa affermazione: dire che la storia inizia con l’avvento della scrittura vuol dire che la prima civiltà storica era caratterizzata dall’esistenza di una classe (scribi, sacerdoti, nobili o direttamente sovrani, a seconda dei casi) dedicata alla produzione e al mantenimento della cultura, e ciò testimonia l’esistenza di un meccanismo statuale o pre-statuale in virtù del quale una classe era nutrita dal surplus alimentare prodotto da una differente classe di lavoratori manuali, perlopiù agricoltori. La necessaria presenza di tale meccanismo porta ad un’affermazione forse più vaga, ma più sicura: la civiltà nasce insieme con l’attività politica. Questo è interessante, in quanto la definizione di politica oggi più largamente accettata è la seguente: “l’insieme di attività, svolte da uno o più soggetti individuali o collettivi, caratterizzate da comando, potere e conflitto, ma anche da partecipazione, cooperazione e consenso, inerenti al funzionamento della collettività umana alla quale compete la responsabilità primaria del controllo della violenza e della divisione al suo di costi e benefici, materiali e non”. Lungo. Mi sento di tradurla così: politica è l’attività di chi si contende, detiene e utilizza il controllo della forza su di una collettività (all’origine della politica il fatto che essa oggi si componga di elementi consensuali e culturali conta poco).
Parlando del passaggio dalla preistoria alla storia, la civiltà appare essere così il risultato della schiavizzazione di massa da parte di alcuni esseri umani, detentori e cioè utilizzatori della violenza, su di altri. Civiltà come figlia di un atto di guerra con il quale da una società (naturale?) egualitaria di cacciatori e raccoglitori si passò a una società gerarchizzata avente come caratteristiche minime una classe lavoratrice più o meno soggiogata e una militare, mantenuta dal lavoro altrui.
La civiltà si delinea così, almeno ai suoi albori, come una situazione assolutamente svantaggiosa per la maggior parte degli esseri umani, ma la sua diffusione si spiega facilmente: una civiltà, cioè una società gerarchizzata, è militarmente più efficiente di una egualitaria, poiché in quest’ultima non esistono militari-nobili nutriti dal surplus alimentare dei produttori. Esiste un modo famoso e suggestivo per sintetizzare quanto scritto finora:

:Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire questo è mio e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardate dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti! [Rousseau, discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini]

La differenza fra la mia tesi e quella del caro Jean Jacques sta in questo: io non credo che il fondatore della civiltà fosse circondato di stupidi, credo che fosse armato. Vuoi per bisogno, paura o malvagità, un uomo volle per sé ciò che fino al giorno prima tutti potevano avere. Entrò così, primo fra tutti, in competizione con il prossimo, e vinse con la forza. Una forza bruta illimitata, quindi un atto di guerra. O, più pobabilmente, furono in molti ad armarsi: si fecero militari e divennero nobili. La sostanza è la stessa: all’origine, civiltà, politica e guerra sono un tutt’uno: si ebbe civiltà con un atto di guerra che fu anche il primo atto politico.
Nonostante la guerra sia spesso descritta come frutto di barbarie, essa si origina sempre nel cuore stesso della civiltà contemporanea, nell’economia e nel suo rapporto con la politica.

La parentesi sportiva merita di essere ampliata. E’ vero che lo sport oltre che di sfida e violenza (sublimata e regolata) si compone di elementi quali il rispetto repricoco, la lealtà, una sorta di cameratismo e fraternità che si sviluppa con i compagni di allenamento e perfino (soprattutto) con gli avversari. Questo non cambia la sua natura: stando ai giochi olimpici, lo sport nasce come attività esclusiva dei nobili volta a dar prova delle loro virtù militari all’infuori di un vero e proprio scontro bellico. I primi sportivi sono guerrieri nati che giocano alla guerra. La sportività, che si compone degli elementi positivi sopra elencati, non è altro che l’evoluzione del codice nobiliare che i guerrieri antichi e medievali osservavano perfino sul vero campo di battaglia. Come negare la sportività del duello fra Ettore e Aiace? L’ovvia differenza è che in guerra la forza non è limitata da regolamenti o armi spuntate. E’ un discrimine fondamentale, ma è l’unico.

*Ho scoperto da poco un fatto interessante: la maggior parte degli idoli di pietra che si possono osservare oggi sull’isola sono frutto di restauri: i re in lotta fra loro, vinta la battaglia decisiva, ordinavano la distruzione della statua raffigurante il rivale sconfitto, per affermare la propria supremazia. Prima che la roccia vulcanica presente sull’isola si esaurisse, si esaurirono gli alberi che fornivano il legname per le cave. Quindi gli idoli non poterono più essere costruiti, e i sovrani, non potendo altrimenti soddisfare la propria sete di prestigio e la loro vanità, presero a distruggere gli idoli altrui. Forse il peggior fallimento delle società gerarchizzate nella storia (il peggior fallimento della storia punto, quindi): i soldati prima schiavizzarono i popolani, poi si fecero nobili e sacerdoti vantando contatti con le divinità, grazie ai quali potevano garantire la prosperità del raccolto. Poi usarono il loro potere per costruirsi delle statue, distruggendo la vegetazione dell’isola e il suo ecosistema, infrangendo quindi la promessa del raccolto. Fatto ciò, pensarono bene di completare l’opera trascinando i diversi Stati dell’isola in una guerra totale.

Sì, no, qualcosa

postato il 15 Giu 2011 in Main thread
da Vobby

“Una spallata spacciata per referendum spacciato per spallata”. Non è vero. E’ successo qualcosa di molto più enorme (ammesso che si possa dire), e mi perdonerete se parto da lontano, per argomentare questa affermazione.

Nel 555° numero della prestigiosa rivista Linus figura un bell’articolo dell’economista Vladimiro Giacché (scrittore, membro dell’associazione Marx XXI), il cui titolo è “La ‘scusa Bin Laden’ e la crisi rimandata”. Il sottotitolo recita: Una crisi già in atto viene addebitata all’attentato dell’11 settembre, ma gli Stati Uniti erano in recessione già dal marzo 2001, anche per lo scoppio della bolla speculativa della “new economy”.
L’articolo comincia rovesciando la tesi secondo cui l’attentato alle Torri gemelle e la conseguente guerra al terrore avrebbero avuto conseguenze negative sull’economia statunitense e quindi mondiale, rendendo più repentino e catastrofico l’avvento della crisi economica del 2008; in realtà, afferma l’autore, “la crisi sarebbe arrivata prima”.
A suffragio di questa tesi cita diversi dati e articoli risalenti al 2001, per concludere che “Insomma: la crisi c’era, ed era molto seria, già prima dell’attentato. Non solo: era sincronizzata tra le principali economie globali, che evidenziavano tutte un eccesso di capacià produttiva ‘al suo livello massimo dagli anni ’30’ (Economist del 20 settembre 2001)”.
Accadde cioè che una crisi già in atto venne attribuita all’attentato e che, cosa più rilevante, le imprese sfruttarono la situazione per richiedere iniziative, contributi pubblici e tagli delle tasse a loro vantaggio, giustificando il tutto proponendolo come “il modo migliore per rispondere all’11 settembre”.
L’articolo si conclude rispondendo alla domanda “e adesso?” facendo notare, fra le altre cose, che dopo l’uccisione dell’arcinemico il valore dei titoli di Stato USA è crollato. Prima della conclusione l’articolo si dilunga su una importante riflessione sul cambiamento del rapporto fra Stato ed economia negli Stati Uniti in seguito all’attentato. In particolare, l’autore (oltre a notare, giustamente, come le spese militari abbiano frenato la recessione americana) ritiene di individuare un evidente controsenso, o almeno un palese quanto incoerente cambio di rotta nella politica economica, nel fatto che “i più convinti sostenitori del liberismo e della necessità di lasciare briglia sciolta agli ‘animal spirits’ del capitalismo si trasformano in entusiasti sostenitori del ruolo dello Stato nell’economia, del deficit spending, dei sussidi alle imprese”.
Non la penso come lui.
Ma questa sensazione, questa percezione del controsenso, è alquanto diffusa: poche settimane fa ad esempio, discutendo con un amico di varie cose, siamo arrivati a parlare dell’attuale crisi economica. Io avevo addotto la crisi come tesi a sostegno del fatto che il liberismo economico non è esattamente la miglior forma possibile di gestione dell’economia, specialmente in un periodo in cui la finanza occupa un ruolo così importante: gli Stati stessi, dicevo, si vedono costretti in queste situazioni a trasformare il debito bancario in debito sovrano, facendo ricadere su tutta la popolazione colpe che sarebbero di pochi. Sul punto del debito, il mio amico notava quanto fosse ancora pressante la questione del “brutto vizio dello Stato di intervenire nell’economia”.
Il problema mi sembrò mal posto.
Secondo il punto di vista sia di Vladimiro che di Nicola (l’amico. Non dovrei parlare per lui, certamente il suo pensiero sulla questione è più articolato di come lo presenterò) ci troviamo di fronte a una contrapposizione insanabile fra liberismo economico ed interventismo statale, e di conseguenza ci sarebbe una chiara contraddizione fra la politica economica precedente e quella successiva all’11 settembre (Vladimiro), e fra la politica economica precedente e quella successiva alla crisi del 2008.
E’ vero, sembra difficile mettere assieme le due cose, trovare un filo logico. Come è possibile che nell’epoca della globalizzazione, cominciata con la Reaganomics e con la Lady di ferro, in cui le crisi economiche vengono affrontate con atteggiamento “liberal” perfino dal socialistissimo Zapatero, e durante la quale le misure di austerità, volte ad impedire la benchè minima spesa pubblica, sono imposte in modo tanto restrittivo perfino di fronte all’asfissiata economica greca, lo Stato ceda ancora alla tentazione di mettere le mani nel mercato, fra l’altro attuando misure dispendiose quanto spesso impopolari come gli investimenti militari e la pubblicizzazione del debito privato?
Come dicevo, a mio parere questa contraddizione è irrisolvibile solo fino a che non si osserva il problema da una diversa angolazione. Una volta fatto, tutto potrebbe diventare più semplice.
Per adesso abbiamo parlato dello Stato, che può o meno intervenire nel mercato, e dell’economia, che è più o meno libera dall’intervento statale. Facendolo si è trascurato l’elemento più importante, che è ciò che sta nel mezzo fra lo Stato e l’economia, cioè la politica, e più precisamente il potere politico.
E’ una questione di potere relativo, in realtà piuttosto banale. Lo si può spiegare guardando al caso italiano: se sono (la Fininvest,) le imprese, le banche, le società per azioni e gli organismi economici sovranazionali a dominare lo Stato, potremmo parlare di coincidenza fra attori economici ed attori politici. In questa situazione, tali attori vorranno precipuamente ampliare e consolidare la loro libertà dalle leggi e dai confini dello Stato, e vorranno poter depredare liberamente le imprese e le istituzioni pubbliche: così Marchionne minaccia di trasferire la Fiat in Polonia o in Brasile, così Brunetta blocca gli stipendi ai dipendenti pubblici, e li insulta pure, perchè il pubblico deve essere descritto come una zavorra inefficiente, così Tremonti può tagliare orizzontalmente gli investimenti alle imprese pubbliche, ancora una volta sbandierando il mito dell’efficienza, e così ancora una volta Tremonti, ma per mezzo della Gelmini, può demolire l’istituzione che per prima dovrebbe essere di tutti, cioè la scuola.
E se le cose vanno male, e c’è crisi, sono sempre gli stessi attori ad essere favoriti: in questa situazione lo Stato è prontissimo a prendere sulle proprie spalle, che poi sono le spalle di tutti, gli oneri e i debiti che l’irresponsabilità dei privati ha provocato: si spendono (male, è un problema pubblico, chi se ne frega) miliardi per l’inquinamento, per i cassintegrati, per risarcire le banche, e questo perchè i piccoli e medi imprenditori hanno voluto (e potuto. Dominano la politica, quindi lo Stato, chi dovrebbe impedirgli di fare i loro comodi?) risparmiare qualche spicciolo sullo smaltimento dei rifiuti, perché la Fiat non ha davvero un piano di sviluppo, perchè i manager non possono, e tantomento vogliono, curarsi delle bolle speculative.
Restiamo in Italia, ma non troppo. Prima ho nominato di sfuggita gli organismi economici sovranazionali. Senza tirare in ballo Banca mondiale, Fmi, Wto, dei quali sarebbe anche il caso di parlare, potremmo limitarci a notare che nemmeno metà della politica economica italiana è decisa da ministri che hanno avuto la fiducia dei nostri rappresentanti. Non è, non dico grave, ma perlomento problematico e suscettibile di critiche il fatto che tutte le principali decisioni in campo economico e monetario, in praticamente tutto il continente europeo, che considerato nel suo insieme costituisce il primo mercato mondiale, siano prese da una banca, la BCE, i cui dirigenti e operatori non sono in nessun modo responsabili di fronte ai cittadini?
Ce lo hanno insegnato nel terzo anno delle superiori, parlando un po’ del re Sole e un po’ della pace di Westfalia: una delle caratteristiche dello Stato moderno è l’accentramento del potere politico e quindi, fra le altre cose, il fatto che i re e diversi poteri centrali dei singoli Stati potessero decidere la loro politica economica indipendentemente dalle volontà particolari dei Comuni e dei feudatari, sovrani nel medioevo.
Poi, chi è arrivato dopo la seconda guerra mondiale col programma di storia avrà chiaro il concetto di liberaldemocrazia, ovvero del modello di Stato nato con la democratizzazione degli Stati liberali dell’Europa occidentale, con il quale si conclude il passaggio del potere, della sovranità, anche e soprattutto economica, dalle mani del monarca a quelle del popolo.
Ora, io mi ritengo discretamente europeista, ma non ho potuto davvero fare a meno di apprezzare l’intervento di Alex Zanotelli, che ieri sera a piazza del Gesù ci ricordava che è proprio l’Europa la responsabile della direttiva che imponeva la privatizzazione dei sistemi di gestione e distribuzione dell’acqua. Non può e non deve piacere questa europa (stavolta con la minuscola) che strappa la sovranità ai cittadini, che si delinea come fonte del potere politico dominata dalle grandi aziende e dalle banche. Lo so che la BCE riunisce la banche nazionali, ma secondo voi alla banca d’Italia chi conta di più, 500mila cittadini o la Mercegaglia? E alla BCE stessa, che è più che mai lontana tanto dai partiti quanto dai cittadini stessi? L’accentramento toglie potere ai singoli, l’accentramento della politica economica uccide la sovranità economica popolare.
Ecco, ce l’avete fatta, siete arrivati al cuore del post: non è meraviglioso, almeno quanto inaspettato, il fatto che il primo paese a rifiutare, e a chiare lettere per giunta, questo tipo di politica economica sia stato proprio l’Italia? Non è un caso che una espressione più spesso nominata durante la campagna per il Sì sia stata quella di “democrazia economica”, nè il fatto che da Bersani a Grillo tutti siano d’accordo sul fatto che la gestione del bene comune primario debba essere affidata in primo luogo ai Comuni, che sono di quanto più vicino esista ai cittadini. E’ veramente bellissimo, e io un poco mi sono commosso, anche se non ho fatto un cazzo a parte mettere quattro croci su dei fogli, discutendo di qua e di là con amici, parenti e conoscenti dei quesiti referendari.
Zanotelli ha sottolineato il fatto che questo evento avrà delle ripercussioni in Europa, che cittadini di altri Stati, e non viceversa, guarderanno all’Italia sentendosi ispirati. Vorrei concentrarmi di più, almeno per adesso, sull’importanza che questa consultazione ha avuto per l’Italia.
“Dire sì per dire no” è un po’ una metafora del fatto che per affermare, spesso bisogna negare. Senza entrare nella filosofia, basta ricordare come, ad esempio, la Nazione Germanica sia nata nel momento in cui tutti i paesi dell’area tedesca erano sottoposti a Napoleone. Anche in Italia avvenne qualcosa di simile, anche se più tardi: il sentimento antiaustriaco fu un fattore dominante di unificazione delle élite intellettuali dell’intera penisola durante il Risorgimento. Il nemico comune creò un’identità, seppur labile.
Con questo referendum, mi è sembrato sia stato compiuto un passo importante nella rifondazione, assolutamente necessaria, dell’identità italiana. La rifondazione (sì, uso proprio questo termine per fare pubblicità occulta a rifondazione comunista) di cui parlo, questo nuovo Risorgimento, si sta cementificando attorno a temi largamente condivisi, a differenza di come era successo fra il 1848 e il 1861. Oggi ciò che unisce il 57% degli italiani (ed è la maggioranza, e pure larga! non la grossa, becera, minoritaria minoranza che sostiene berlusconi) è il rispetto per un territorio magnifico e senza pari, la promessa che esso non sarà depredato e distrutto dalle scorie, la volontà di gestire in modo condiviso un bene fondamentale (“LA MADRE!!!” urlava ieri padre Alex), e insieme a questi il fermo desiderio di un giustizia uguale per tutti, che “sia fatta giustizia finchè non perisca il mondo”.
Il paese del “particulare”, diceva nemmeno un mese fa Scalfari citando Guicciardini. Sì, ma sta crescendo. Acqua PUBBLICA, rispetto del territorio NAZIONALE, giustizia uguale per TUTTI, e nel nome di tutti, hanno unito trenta milioni di italiani. C’è ancora tanta strada da fare; non è tutto. Ma è tantissimo!
E’ chiaro che questa rifondazione non si è attuata improvvisamente, venendo fuori dal nulla. Un’identià va costruita nel tempo.
Volendo guardare solo al breve periodo, posso provare a nominare in ordine sparso alcuni elementi che, secondo me, sono stati davvero fondamentali nella ridefinizione dell’identità nazionale.
Nell’ordine in cui mi vengono in mente:
1) Vendola: é omosessuale, è cattolico, è comunista, e questo di per sè ha contribuito a rendere contemporanamente meno provinciale e più libero da stereotipi il panorama politico italiano; mi azzardo a dire che questi fattori sono di per sè elementi di progresso, considerati nel loro insieme. E’ un leader popolare e rispettato anche fra chi non sostiene Sel. E’ certamente a capo di un partito-persona, ma il popolo di sinistra non è avvezzo a genuflettersi ai piedi di qualche capo, è piuttosto abituato a criticare e a partecipare attivamente alla politica. Non a caso il potere di Vendola, più che sul carisma (che poi non è così grande. QueFto Fud Fpaventato e vilipeFo non è COSì TANTO carismatico) si è fondato sulle fabbriche di Nichi, sulla sua vicinanza alla Fiom, sul fatto che abbia dato nuova voce ai sostenitori di una sinistra critica e alternativa. Ha reintrodotto temi e persone nel dibattito pubblico, e sta obbligando il pd a confrontarsi costantemente con qualcosa di diverso dalle sue beghe interne. Il suo stile di rapportarsi con i suoi elettori e con la società civile ridisegna in parte la conformazione del partito, che se non si trasforma rischia di venire superato dalle associazioni dei cittadini. In questo senso, insieme a Di Pietro, interpreta un’istanza di rinnovamento nel modo di tradurre la volontà popolare in atti politici. De Magistris e Pisapia, la loro distanza dai partiti e la loro vicinanza agli elettori sono altre manifestazioni del processo di riforma politica che è in atto.
2)Bersani. E’ veramente bravo. Non so dire se sia bravo come leader, nè mi riguarda in prima persona, ma è un vero politico, nel senso superiore del termine, nel senso che è un esperto non di politicismo ma di politica. Vorrei che sia chiaro che dal mio punto di vista i leader e le singole personalità valgono qualcosa in quanto interpretano volontà pubbliche, e Bersani svolge il suo ruolo egregiamente, mettendo sia alleati che oppositori di fronte a problemi concreti e a soluzioni politiche possibili, spazzando via tanto le grida e gli slogan di alcuni quanto l’inutilmente indignato e infantile idealismo di altri. Alla fine saranno i grillini a votare pd, non viceversa. Il movimento cinque stelle lo vedo importante, per quanto non fondamentale: può contribuire a riformare la sinistra italiana dando nuova forza ai temi dell’ambientalismo e della democrazia diretta, in questo ha un ruolo importante e unico. Non esistono davvero motivi per cui il movimento sia fuori dalla sinistra, a parte di de Benedetti e i pdmenoelle urlati da certi comici un po’ presuntuosi.
3)Lo scandalo dei festini ad Arcore. E’ in parte vero che ogni popolo ha il governo che si merita, perchè chi guida lo Stato riflette necessariamente le virtù e i vizi dello Stato stesso. Il paese, ad Arcore, è stato costretto a guardarsi allo specchio, e ha avuto paura. Lo schifo e lo squallore di Stato, nel quale potrei includere ad esempio la P3, sono stati un importante fattore di rifondazione italiana, per il fatto che hanno dimostrato da cosa dobbiamo liberarci. Condivido l’opinione di chi, poco sorpreso dalle Olgettine, ricorda che sono ben altri i problemi del paese. Giusto, ma un presidente del consiglio che usa il suo potere per togliere dalle caserme una prostituta minorenne, da lui sfruttata, e per corrompere i giudici della Corte Costituzionale è sintomo non trascurabile del problema enorme che è stata la distanza dagli italiani dalle istituzioni, lo scarso e spesso quasi nullo rispetto che lo Stato e le sue leggi suscitano fra i cittadini. E’ principalmente in questo senso che qualcosa sta cambiando. La vittoria del sì al referendum esprime chiaramente un segno di repulsione verso tale retaggio culturale e politico, e la stessa nascita di un grande centro, o di una nuova destra, che dir si voglia, è un po’ il risultato di questo guardarsi in faccia, senza rinoscersi nè piacersi.
4) Vieni via con me. E’ innegabile il ruolo della trasmissione nella definizione di un’identità nazionale. In primo luogo, per la sua capacità di sprovincializzare e dare rilevanza nazionale a problemi particolari. Saviano che spiegava le responsabilità delle industrie del Nord nella crisi napoletana dei rifiuti e le colpe del governo centrale nella gestione de L’Aquila terremotata è stato il giusto e necessario avversario ai discorsi volgari, incolti e razzisti di Borghezio. Il programma fu accusato di ridursi a essere una vuota liturgia, in cui nomi e temi già noti si succedevano senza un reale filo logico. Un editorialista di Linus (se ben ricordo. Forse era del Manifesto) osservò che questa critica sarebbe stata giusta solo se quella successione fosse rimasta fine a sè stessa, solo se non fosse riuscita ad unificare e sintetizzare in una concreta volontà e identità politica le proprie diverse istanze. Ebbene, la critica si è rivelata miope, perchè Vieni via con me ha combattuto e vinto una grande battaglia di civiltà, battendo sia il grande fratello che la male gestione della Rai, riuscendo ad essere non insieme di voci distinte, ma voce unica di istanze molteplici.
Identità.
Nazionale.
Segue logicamente:
5) Il centocinquantenario. I detrattori del Risorgimento del Nord e del Sud, di destra e di sinistra, sono a mio avviso rimasti spiazzati dalla grande partecipazione che ha caratterizzato l’evento. E’ stato un momento di festa, sì, ma anche e soprattutto di riflessione.
Una sorta di bilancio, durante il quale il paese ha potuto e voluto parlare innanzitutto di sè, guardare alla sua storia, chiedersi come proseguirla, su quali valori edificarla. Il leghismo ha subito un duro colpo dalla ricorrenza.
Non saprei bene come concludere. Mi scuso per la lungaggine e per la confusione, ma c’erano molte cose che mi sentivo di dire, e mi era parso possibile metterle insieme. Fra l’altro aldilà di come li ho esposti, i temi sono importanti e meritano pagine ben più dense e numerose di queste. Rileggendo mi verranno in mente tante altre cose. Napolitano, per esempio. Vabbè, è tardi e il messaggio mi sembra chiaro. Ditemi un po’ cosa ne pensate.

E io sussurrerò..

postato il 9 Giu 2011 in Main thread
da Vobby

Conto di fare perlomeno un altro post su questo argomento, ma per adesso non potevo esimermi dal pubblicare questa scena:

Insulti alla letteratura

postato il 20 Mag 2011 in Main thread
da Vobby

Si tratta di due cosi piuttosto vecchi. Fanno entrambi cagare, ovviamente, anche se forse un po’ meno di come mi ricordassi. No, che dico, il primo forse è un poco meglio di quanto pensassi, il secondo molto peggio. L’ordine cronologico dovrebbe essere invertito, ma trovavo coerente con il blog e l’argomento corrente postare una sorta di discesa verso lo squallore adolescenziale. Il primo coso (non è veramente un componimento..) è l’inizio (non continuato) del mio romanzo (lol) medieval-fantasy (chi fu a suggerirmelo?), il secondo è la mitica (?) divina commedia by Vobby (perchè?).Tutto scritto almeno 4 anni fa. Il primo è (cerca di essere, fallendo) un vero e proprio inizio di capitolo, il secondo consta solo della geniale (no) trama che avevo ideato. Noterete che i due… testi sono (poco, pochissimo) influenzati dal fatto che avevo cominciato pukulan e letto un libro di Piero e Alberto Angela in cui accennano a delle cose su come è fatto il cervello. Poi bè, mi piace l’Iliade, ma questo lo sapevate già. Ok, ho finito di rileggere anche il secondo coso, forse col finale si solleva un po’, anche se la prima parte vi farà davvero venir voglia di morire. Ci sono citazioni a caso di Benni, due per la precisione.

Romanzo medieval-fantasy: Presentazione del protagonista :
I tre uomini entrarono con calma senza preoccuparsi di chiudersi la porta alle spalle.
Indossavano una cotta di maglia coperta da un lungo mantello bianco, le armi appese ai fianchi.
Uno di loro, presumiblimente il capo, era stato il primo a varcare la soglia e guardava dall’alto in basso il giovane che li aveva fatti entrare. Il soldato era enorme, i suoi passi avevano fatto rimbombare il pavimento.
Gli altri due erano rimasti vicino all’uscio, in attesa, con un’aria vagamente sprezzante disegnata sui volti. Seppur robusti, erano comunque mingherlini al confronto del primo uomo.
Il giovane aveva un’aria piuttosto sorpresa. Indossava anche lui una sorta di mantello, ma decisamente lacero e vecchio.
Il primo uomo parlò piano, con una voce del tutto priva di tono: “in questa casa c’è uno dei libri messi all’indice. Lei deve consegnarcelo e seguirci in caserma.”
La sorpresa sul volto del giovane era ora più evidente; comunque rispose tranquillo: “qui non c’è nessuno di quei libri. Io non so neanche leggere.”
Il soldato rispose con la stessa lentezza di prima: “se non collabora, dovremo portarla in prigione per poi farla giustiziare, la prego di essere ragionevole.”
Dimostrando grande ragionevolezza, il giovane tirò un energico pugno alle palle del soldato. Peccato per la conchiglia. Senza fare una piega, l’uomo rispose con uno spintone che scaraventò il giovane su un mobile alle sue spalle, mandandolo in frantumi.
Il giovane si alzò con velocità sorprendente, scattò verso il soldato, che fu troppo lento per difendersi: il montante gli asportò gran parte della faccia. Lo il movimento del braccio in avanti aveva fatto cadere il mantello del giovane dietro la spalla: i due soldati rimasti vicino la porta, poterono vedere la singolare arma del giovane: indossava un guanto di cuoio lungo fin sopra il gomito, sul quale era avvolta e cucita una cotta di maglia. Sulla parte della cotta che copriva il pugno, erano attaccati vari piccoli chiodi, ganci, e schegge metalliche. A queste era rimasta attaccata la faccia del soldato.
L’uomo cadde a terra con un tonfo. Uno dei due uomini rimasti indietro estrasse un grosso spadone da sotto la cappa. L’altro, superato un primo momento di stupore, impugnò una mazza ferrata e si scagliò contro il giovane gridando:” ti ammazzo piccolo verme infed..” il giovane lo zittì con una rapida tibiata all’altezza della testa. Il rumore della gamba contro l’elmo fece intuire che anche gli stinchi erano protetti da un’armatura.
Il giovane, in mezzo fra i due aggressori svenuti, fissò il terzo soldato, e si rivolse a lui dicendo: “ora tocca a te.”
“sta fermo” gli rispose quello “io non..” ma smise di parlare per concentrarsi sul pugno che arrivava. Portò lo spadone davanti al corpo appena in tempo per parare il pugno metallico. Il giovane piegò il braccio di scatto e con un solo movimento fluido diede una gomitata alla spada, spostandola di lato, aprendo la guardia del nemico. Il soldato staccò una mano dall’arma per parare il secondo pugno; i due avambracci corazzati si scontrarono facendo scintille. Senza perdere tempo il soldato mosse lo spadone con un solo braccio verso il giovane, che fu costretto ad indietreggiare. Ora era il soldato ad attaccare, menando fendenti. Il giovane ne evitò uno, due, al terzo si abbassò sulle gambe per poi gettarsi sulla vita dell’avversario, atterrandolo.
Gli si sedette sopra e tirò due pugni mirando alla testa, il primo venne incredibilmente parato, il secondo centrò la tempia. Nonostante la protezione dell’elmo, il soldato perse conoscenza.
“bene” disse il giovane fra sé. Si alzò,aggiustandosi il mantello. Controllando che gli altri 2 soldati fossero davvero privi di conoscenza, notò un libro fra i pezzi del mobile fracassato. Lo raccolse, e controllò il titolo:”oh c’era davvero un libro proibito qui dentro..” lo prese e se lo mise in una tasca interna al mantello, poi corse via dalla casa, fendendo i curiosi attirati dal frastuono. Appena il giovano varcò l’uscio, il soldato con lo spadone si alzò massaggiandosi la testa. “uno così potrebbe fare al caso nostro. O darci problemi” borbottò fra sé. E corse ad inseguirlo.

Divina commedia by Vobby, trama:
Allora, nel mio libro i protagonisti siamo io e mf, magari cn nomi diversi, ma i caratteri sono quelli.
La storia comincia cn una scommessa fra lucifero e Michele, ke devono giocrsi qualcosa, magari potere o anime. Fatto sta ke se la giocano cn noi 2. in sostanza ci daranno potere e conoscenza. A me daranno poteri bestiali, tipo wolverine se vogliamo, e mi faranno visitare l’inferno. A lei un potere piu nobile ovviamente, simboleggiato da una spada, le faranno visitare il paradiso. Dopo queste visite, coi nostri poteri decideremo come comportarci ein base al nostro comportamento noi “decideremo” il nostro destino nell’aldilà. Se andiamo su vince Gabriele, se andiamo giù lucifero. Chiaro no? Io visiterò l’inferno e scoprirò che nn è esattamente cm dice dante, è qualcosa di terribilmente figo, in cui pestano come dannati, in cui ci si abbandona ai piaceri, e i demoni infernali ke presiedono cerchi e bolgie altro non sono ke anime piu forti di altre modificatesi all’inferno col passare del tempo secondo il loro carattere e la loro esperienza diciamo. È ovviamente un luogo di punizione, ma i puniti sono solo destinati a contendersi i piaceri, piu o meno cm hanno fatto in vita. Tipo i golosi sono condannati a combattersi l’un l’altro x il cibo, e cerbero è il piu grosso e cattivo di tutti, il piu bestiale, e fa il culo a tutti e mangia di piu, perciò è il capo, funziona in sostanza la legge della giungla, ma almeno in parte tutti riescono a raggiungere i loro piaceri, e ci sono momenti di piacere generale concessi da lucifero. Al paradiso ci devo lavorare, ma se le ambientazioni dell’inferno sono paludi foreste o deserti , in paradiso i vari cerchi sono simili alle varie interpretazioni delle città perfette nei secoli in cui l’uomo ci ha tanto fantasticato. Lì tutti vivono in pace e armonia e si scambiano dotte opinioni, e nn ci sono criminali eccetera e domina un generale buon senso. Sostanzialmente, all’inferno ci vanno quelli in cui ha prevalso la parte animale della psiche, quella presente nel paleoencefalo, in paradiso quelli ke hanno usato di piu la corteccia cerebrale. Io sarò attirato dall’inferno, mi piacerà, anke xkè essendo forte e sapendo bene come funziona il rapporto tra ciò ke sono nella mente e ciò ke sono all’inferno lì sarò piu forte degli altri, farò il culo a cerbero in un incontro spettacolare, e a lui fotterò le chiavi del palazzo di Semiramide ke domina nel cerchio dei lussuriosi, e chiaverò con lei. Mf invece bè, nel paradiso vedrà un po’ l’agorà ke vorrebbe fosse pagine sparse. Io con le mie particolari facoltà sulla terra me la farò cn un bordello di puttane, perché essendo piu bestia potrò dominare anke tipo gli ormoni, mf invece andrà ancora meglio a scuola, avrà vari riconoscimenti, magari scrive un libro, vasquez e la professoressa delle medie le dicono ke è troppo brava e bella, tutte quelle cose che credo piu vorrebbe. Poi però succederà un avvenimento particolare che ci farà riflettere. Io scoperò tantissimo, ma come un animale, trascinato dalla voglia e non dal desiderio d’amore e questo non mi piacerà, lei invece si renderà conto di star camminando a tre metri da terra, e soprattutto che tutto kuel sapere non vale niente senza lo sforzo da fare per ottenerlo. Intanto ovviamente avremmo litigato. Ci riappacifichiamo accomunati dai dubbi. Visto ke dubitiamo di ciò ke ci hanno concesso, ci scambieremo i poteri, a me la spada a lei gli artigli. E andremo nell’aldilà, ancora una volta, per prendere a botte lucifero e Michele. Loro perderanno perché non capiranno ke la nostra forza non deriva dall’essere bestiali o ragionevoli, come loro, ma da qualcosa di molto piu tipicamente umano della ragione, ke è il valore, e l’amore soprattutto,che non è istinto, non tende a qualche bene superiore, è forza generatrice, è passione, è infinitamente piu potente di inferno e paradiso messi insieme. Non sono loro le divinità che comprendono la natura umana, ma quelle dell’epica, almeno x la mia natura, infatti mentre combatterò con lucifero la spada , nel momento di maggiore difficoltà, si trasformerà nello scudo di achille, ela sua impugnatura nella lancia di frassino che solo l’eroe può impugnare. Almeno il mio processo psicologico sarà questo, quello di mf nn lo so ancora, è difficile, magari ne parlo con lei… la cosa sicura è che frantumerà le armi di Michele come il mio scudo frantumerà le corna di lucifero, quando lui mi si scaglierà addosso. La tesi del libro sarà che l’amore non è proprio di dio, ma dell’uomo. Che il cattolicesimo fa schifo perché non incita al valore e non esalta davvero la natura umana, ma la relega a inferiore rispetta a una divinità, è nell’epica che gli eroi ferivano dei, e noi lo faremo. Probabilmente quello che ci farà schifo dell’aldilà e la mancanza di calore umano e amicizia e amore,xkè angeli e demoni non ci hanno capiti e ci giudicano o bestie o dotti professori. La verità non sta nel mezzo, ma nel tutto.

Idea nuova n°1: all’inferno non puniscono i peccatori, cm abbiamo detto, ma in paradiso si! le città perfette hanno delle terribili prigioni! Troppa giustizia e poca speranza, nell’aldilà.

Nota di Vobby del 20 aprile 2010, cioè 2 anni e mezzo dopo la scrittura di questo testo: fa proprio cagare! È un insulto alla letteratura! Però il contenuto mi piace, e sono felice di averlo ritrovato qui nascosto nei meandri delle cartelle condivise. Un saluto al Vobby futuro! Tanti auguri per tutto!

 

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