Freeronin deve combattere

postato il 3 Mar 2012 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

Il titolo del post dice tutto. Ho semplicemente deciso di dare rilevanza pubblica a una vecchia disputa riguardante me e la mia amica. Siamo tutti d’accordo sul fatto che sia velocissima, alteticissima, che il suo personaggio in un certo senso, ormai, richieda che lei continui a correre. Eppure io, che con lei ci ho lottato tante volte, credo di conoscere perfino meglio di lei il suo potenziale e so che deve combattere. E’ compito di ogni essere umano arrivare fino al limite delle proprie possibilità ma lei, nonostante la sua acuta intelligenza, persiste in un atteggiamento di ottusa ostinazione che le impedisce anche solo di provare ad allargare i suoi orizzonti sportivi. In questo momento ho addosso i lividi che mi sono stati inflitti da una piccoletta, in palestra, qualche ora fa. Nei suoi occhi, nella sua concentrata, sofferta ma combattiva espressione ho visto chiaramente Freeronin (notando questa cosa mi sono distratto, venendo ulteriormente percosso).
So, lo sappiamo tutti, che lei picchierebbe molto più forte di chiunque altra. Perciò visto che da solo non ci riesco, smuoviamola insieme, e incitiamola tutti! Freeronin, combatti!

La competizione più dura

postato il 2 Ago 2011 in Main thread
da Vobby

Quello che giova al nimico nuoce a te, quello che giova a te nuoce al nimico.[Niccolò Machiavelli, Dell’arte della guerra]

Dei primi due uomini a entrare in competizione, uno è stato ucciso.
Dei primi due gruppi umani a entrare in competizione, uno è stato in parte distrutto e in parte schiavizzato.
E se non i primi i secondi, perchè la guerra è un fenomeno più antico dell’agricoltura.

La guerra, “l’uso illimitato della forza bruta”, ha sempre accompagnato l’uomo durante il corso delle ultime migliaia di anni. Da quando la storia ha avuto inizio, almeno un gruppo di Homo sapiens ha vissuto in stato di guerra con un altro. Anche considerando realtà geograficamente circoscritte si osserva che dove c’è indipendenza di diverse realtà e gruppi politici, c’è guerra, non importa quanto sia ridotto l’ambiente considerato: perfino l’isola di Pasqua ha conosciuto una serie di guerre devastanti*, che ridussero una società relativamente progredita e organizzata in classi e in diverse e autonome entità statuali all’insieme di poche migliaia di raccoglitori e cacciatori di ratti che entrarono in contatto con gli europei.
Allo spettro della guerra non si sfugge in alcun modo: le feste in onore di Zeus Olimpio celebrate nella Grecia antica sembrano prestarsi immediatamente come dimostrazione di quanto detto: esse costituivano un periodo di pace obbligatoria, durante la quale nessun greco poteva permettersi di compiere atti di guerra; ma in cosa si risolvevano, se non nell’esaltazione della guerra stessa? Corsa, corsa con armi, lancio del giavellotto, corsa dei carri, lotta, pugilato, pancrazio… queste competizioni semplicemente riproducono singoli aspetti del conflitto armato, descrivono la competizione sportiva come uso “limitato” della forza bruta. Eventi analoghi si verificarono nel Medioevo, durante il quale i rappresentanti della nobiltà, se non erano impegnati a cavalcare armati su territori altrui, impiegavano gran parte del loro tempo partecipando a tornei.
Quindi: il fatto che gli esseri umani, da quando ha avuto inizio la cosiddetta “civiltà”, non siano mai riusciti a vivere completamente in pace può dirci qualcosa sulla natura umana? Ma anche: non ci dice qualcosa sulla nostra natura il fatto che pur vivendo in tempi e luoghi pacifici non riusciamo a liberarci del bisogno di dare sfogo, almeno sublimandolo, a un nostro pressante bisogno di competere e quindi di guerreggiare?
No. Difficile anche solo dire che esista, una natura umana. Tutto ciò, piuttosto, ci dice qualcosa sulla civiltà.

Alcuni dicono la cosa più bella, sulla nera terra, sia un’armata di cavalieri. Altri dicono di fanti, altri di navi. Per me invece, è ciò che si ama [Saffo, frammento 16]

Il concetto stesso di civiltà è inscindibile da quelli di competizione, sopraffazione e guerra. Proviamo a dimostrarlo.
Quando comincia la civiltà, e quindi la storia? Nel momento in cui l’Homo sapiens diede vita ai primi gruppi gerarchicamente organizzati, oserei dire. Anche quel che si impara in prima elementare sembra conciliarsi con questa affermazione: dire che la storia inizia con l’avvento della scrittura vuol dire che la prima civiltà storica era caratterizzata dall’esistenza di una classe (scribi, sacerdoti, nobili o direttamente sovrani, a seconda dei casi) dedicata alla produzione e al mantenimento della cultura, e ciò testimonia l’esistenza di un meccanismo statuale o pre-statuale in virtù del quale una classe era nutrita dal surplus alimentare prodotto da una differente classe di lavoratori manuali, perlopiù agricoltori. La necessaria presenza di tale meccanismo porta ad un’affermazione forse più vaga, ma più sicura: la civiltà nasce insieme con l’attività politica. Questo è interessante, in quanto la definizione di politica oggi più largamente accettata è la seguente: “l’insieme di attività, svolte da uno o più soggetti individuali o collettivi, caratterizzate da comando, potere e conflitto, ma anche da partecipazione, cooperazione e consenso, inerenti al funzionamento della collettività umana alla quale compete la responsabilità primaria del controllo della violenza e della divisione al suo di costi e benefici, materiali e non”. Lungo. Mi sento di tradurla così: politica è l’attività di chi si contende, detiene e utilizza il controllo della forza su di una collettività (all’origine della politica il fatto che essa oggi si componga di elementi consensuali e culturali conta poco).
Parlando del passaggio dalla preistoria alla storia, la civiltà appare essere così il risultato della schiavizzazione di massa da parte di alcuni esseri umani, detentori e cioè utilizzatori della violenza, su di altri. Civiltà come figlia di un atto di guerra con il quale da una società (naturale?) egualitaria di cacciatori e raccoglitori si passò a una società gerarchizzata avente come caratteristiche minime una classe lavoratrice più o meno soggiogata e una militare, mantenuta dal lavoro altrui.
La civiltà si delinea così, almeno ai suoi albori, come una situazione assolutamente svantaggiosa per la maggior parte degli esseri umani, ma la sua diffusione si spiega facilmente: una civiltà, cioè una società gerarchizzata, è militarmente più efficiente di una egualitaria, poiché in quest’ultima non esistono militari-nobili nutriti dal surplus alimentare dei produttori. Esiste un modo famoso e suggestivo per sintetizzare quanto scritto finora:

:Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire questo è mio e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardate dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti! [Rousseau, discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini]

La differenza fra la mia tesi e quella del caro Jean Jacques sta in questo: io non credo che il fondatore della civiltà fosse circondato di stupidi, credo che fosse armato. Vuoi per bisogno, paura o malvagità, un uomo volle per sé ciò che fino al giorno prima tutti potevano avere. Entrò così, primo fra tutti, in competizione con il prossimo, e vinse con la forza. Una forza bruta illimitata, quindi un atto di guerra. O, più pobabilmente, furono in molti ad armarsi: si fecero militari e divennero nobili. La sostanza è la stessa: all’origine, civiltà, politica e guerra sono un tutt’uno: si ebbe civiltà con un atto di guerra che fu anche il primo atto politico.
Nonostante la guerra sia spesso descritta come frutto di barbarie, essa si origina sempre nel cuore stesso della civiltà contemporanea, nell’economia e nel suo rapporto con la politica.

La parentesi sportiva merita di essere ampliata. E’ vero che lo sport oltre che di sfida e violenza (sublimata e regolata) si compone di elementi quali il rispetto repricoco, la lealtà, una sorta di cameratismo e fraternità che si sviluppa con i compagni di allenamento e perfino (soprattutto) con gli avversari. Questo non cambia la sua natura: stando ai giochi olimpici, lo sport nasce come attività esclusiva dei nobili volta a dar prova delle loro virtù militari all’infuori di un vero e proprio scontro bellico. I primi sportivi sono guerrieri nati che giocano alla guerra. La sportività, che si compone degli elementi positivi sopra elencati, non è altro che l’evoluzione del codice nobiliare che i guerrieri antichi e medievali osservavano perfino sul vero campo di battaglia. Come negare la sportività del duello fra Ettore e Aiace? L’ovvia differenza è che in guerra la forza non è limitata da regolamenti o armi spuntate. E’ un discrimine fondamentale, ma è l’unico.

*Ho scoperto da poco un fatto interessante: la maggior parte degli idoli di pietra che si possono osservare oggi sull’isola sono frutto di restauri: i re in lotta fra loro, vinta la battaglia decisiva, ordinavano la distruzione della statua raffigurante il rivale sconfitto, per affermare la propria supremazia. Prima che la roccia vulcanica presente sull’isola si esaurisse, si esaurirono gli alberi che fornivano il legname per le cave. Quindi gli idoli non poterono più essere costruiti, e i sovrani, non potendo altrimenti soddisfare la propria sete di prestigio e la loro vanità, presero a distruggere gli idoli altrui. Forse il peggior fallimento delle società gerarchizzate nella storia (il peggior fallimento della storia punto, quindi): i soldati prima schiavizzarono i popolani, poi si fecero nobili e sacerdoti vantando contatti con le divinità, grazie ai quali potevano garantire la prosperità del raccolto. Poi usarono il loro potere per costruirsi delle statue, distruggendo la vegetazione dell’isola e il suo ecosistema, infrangendo quindi la promessa del raccolto. Fatto ciò, pensarono bene di completare l’opera trascinando i diversi Stati dell’isola in una guerra totale.

Vamina non è brava nella corsa e perde gli autobus.

postato il 22 Lug 2011 in Main thread
da VaMina

Vamina potrebbe parlare anche di cose interessanti, riguardo alla competizione, come Aiace che diventa folle perché gli viene preferito Ulisse come erede delle armi di Achille, come il fatto che nei testi greci viene esaltato il valore di un uomo indicandolo come “vincitore di gare”, come il curioso costume dei Sanniti, tra i quali si selezionavano i dieci giovani e le dieci fanciulle migliori, e la prima andava in sposa al primo, la seconda al secondo, e così via. Tutte cose interessanti, ma Vamina parlerà di sé.
Prima cosa perché Vamina è un’inguaribile egocentrica, poi perché è incredibilmente più semplice che parlare di Aiace, anche se interessa di più perfino me. In ultima analisi sono una persona ostinata, e mi sono ostinata a fare del blog la succursale del mio psicologo, allo stesso modo in cui mi ostino a indossare i costumi di mio padre come pantaloncini per andare a mare, nonostante mi diano un aspetto poco rassicurante*. Dunque, cosa c’è da dire su Vamina e la competizione?
Io, davvero, odio la competizione. Sempre odiata. Quando ero piccola facevo nuoto e mi rifiutai di fare le gare, essendomi già chiaro allora che non poteva andarmi bene in nessun caso: se arrivo prima, sento comunque di non meritarlo più degli altri, mi sento in colpa e mi dispiace per loro; se arrivo ultima, mi dispiace per me; se conquisto un posto diciamo centrale, o sono salva dalle paranoie, oppure si uniscono tutte insieme in un miscuglio mortale e implodo.
Ai giochi da tavolo io perdevo sempre. Mia madre però aveva fatto tanto un buon lavoro nel suo lavaggio del cervello stile “vincere non è importante”, che perdevo con impressionante disinvoltura, per essere una bambina. Il problema a quel punto sorgeva nella circostanza di una mia vittoria. Quanto bisogna esaltarsi? Bisogna mostrarsi dispiaciuti o sembra che stai prendendo per il culo l’avversario? Bisogna complimentarsi con lui per la bravura? Ma se è tipo UNO**, ha senso complimentarsi? Questi e molti dilemmi mi si ponevano.
Ricordo con orrore una volta che una mia amichetta mi diede la sua catena portafortuna mentre giocavamo al Gioco dell’Oca. Io, da brava bambina scettica, l’avevo accettata con poca convinzione, forse solo per la bizzarra passione per le catene che mi ha portata ad essere, a 14 anni, un negozio di ferramenta ambulante. Bando alle ciance, vinsi. A questo punto ci fu una scena alla Shining con lei che gridava che era merito della catena e che cercava di strapparmela di dosso. Forse non posso darle torto, una mia vincita equivaleva all’allineamento dei pianeti. Era la prima volta che vincevo. O forse ricordo solo quella perché estremamente traumatica. Adesso però vinco, tipo a Risiko, abbastanza spesso. Però non ho ancora capito come si vince, quindi in genere mi lascio andare a inopportune manifestazioni di gaudio tipo trionfo di Augusto a Roma.
Passiamo oltre la parentesi sport, attività competitiva per eccellenza, dato che più che sembrare un sacco di patate o un elefante, sembro un sacco di elefanti che rotola.
Il peggio, se parliamo di competizione, è il parentame. Basta che ci sia un tuo coetaneo in famiglia, solo uno, e ogni occasione, festiva e non, si trasforma in una sorta di mostra canina. E non sulle cose positive, eh. Tutt’oggi mia zia fa a gara a chi tra me e mia cugina è più sfortunato con i professori o chi si ammazza di più all’università. Posso fare anche Storiagrecoromanaconarcheologiaapplicataeconseguaenteanalisipaleografica, mia cugina farà Storiagrecoromanaconarcheologiaapplicataeconseguaenteanalisipaleograficaunitaadastrofisicaeanalisimatematica (fa qualcosa sul giornalismo, n.b.). Io studio su cinque libri? Lei su sei. Mia madre se la prende un sacco.
In tutto ciò noi ci vogliamo bene, giuro.
Vado a trovare i professori del liceo e loro “Ma Bla Chacha era meglio di te”. Ma io vi buco le ruote.
Il mio psicologo mi propina lunghi discorsi sul fatto che questo è un problema mio, che non devo considerarmi in competizione, che devo fregarmene degli altri. Io mangio la foglia perché ci credo.
Cioè, sono convinta che lui abbia ragione, ma resta in me l’idea segreta e paranoica che c’è qualcuno in uno studio oscuro e preferibilmente dentro una caverna alla Batman, che conserva delle cartellette con i miei voti, divisi per discipline. Maledetti bastardi.

P.s. Dichiaro il post in questione fuori gara, per cui se sarò l’unica a postare, non vincerò per abbandono.

*Leggi: sembra che abbia il pacco.
**Se esce che qualcuno è BRAVO a giocare ad Uno, semplicemente gli alieni arrivano sulla terra per ballare il Limbo.

 

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