Il villaggio del Teschio

postato il 31 Mag 2011 in Main thread
da ad.6

È triste che nel blog non si scriva per tanto tempo! Nessuno mi biasimerà, dunque, se faccio un altro post (senza alcuno sforzo), in prosa, su questo argomento. Quello di prima è stato letto da 4 persone: speriamo di raggiungere i 4 anche con questo :D!
È una cosa che ho trovato in un quaderno di Italiano delle medie (Quaderno di Produzione Scritta, I H), quindi il racconto risale o alla prima media o alla seconda (in terza abbiamo abbandonato la produzione scritta). Lo riporterò esattamente com’è scritto, prendendomi solamente la licenza di chiudere una parentesi lasciata aperta.
La traccia era una cosa del tipo: “Scrivi un racconto breve utilizzando i seguenti elementi: un villaggio pacifico, il crepuscolo, rose di macchia, senso di inquietitudine”.



Nel villaggio le ombre della sera si allungavano lentamente; era il crepuscolo e quindi gli abitanti del paesello si erano già ritirati nelle loro case per colpa del coprifuoco; ma comunque, anche se non vi fosse stato la gente si sarebbe nascosta lo stesso perché era a quell’ora che iniziavano ad accadere le cose strane dalle quali era meglio tenersi alla larga. Ovunque: nelle case e nei cascinali sul pendio si accendevano i lumi che, dicevano i paesani, servivano a tenere lontani gli spiriti maligni, o qualunque cosa fossero quelle ombre che si muovevano fra le case. Quando questi, per sbaglio andavano nella penombra si potevano vedere i loro occhi gialli che riflettevano la luce fioca delle luna e le sagome dei loro alti ma sottili corpi. Ritornando alle luci, queste erano molte ed anche disposte in modo vario. Se solo la tecnologia avesse già raggiunto il traguardo aereonautico* o qualche persona nel raggio di cento miglia avesse avuto il potere della levitazione si sarebbe potuto vedere dall’alto che le luci formavano la figura di un teschio ghignante. Forse era proprio quello a far sì che il male fosse presente più lì, sempre sotto forma di esseri delle tenebre, che altrove. Poteva anche darsi il contrario cioè che le luci fossero disposte a quel modo perché quel posto corrispondeva al luogo, in un’altra dimensione opposta alla nostra, dove il male risiedeva. A qualunque sventurato fosse capitato li (per sbaglio o di propria volontà) tutto sarebbe sembrato tranquillo e pieno di pace e anche la serata sembrava meravigliosa (come d’altronde era) ma ben presto il viaggiatore si sarebbe accorto che l’apparenza inganna venendo inghiottito dagli esseri delle tenebre (chiamiamoli così) nelle tenebre stesse. Al villaggio era già accaduto e degli sventurati non si era saputo più nulla.
Quella notte però era diversa: l’aria era stranamente piacevole da respirare e questo era già una cosa anomala dato che ogni sera l’aria odorava sempre di un odore di marcio. Il fatto venne subito risolto dagli esseri delle tenebre che, dato il brusco cambiamento, erano come impazzite. La luce di una sola casa era spenta ed il “Grande Teschio” per la prima volta dopo un milione di anni era incompleto. Pian piano tutte le luci si spensero e quando furono del tutto spente “gli esseri delle tenebre” che già si contorcevano ed emettevano delle urla tanto stridule da far gelare il sangue scomparvero nel nulla.
All’inizio vi fu qualche secondo di pace (che da molto tempo era assente da quel luogo) comunque turbata da molti rumori orrendi, ma poi iniziarono a crescere cespugli di rose di macchia dapprima lenti poi sempre più veloci sino a divenire delle dimensioni normali.
Una nuova specie di male era arrivata all’ex-paese del Teschio: un male più raffinato di quello precedente, ma sicuramente più potente. Le luci si accesero di nuovo ma in ordine diverso formando una rosa.
Il silenzio tornò di nuovo su quello che ormai si chiamava il villaggio della Grande Rosa

*qui la parola è sottolineata, forse dalla professoressa

Insulti alla letteratura

postato il 20 Mag 2011 in Main thread
da Vobby

Si tratta di due cosi piuttosto vecchi. Fanno entrambi cagare, ovviamente, anche se forse un po’ meno di come mi ricordassi. No, che dico, il primo forse è un poco meglio di quanto pensassi, il secondo molto peggio. L’ordine cronologico dovrebbe essere invertito, ma trovavo coerente con il blog e l’argomento corrente postare una sorta di discesa verso lo squallore adolescenziale. Il primo coso (non è veramente un componimento..) è l’inizio (non continuato) del mio romanzo (lol) medieval-fantasy (chi fu a suggerirmelo?), il secondo è la mitica (?) divina commedia by Vobby (perchè?).Tutto scritto almeno 4 anni fa. Il primo è (cerca di essere, fallendo) un vero e proprio inizio di capitolo, il secondo consta solo della geniale (no) trama che avevo ideato. Noterete che i due… testi sono (poco, pochissimo) influenzati dal fatto che avevo cominciato pukulan e letto un libro di Piero e Alberto Angela in cui accennano a delle cose su come è fatto il cervello. Poi bè, mi piace l’Iliade, ma questo lo sapevate già. Ok, ho finito di rileggere anche il secondo coso, forse col finale si solleva un po’, anche se la prima parte vi farà davvero venir voglia di morire. Ci sono citazioni a caso di Benni, due per la precisione.

Romanzo medieval-fantasy: Presentazione del protagonista :
I tre uomini entrarono con calma senza preoccuparsi di chiudersi la porta alle spalle.
Indossavano una cotta di maglia coperta da un lungo mantello bianco, le armi appese ai fianchi.
Uno di loro, presumiblimente il capo, era stato il primo a varcare la soglia e guardava dall’alto in basso il giovane che li aveva fatti entrare. Il soldato era enorme, i suoi passi avevano fatto rimbombare il pavimento.
Gli altri due erano rimasti vicino all’uscio, in attesa, con un’aria vagamente sprezzante disegnata sui volti. Seppur robusti, erano comunque mingherlini al confronto del primo uomo.
Il giovane aveva un’aria piuttosto sorpresa. Indossava anche lui una sorta di mantello, ma decisamente lacero e vecchio.
Il primo uomo parlò piano, con una voce del tutto priva di tono: “in questa casa c’è uno dei libri messi all’indice. Lei deve consegnarcelo e seguirci in caserma.”
La sorpresa sul volto del giovane era ora più evidente; comunque rispose tranquillo: “qui non c’è nessuno di quei libri. Io non so neanche leggere.”
Il soldato rispose con la stessa lentezza di prima: “se non collabora, dovremo portarla in prigione per poi farla giustiziare, la prego di essere ragionevole.”
Dimostrando grande ragionevolezza, il giovane tirò un energico pugno alle palle del soldato. Peccato per la conchiglia. Senza fare una piega, l’uomo rispose con uno spintone che scaraventò il giovane su un mobile alle sue spalle, mandandolo in frantumi.
Il giovane si alzò con velocità sorprendente, scattò verso il soldato, che fu troppo lento per difendersi: il montante gli asportò gran parte della faccia. Lo il movimento del braccio in avanti aveva fatto cadere il mantello del giovane dietro la spalla: i due soldati rimasti vicino la porta, poterono vedere la singolare arma del giovane: indossava un guanto di cuoio lungo fin sopra il gomito, sul quale era avvolta e cucita una cotta di maglia. Sulla parte della cotta che copriva il pugno, erano attaccati vari piccoli chiodi, ganci, e schegge metalliche. A queste era rimasta attaccata la faccia del soldato.
L’uomo cadde a terra con un tonfo. Uno dei due uomini rimasti indietro estrasse un grosso spadone da sotto la cappa. L’altro, superato un primo momento di stupore, impugnò una mazza ferrata e si scagliò contro il giovane gridando:” ti ammazzo piccolo verme infed..” il giovane lo zittì con una rapida tibiata all’altezza della testa. Il rumore della gamba contro l’elmo fece intuire che anche gli stinchi erano protetti da un’armatura.
Il giovane, in mezzo fra i due aggressori svenuti, fissò il terzo soldato, e si rivolse a lui dicendo: “ora tocca a te.”
“sta fermo” gli rispose quello “io non..” ma smise di parlare per concentrarsi sul pugno che arrivava. Portò lo spadone davanti al corpo appena in tempo per parare il pugno metallico. Il giovane piegò il braccio di scatto e con un solo movimento fluido diede una gomitata alla spada, spostandola di lato, aprendo la guardia del nemico. Il soldato staccò una mano dall’arma per parare il secondo pugno; i due avambracci corazzati si scontrarono facendo scintille. Senza perdere tempo il soldato mosse lo spadone con un solo braccio verso il giovane, che fu costretto ad indietreggiare. Ora era il soldato ad attaccare, menando fendenti. Il giovane ne evitò uno, due, al terzo si abbassò sulle gambe per poi gettarsi sulla vita dell’avversario, atterrandolo.
Gli si sedette sopra e tirò due pugni mirando alla testa, il primo venne incredibilmente parato, il secondo centrò la tempia. Nonostante la protezione dell’elmo, il soldato perse conoscenza.
“bene” disse il giovane fra sé. Si alzò,aggiustandosi il mantello. Controllando che gli altri 2 soldati fossero davvero privi di conoscenza, notò un libro fra i pezzi del mobile fracassato. Lo raccolse, e controllò il titolo:”oh c’era davvero un libro proibito qui dentro..” lo prese e se lo mise in una tasca interna al mantello, poi corse via dalla casa, fendendo i curiosi attirati dal frastuono. Appena il giovano varcò l’uscio, il soldato con lo spadone si alzò massaggiandosi la testa. “uno così potrebbe fare al caso nostro. O darci problemi” borbottò fra sé. E corse ad inseguirlo.

Divina commedia by Vobby, trama:
Allora, nel mio libro i protagonisti siamo io e mf, magari cn nomi diversi, ma i caratteri sono quelli.
La storia comincia cn una scommessa fra lucifero e Michele, ke devono giocrsi qualcosa, magari potere o anime. Fatto sta ke se la giocano cn noi 2. in sostanza ci daranno potere e conoscenza. A me daranno poteri bestiali, tipo wolverine se vogliamo, e mi faranno visitare l’inferno. A lei un potere piu nobile ovviamente, simboleggiato da una spada, le faranno visitare il paradiso. Dopo queste visite, coi nostri poteri decideremo come comportarci ein base al nostro comportamento noi “decideremo” il nostro destino nell’aldilà. Se andiamo su vince Gabriele, se andiamo giù lucifero. Chiaro no? Io visiterò l’inferno e scoprirò che nn è esattamente cm dice dante, è qualcosa di terribilmente figo, in cui pestano come dannati, in cui ci si abbandona ai piaceri, e i demoni infernali ke presiedono cerchi e bolgie altro non sono ke anime piu forti di altre modificatesi all’inferno col passare del tempo secondo il loro carattere e la loro esperienza diciamo. È ovviamente un luogo di punizione, ma i puniti sono solo destinati a contendersi i piaceri, piu o meno cm hanno fatto in vita. Tipo i golosi sono condannati a combattersi l’un l’altro x il cibo, e cerbero è il piu grosso e cattivo di tutti, il piu bestiale, e fa il culo a tutti e mangia di piu, perciò è il capo, funziona in sostanza la legge della giungla, ma almeno in parte tutti riescono a raggiungere i loro piaceri, e ci sono momenti di piacere generale concessi da lucifero. Al paradiso ci devo lavorare, ma se le ambientazioni dell’inferno sono paludi foreste o deserti , in paradiso i vari cerchi sono simili alle varie interpretazioni delle città perfette nei secoli in cui l’uomo ci ha tanto fantasticato. Lì tutti vivono in pace e armonia e si scambiano dotte opinioni, e nn ci sono criminali eccetera e domina un generale buon senso. Sostanzialmente, all’inferno ci vanno quelli in cui ha prevalso la parte animale della psiche, quella presente nel paleoencefalo, in paradiso quelli ke hanno usato di piu la corteccia cerebrale. Io sarò attirato dall’inferno, mi piacerà, anke xkè essendo forte e sapendo bene come funziona il rapporto tra ciò ke sono nella mente e ciò ke sono all’inferno lì sarò piu forte degli altri, farò il culo a cerbero in un incontro spettacolare, e a lui fotterò le chiavi del palazzo di Semiramide ke domina nel cerchio dei lussuriosi, e chiaverò con lei. Mf invece bè, nel paradiso vedrà un po’ l’agorà ke vorrebbe fosse pagine sparse. Io con le mie particolari facoltà sulla terra me la farò cn un bordello di puttane, perché essendo piu bestia potrò dominare anke tipo gli ormoni, mf invece andrà ancora meglio a scuola, avrà vari riconoscimenti, magari scrive un libro, vasquez e la professoressa delle medie le dicono ke è troppo brava e bella, tutte quelle cose che credo piu vorrebbe. Poi però succederà un avvenimento particolare che ci farà riflettere. Io scoperò tantissimo, ma come un animale, trascinato dalla voglia e non dal desiderio d’amore e questo non mi piacerà, lei invece si renderà conto di star camminando a tre metri da terra, e soprattutto che tutto kuel sapere non vale niente senza lo sforzo da fare per ottenerlo. Intanto ovviamente avremmo litigato. Ci riappacifichiamo accomunati dai dubbi. Visto ke dubitiamo di ciò ke ci hanno concesso, ci scambieremo i poteri, a me la spada a lei gli artigli. E andremo nell’aldilà, ancora una volta, per prendere a botte lucifero e Michele. Loro perderanno perché non capiranno ke la nostra forza non deriva dall’essere bestiali o ragionevoli, come loro, ma da qualcosa di molto piu tipicamente umano della ragione, ke è il valore, e l’amore soprattutto,che non è istinto, non tende a qualche bene superiore, è forza generatrice, è passione, è infinitamente piu potente di inferno e paradiso messi insieme. Non sono loro le divinità che comprendono la natura umana, ma quelle dell’epica, almeno x la mia natura, infatti mentre combatterò con lucifero la spada , nel momento di maggiore difficoltà, si trasformerà nello scudo di achille, ela sua impugnatura nella lancia di frassino che solo l’eroe può impugnare. Almeno il mio processo psicologico sarà questo, quello di mf nn lo so ancora, è difficile, magari ne parlo con lei… la cosa sicura è che frantumerà le armi di Michele come il mio scudo frantumerà le corna di lucifero, quando lui mi si scaglierà addosso. La tesi del libro sarà che l’amore non è proprio di dio, ma dell’uomo. Che il cattolicesimo fa schifo perché non incita al valore e non esalta davvero la natura umana, ma la relega a inferiore rispetta a una divinità, è nell’epica che gli eroi ferivano dei, e noi lo faremo. Probabilmente quello che ci farà schifo dell’aldilà e la mancanza di calore umano e amicizia e amore,xkè angeli e demoni non ci hanno capiti e ci giudicano o bestie o dotti professori. La verità non sta nel mezzo, ma nel tutto.

Idea nuova n°1: all’inferno non puniscono i peccatori, cm abbiamo detto, ma in paradiso si! le città perfette hanno delle terribili prigioni! Troppa giustizia e poca speranza, nell’aldilà.

Nota di Vobby del 20 aprile 2010, cioè 2 anni e mezzo dopo la scrittura di questo testo: fa proprio cagare! È un insulto alla letteratura! Però il contenuto mi piace, e sono felice di averlo ritrovato qui nascosto nei meandri delle cartelle condivise. Un saluto al Vobby futuro! Tanti auguri per tutto!

Indifferenti

postato il 16 Mag 2011 in Main thread
da freeronin

Il titolo non è un plagio, ma una citazione: questo testo è nato quando pensammo, con altri di un gruppo di lettura di cui non vi sto a parlare, di comporre un dialogo sull’indifferenza, prendendo spunto dal famoso testo di Gramsci. Purtroppo il dialogo non ha mai visto la luce, ma, intanto, ne condivido con voi la prima “battuta”, composta, appunto, dalla sottoscritta.

Noterete che è un po’ datato, risale a circa cinque anni fa… ma tant’è: in fondo da questo fatto derivano anche buona parte dei motivi per cui ho pensato valesse la pena pubblicarlo e farlo leggere…

INDIFFERENTI

Nella Divina Commedia gli ignavi non sono degni nemmeno dell’inferno.

Probabilmente è vero: io posso rispettare le idee degli altri, per quanto diverse dalle mie… ma le non-idee non posso rispettarle, e in effetti metafisicamente non posso nemmeno odiarle in quanto inesistenti.

Concretamente credo di non poterle odiare perché non hanno identità, sono una forza distruttrice, la più potente forza distruttrice, ma senza volto e senza finalità. Posso solo individuarle nel mezzo di una massa indeterminata, e magari odiarle per quello che non sono. Come se questa confusione non bastasse, mi trovo in una situazione in cui quello che devo fare perché i miei ideali si realizzino è proprio estinguere questa forza esclusivamente distruttrice, attraverso la generazione di una forza motrice ancora più potente; e non c’è alcun motivo per cui non vi possa riuscire.

L’indifferenza si nasconde: non è il Cattivo delle favole, non è la Bastiglia, che con molta fatica può essere espugnata, non è lo schiavista, non è il dittatore che ha un nome e un volto. Un volto fin troppo noto.

Quando si fa notare la direzione che ha preso il mondo, l’uomo-massa è lagnoso e la massa è indifferente: l’uomo-massa davanti ai suoi simili fa finta di niente per essere accettato. Oppure recita sfacciatamente la parte dell’inconsolabile e impotente vittima del sistema, senza accorgersi del fatto che il sistema è lui. E il resto della massa lo incoraggia, per esorcizzare la paura latente di una vittima vera che può pensare sul serio di cambiare quel sistema tanto comodo.

L’unico atteggiamento che l’uomo–massa non assumerà mai è quello di reagire. E infatti la sua indifferenza è la scala a pioli che il dittatore calpesta, la massa compatta e cieca il suo sostegno.

Gli dirai che la corruzione e l’imbarbarimento dei costumi, la riduzione a merce di tutto ciò che abbiamo intorno, lo riguarda, che non parli di pianeti lontani…

Magari piangerai, griderai le tue idee e strepiterai, potrai pure insultarlo, potrai cercare in ogni modo di attirare la sua attenzione, potrai morire dilaniato davanti ai suoi occhi… distorcerà la mascella in un ghigno e tra i denti sibilerà: “questo è scemo”. E tutti i suoi amici rideranno con lui, rendendolo soddisfatto.

È tutto quello che ha da dire, il “Non Sapere” è la sua unica arte: egli è capace di tuffarsi in un mare di idee, notizie o opere d’arte senza uscirne minimamente bagnato.

Essendo l’uomo-massa materia inerte, sorge spontaneo ogni paragone con le leggi della fisica: in natura ogni elemento, per esempio gli elettroni in un atomo o un oggetto attratto dalla gravità, se lasciato libero tende ad occupare il posto che richiede minore energia da parte sua.

Ma l’uomo dovrebbe cercare lo stato più eccitato, perchè ogni suo momento potrebbe essere l’ultimo: l’uomo vive una volta sola come uomo, si crea e si distrugge, e ha un’eternità a disposizione per esistere inerte, come cibo per batteri decompositori.

L’uomo è vivo, e mosso da fini, prima che da cause.

Ho fiducia dell’uomo, ma deve prima ridiventare uomo.

Capitolo II?

postato il 10 Mag 2011 in Main thread
da ad.6

Ok, allora, io adesso sto postando questa cosa scritta in primo liceo (non dopo, comunque, e credo non prima), quindi ci sono tante cose che non ho scritto io, ecco. La cosa dell'”alfa e l’omega” non la riscriverei, temo, come anche il fatto del paradiso col conseguente messaggio propositivo, un po’ per pudore, temo. Ad ogni modo lo posto giusto per mettere una cosa che riesca a coniugare nel migliore dei modi la vecchiaia con la decenza e che abbia allo stesso tempo un senso ed una certa creatività. Perdonatemi, come io non mi perdono (infatti devo rivedere tutto, quando sarà), le imperfezioni e l’armoniosa monotonia del novenario e della rima alternata. Eccovi qui.

Il sacro, celeste Cammino
Che in alto trasporta chi ‘l trova
Non più vi è la sera o ‘l mattino
Per chi sorto è a vita nuova,

Che tutto com’è a noi rivela
Che tutto disfà ciò che appare
La curva più il mondo non cela,
Non linea tra il cielo ed il mare,

La verità ormai sembra tale
Da lì vi è ben altro orizzonte,
La gretta visione è regale
Dall’alto divino del Ponte.

Di certo lontano ci porta,
L’ingresso al Sentiero è nascosto,
Ma una è la via e non contorta
Per quel incredibile posto.

È lì, oltre i colli boscosi
E ancora più in là, dopo i passi
Dei monti, quelli alti e nevosi,
E dei lor fratelli più bassi;

Ben oltre quel mare cangiante
O la desolata radura,
Eppure è ben poco distante
Dalla più remota pianura.

Immensa ed invero invisibile
Per lui che nell’animo è tristo,
Ma ad altri mirare è possibile,
Visibile a chi mai ha visto.

Di un verde che splende di luce
È l’erba foltissima e rada
E un calmo brusio ti conduce
Alla prima amabile strada,

Dei ciottoli lucidi assai,
Due campi infiniti di fiori
Che non appassiscono mai
Tra i mille odorosi colori.

Lo spiazzo che in fondo alla via
Si trova non è gigantesco,
Ma chiuso dalla melodia
E dai rosa fiori di pesco

Che tutto circondano il prato
In tal sofficissima coltre
E tutto nell’uomo è saziato,
Ma non il desio di andar oltre!

E chi ascolterà il sentimento,
Al limite del gran giardino,
Vedrà cento alberi e cento
Viali alle piante vicino.

Accerchiano il campo fiorito,
Perfetto tassello nel coro,
D’un color argento squisito,
Ma son tutte uguali tra loro.

Prendendone una a piacere
Si entra e si han due boschi al fianco
E ‘l fresco delle ombre più nere
Lo spirito mai rende stanco

Così come il sole nel campo
Per nulla lo sguardo feriva
E, anche guardato ‘l suo lampo
Per niente era luce cattiva.

Lì dove ha divina fragranza
L’erbetta, è beato chi sente
Di uccelli bellissimi in danza
Il canto d’amore struggente.

E tutti ne sono rapiti
Talmente da non notar, tristi,
Che, ombre e fruscii percepiti,
di uccelli non ne hanno mai visti!

Uscendo dal viale assai tetro
Si torna nel regno del giorno
Identico a quello più indietro
Con mille viali a lui attorno

E l’ombra che tutti ricopre
In spiazzi dai petali avvolti
Ti porta e la mente non scopre,
Pensiero e ragion le son tolti

Dall’estasi che tutto muove
Quel luogo, i colori, i profumi,
Con lei vi è la vita e non piove,
Giammai lì si spengono i Lumi.

E l’uomo nell’immensa gioia,
Perché mai finisca l’ebbrezza,
Del dubbio non viene alla noia,
Non vuole notare stranezza.

All’uomo ne importa ben poco
Perché lì per sempre è felice,
Non muore il suo spirito fioco
In quella perfetta cornice!

Eppure non è il paradiso
Nel quale io, purtroppo, non credo
Poiché so che ‘l mondo è diviso
Tra il Bene ed il Male, ciò vedo.

Non qui e non ora discuto,
Ma il “corpo” del Bene lo nega
Ché al mondo è un po’ troppo minuto
Per esserne l’alfa e l’omega.

Per me, anche se è guerra persa,
Pel Bene combatter dobbiamo
Con spada che ‘l sangue non versa,
Ma al luogo splendente torniamo!

Quel luogo non è degli umani,
Bensì degli Dei a capo messi
E lì i nostri spiriti nani
Spessissimo perdon se stessi.

Ma l’inconsapevole e lieto
Vagare ad un punto finisce
E un colle bellissimo e quieto
Lo sguardo di ognuno rapisce;

Lì sopra, sull’alta sua vetta,
Vi è un’area, del mondo più vasta,
Dall’aura divina sì stretta
Che a dirlo ‘l mio verbo non basta:

Lì ciò che è divino risiede
E ciò che da sempre si ammira
Che al tempo non bada e non cede
E tutto ‘l vivente vi attira

E ognuno vi corre su in cima,
Lassù cogli Dei a godere…
Lì avrebbe incontrati già prima,
Ma ormai li riesce a vedere!

E giunto che è in quella zona,
Il luogo dei grandi misteri,
Ciascun dio sorride e gli dona
La sua verità e desideri.

Se a me si chiedesse il gentile
Bel luogo dov’è situato,
Direi: Su quel tratto sottile
Tra ‘l cielo e la terra segnato.

Così, chi vi è appena giunto,
Dagli occhi sparendo il bel velo,
Si accorge che non v’è alcun punto
Che ‘l mondo congiunga col cielo;

Da lì può vedere il complesso,
Di un sogno si vede all’interno
Sognante il più facile ingresso
Al mondo del bello e all’eterno.

Adesso vi è il mondo soltanto,
Lontana si fa quella terra,
Di uccelli il bellissimo canto
Il tempo nel cuore rinserra.

E poi se si dubita appena
Lì ogni ricordo è distrutto,
I prati lasciati alla schiena,
I fiori e gli Dei soprattutto,

Ciascuna fragranza che vi era
Forse era illusion della mente,
Ma come illusione era vera,
Stupenda, assoluta e potente.

Comunque varrebbe cercarla,
Non va esclusa la fantasia,
Ma quasi nessuno ne parla
E più non si trova la via:

Per chi al grande Ponte tornasse,
Il che è un’impossibile impresa,
Per chi al luogo sacro guardasse
Il nulla sarebbe in attesa;

Così anche chi al vero arriva
Non sente più il grande bisogno
Che la vita eterna gli offriva,
Di entrare per sempre nel sogno.

Così quel bambino, lì, forse
Immaginò quello splendore
Da quando gli Dei in cerca scorse
E attinse al divino sapore.

Così sogno tutto il bambino:
il tempo stupendo che ebbe
E ‘l sogno d’ogni esser divino
Che esister davvero vorrebbe.

Che sia nel gran regno del Sole
O sotto la luce lunare,
Soltanto sognare si vuole
E un sogno mi appresto a narrare.

Colonnello, mio Colonnello

postato il 10 Mag 2011 in Main thread
da Azazello

Ho scritto questa roba in secondo liceo, ispirato da Parini. La dolce fanciulla ivi descritta è la mia (grazie a Dio) ex professoressa di filosofia, che NON MI AZZARDO A NOMINARE viste le tarantelle di cui qualcuno saprà, una donna forte ma gentile, perseguitata dalla sfortuna di essere se stessa e dalla curiosa caratteristica di rendere grigio e scuro qualunque ambiente la contenga. Nel complesso posso dire che ha contribuito molto alla mia formazione, soprattutto per quanto riguarda l’indispensabile componente di afflizione e rovina, per cui ho ritenuto giusto dedicarle questi settenari sghembi (sghembi perché hanno gli accenti totalmente a caso, sigh), i cui avvenimenti sono stati (de)scritti in tempo reale, forte delle emozioni che ci regalava ogni dì. L’opera, che ha avuto una ricezione piuttosto favorevole, è stata pubblicata solo un anno dopo la sua composizione, quando l’autore ha scoperto che i due professori che lo sopportavano non sarebbero stati in commissione, al contrario della protagonista che invece era proprio membro interno xD

Appropinquasi ‘l corvo:
scivolando entra in aula,
guarda il giovane, torvo,
che paventando gnàula,
il loco in aura nera
avvolge, e cala sera.

Ed ecco, or che s’è assisa
comincia ‘l tribolare:
il terror già s’avvisa,
virtù vedi oscillare
di chi al timor s’arrende
di chi la fine attende.

Il parlar turpe inizia
dell’osceno pennuto
e lercio l’aere avvizia.
Non v’è spème d’aiuto
ché l’essere malvagio
gode d’altrui disagio.

Un post duplice

postato il 2 Mag 2011 in Main thread
da Cerbs

Innanzitutto voglio scusarmi per non essere riuscito a postare in tempo sull’eccellente argomento di Bread, ma tanto avrei parlato di Cerotto, grande eroi dei nostri tempi, uomo di soverchio stile e fonte di infinito interesse.

Un individuo a cui ho sempre portato il pensiero nei momenti di afflizione, e che ho sempre ammirato per il suo vivere così, alla giornata, fuori dagli schemi. Egli rappresenta ciò che tutti noi desideriamo, ossia la vera libertà: vivere senza dogmi, senza affanni, slanciarsi senza remore nel rendere la propria esistenza un palcoscenico con effetti pirotecnici coi controfiocchi rivestendo il ruolo di protagonista narrastorie.
Questa mente così superiore ha capito come si deve tirare avanti a campare: con ironia, in modo amorale, confacendosi alla “filosofia dell’aneddoto”: ogni episodio, ancorchè spiacevole od imbarazzante, ogni esperienza, è degna di essere raccontata, perchè ci sarà sempre qualcuno che ne riderà; qualcuno, insomma, che si trovi dalla parte giusta dell’aneddoto, e cioè quella in cui ci si diverte.
Certo, bisogna vivere le assurdità prima di raccontarle: ma anche in questo egli non si tira indietro, circondandosi di personaggi discutibili ed adottando di volta in volta atteggiamenti dubbi.
Tali sono stati gli insegnamenti di Cerotto per me, e li conserverò per sempre nel cuore.

Ma veniamo ora all’argomento del mese: addolorato per la dipartita di un altro dei nostri sublimi autori, sono stato colto alla sprovvista per la scelta. Una rapida carrellata di idee ha attraversato la mia mente, senza che nessuna di esse vi stazionasse e si dichiarasse dominante, finchè non ho pensato: “Perchè non chiedere cosa i nostri mitici scrittori componevano PRIMA dell’inaugurazione di questo blog?” :P
Vorrei vedervi postare dei componimenti (poesie, racconti, poemi, filastrocche…) della vostra giovinezza, prima che nascesse questo blog e li rendesse quindi disponibili al mondo intero.
Se non ne avete di vostri, potreste gioiosamente postare qualcosa di qualcun altro, che so, tipo qualche amico vostro, che vi ha particolarmente colpito ed a cui, magari, guardate come modello.

Io avrei potuto postare l’incipit del Signore dei Pons, il celeberrimo romanzo scritto a quattro mani con la collaborazione di Dario Oropallo, ma preferisco invece che lo leggiate in un altro momento e che vi gustiate, per il momento, una poesia non mia ma di Giuliani, che si intitola:

MARCIA ALLA TURCA, ODE ALLA BELGA

Sempre ebbro di luppolo alieno
sebbene corretto di mitto sospetti,
costretto, tenero, il petto scateno
belga, mi frantumasti i cosiddetti.

Seco recando numero atomico
domina l’aere nobil profumo
divino rigoglio, dono di villico
sempre diletta Gioddano, non bruno.

Bucolico tramonto tergo al colle
d’ombre la novella reco amaro
per l’orme pastorali sorte volle
alcun squagliò la targa: via Vaccaro.

Poichè giammai s’intende come auspicio
pei diluvi del maltempo che sarà,
speme a liquefarsi il mio artificio,
maledico: sciolto bello sciolto fra’.

luppolo alieno= birra UFO
cosiddetti= maroni, palle
numero atomico, nobil profumo= il poeta si riferisce ad Elio, gestore della birreria
divino rigoglio= cannabis
dono di villico= il Sommo si riferisce a P. Villa, un noto fattone
Gioddano= L.Luise, un altro noto fattone
squagliò= espressione gergale per indicare lo sbarazzarsi di possedimenti propri per comperare la droga sostanze stupefacenti
sciolto bello sciolto fra’= espressione gergale per “rilassato bello, rilassato fratello”

 

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