Segni di pace

postato il 8 Gen 2013 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

In natura come in civiltà, la velocità è strumeto di offesa e difesa.
L’evoluzione ha prodotto predatori sempre più specializzati nell’eseguire rapidissimi scatti e agguati, o capaci di estenuanti inseguimenti, tali di sfiancare la più caparbia delle prede. Allo stesso modo queste ultime, le vittime designate di leoni e lupi d’ogni genere, hanno preso a correre sempre più in fretta per conquistarsi il loro diritto all’esistenza.
La proverbiale prova di forza cui le specie sono continuamente sottoposte assume sempre più spesso, nel corso delle ere, le sembianze di una fatale gara di velocità.
Specularmente, gli stati e gli imperi militari si fronteggiano misurando le loro possibilità d’offesa in termini di rapidità d’attacco e contrattacco.
Dalla rapidità di manovra che decretava le vittorie dei legionari si è passati alla travolgente carica di cavalleria, all’inarrestabile volo del proiettile, alla Blitzkrieg, alla first strike capability, ai caccia supersonici.
Che tu sia predatore o preda, invasore o invaso, dalla rapidità dei tuoi colpi e dalla reattività delle tue difese dipenderà la tua sopravvivenza.
Esiste tuttavia una creatura che osa sfidare l’ineluttabile destino della velocità. Non le chiocciola, animale ancestrale e inevoluto, residuo di epoca in cui il falco e il ghepardo erano ancora di là da venire.
Niente di tutto questo; esiste oggi un animale che ha scelto di sottrarsi alla tirannia della corsa, evolvendo il suo corpo e le sue abitudini in una direzione radicalmente ostinata e contraria.
Questo glorioso pigrone non ha certo guadagnato la sua vita fuggendo più velocemente di altre prede, no, tutt’altro, egli si è completamente sottratto alla tenzone stessa, allontanandosi il più possibile dal terreno di gara, difendendosi dai predatori semplicemente vivendo il più possibile lontano da essi, opponendo loro, se proprio necessario, una resistenza esclusivamente passiva.
Scegliere la pace significia scegliere la lentezza, e viceversa. Questo è il sentiero del bradipo.
Più del pacifismo nella società, che solo a fatica riesce ad andare oltre la testimonianza della possibilità di scelte diverse, e che pur sempre si misura in contese all’interno dell’agone politico, il bradipo, nella natura, esprime il successo della pratica della quiete, della serenità e della placidità.
In occasione del nuovo anno, scambiamoci bradipi di pace.

Philadelphia-L.A., sola andata.

postato il 9 Dic 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

 

 

 

Non ho mai avuto una vita “normale”. La mia vita è sempre stata dura, sporca, violenta e immorale. Ma almeno era la mia, e il diavolo sa se volevo che finisse a gambe all’aria, capovolta per sempre.

Sono cresciuto a West Philadelphia, nei sobborghi. Allora non ce ne fregava molto di studiare o lavorare per fuggire di lì, non avevamo idea dello schifo a cui andavamo incontro. Così passavo le mie giornate a bighellonare per strada, giocando con la palla. Qualche sera, se riuscivamo a non farci vedere, ci intrufolavamo nel cinema a vedere qualche pulp o qualche poliziesco. Dev’essere così che mi è venuta voglia di entrare in polizia… avessi saputo lo schifo che mi aspettava, avessi saputo che non sarebbe stato come nei film con Bogart, forse ci avrei pensato due volte.

Ma non si può dire che io non abbia fatto il mio sporco lavoro, diamine, questo no. Anzi, forse l’ho fatto anche troppo, a giudicare da com’è andata a finire la mia ultima indagine.

Inizia come tutte le notti, con un whisky e una paglia a casa, ascoltando la radio. Poi giù, via. Stavolta è al campetto da basket, quello fra la 15esima e Madison. Arrivo di soppiatto, e mi trovo davanti quello che aspettavo: la banda di Soapy ha un appuntamento importante, e io lo sapevo: le informazioni nelle bettole costano alcol e sangue, ma sono affidabili, e io so procurarmele.

E’ un incontro discreto: da lontano vedo solo Soapy, un paio di sgherri, e altri tre uomini che mi danno le spalle. So che si vedono qui perché è territorio neutrale per tutte le gang, ma non so chi siano gli altri. E continuo a non saperlo: avvicinandomi mi sono buttato dietro un cassonetto, e non vedo un beneamato. Però sento. Sento che si accordano per qualcosa di grosso: una partita di droga dal Medio-Oriente, pronta a inzozzare le strade per benevola interecessione di qualche testa di cazzo dell’esercito che ha ben pensando di arrotondare spacciando roba dall’Afghanistan. Vendendo questa roba quei segaioli di Soapy e dei suoi faranno un bel salto di qualità. Complimenti. Cerco di capire luogo ed ora, voglio essere lì ad aspettarli con qualche amico. Quello che invece non mi aspettavo, è una botta fortissima giusto dietro la nuca.

E’ quello che ricevo.

Forse sono stato un coglione a non immaginare che ci fosse qualcuno che controllava la zona, o forse no. Non ho il tempo di chiedermelo: ho giusto il tempo di vedere il bestione nero che mi ha offerto il primo giro, e poi me ne regala un altro dritto sul muso mentre chiama gli altri, e io smetto di vedere e capire. Sento solo l’asfalto ruvido e sozzo grattarmi la faccia, e rumore di pistole e coltelli sguainati. Urlano, mi vogliono fare secco. Cerco di rialzarmi, ma ricevo un calcio in pancia. Sputo sangue sul trench e sulle scarpe. Poi sento una voce, dice che ci devono andare piano, dice di darmi una lezione ma di non farmi tirare le cuoia, perché hanno bisogno di discrezione. Dev’essere l’altro stronzo, lo sconosciuto che ancora non riesco a vedere, e mi ha appena salvato la vita. Non mi salva dalla lezione: mi pestano di brutto per venti minuti, credo mi minaccino di mandarmi al Creatore, ma io ormai sono per metà da Belzebù, e neanche capisco quello che dicono. Alla fine qualcuno mi solleva sopra la testa, mi fa fare un paio di giri in aria e mi lancia contro il cassonetto. Urlano qualche altra cosa e se ne vanno, lasciandomi lì, ricoperto di sangue e sputi.

Non le ho mai prese così, mai.

“William, hai tirato troppo la corda”, mi dice il commissario qualche ora dopo “Alla prossima cazzata che fai, qualcuno ti ammazza. Vattene. Cambia città, ti possiamo trovare un posto. Ricomincia.” E se io fuggo con la coda fra le gambe, chi lo finisce il fottuto lavoro, qui? Forse lui o quei damerini culi lardosi della procura/qualche? Glielo dico, ma lui mi ignora. “Da cadavere non servirai per un cazzo. Non fare lo stronzo: c’è un distretto a Los Angeles, hanno bisogno di uomini. Aspettano solo te”. A quel punto, mi insospettisco, e iniziano a girarmi. So bene che chi fa onestamente il suo mestiere in polizia non va a genio molti politici con le mani immerse nel miele fino ai gemelli d’oro. Gli faccio: “Ma che premuroso. Non è che invece ho rotto le palle una volta di troppo a qualche alto papavero degli amici tuoi? Che mi dici, caro il mio commissario in carriera del cazzo?.”

Forse ho centrato il bersaglio. O forse gli ho dato del corrotto ingiustamente. Comunque sia, mi guarda male e mi dice di avere rispetto per chi vuole il mio bene, di levarmi dai coglioni prima che cambi idea e smetta di cercare di salvarmi la pelle, puttanate del genere. Dice che non ho scelta, che se non vado via mi sbatte a dirigere il traffico fin quando qualche sgherro non mi trova e non mi fa fuori sul posto. Francamente non lo ascolto. Probabilmente lui non c’entra niente, lo conosco da vent’anni e in fondo è un poliziotto onesto. Però sa, e ormai l’ho capito anche io, che questa volta ho pesato i piedi al figlio di puttana sbagliato, e rischio di compromettere, oltre al mio culo, anche il mio lavoro. Meglio non insistere.

Accendo la paglia, e capisco che è meglio sgommare.

Non lascio molto, qui a Philadelphia . Parenti non ne ho, e con gli amici di un tempo ho perso i contatti.  Con quelli che non si è portati via l’alcol, la droga, la mafia o il glorioso esercito degli Stati Uniti d’America, intendo. Al lavoro, non sono mai andato a genio a molti. Poco male,neanche loro andavano a genio a me. Un’ultima sbronza con i derelitti da  Franky’s, e sono pronto. Non saluto Charlene ,e probabilmente è meglio così anche per lei. In fondo, per me il lavoro era tutto, e se a Philadelphia per me non ce n’è più, tanto vale andare, e arrivederci a questa fogna senza troppi rimpianti. Non sono un sentimentale. Forse s’era capito.

Il problema è che io nella fogna ci sguazzavo a meraviglia. Sono nato lì, cresciuto lì, è lì che ho preso i primi pugni sul muso, ed è in quei vicoli che ho imparato a rispondere a ginocchiate nelle palle. Philadelphia, almeno la mia Philadelphia, è un posto di merda, chiariamo. Lurido, violento, insensibile. Ma non ha pretese di essere meglio di quanto non sia. Ed io sono fatto per lei, almeno quanto lei è fatta per me. Neanche io sono un tipino raccomandabile, ma non mi sono mai creduto diverso. Los Angeles, invece, è bugiarda. In mezzo ai lustrini, alle luci e alle feste, strisciano il crimine e la corruzione in tutte le loro forme. Con crimine e corruzione ci so fare, con i lustrini e le feste no. Odio gli ipocriti, e LA è probabilmente la città più ipocrita del mondo. Ci sono film di Hollywood molto più veri di Los Angeles.

Salgo in aereo e realizzo che, non so perché, ma mi hanno messo in prima classe. Facce belle, abbronzate e vuote; credo sia un’anteprima di quello che mi aspetta. Mi servono aranciata in bicchieri di cristallo, chiedo all’hostess se  posso avere un po’ di whisky in bicchiere di plastica, e le rido in faccia quando per un bicchiere mi chiede il prezzo di due bottiglie della riserva di Franky. Sarà orribile.

Uscito dall’aereoporto chiamo un taxi, e mi avvio sotto il dannatissimo sole della California verso la mia nuova vita, e guardando la città dal finestrino mi ricordo che L.A. e Hollywood non sono la stessa cosa. L.A. è anche ghetti di ispanici, gang di strada, droga nei parchi per bambini, miseria. Questo potrei gestirlo, è roba mia. Neanche il tempo di finire la paglia, e mi rendo conto che la cosa non mi riguarda: io non vado a Compton, non vado a Venice. Quando inizio a vedere i cancelli delle ville e i giardini vorrei dirgli di fermarsi, che questo non è il mio posto e sta sbagliando. Probabilmente mi prenderebbe per pazzo.  In fondo mi ricordo di averglielo detto proprio io entrando in auto:

“Portami a Bel-Air.”

E non conta quanto dello sciacquabudella infimo che ho nella fiaschetta dovrò mandare giù per sopportare l’idea. Gli dico l’indirizzo esatto, e lui mi ci porta. “Che sventola di commissariato”, penso mentre accendo l’ennesima paglia di una giornata che sta iniziando a sapere troppo di catrame persino per le mie abitudini. Il palazzo è pulito, sistemato, tranquillo; nessun via vai di teppisti in manette e volanti a sirene spiegate. Il mio commissariato puzzava di vecchio, di sigaro, di caffè. Questo odora di disinfettante. Bè, ormai che sono in pista, meglio ballare, e cercare di farci l’abitudine. Willy Smith, ispettore, distretto di Bel-Air. Suona strano.

 

Ualà

 

 

 

 

 

 

Che ruota di trasferta..

postato il 4 Dic 2012 in Cazzi e mazzi personali, Il rubricone musicone rotolone
da Bread

[In questi giorni riascoltando a caso i chillers e i uait lais ripensavo agli ultimi concerti che sono andato a vedere fuori e mi è venuta voglia di radunare due o tre persone a caso per prendere il primo treno per un concerto qualsiasi in un qualsiasi posto. Questo post sono una serie di banalità che mi sono venute in mente ma volevo scriverle lo stesso..]

 

Io sono sempre stato una di quelle persone che si lamentano del fatto che a Napoli non viene mai nessuno a suonare. Mai nessuno a parte gruppi italiani (che comunque scendono abbastanza raramente se non sono di Napoli) o vecchi mostri che vengono a farsi un giro a fine carriera quando ormai non ce la fanno più. Me ne lamento e penso: “ma che cazzo perché quei maledetti milanesi devono avere concerti sotto casa ogni settimana e io invece devo farmi un viaggio interminabile?!”

 

Poi però realizzo che a me quel viaggio interminabile piace, forse anche più del concerto stesso. Alzarsi presto per arrivare alla stazione con lo zaino pieno di bottiglie avvolte nel giornale, mangiare per due giorni i panini gusto colla del McDonalds perché costano poco e già il viaggio ed il concerto ti hanno svuotato le tasche; perdersi in macchina in mezzo a posti del cazzo, aspettare il pullman al freddo per tornare dal concerto che è stato spostato in un luogo improbabile all’ultimo momento, sono tutti aspetti che in realtà mi piacciono davvero. Poi ci sono anche le sorprese inaspettate, tipo scoprire che la camera d’albergo che hai pagato un prezzo tutto sommato basso in realtà è una suite, o che ci sono i cani all’ingresso del concerto proprio quando non hai portato una certa cosa; scoprire che la location del concerto è un castello fighissimo o uno stadio enorme, e che ci sono fuochi e luci che avresti difficilmente visto al Palapartenope. Senza contare il fatto che poi puoi atteggiarti dicendo “io sono andato a vedere i pinomauri fino a [inserire posto lontano]” e far rosicare un discreto numero di persone che invece non ci è andata.

 

Ciò detto, se ogni tanto qualcuno venisse a Napoli io potrei vedere il doppio dei concerti spendendo la metà e sarei contento; però se vivessi in un posto in cui posso vedere più o meno tutti i gruppi che ascolto perché prima o poi ci passano mi perderei il gusto della trasferta. Quindi tutto sommato il maledetto milanese medio che va a sentire mezzo mondo sotto casa sua non lo odio così tanto, perché io vado a vedere più posti alla facciaccia sua!

Chi siete? Cosa fate? Sì, ma quanti siete? UN FIORINO!

postato il 3 Dic 2012 in Main thread
da Spasko

L’era del digitale! L’era dei computer domestici anche per cucinarsi la colazione! L’era della pirateria! L’era dello streaming! Dove sto arrivando? Ai telefilm! Questo virus dagli effetti letali che si sta espandendo a macchia d’olio in tutto il mondo. Si sentono sempre più spesso frasi come “oh ma hai visto nell’ultima puntata quello che.. blabla.. CHEFFIGATA!”, oppure “mamma mia come è finita di merda questa serie…”, oppure ancora “ma hai visto che gnocca che è la tizia che sta con il cugino di secondo grado della zia del co-protagonista”.

Posso affermare a giusta ragione di non conoscere nessuno che non stia seguendo ALMENO un telefilm. Io per primo ne seguo 3 o 4, ed inoltre non esito a rivedermi le puntate di quelle serie che mi hanno riempito intere giornate di nullafacenza (o che mi hanno tolto preziose ore da dover invece passare chino sui libri).

Indubbiamente tra i lettori, ed ancora di più tra gli autori in questo blog, sono sicuro di trovare terreno fertilissimo affinché una tematica del genere possa suscitare interesse.

L’argomento che vorrei proporre non so se è definibile in una maniera sintetica, poiché si traduce in una, anzi… due domande: alla luce dei telefilm che sono passati con i loro fotogrammi davanti ad i vostri occhi strafatti, in quale personaggio vi potreste riconoscere? Ed inoltre, in quale telefilm vi piacerebbe vivere?

Esposto così può sembrare il classico tema di scuola elementare, e di sicuro verrò ricoperto di insulti per questa scelta (o anche per la mia esistenza, a seconda), ma magari può essere un buono spunto affinché tutti possano dire la loro…

Non so se ti ricordi…

postato il 26 Nov 2012 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

[Ricordare è una responsabilità. Ricordare qualsiasi cosa: la Storia e le storie sono il manuale di istruzioni per la società del futuro. Ciascuno contribuisce all’intreccio di vite che dà forma al mondo in maniera unica ed equivalente: come già ho detto un atto di cortesia buttato lì o un gesto d’affetto possono cambiare la giornata di qualcuno e questo può avere le ripercussioni più bizzarre. Ricordare è importante, quindi, anche se si tratta solo di ricordare un sorriso.]

 

 

Siamo qui riuniti per ricordare la nostra…

Ho ricordi frammentati di Tiziana. Non si può dire che occupi un posto quotidiano nella mia memoria, anzi, ho passato gli ultimi anni completamente dimentico della sua esistenza, eccezion fatta per quando, un paio di settimane fa, mi sono domandato che fine avesse fatto. Fotografie in cui tutto è più grande, più lontano, più difficile, scattate dalla retina di un bambino di neanche dodici anni.

…addormentata nella luce del Signore…

Ricordi frammentati. Un viso nascosto dagli occhiali da sole più larghi che avessi mai visto. Una chioma scura illuminata dalla luce di un primissimo pomeriggio estivo. La fretta durante un’attesa interminabile di fronte al portone di casa di un mio amico. La conversazione di una mattina di luglio sotto la mia scrivania, una tavola di legno con tutte le ammaccature possibili. I commenti (non proprio lusinghieri) dei miei amici sul suo fondoschiena.

…il Signore sia con voi…

Il dubbio che non fosse scortese stare tutto il tempo a parlare coi miei amici sulla via di casa. Il conforto nel sentirmi dire che sarei stato perdonato dall’amico che avevo trattato male. Una strana, ma più probabilmente normalissima, conversazione sulla musica di cui non ricordo l’inizio, la fine, né l’argomento. La notizia dell’acquisto di una macchina, quella di mia nonna. Una telefonata di auguri.

…benedetto sei tu, Signore…

Ricordi frammentati. Che c’entrano con tutte queste persone? Che diritto ho di stare qui? Non so nemmeno quanti anni ha adesso. Aveva. Qualche giorno fa. Non so nemmeno se era sposata, fidanzata… non so nemmeno che tipo fosse. Che ci faccio qui? Sono all’altezza del dolore di tutte queste persone? Delle loro lacrime? Il mio dolore è all’altezza? Il mio stupore. Diciamo la mia incredulità. I miei ricordi sono all’altezza?

…versato per voi e per voi tutti….

La mia indignazione lo è. Era giovane, nessuno merita di morire così presto. Nessuno merita di morire di cancro. Nessuno.

…come noi li rimettiamo ai nostri debitori…

Disagio. Colpa. Non è abbastanza. Sono fuori posto qui, sono un intruso. Devo andarmene.

…andate in pace.

Rendiamo grazie a Dio.

 

Folla. Movimenti. Sospiri. Principi di un vociare sussurrato.

Un anziano signore, traballante, con un discorso.

 

…quando ci preparavamo per un’udienza…

Ho imparato più su Tiziana in questi cinque minuti che da tutto ciò di cui ho memoria. L’immagine di lei al lavoro in uno studio che non ho mai visto e che immagino cosparso di mobili antichi in legno scuro, una stanza non troppo piccola, piena di libri. Tarda sera, una ragazza con gli occhiali scuri e la chioma bruna illuminata dal sole pomeridiano (paradossale) appoggiata su un braccio alla scrivania disordinata, tra carte e volumi, intenta a leggere e parlottare con un signore anziano seduto di fronte, su una grossa sedia nera di pelle imbottita. Conversazioni amene con colleghi dall’aspetto definito, ma del tutto casuale. Un gesto di affetto. Una risata.

…una creatura dalla semplicità straordinaria…

Questo me lo ricordo. Una persona semplice. Dolce. Mi piaceva, Tiziana. Ci sapeva fare coi bambini, ci sapeva fare con me. Questo me lo ricordo. Un frammento. Ho imparato qualcosa dalle parole di quest’uomo.

…dovete essere fieri…

Ho ricordi frammentati di Tiziana. Io. Voi non la conoscete con i miei occhi di bambino, ma è un bel ricordo, ne vale la pena. Un’attesa interminabile, una conversazione estiva, il sole, gli occhiali, i jeans, una figura rassicurante mentre parlate coi gli amici, una telefonata di auguri. Ci sapeva fare con me. Ci sapeva fare con voi.

…non mi applaudite. Solo un momento per ricordare intensamente Tiziana.

Sì. Solo un momento. Solo un frammento. Gli occhiali da sole. Sotto, un sorriso.

Lo scioperato o la riappropriazione del capitale finanziario

postato il 21 Nov 2012 in Main thread
da Vobby

Guidati dal valoroso ******, detto il Rosso, famoso rivoluzionario di professione, il folto gruppo di Minatori si appropinquava alla casa di *****, noto Scioperato.
Era costui un individuo davvero particolare, che aveva scelto di vivere ai piedi di una collina, ai margini della civiltà, a causa di alcuni problemi di socializzazione: non si spiegava affatto perché la gente si ostinasse a lavorare qualcosa che non fosse la terra. Ai suoi occhi, in effetti, niente di diverso dal cibo, dal sonno o da altri bisogni basilari era degno di nota.
Il Rosso era amico di vecchia data della famiglia dello Scioperato, che si era distinta per alcune eroiche imprese compiute nei tempi andati, come quando diversi suoi membri di erano impegnati per scacciare dall’estremo occidente le multinazionali del carbone o in occasione della temibile invasione degli Sciacalli, avvenuta in seguito all’esondazione del fiume orientale, cui opposero strenua resistenza.
Le intenzioni del Rosso furono subito chiare: il suo proposito era di reclutare lo Scioperato in un’azione rivoluzionaria di cruciale importanza, destinata a cambiare le sorti della regione. Si trattava di una missione che sarebbe stata svolta da soli avanguardisti scelti, ovvero il gruppo dirigente del sindacato dei Minatori, il Rosso (la cui presenza era però richiesta anche su altri fronti di lotta) e lo Scioperato stesso.
Quest’ultimo, in principio, era piuttosto scettico: non aveva mai avuto remore nel vantarsi dell’eroismo dei suoi antenati, ma non ne aveva mai dato prova egli stesso. Il Rosso, tuttavia, insisteva nel volerlo includere, mosso da un’inspiegabile fiducia in lui.
Il richiamo dell’avventura prevalse. D’altro lato, essa si prospettava straordinaria, ed era impossibile non aderire alla giusta causa dei sindacalisti: il loro nemico, una potentissima banca d’affari proveniente dalle capitalistiche lande del Nord, si era impossessato dell’impresa pubblica M.O.M., Miniera d’Oro della Montagna, la cui gestione era precedentemente organizzata secondo i progressisti criteri della Mitbestimmung. I manager della Banca, corrompendo il burocrati locali e finanziando alcuni sindacati gialli, avevano dapprima diffuso perizie false sull’esaurimento dei filoni e, successivamente, sulla base di esse avevano convinto il governo a intraprendere la strada della privatizzazione, di cui si era ovviamente avvantaggiata, distribuendone la proprietà ai suoi soci. Appropriatasi della Miniera con l’inganno, la Banca aveva poi finanziato l’acquisto di nuovi, distruttivi impianti e macchinari altamente inquinanti, che avevano letteralmente divelto la Montagna permettendo comunque all’azienda di licenziare tre quarti dei dipendenti, incrementando ulteriormente i profitti. Infine, la Banca aveva speculato sull’attivo della miniera, vendendo derivati e cartolarizzando eventuali esternalità negative, piuttosto che reinvestire i profitti che in attività che avrebbero permesso ai Minatori licenziati di tornare a lavorare. I vari manager ormai si erano disinteressati della miniera, passando gran parte del loro tempo a contare le pile di denaro che continuavano ad accumularsi nei loro forzieri, che avevano imparato a conoscere a menadito, godendone avidamente.
Insomma, un gran brutto affare multimiliardario.
La faccenda forniva però un’inaspettata occasione ai nostri sindacalisti rivoluzionari: se fossero riusciti a violare il caveau della Banca, situato nella profondità della Montagna stessa, i cui cuniculi essi conoscevano come le loro tasche, avrebbero potuto impossessarsi di una ricchezza straordinaria, destinata a finanziare per decenni la lotta di classe nel paese.
Le difficoltà che i nostri eroi dovettero affrontare non possono essere raccontate in dettaglio, ma meritano almeno una rapida carrellata.
Durante il viaggio di andata verso la Montagna, essi si trovarono a dover combattere le temibili orde dei Crumiri (che certe saghe successive chiameranno “Crumiretti”), i quali continuavano a lavorare nelle montagne nonostante lo sciopero generale indetto dai sindacalisti rivoluzionari, ricevendo così piccoli favori dai padroni.
Grandi difficoltà ideologiche furono date loro dall’incontro con extracomunitari di colore, che pure continuavano a servire i padroni pur di ottenere un salario da fame, per nutrire le loro povere famiglie. I sindacalisti opposero loro una rocciosa resistenza.
Grandi problemi furono dati loro dagli Hippie, ecologisti profondi che vivevano nei fitti boschi nei pressi della Montagna, i quali riuscirono a trattenere a lungo i minatori, corrompendo il loro fiero spirito con le loro feste a base di liquori artigianali e cannabis, tutta naturale e coltivata indoor.
In tutti questi frangenti fondamentale fu il ruolo dello Scioperato il quale, inaspettatamente, seppe trovare un proprio ruolo risvegliando l’eroismo del suo sangue. Il suo aspetto innocuo lo tenne sempre alla larga di sguardi indiscreti, dandogli così la possibilità di reperire quante più informazioni possibili sui sistemi di difesa che la Banca utilizzava per proteggere il suo tesoro. Venne così a conoscenza di una grossa falla nelle difese informatiche della banca stessa, che avrebbe potuto fornire ghiotte occasioni di attacco da parte dei Minatori, se solo essi fossero stati abili a muoversi nella rete.
Essenziale si rivelò quindi l’alleanza con ****, un popolare giovanotto con la passione della pirateria informatica.
Fu lui a violare le difese che la Banca, troppo sicura di sé, da tempo dimenticava di aggiornare. Inutile dire che la sua partecipazione all’impresa contribuì non poco a rinsaldare l’alleanza fra le organizzazioni tradizionali di lotta e il mondo dei social network.
La vittoria dei Minatori, del Rosso e dello Scioperato sulla malvagia Banca d’affari diede i risultati sperati: come insegnano le appendici di saghe più recenti, il capitale di cui i minatori si erano riappropriati fornì effettivamente un sostegno non indifferente alla rivoluzione mondiale, consentendo di erigere più solide difese di fronte al Male che, presto, si sarebbe riaffacciato all’orizzonte.

A loaf that attempts to twist its own fate

postato il 19 Nov 2012 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

La reciprocità non è del tutto naturale. Non è ovvia, anche se spesso si commette l’errore di agire come se lo fosse, e questo ci mette nella strana posizione di comportarci male con le persone che ci trattano bene -e viceversa- pur essendo completamente in buona fede. Ma questo ci serve solo a capire dove andrò a parare, perché io pensavo di parlare solo di dove vado a parare, il che ovviamente significa che non vado a pararci, ma parlo proprio di quello, quindi andrei a parare altrove… insomma: questa premessa serve a rendere l’argomento del post anche la sua conclusione, dando coerenza a quello che ho scritto nella premessa. Ovviamente se non l’avessi messa non si sarebbe posto il problema, ma poi il post sarebbe stato breve e insomma, uno posta una volta ogni sei mesi, almeno lo deve fare per bene.

La reciprocità non è del tutto naturale. Siamo tutti concentrati su noi stessi, ovviamente, e questo ci porta a non notare dei piccoli gesti troppo impercettibili per superare la nostra soglia di obbligo a ricambiare, ma che magari invece bastano a cambiare una giornata. Non preoccupatevi, capita anche ai migliori, e in fondo il senso di questi gesti è proprio quello. Ma ci arriveremo.

La reciprocità non è del tutto naturale. È difficile ricambiare l’entusiasmo di qualcuno o un gesto fatto a distanza di tempo e spazio. A volte nemmeno ce ne sarebbe bisogno. Ma si può facilmente ricambiare qualcosa di carino che il mondo ha fatto per te facendo qualcosa di carino per il mondo!

Ecco, siamo venuti a parare qui. Tra le cose più apprezzabilmente sorprendenti della mia breve vita ricordo: una ragazza che dispensava un’infinità di sorrisi dolcissimi in gita scolastica; l’entusiasmo per le più piccole fesserie di un chitarrista stonato come una campana; un biscotto inaspettato. E allora perché queste piccole cose che mi hanno tanto rallegrato, e che sono completamente gratuite da dare e da ricevere, non dovrei fornirle al mondo che le ha fornite a me? Se un sorriso è bastato a mettere di buon umore me, perché non sorridere sempre a tutti?

Vi giuro che funziona. La giapponese a cui ho offerto un biscotto quest’estate, in cima alla discesa che ci avrebbe portato alla penisoletta di Cabo Finisterre (Fisterra per i fanatici del galiziano), mostrava una gioia tutta particolare, un misto di stupore, diffidenza, vera gratitudine… E a me non è costato niente. D’altra parte io sono sempre alla ricerca di modi per contribuire al benessere della società che siano il meno invasivi possibile per la mia misantropia difensiva e per la mia timidezza, e si direbbe che questa strategia funzioni. Che storia.

Compilation random: canzoni che mi fanno mangiare il cazzo.

postato il 8 Nov 2012 in Cazzi e mazzi personali, Il rubricone musicone rotolone
da Deluded Wiseman

Come un elenco telefonico in quei programmi strani con uomini nerboruti che stabiliscono record improbabili, il mondo si divide in due categorie. Non cascherò nel facile gioco delle citazioni Leoniane, ma andrò dritto al punto.

“Il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica, e chi scava. Tu scavi.”

Chè, ci credevate pèdavvero?

No, sul serio. Sapete quali sono le due categorie di persona davvero rilevanti?

Quelli che cercano le scalette dei concerti venturi su internet, e quelli che non lo fanno. Questa è una storiaccia vero, che al confronto Guelfi-Ghibellini e Autobot-Decepticon, erano delle amichevoli di curling. Per quanto mi riguarda, dipende dai casi. Se vado a vedere un gruppo che mi piace molto e conosco bene, DEVO cercare di leggere la scaletta: solo così potrò sfruttare il tempo che manca al lieto evento del concerto per fare i conti con le imperdonabili mancanze che sicuramente avrò scoperto consultando la setlist. Questa cosa mi ha salvato la vita: la prima volta che vidi gli Airon Meiden, essi decisero di suonare tutto l’ultimo album e giusto una manciata di pezzi storici. Io lo sapevo, ebbi vari mesi per metabolizzare la notizia, e riuscì a godermi il concerto. Se avessi scoperto la sera stessa che The Number of the beast era rimasta a casa, potete immaginare che non sarei qui a parlarvene. Se, invece, vado a vedere un gruppo che conosco poco, mi piace farmi un idea di quello che portano in tour; sai com’è, vorrei giusto sincerarmi che il gruppo electro-punk che vado a sentire non abbia scelto di fare un tour di cover di Amedeo Minghi. Per il resto, non c’è niente di meglio che sentire una canzone per la prima volta a un concerto, con la gente che salta, le luci, il votta votta, il sudore, la canzone che si muove sul palco insieme ai musicisti…bellissimo. Ma. MA. Ma io mi mangio anche il cazzo, però. Mi mangio il cazzo a vedere la gente emozionata che canta a squarciagola mentre penso “chissà come si chiama sta cosa” e cerco miserabilmente di muovermi al ritmo sconosciuto di una canzone ignota, mi mangio il cazzo a sentire una canzone e pensare “vabbè, quando fanno *inserire nome del pezzo quello là, quello famoso*?”, solo per poi scoprire, magari anni dopo, che ho snobbato con ignorante impazienza proprio un pezzo da greatest hits dell’umana stirpe. Qualcuno direbbe che lo faccio perché sono un azzeccato, che

5) Non metterò i titoli qui.

Nell’anno veramente boh, decisi di recarmi con dei compagni di classe al festivalbar, quello che facevano ogni anno a  piazza Plebiscito. Beata gioventù. Alle inutilmente e scandalosamente presto meno un quarto, sono già in piazza. Sul palco, un gruppo che non riconosco sta facendo il soundcheck. Stranamente, noto un paio di gruppetti di persone un po’ diversi dal resto del pubblico che assistono esaltati all’evento, non ultime un paio di ragazze pisellabili anzichenò. Ma la canzone la conosco! La passavano su Mtv e non mi garbava, ma analizzandola senza le immagini disturbanti che la accompagnavano sullo schermo, mi accorgo che non mi dispiace troppo. Magari la voce è un po’ effeminata, ecco.

Un video sul Tubo è l’unica cosa che testimonia l’esistenza della penosa esibizione in semi-playback dei Muse al Festivalbar 2006. Io, francamente, non ne ho alcun ricordo.  Mi piace pensare che loro abbiano “suonato” dopo Jovanotti, l’ultimo che vidi esibirsi prima di fuggire causa pioggia. Preferisco non pensare all’ipotesi di averli snobbati così tanto da non serbarne memoria alcuna. Ad oggi, i Muse sono uno dei miei gruppi preferiti e il mese prossimo pagherò fior di danari per assistere a un loro concerto. Supermassive Black Hole è, ovviamente, in scaletta.

PS: alla fine si trattava di un soundcheck, pure in playback.  Sicchè, 5°posto per i Muse.

Beccatevi il video dei Muse al suddetto Festivalbar 2006, orrendocapelluti per l’occasione.

Muse

 

4) E’ più carino che si capisce alla fine della storiella che, inevitabilmente, finirò per narrare a ogni posizione della classifica.

Dicevo, i Muse sono uno dei miei gruppi preferiti. E infatti, nel giugno del 2010 mi sono sobbarcato dieci ore di treno per andare a Milano a vedere un po’ cosa avrebbero fatto con il S.Siro a disposizione. Non che me ne fregasse molto, ma c’erano 3 gruppi spalla. I primi sono italiani, e salgono sul palco nel disinteresse generale. Oltreutto, sono un po’ strani, sono abbastanza grandi d’età. Poi, si infilano dei passamontagna e attaccano a suonare questa musica assurda, scandalosamente vintage ma grintosa, tecnicamente ineccepibile, travolgente. Fichissima lei, fichissimi loro. “Oh ma chi so ‘sti tipi?” Il mio amico mi spiega che sono il tastierista degli Afterhours (che io però vedo suonare tastiere, sassofono e flauto traverso. Anche nello stesso pezzo )e altra gente, che riadattano colonne sonore di poliziotteschi italiani anni ’70. Uà. Dov’erano stati finora, così lontani dalle mie orecchie?

Per fortuna, un concerto dei Calibro 35 è godibilissimo anche non sapendo nulla della loro musica; per questo, nella magnarcazzo parade sono solo quarti. Ad oggi, i Calibro 35 hanno appeso ben due concerti a Napoli, ma per fortuna le terza volta è quella buona, li ho visti, hanno fatto tutte le canzoni più belle, e sono felice di averli conosciuti laiv. Una piccola nota di gioia nel disastro che sarà questa classifica

Nell’impossibilità di reperire video decenti dei Calibro che si esibiscono davanti a migliari e migliari di disinteressatissimi fan dei Muse, vi schiaffo la semi-tiletrack dell’ultimo album dei calibri, giusto perchè oggi ce l’ho in testa.

Calibro 35

 

3)Almeno secondo me.

Al concerto dei Subsonica, nel 2008 c’ero finito proprio per caso, con un biglietto aggratisse. Non mi dispiacevano, ma non li conoscevo bene né mi interessava farlo. Sinceratomi che avrebbero, probabilmente, suonato “L’Odore” e “Tutti i miei sbagli”, mi presento alla Mostra d’Oltremare a cuor leggero e senza troppe aspettative. Loro sul palco sembrano sapere il fattaccio loro, ma io non mi gaso più di tanto: aspetto che facciano le canzoni che mi gustano, e non mi cago molto il resto. Soprattutto, non mi cago “Veleno”, “Up Patriots to Arms” e “Il mio dj”. Anzi, se non fosse per i dannatissimi e indesiderati video correlati  del tubo, non avrei saputo niente della loro presenza quella sera perché, davvero, non me le ero proprio cagate.

Ad oggi, ho visto i Subsonica quattro volte, pagando, eventualmente anche treno e alloggio. Tutte le volte che hanno fatto “Veleno “ e “Up Patriots to Arms”, mi sono gasato come un furetto anfetaminomane. “Il mio Dj” è assente dalle scalette dei Subsonica da ormai 5 anni.

E quindi, ladies&gentlemans, “Il mio diggei”, per voi in questo sconfortante “video” con la foto della (mediocre anzichèno) copertina di Microchip Emozionale.

2)Smettila di guardare qui.

Al concerto dei Rage, ‘ndovina? C’ero finito per caso. A dirla tutta ero in vacanza a Los Angeles, un giornale buttato per terra mi ha detto che quella sera i RATM festeggiavano il loro compleanno con i Muse di spalla e così, un’interminabile corsa in taxi e mezza scaletta dei Muse (lo avevo detto che la corsa era interminabile?) dopo, sono in mezzo a un fracco di personaggi unici, perlopiù gente from da ghetto che fumava da enormi pipotti o mi invitava a sfondare gli impenetrabili cordoni di steward agguerritissimi per accedere al parterre, oppure comunisti americani (wut?!), e tutti insieme aspettiamo che i Rage salgano sul palco a sputare fango(o funk) sull’ imperialismo a stelle e strisce.

Il concerto è grandioso, la gente si gasa e inizia a pogare intorno a dei falò improvvisati, o forse non tanto, vista la pervicacia con cui venivano riaccesi quando gli agguerriti steward  di cui sopra li spegnevano (nel caso ve lo foste chiesti, alla fine gli steward hanno vinto: hanno spento il fuoco e sono rimasti in piedi sulle ceneri, fermi e minacciosi, a impedire che venisse riacceso. Inutile dire che la gente ha iniziato a pogare intorno a loro.) Quando ho visto strane scene tipo qualche migliaio di ammeregani che sul finale di canzone(che poi avrei scoperto essere Know Your Enemy), a pugno alzato, alluccava qualcosa che io non capivo bene ma che pareva essere quel tipo di cosa poco gentile sul sogno americano che non ti aspetteresti di sentir urlare in uno stadio californiano, ho avuto l’impressione di essermi perso qualcosa. Anche quando ho sentito, in mezzo ad una canzone “I’m the Nina, the Pinta, the Santa Maria” ho avuto l’impressione di essermi perso qualcosa, tipo il cervello, e invece si trattava di “Sleep Now in The Fire”.  Che è meno bella di Know Your Enemy, ma ha un video epico, quindi beccatevelo.

RATM, Wall Street, cos

1)Davvero.

Il concerto gratuito di Elio e le storie tese a piazza Dante, nel boh ottobre del 2007 è stato, per vari motivi legati alla gente con cui ci sono finito (abbastanza per caso, sì), uno dei momenti fondanti della mia adolescenza, nonché della mia storia politica, avendo lì conosciuto il bancariello di Gastronomia Proletaria, che ancora oggi costituisce la stella polare del mio personale firmamento politico. Conoscevo poco del gruppo, ma mi comportai, quella sera, come uno spettatore attento e volenteroso, ascoltando con interesse un sacco di pezzi che non conoscevo e che amai da subito, o dopo poco.

O almeno credevo di esserlo stato. In un impeto controllatorio puramente masochistico, ho scoperto dopo anni che quella sera, su quel palco,mentre io chissà a che cazzo stavo pensando, è stata data voce alla sofferenza e alla disgrazia di centinaia di uomini e donne sfortunati attraverso la narrazione in musica della tragica storia di un eroe dei nostri tempi. Di uno di noi. Di Gimmi Il pedofilo.

Ho visto un’altra volta gli Elii, ma quella volta non suonarono “Gimmi I.”.Del resto, io neanche la conoscevo ancora, quindi forse ho solo evitato di far raddoppiare il già cocente rimorso che mi brucia nel petto ogni qualvolta penso a come ho fatto orecchie da mercante mentre davanti a me si eseguiva un pezzo che, per i suoi significati sociali, politici e soprattutto umani, non esito a elencare fra i pezzi che mi hanno formato nell’uomo probo e integro che sono oggi.

Qui, per voi, un esibizione laiv all’Mtv Day del 2003, quando ancora ci andavano i gruppi forti. A giudicare dal fatto che i milioni di spettatori ripresi nel video sembrano disposti a disimpagliarsi solo per giocare col cazzo di pallone gigante, non me la sento neanche tanto di prendermela col signor Mtv day se ha deciso di chiamare Club Dogo e Sonohra, o come cazzo si scrive, invece di Eelest e Bluvertigo. “Ma hai messo tutti video non live, metti il live proprio ora che noi volevamo la versione studiocol Ruggeri nazionale!”. Zitti, uomini di poca fede, e mirate come, contro ogni vostra menagrama aspettativa, il provvido intervente del Mangoni e del suo inglese accidentato salvano egregiamente la siuation.

Ps: il mio gompiuter non vuol proprio farmi mettere per bene gli ultimi video che devo inserire, quindi per ora metto i link in maniera zingara, e poi correggerò quando gli dei della multimedialità mi saranno favorevoli.

 

 

 

 

E finalmente eccolo!

postato il 5 Nov 2012 in Main thread
da Lalla

Buonasera a tutti!

Dovete sapere che nell’ottocento gli Arabi non avevano ancora sviluppato veri e propri romanzi. Allora hanno pensato di tradurre quelli occidentali, così, tanto per imparare a farne di loro. I traduttori, però, si sforzavano di “adattare” le opere originarie al pubblico arabo. E, insomma, traducendo traducendo, un po’ come avviene giocando al telefono senza fili, creavano nuove storie che con l’originale avevano ben poco a che fare. Spesso solo un breve accenno di trama permetteva di risalire all’originale, quando il traduttore non riusciva, per incapacità o scrupolo di coscienza, a far passare l’opera per sua (già). Insomma, per farvela breve, pur di andare incontro al gusto del pubblico e alle esigenze meramente materiali dell’editoria poteva capitare che trasformassero romanzi di 1000 pagine in racconti di una ventina. O che eliminassero da Robinson Crusoe tutti i riferimenti alla morale calvinista, giusto per non far arrabbiare quei vecchi inturbantati. O, ancora, poteva capitare che fraintendessero il senso dell’opera, scritta in un contesto così diverso dal loro.

Vi starete chiedendo il perché di questa lezioncina. Ed eccovi la risposta: l’argomento del mese sarà “tradurre tradire”, ovvero le traduzioni appezzottate. Vi chiedo di fare vostra l’idea di un libro, di un film, un fumetto, un manifesto visto per la strada e crearne ciò che più desiderate.

In brevi semplici passi:

1)     Prendete un’opera, una qualunque: la Divina Commedia, Topolino, American Pie o QUALUNQUE altra cosa.

2)     Trasformatela in QUALUNQUE cosa vogliate. Non c’è alcun limite. La Divina Commedia potrebbe diventare una hit dubstep, Topolino un’opera lirica e American Pie un thriller.

Proporrei anche di non esplicitare l’opera originale.

Potremmo tutti cercare di scoprirlo!

 

Buon lavoro e buona lettura!

Un film blasfemo

postato il 23 Set 2012 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby e freeronin

Vobby: «“Il Manifesto” continua a parlare del “film blasfemo” e dell’“offesa al profeta” a proposito del film Innocenza dei musulmani. Sono l’unico a pensare che non sia il linguaggio adatto per un quotidiano comunista? Se si è atei il film può essere brutto, fuori luogo, ignorante, ma che il contenuto sia blasfemo e offensivo dovremmo lasciare che siano i credenti a dirlo, senza condividere il loro punto di vista, secondo me».

Freeronin: «Io credo che un terzo possa giudicare, sentita la persona interessata, se qualcosa è offensivo nei confronti di un altro (un po’ come, ad esempio, il giudice in un processo per ingiuria o diffamazione), senza per questo condividere il suo punto di vista. Sul “blasfemo” sicuramente il non credente non può giudicare. Certo, a volte – come “eretico” – può essere usato in senso traslato, ma non è questo il caso».

V.: «Se è come dici tu, che ha senso, è ancora peggio: non mi piace granché che “Il Manifesto” si erga a giudice di un film dando ragione a chi reagisce alla libertà di espressione bruciando bandiere e assediando ambasciate. A me piacerebbe che venisse presa una posizione chiara sul fatto che, di fronte all’opera d’arte, offensiva e insultante che sia, la reazione violenta non può essere condivisa né giustificata. Che insopportabile tono supponente che ho».

F.: «”Il Manifesto” si erge a giudice di tante cose…diciamo che spesso usa un linguaggio dogmatico. Però – fermo restando che non può ergersi a giudice – è vero che un giornale può criticare un film perché è offensivo, anche quello è libertà di espressione. Il punto è che non hanno proprio considerato il film come opera d’arte, ma solo come provocazione politica».

V.: «Ma il problema è che loro non criticano il film! Non ci sono articoli sul film, ci sono articoli sulle proteste contro di esso, nei quali si usa lo stesso linguaggio usato dai manifestanti. E la definizione di blasfemia e offensività è data per scontata. Se il film fosse stato contro il papa, le crociate e i preti pedofili sarebbe stato una grande opera, così non si fa».

F.: «Ah, sicuramente. Se condividi i miei distinguo si può dire che siamo proprio d’accordo XD».

 

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