La competizione più dura

postato il 2 Ago 2011 in Main thread
da Vobby

Quello che giova al nimico nuoce a te, quello che giova a te nuoce al nimico.[Niccolò Machiavelli, Dell’arte della guerra]

Dei primi due uomini a entrare in competizione, uno è stato ucciso.
Dei primi due gruppi umani a entrare in competizione, uno è stato in parte distrutto e in parte schiavizzato.
E se non i primi i secondi, perchè la guerra è un fenomeno più antico dell’agricoltura.

La guerra, “l’uso illimitato della forza bruta”, ha sempre accompagnato l’uomo durante il corso delle ultime migliaia di anni. Da quando la storia ha avuto inizio, almeno un gruppo di Homo sapiens ha vissuto in stato di guerra con un altro. Anche considerando realtà geograficamente circoscritte si osserva che dove c’è indipendenza di diverse realtà e gruppi politici, c’è guerra, non importa quanto sia ridotto l’ambiente considerato: perfino l’isola di Pasqua ha conosciuto una serie di guerre devastanti*, che ridussero una società relativamente progredita e organizzata in classi e in diverse e autonome entità statuali all’insieme di poche migliaia di raccoglitori e cacciatori di ratti che entrarono in contatto con gli europei.
Allo spettro della guerra non si sfugge in alcun modo: le feste in onore di Zeus Olimpio celebrate nella Grecia antica sembrano prestarsi immediatamente come dimostrazione di quanto detto: esse costituivano un periodo di pace obbligatoria, durante la quale nessun greco poteva permettersi di compiere atti di guerra; ma in cosa si risolvevano, se non nell’esaltazione della guerra stessa? Corsa, corsa con armi, lancio del giavellotto, corsa dei carri, lotta, pugilato, pancrazio… queste competizioni semplicemente riproducono singoli aspetti del conflitto armato, descrivono la competizione sportiva come uso “limitato” della forza bruta. Eventi analoghi si verificarono nel Medioevo, durante il quale i rappresentanti della nobiltà, se non erano impegnati a cavalcare armati su territori altrui, impiegavano gran parte del loro tempo partecipando a tornei.
Quindi: il fatto che gli esseri umani, da quando ha avuto inizio la cosiddetta “civiltà”, non siano mai riusciti a vivere completamente in pace può dirci qualcosa sulla natura umana? Ma anche: non ci dice qualcosa sulla nostra natura il fatto che pur vivendo in tempi e luoghi pacifici non riusciamo a liberarci del bisogno di dare sfogo, almeno sublimandolo, a un nostro pressante bisogno di competere e quindi di guerreggiare?
No. Difficile anche solo dire che esista, una natura umana. Tutto ciò, piuttosto, ci dice qualcosa sulla civiltà.

Alcuni dicono la cosa più bella, sulla nera terra, sia un’armata di cavalieri. Altri dicono di fanti, altri di navi. Per me invece, è ciò che si ama [Saffo, frammento 16]

Il concetto stesso di civiltà è inscindibile da quelli di competizione, sopraffazione e guerra. Proviamo a dimostrarlo.
Quando comincia la civiltà, e quindi la storia? Nel momento in cui l’Homo sapiens diede vita ai primi gruppi gerarchicamente organizzati, oserei dire. Anche quel che si impara in prima elementare sembra conciliarsi con questa affermazione: dire che la storia inizia con l’avvento della scrittura vuol dire che la prima civiltà storica era caratterizzata dall’esistenza di una classe (scribi, sacerdoti, nobili o direttamente sovrani, a seconda dei casi) dedicata alla produzione e al mantenimento della cultura, e ciò testimonia l’esistenza di un meccanismo statuale o pre-statuale in virtù del quale una classe era nutrita dal surplus alimentare prodotto da una differente classe di lavoratori manuali, perlopiù agricoltori. La necessaria presenza di tale meccanismo porta ad un’affermazione forse più vaga, ma più sicura: la civiltà nasce insieme con l’attività politica. Questo è interessante, in quanto la definizione di politica oggi più largamente accettata è la seguente: “l’insieme di attività, svolte da uno o più soggetti individuali o collettivi, caratterizzate da comando, potere e conflitto, ma anche da partecipazione, cooperazione e consenso, inerenti al funzionamento della collettività umana alla quale compete la responsabilità primaria del controllo della violenza e della divisione al suo di costi e benefici, materiali e non”. Lungo. Mi sento di tradurla così: politica è l’attività di chi si contende, detiene e utilizza il controllo della forza su di una collettività (all’origine della politica il fatto che essa oggi si componga di elementi consensuali e culturali conta poco).
Parlando del passaggio dalla preistoria alla storia, la civiltà appare essere così il risultato della schiavizzazione di massa da parte di alcuni esseri umani, detentori e cioè utilizzatori della violenza, su di altri. Civiltà come figlia di un atto di guerra con il quale da una società (naturale?) egualitaria di cacciatori e raccoglitori si passò a una società gerarchizzata avente come caratteristiche minime una classe lavoratrice più o meno soggiogata e una militare, mantenuta dal lavoro altrui.
La civiltà si delinea così, almeno ai suoi albori, come una situazione assolutamente svantaggiosa per la maggior parte degli esseri umani, ma la sua diffusione si spiega facilmente: una civiltà, cioè una società gerarchizzata, è militarmente più efficiente di una egualitaria, poiché in quest’ultima non esistono militari-nobili nutriti dal surplus alimentare dei produttori. Esiste un modo famoso e suggestivo per sintetizzare quanto scritto finora:

:Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire questo è mio e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardate dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti! [Rousseau, discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini]

La differenza fra la mia tesi e quella del caro Jean Jacques sta in questo: io non credo che il fondatore della civiltà fosse circondato di stupidi, credo che fosse armato. Vuoi per bisogno, paura o malvagità, un uomo volle per sé ciò che fino al giorno prima tutti potevano avere. Entrò così, primo fra tutti, in competizione con il prossimo, e vinse con la forza. Una forza bruta illimitata, quindi un atto di guerra. O, più pobabilmente, furono in molti ad armarsi: si fecero militari e divennero nobili. La sostanza è la stessa: all’origine, civiltà, politica e guerra sono un tutt’uno: si ebbe civiltà con un atto di guerra che fu anche il primo atto politico.
Nonostante la guerra sia spesso descritta come frutto di barbarie, essa si origina sempre nel cuore stesso della civiltà contemporanea, nell’economia e nel suo rapporto con la politica.

La parentesi sportiva merita di essere ampliata. E’ vero che lo sport oltre che di sfida e violenza (sublimata e regolata) si compone di elementi quali il rispetto repricoco, la lealtà, una sorta di cameratismo e fraternità che si sviluppa con i compagni di allenamento e perfino (soprattutto) con gli avversari. Questo non cambia la sua natura: stando ai giochi olimpici, lo sport nasce come attività esclusiva dei nobili volta a dar prova delle loro virtù militari all’infuori di un vero e proprio scontro bellico. I primi sportivi sono guerrieri nati che giocano alla guerra. La sportività, che si compone degli elementi positivi sopra elencati, non è altro che l’evoluzione del codice nobiliare che i guerrieri antichi e medievali osservavano perfino sul vero campo di battaglia. Come negare la sportività del duello fra Ettore e Aiace? L’ovvia differenza è che in guerra la forza non è limitata da regolamenti o armi spuntate. E’ un discrimine fondamentale, ma è l’unico.

*Ho scoperto da poco un fatto interessante: la maggior parte degli idoli di pietra che si possono osservare oggi sull’isola sono frutto di restauri: i re in lotta fra loro, vinta la battaglia decisiva, ordinavano la distruzione della statua raffigurante il rivale sconfitto, per affermare la propria supremazia. Prima che la roccia vulcanica presente sull’isola si esaurisse, si esaurirono gli alberi che fornivano il legname per le cave. Quindi gli idoli non poterono più essere costruiti, e i sovrani, non potendo altrimenti soddisfare la propria sete di prestigio e la loro vanità, presero a distruggere gli idoli altrui. Forse il peggior fallimento delle società gerarchizzate nella storia (il peggior fallimento della storia punto, quindi): i soldati prima schiavizzarono i popolani, poi si fecero nobili e sacerdoti vantando contatti con le divinità, grazie ai quali potevano garantire la prosperità del raccolto. Poi usarono il loro potere per costruirsi delle statue, distruggendo la vegetazione dell’isola e il suo ecosistema, infrangendo quindi la promessa del raccolto. Fatto ciò, pensarono bene di completare l’opera trascinando i diversi Stati dell’isola in una guerra totale.

Carl von Clausewitz

postato il 1 Mag 2011 in Main thread
da Vobby

Posto in cazzi e mazzi personali perchè sono in ritardo.

A prima vista questo piccolo borghese prussiano, a parte vivere in un’epoca piuttosto turbolenta partecipando ad un paio di guerre importanti, non ha fatto granché.

Nasce nel 1780, figlio di uno dei pochissimi ufficiali prussiani non nobili. A dodici anni segue già le orme del padre, ed entra nell’esercito. Come era normale per il figlio di un ufficiale (ma in generale, era abbastanza normale per chiunque non fosse un servo della gleba arruolato a forza), a 14 anni diventa ufficiale a sua volta, per il momento di basso rango.
La sua carriera compie un vero balzo in avanti nel 1806, quando il giovanotto conosce il generale Scharnorst il quale, colpito dalla sua intelligenza, si fa suo protettore e lo introduce a corte.
Peccato che quello stesso anno lui abbia partecipato alla fallimentare battaglia di Jena, contro l’esercito napoleonico; viene catturato e fatto prigioniero, per essere liberato solo dopo la pace di Tilsit del 1807.
Lui, Scharnorst e altri della sua cerchia sono accomunati da un fervente patriottismo, sentimento piuttosto raro nella prussia che si era felicemente lasciata stringere dalle catene francesi. Oltre che un generale, Scharnorst é un politico, e in questo periodo riveste importanti cariche dell’amministrazione militare (dopo pochi anni sarebbe diventato ministro della guerra, cioè capo di un ministero da lui ideato e creato); il suo principale obiettivo politico è quello di riformare l’esercito, introducendo il servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini di ogni classe, introducendo criteri meritocratici per la scelta degli ufficiali (fino ad ora i nobili prussiani erano ufficiali per diritto di nascita e amicizia del re) e, coerentemente con ciò, si adopera per istituire scuole militari che potessero formare un corpo ufficiali formato da professionisti, che avessero una formazione di tipo scientifico sulle questioni militari, concetto completamente nuovo in Europa, almeno dalla scomparsa dell’esercito romano in poi. Compito di questo esercito sarebbe stato quello di ricucire i rapporti fra forze armate e società civile, e in questo modo battere Napoleone. Ovviamente fu ostacolato dall’inerzia e dal carattere timoroso del re ( il ridicolissimo Federico Guglielmo III), e dagli aristocratici, vittime di una concezione medievale della guerra, che non avevano nessuna intenzione di rinunciare alle loro prerogative in campo militare. In breve, riuscì nel suo intento e Napoleone venne sconfitto.
Anche Clausewitz ebbe il suo ruolo nella vittoria sull’imperatore francese: si arruolò nell’esercito russo nel 1812, esprimendo la sua opposizione alla linea filofrancese che la Prussia seguiva dal 1807, e partecipò ai negoziati fra le potenze conservatrici che spinsero il suo paese ad abbandonare la coalizione napoleonica. Tornato nell’esercito prussiano, partecipa alla grande battaglia di Lipsia del 1813 e a tutta la relativa campagna ed ebbe l’onore di combattere anche la definitiva battaglia di Waterloo del 1815.
Fu promosso generale nel 1818, e divenne poi direttore dell’accademia militare di Berlino.
Muore nel 1831 in Polonia, dove era arruolato come capo di stato maggiore, ucciso dall’epidemia di colera che fu fatale anche per Hegel.
Un ultimo onore, quello di morire insieme a una delle più celebri menti della Prussia e della storia.
Fine? No, ora viene la parte interessante!
Se non lo conoscevate prima di questo post, vi starete chiedendo perchè io ne stia parlando. C’è tanta gente più fica e importante, specialmente fra i condottieri militari.
Acnhe se non lo conoscete, avete probabilmente letto o sentito frasi come :”La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, “la guerra ha una sua grammatica, non una sua logica” o “La guerra è l’impiego illimitato della forza bruta”.
Queste frasi così fiche non sono state semplicemente pronunciate in momenti di particolare ispirazione, bensì furono scritte nel libro, pubblicato ancora incompleto dalla moglie negli anni ’30, che prende il nome di “vom Kriege”, della guerra. Questo saggio è probabilmente il più importante mai scritto nel campo militare, oltre ad essere praticamente unico nel suo genere, almeno nell’europa del tempo.
Tutti gli stati europei hanno contribuito a modo loro all’arricchimento della cultura occidentale, e alla Prussia va il merito di aver inventato l’esercito professionale. Tale innovazione, che assorbe in sé lo studio scientifico della guerre e la subordinazione di questa alla politica, è di una portata simile, per quanto riguarda l’ambito della scienza militare, a quella del Principe di Machiavelli per quanto riguarda la scienza politica: la fonda. Clausewitz stesso è un ammiratore di Machiavelli, e un suo attento lettore. Ma più che dal Principe, la sua convinzione della necessità di costituire un esercito autenticamente nazionale, formato da cittadini e non da mercenari è mediata dall’esperienza delle guerre napoleoniche.
Più che il contenuto del libro, è bene descrivere il suo significato, il suo messaggio alla storia: la guerra non è un’arta, è una scienza. Gli aristocratici, prima e dopo la rivoluzione, continueranno a concepire la guerra come un’attività dello spirito, come frutto di abilità innate di una certa classe, selezionata dalla storia per dominare sulle altre. A concepire l’attività militare come appannaggio della nobiltà. Concezione feudale. Clausewitz trasporta la guerra sotto il governo della ragione, sostituisce l’ideale del guerriero coraggioso con quello dell’ufficiale disciplinato, il cavaliere con lo stratega, l’arte con la cultura.
Rende la guerra una scienza positiva.
Tutto questo meriterebbe una trattazione molto più approfondita, cosa che infatti sto facendo nella tesina, che sfortunatamente non è ancora conclusa… per cui saluti a tutti, e scusate il ritardo.

 

Fatal error: Class 'AV\Telemetry\Error_Handler' not found in /membri/.dummy/apps/wordpress/wp-content/plugins/altervista/early.php on line 188