La competizione più dura

postato il 2 Ago 2011 in Main thread
da Vobby

Quello che giova al nimico nuoce a te, quello che giova a te nuoce al nimico.[Niccolò Machiavelli, Dell’arte della guerra]

Dei primi due uomini a entrare in competizione, uno è stato ucciso.
Dei primi due gruppi umani a entrare in competizione, uno è stato in parte distrutto e in parte schiavizzato.
E se non i primi i secondi, perchè la guerra è un fenomeno più antico dell’agricoltura.

La guerra, “l’uso illimitato della forza bruta”, ha sempre accompagnato l’uomo durante il corso delle ultime migliaia di anni. Da quando la storia ha avuto inizio, almeno un gruppo di Homo sapiens ha vissuto in stato di guerra con un altro. Anche considerando realtà geograficamente circoscritte si osserva che dove c’è indipendenza di diverse realtà e gruppi politici, c’è guerra, non importa quanto sia ridotto l’ambiente considerato: perfino l’isola di Pasqua ha conosciuto una serie di guerre devastanti*, che ridussero una società relativamente progredita e organizzata in classi e in diverse e autonome entità statuali all’insieme di poche migliaia di raccoglitori e cacciatori di ratti che entrarono in contatto con gli europei.
Allo spettro della guerra non si sfugge in alcun modo: le feste in onore di Zeus Olimpio celebrate nella Grecia antica sembrano prestarsi immediatamente come dimostrazione di quanto detto: esse costituivano un periodo di pace obbligatoria, durante la quale nessun greco poteva permettersi di compiere atti di guerra; ma in cosa si risolvevano, se non nell’esaltazione della guerra stessa? Corsa, corsa con armi, lancio del giavellotto, corsa dei carri, lotta, pugilato, pancrazio… queste competizioni semplicemente riproducono singoli aspetti del conflitto armato, descrivono la competizione sportiva come uso “limitato” della forza bruta. Eventi analoghi si verificarono nel Medioevo, durante il quale i rappresentanti della nobiltà, se non erano impegnati a cavalcare armati su territori altrui, impiegavano gran parte del loro tempo partecipando a tornei.
Quindi: il fatto che gli esseri umani, da quando ha avuto inizio la cosiddetta “civiltà”, non siano mai riusciti a vivere completamente in pace può dirci qualcosa sulla natura umana? Ma anche: non ci dice qualcosa sulla nostra natura il fatto che pur vivendo in tempi e luoghi pacifici non riusciamo a liberarci del bisogno di dare sfogo, almeno sublimandolo, a un nostro pressante bisogno di competere e quindi di guerreggiare?
No. Difficile anche solo dire che esista, una natura umana. Tutto ciò, piuttosto, ci dice qualcosa sulla civiltà.

Alcuni dicono la cosa più bella, sulla nera terra, sia un’armata di cavalieri. Altri dicono di fanti, altri di navi. Per me invece, è ciò che si ama [Saffo, frammento 16]

Il concetto stesso di civiltà è inscindibile da quelli di competizione, sopraffazione e guerra. Proviamo a dimostrarlo.
Quando comincia la civiltà, e quindi la storia? Nel momento in cui l’Homo sapiens diede vita ai primi gruppi gerarchicamente organizzati, oserei dire. Anche quel che si impara in prima elementare sembra conciliarsi con questa affermazione: dire che la storia inizia con l’avvento della scrittura vuol dire che la prima civiltà storica era caratterizzata dall’esistenza di una classe (scribi, sacerdoti, nobili o direttamente sovrani, a seconda dei casi) dedicata alla produzione e al mantenimento della cultura, e ciò testimonia l’esistenza di un meccanismo statuale o pre-statuale in virtù del quale una classe era nutrita dal surplus alimentare prodotto da una differente classe di lavoratori manuali, perlopiù agricoltori. La necessaria presenza di tale meccanismo porta ad un’affermazione forse più vaga, ma più sicura: la civiltà nasce insieme con l’attività politica. Questo è interessante, in quanto la definizione di politica oggi più largamente accettata è la seguente: “l’insieme di attività, svolte da uno o più soggetti individuali o collettivi, caratterizzate da comando, potere e conflitto, ma anche da partecipazione, cooperazione e consenso, inerenti al funzionamento della collettività umana alla quale compete la responsabilità primaria del controllo della violenza e della divisione al suo di costi e benefici, materiali e non”. Lungo. Mi sento di tradurla così: politica è l’attività di chi si contende, detiene e utilizza il controllo della forza su di una collettività (all’origine della politica il fatto che essa oggi si componga di elementi consensuali e culturali conta poco).
Parlando del passaggio dalla preistoria alla storia, la civiltà appare essere così il risultato della schiavizzazione di massa da parte di alcuni esseri umani, detentori e cioè utilizzatori della violenza, su di altri. Civiltà come figlia di un atto di guerra con il quale da una società (naturale?) egualitaria di cacciatori e raccoglitori si passò a una società gerarchizzata avente come caratteristiche minime una classe lavoratrice più o meno soggiogata e una militare, mantenuta dal lavoro altrui.
La civiltà si delinea così, almeno ai suoi albori, come una situazione assolutamente svantaggiosa per la maggior parte degli esseri umani, ma la sua diffusione si spiega facilmente: una civiltà, cioè una società gerarchizzata, è militarmente più efficiente di una egualitaria, poiché in quest’ultima non esistono militari-nobili nutriti dal surplus alimentare dei produttori. Esiste un modo famoso e suggestivo per sintetizzare quanto scritto finora:

:Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire questo è mio e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardate dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti! [Rousseau, discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini]

La differenza fra la mia tesi e quella del caro Jean Jacques sta in questo: io non credo che il fondatore della civiltà fosse circondato di stupidi, credo che fosse armato. Vuoi per bisogno, paura o malvagità, un uomo volle per sé ciò che fino al giorno prima tutti potevano avere. Entrò così, primo fra tutti, in competizione con il prossimo, e vinse con la forza. Una forza bruta illimitata, quindi un atto di guerra. O, più pobabilmente, furono in molti ad armarsi: si fecero militari e divennero nobili. La sostanza è la stessa: all’origine, civiltà, politica e guerra sono un tutt’uno: si ebbe civiltà con un atto di guerra che fu anche il primo atto politico.
Nonostante la guerra sia spesso descritta come frutto di barbarie, essa si origina sempre nel cuore stesso della civiltà contemporanea, nell’economia e nel suo rapporto con la politica.

La parentesi sportiva merita di essere ampliata. E’ vero che lo sport oltre che di sfida e violenza (sublimata e regolata) si compone di elementi quali il rispetto repricoco, la lealtà, una sorta di cameratismo e fraternità che si sviluppa con i compagni di allenamento e perfino (soprattutto) con gli avversari. Questo non cambia la sua natura: stando ai giochi olimpici, lo sport nasce come attività esclusiva dei nobili volta a dar prova delle loro virtù militari all’infuori di un vero e proprio scontro bellico. I primi sportivi sono guerrieri nati che giocano alla guerra. La sportività, che si compone degli elementi positivi sopra elencati, non è altro che l’evoluzione del codice nobiliare che i guerrieri antichi e medievali osservavano perfino sul vero campo di battaglia. Come negare la sportività del duello fra Ettore e Aiace? L’ovvia differenza è che in guerra la forza non è limitata da regolamenti o armi spuntate. E’ un discrimine fondamentale, ma è l’unico.

*Ho scoperto da poco un fatto interessante: la maggior parte degli idoli di pietra che si possono osservare oggi sull’isola sono frutto di restauri: i re in lotta fra loro, vinta la battaglia decisiva, ordinavano la distruzione della statua raffigurante il rivale sconfitto, per affermare la propria supremazia. Prima che la roccia vulcanica presente sull’isola si esaurisse, si esaurirono gli alberi che fornivano il legname per le cave. Quindi gli idoli non poterono più essere costruiti, e i sovrani, non potendo altrimenti soddisfare la propria sete di prestigio e la loro vanità, presero a distruggere gli idoli altrui. Forse il peggior fallimento delle società gerarchizzate nella storia (il peggior fallimento della storia punto, quindi): i soldati prima schiavizzarono i popolani, poi si fecero nobili e sacerdoti vantando contatti con le divinità, grazie ai quali potevano garantire la prosperità del raccolto. Poi usarono il loro potere per costruirsi delle statue, distruggendo la vegetazione dell’isola e il suo ecosistema, infrangendo quindi la promessa del raccolto. Fatto ciò, pensarono bene di completare l’opera trascinando i diversi Stati dell’isola in una guerra totale.

Carl von Clausewitz

postato il 1 Mag 2011 in Main thread
da Vobby

Posto in cazzi e mazzi personali perchè sono in ritardo.

A prima vista questo piccolo borghese prussiano, a parte vivere in un’epoca piuttosto turbolenta partecipando ad un paio di guerre importanti, non ha fatto granché.

Nasce nel 1780, figlio di uno dei pochissimi ufficiali prussiani non nobili. A dodici anni segue già le orme del padre, ed entra nell’esercito. Come era normale per il figlio di un ufficiale (ma in generale, era abbastanza normale per chiunque non fosse un servo della gleba arruolato a forza), a 14 anni diventa ufficiale a sua volta, per il momento di basso rango.
La sua carriera compie un vero balzo in avanti nel 1806, quando il giovanotto conosce il generale Scharnorst il quale, colpito dalla sua intelligenza, si fa suo protettore e lo introduce a corte.
Peccato che quello stesso anno lui abbia partecipato alla fallimentare battaglia di Jena, contro l’esercito napoleonico; viene catturato e fatto prigioniero, per essere liberato solo dopo la pace di Tilsit del 1807.
Lui, Scharnorst e altri della sua cerchia sono accomunati da un fervente patriottismo, sentimento piuttosto raro nella prussia che si era felicemente lasciata stringere dalle catene francesi. Oltre che un generale, Scharnorst é un politico, e in questo periodo riveste importanti cariche dell’amministrazione militare (dopo pochi anni sarebbe diventato ministro della guerra, cioè capo di un ministero da lui ideato e creato); il suo principale obiettivo politico è quello di riformare l’esercito, introducendo il servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini di ogni classe, introducendo criteri meritocratici per la scelta degli ufficiali (fino ad ora i nobili prussiani erano ufficiali per diritto di nascita e amicizia del re) e, coerentemente con ciò, si adopera per istituire scuole militari che potessero formare un corpo ufficiali formato da professionisti, che avessero una formazione di tipo scientifico sulle questioni militari, concetto completamente nuovo in Europa, almeno dalla scomparsa dell’esercito romano in poi. Compito di questo esercito sarebbe stato quello di ricucire i rapporti fra forze armate e società civile, e in questo modo battere Napoleone. Ovviamente fu ostacolato dall’inerzia e dal carattere timoroso del re ( il ridicolissimo Federico Guglielmo III), e dagli aristocratici, vittime di una concezione medievale della guerra, che non avevano nessuna intenzione di rinunciare alle loro prerogative in campo militare. In breve, riuscì nel suo intento e Napoleone venne sconfitto.
Anche Clausewitz ebbe il suo ruolo nella vittoria sull’imperatore francese: si arruolò nell’esercito russo nel 1812, esprimendo la sua opposizione alla linea filofrancese che la Prussia seguiva dal 1807, e partecipò ai negoziati fra le potenze conservatrici che spinsero il suo paese ad abbandonare la coalizione napoleonica. Tornato nell’esercito prussiano, partecipa alla grande battaglia di Lipsia del 1813 e a tutta la relativa campagna ed ebbe l’onore di combattere anche la definitiva battaglia di Waterloo del 1815.
Fu promosso generale nel 1818, e divenne poi direttore dell’accademia militare di Berlino.
Muore nel 1831 in Polonia, dove era arruolato come capo di stato maggiore, ucciso dall’epidemia di colera che fu fatale anche per Hegel.
Un ultimo onore, quello di morire insieme a una delle più celebri menti della Prussia e della storia.
Fine? No, ora viene la parte interessante!
Se non lo conoscevate prima di questo post, vi starete chiedendo perchè io ne stia parlando. C’è tanta gente più fica e importante, specialmente fra i condottieri militari.
Acnhe se non lo conoscete, avete probabilmente letto o sentito frasi come :”La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, “la guerra ha una sua grammatica, non una sua logica” o “La guerra è l’impiego illimitato della forza bruta”.
Queste frasi così fiche non sono state semplicemente pronunciate in momenti di particolare ispirazione, bensì furono scritte nel libro, pubblicato ancora incompleto dalla moglie negli anni ’30, che prende il nome di “vom Kriege”, della guerra. Questo saggio è probabilmente il più importante mai scritto nel campo militare, oltre ad essere praticamente unico nel suo genere, almeno nell’europa del tempo.
Tutti gli stati europei hanno contribuito a modo loro all’arricchimento della cultura occidentale, e alla Prussia va il merito di aver inventato l’esercito professionale. Tale innovazione, che assorbe in sé lo studio scientifico della guerre e la subordinazione di questa alla politica, è di una portata simile, per quanto riguarda l’ambito della scienza militare, a quella del Principe di Machiavelli per quanto riguarda la scienza politica: la fonda. Clausewitz stesso è un ammiratore di Machiavelli, e un suo attento lettore. Ma più che dal Principe, la sua convinzione della necessità di costituire un esercito autenticamente nazionale, formato da cittadini e non da mercenari è mediata dall’esperienza delle guerre napoleoniche.
Più che il contenuto del libro, è bene descrivere il suo significato, il suo messaggio alla storia: la guerra non è un’arta, è una scienza. Gli aristocratici, prima e dopo la rivoluzione, continueranno a concepire la guerra come un’attività dello spirito, come frutto di abilità innate di una certa classe, selezionata dalla storia per dominare sulle altre. A concepire l’attività militare come appannaggio della nobiltà. Concezione feudale. Clausewitz trasporta la guerra sotto il governo della ragione, sostituisce l’ideale del guerriero coraggioso con quello dell’ufficiale disciplinato, il cavaliere con lo stratega, l’arte con la cultura.
Rende la guerra una scienza positiva.
Tutto questo meriterebbe una trattazione molto più approfondita, cosa che infatti sto facendo nella tesina, che sfortunatamente non è ancora conclusa… per cui saluti a tutti, e scusate il ritardo.

Capitolo III: Non fare troppe domande se sai che non ti piaceranno le risposte

postato il 22 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da VaMina

Andrea udì a stento le  parole pronunciate dalla vecchia: il dolore si era fatto insostenibile, e lo costrinse in ginocchio. L’ultima cosa che sentì prima di svenire fu una risata disumana, sdentata, e poi fu nel mondo dell’incoscienza. Smetteremo quindi per un attimo di occuparci di lui e osserveremo la scena circostante. I marinai reclutati da poco, abbastanza scossi, fissavano il buco al centro del ponte, che di nuovo vorticò, e videro sostituirsi alle navi altre immagini, altri cieli, altre persone, finché non si dovettero allontanare, spinti dall’impulso a vomitare. I lupi di mare, fedeli alla vecchia, evidentemente abituati a uno spettacolo simile, si erano voltati a guardare il cielo, che anziché rossastro come in precedenza era pallido, e sgombro, come invece non si poteva dire fosse prima. Rassicurati da questa visione, berciando e intonando canzoni piratesche, tornarono alle loro precedenti occupazioni. La vecchia, dopo aver cessato la sua sguaiata risata, aveva ordinato a Maria di trascinare senza troppi complimenti Andrea nella sala grande della nave, ed era tornata al timone. Maria aveva punto eseguito gli ordini, e aveva gettato Andrea su una branda che si trovava nell’enorme sala rivestita di legno. Ed è qui che ritroviamo il nostro eroe, poco tempo dopo. Lo svegliò un odore penetrante, che la sua vista appannata associò a dei sali alla lavanda, racchiusi in un sacchetto cencioso. Questa fu la prima cosa che vide, e non ci stupisce, perchè il sacchetto era proprio davanti alla sua faccia. Aldilà dei sali vide l’energumeno Maria, intento ad allacciargli una cintura dalla quale penzolavano coltelli, pistole e diverse armi che sembravano difficili da maneggiare. Oltre il suo corpo spesso, vide la giovane accompagnatrice della vecchia mentre cercava qualcosa in un baule dall’aspetto in tutto e per tutto simile ai forzieri dei film pirateschi per bambini. Avendo sentito la voce di Andrea biascicare qualcosa del tipo

«Cosa succede buco perchè armi non mi toccare»

Lei si girò, e avvicinandosi alla branda sorrise in modo incerto, porgendo una bottiglia lunga e stretta al nostro malcapitato, il quale, giustamente spaventato da bevande e cibo, afflitto da un gran mal di testa e con gli arti diventati più pesanti di parecchio, riuscì a mormorare:

«Cos’è? Non voglio altre schifezze pellicano vomitare riso dolore»

La ragazza rise.

«E’ solo rum» disse «Ti farà solo stare bene, e non ti farà parlare più così»

La sua voce, forse perchè quasi da bambina, forse perchè inedita, forse perchè l’unica amichevole sentita finora, fece svegliare definitivamente Andrea, e lo mise in condizione di reagire. Prese la bottiglia e ci si attaccò voracemente, fino a quando Maria non gliela strappò di mano. Il nostro si lamentò, ma ricevette dall’omone un secco

«Ora basta, tra poco dovrai combattere, abbiamo solo guadagnato tempo»

e alla donna disse

«Anja, spiegaglielo tu, io vado di sopra»

Quindi si allontanò, facendo tremare e scricchiolare le assi di legno della stanza e poi delle scale.

Andrea era sempre più confuso, i suoi arti erano sempre più gravosi, ma la curiosità per la sua interlocutrice lo mise sull’attenti.

«Ti chiami Anja? Che vuol dire che abbiamo guadagnato tempo? Cosa diavolo era quel coso?»

Lei lo guardò con una strana espressione, prese una sedia, la trascinò attraverso la stanza e si sedette al suo fianco, poi, dopo un lungo sospiro, parlò.

«Sì» annuì «mi chiamo Anja. Abbiamo guadagnato tempo perchè abbiamo fatto un piccolo salto temporale. Solo di poche ore. Ma se ne accorgeranno, e verranno altre navi, dovremo affrontarle, per questo sei armato. Per “coso” credo che tu intenda il vortice. Non posso dirti molto, ma contiene i momenti futuri e passati, e il nostro mondo e gli altri mondi, compreso il tuo»

«Questo vuol dire che mi trovo in un altro stupido mondo?» gridò Andrea «che voi eravate strani l’avevo capito, ma che diavolo è? E che vuol dire che ci sono i momenti lì dentro? Potete saltare da un momento all’altro come vi pare e piace?»

«Per prima cosa calmati, altrimenti non ti dirò più nulla. No, non lo possiamo fare. Lo può fare solo Zeugma, la mia padrona, e solo al crepuscolo. E’ il momento in cui puoi scatenare tali poteri, e sì, certo che siamo in un altro mondo, ti aspettavi che il Granchio Volante potesse sorvolare casa tua senza che nessuno se ne accorgesse? Certo che sei scemo»

In quel momento un fragore sconquassò il sopracitato Granchio Volante (questo il nome del nostro vascello).

«Ci hanno trovati» disse Anja «sei pronto a combattere?»

«Aspetta, cosa c’era nel cibo? Devi dirmelo»

«Un siero di verità, ma agirà tra un bel po’»

«Ma io non so nulla, l’ho già detto!»

«Lo ricorderai, ora andiamo!»

Lo afferrò con una forza che lo sorprese, dato il suo aspetto esile, e cominciò a portarlo sulla scala. Quando furono fuori, videro ciò che stava accadendo.

Erano di nuovo circondati da navi dai palloni argentati, dalle quali però adesso spuntavano le bocche di innumerevoli cannoni. Era iniziato l’attacco. E sulla nostra nave, imperversavano gli ordini della vecchia  Zeugma. Il Granchio Volante fu all’improvviso irto di sottili cannoni, sconvolto da persone armate o che trasportavano barili di polvere da sparo e di rum o che portavano sottili ponti uncinati, fitti di chiodi. Andrea non ebbe neanche il tempo di rendersi conto della situazione, che la battaglia era già in pieno svolgimento, e lui  era stato  coinvolto in quel caos. Alcuni dei colpi di cannone avevano provocato delle falle nella nave, e un colpo particolarmente fortunato aveva danneggiato uno dei palloni pieni di gas che la sorreggevano. L’intraprendente Granchio, da parte sua, si difendeva più che bene, considerando  che era uno contro parecchie navi. Infatti i suoi cannoni non erano rimasti per nulla inattivi, e Zeugma con un abile colpo di timone era riuscita ad avvicinarsi ad uno dei velieri, permettendo all’equipaggio di gettare uno dei ponti chiodati sulle tavole di legno della prua della nemica, trasformando una battaglia aereo-navale in una parziale battaglia di terra. Qui i marinai nerboruti della vecchia stavano avendo la meglio, essendo avvantaggiati nella sfida corpo a corpo. Ma abbiamo parlato della prua di un solo veliero, e gli altri accerchiavano minacciosi la nave già provata. Da questa vennero gettati ancora altri ponti, alcuni ebbero successo, altri caddero nel vuoto, con conseguenze, possiamo immaginare, disastrose per il mondo sottostante, ma di cui non ci occuperemo. Andrea si era trovato ad attraversare uno dei ponti urlando e agitando le armi come i compagni, decisamente eccitato dalla prospettiva della battaglia, che tanto gli ricordava quelle partorite dalla sua mente, e si gettava sui nemici, stupito delle sue stesse azioni.

Tuttavia, nonostante le parziali vittorie, lo scompenso era troppo grande, e nel complesso i nostri eroi stavano avendo la peggio. Il  Granchio Volante cercava di battere in ritirata quando arrivarono. Il cielo ancora si oscurò e da un coagulo di nubi temporalesche uscirono sfrecciando alcune navi sulle quali svettava la bandiera dei pirati, e anche fornite di pirati in piena regola, anche questi urlanti e agitanti coltelli e pistole.

Le navi pirata accerchiarono quelle dello stato, che dovettero affrontare una situazione completamente ribaltata. I ponti furono ritirati e crebbe il fuoco. Dopo alcuni tentativi di rispondere ai colpi, quando le loro golette cominciarono a subire troppe perdite, gli uomini di legge furono costretti a fuggire.

A questo  punto i vincitori, bevendo, cantando e sbraitando, fecero rotta verso il porto più vicino, dove quella settimana si teneva il Mercato di Sopra.

Sulle navi ci fu ancora del movimento per attraccare le navi ai moli, funi gettate, passerelle calate, e poi in poco tempo furono tutti sulla terraferma.

Andrea camminava spaesato in mezzo alla ciurma, e ogni tanto era interrotto nei suoi pensieri da sonore e dolorose pacche sulle spalle che gli venivano appioppate dai marinai , come complimento per il virile coraggio dimostrato durante la battaglia, e che lui accettava passivamente ma di buon grado, sentendosi accettato. Il mercato era enorme e lo spiazzava,  con gli occhi cercava Anja, l’unica che forse potesse chiarirgli la natura di questo strano luogo. Vedeva lunghi banchi dove gente di ogni forma e  colore vendeva e comprava, strillando e contrattando, ogni tipo di merce, uccelli vivi, lunghe spade, carne essiccata di qualsiasi tipo, enormi assi di legno, bombole di gas, libri grandi come sedie, nocciole e pinoli e altri generi di conforto, strane torce che galleggiavano nell’aria. Mentre vagava con la testa che si muoveva, pensava, in modo indipendente, da destra a sinistra e dall’alto verso il basso e viceversa, guardando ad occhi spalancati, sbattè contro un ostacolo. Un ostacolo parlante.

«Cosa stai facendo, sciocco?» gridò Zeugma «non stare da solo, che poi ti perdi e ti dobbiamo cercare e ci dai solo altre rogne!»

«Ma dove siamo? Che ci facciamo qui?» chiese il ragazzo, confuso, ma quasi contento di vedere una faccia conosciuta, fosse pur quella, in mezzo a tale bolgia.

«Questo è il Mercato di Sopra, il mercato sospeso. Dobbiamo sostituire le parti danneggiate della nave, e io devo comprare un paio di cosette» rispose la vecchia, con un sorriso inquietante. Ma Andrea era ancora sconcertato.

«A proposito della battaglia, contro chi abbiamo combattuto? E chi erano quegli altri?»

«Ci siamo scontrati con gli uomini dell’ammiraglio» rise «una vecchia questione per la colonizzazione dei cieli. I nostri erano contrabbandieri. E ora vai, fermati da qualche parte, trova qualcuno, io ho da fare. Non comprare niente». Se ne andò correndo e spingendo, lasciando Andrea sballottato dalle mille persone che erano al mercato, travolto da mille pensieri.

Eccone alcuni: lui non aveva soldi per comprare niente, non vedeva più nessuno di conosciuto, sapeva di aver mangiato una cosa che avrebbe dovuto fargli confessare una verità di cui non aveva idea, aveva appena lottato rischiando la vita, e tutto quello che potevano dirgli è che erano gli “uomini dell’ammiraglio”. L’esaltazione era ormai lontana, e restava solo il suo malumore. Continuò a trascinarsi tra la gente cercando un gradino, un qualcosa per sedersi. Non trovò nulla di simile, sempre che non sia simile a qualcosa dove sedersi un angolo sporco, che aveva come unica caratteristica quella di non essere calpestato da nessuno. Ma ormai era diventato poco schizzinoso, e si buttò a terra senza pensarci troppo. Dopo quelle che gli sembrarono ore qualcuno si chinò su di lui. Era un uomo sporco, con un mantello di un colore incerto tra il marrone, il nero e il rosso sangue, dal volto olivastro e gli occhi scintillanti.

«Io lo so cosa vuoi sapere. Tu vuoi sapere la Verità» sibilò, e il suo alito sapeva di stantio.

«Io te la posso dire» continuò alzando un poco la voce, che tuttavia era ancora un mormorio «io ti rivelerò il Verbo». Si chinò ancora di più, avvicinandosi al suo orecchio…

«Vattene, schifoso, lascialo stare» comandò la voce infantile di Anja, che mal si sposava con una parola come “schifoso”. L’uomo sporco fu spinto via dalle mani di Maria, mani così grandi da non sembrare appartenenti ad un essere umano.

«Aveva ragione Zeugma, non ti sai gestire da solo» disse la ragazza, e lo aiutò ad alzarsi.

«Ora dobbiamo andare, tra poco il siero farà effetto, e dovrai essere sulla nave»

«Senti…» le disse Andrea a mezza voce, per non farsi sentire da Maria. Ma lei lo bloccò.

«Maria, lasciaci un attimo soli» Quello obbedì, scostandosi di un poco, ma non abbastanza da non riuscire a vederli.

«So quello che vuoi chiedermi. Per prima cosa, quello era solo un pazzo, non ti avrebbe detto quello che ti interessa. Poi, Zeugma rivuole solo la sua giovinezza. Da molto tempo. E la sua collana, quella con la fiala. Non è cattiva. Non proprio almeno»

Girò la testa dallo sguardo implorante che le veniva rivolto, e chiamò: «Maria, portaci a bordo»

Quello annuì, e li abbracciò, se così si può dire, per tenerli lontani dalla folla. Andrea quasi lacrimava per il fetore delle sue ascelle, ma il gigante non li mollò, e in questa bizzara posizione raggiunsero la nave. Giunti a poppa Maria lasciò Anja, ma non l’altro passeggero, che scortò personalmente fino alla ormai familiare sala del lampadario. Qui lo aspettava la vecchia, che teneva in mano una lanterna ricurva e sinuosa.

«Il siero avrà fatto effetto» ridacchiò Zeugma, e indicò a Maria una sedia, su cui lui spinse l’inconsapevole. L’anziana donna poi chiuse la porta a chiave, e ritornata presso il tavolo, puntò la luce verso Andrea.

«Ora ci dirai tutto, bastardo»

*  *  *

Ora, un paio di parole. Vi accorgerete del fatto che ho messo un bel po’ di cose in mezzo, e ho paura di non essere stata chiara ed esplicativa (i miei professori al liceo mi abbassavano sempre i voti dicendo che ero schematica, io sono sicura sia un difetto e  ho provato a risolvere la cosa un paio di volte, poi ho lasciato in pace le cose che scrivevo). Se il prossimo a continuare ha dei dubbi, può dirmelo, e io glieli chiarirò di buon grado. Spero anche che qualcuno VOGLIA continuarlo, nonostante io l’abbia messo in una difficile situazione! Ah, Azazello all’inizio ha scritto di non voler scadere in un ricettacolo di assurdo. Temo un po’ di averlo fatto io, ma indietro non si torna!

Azazello, se vuoi cambiare i trattini per la continuità letteraria puoi farlo, ovviamente non puoi cambiare altro :D

Penso di aver detto tutto.

Adesso, ciò che vi serve:

Argomenti:

Il tempo

Il passato

I mondi

Per veri arditi – parole e digressioni

Fiore

Bottiglia

Scarpa

Tortura

Rissa

Per gli eroi definitivi (anche io lo sconsiglio, se deve inficiare la validità del racconto):

Scrivere tutto in prosa assonanzata (so che non è una tecnica molto approfondita, scusate)

Scrivere tutto in ottonari

 

Fatal error: Class 'AV\Telemetry\Error_Handler' not found in /membri/.dummy/apps/wordpress/wp-content/plugins/altervista/early.php on line 188