Philadelphia-L.A., sola andata.

postato il 9 Dic 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

 

 

 

Non ho mai avuto una vita “normale”. La mia vita è sempre stata dura, sporca, violenta e immorale. Ma almeno era la mia, e il diavolo sa se volevo che finisse a gambe all’aria, capovolta per sempre.

Sono cresciuto a West Philadelphia, nei sobborghi. Allora non ce ne fregava molto di studiare o lavorare per fuggire di lì, non avevamo idea dello schifo a cui andavamo incontro. Così passavo le mie giornate a bighellonare per strada, giocando con la palla. Qualche sera, se riuscivamo a non farci vedere, ci intrufolavamo nel cinema a vedere qualche pulp o qualche poliziesco. Dev’essere così che mi è venuta voglia di entrare in polizia… avessi saputo lo schifo che mi aspettava, avessi saputo che non sarebbe stato come nei film con Bogart, forse ci avrei pensato due volte.

Ma non si può dire che io non abbia fatto il mio sporco lavoro, diamine, questo no. Anzi, forse l’ho fatto anche troppo, a giudicare da com’è andata a finire la mia ultima indagine.

Inizia come tutte le notti, con un whisky e una paglia a casa, ascoltando la radio. Poi giù, via. Stavolta è al campetto da basket, quello fra la 15esima e Madison. Arrivo di soppiatto, e mi trovo davanti quello che aspettavo: la banda di Soapy ha un appuntamento importante, e io lo sapevo: le informazioni nelle bettole costano alcol e sangue, ma sono affidabili, e io so procurarmele.

E’ un incontro discreto: da lontano vedo solo Soapy, un paio di sgherri, e altri tre uomini che mi danno le spalle. So che si vedono qui perché è territorio neutrale per tutte le gang, ma non so chi siano gli altri. E continuo a non saperlo: avvicinandomi mi sono buttato dietro un cassonetto, e non vedo un beneamato. Però sento. Sento che si accordano per qualcosa di grosso: una partita di droga dal Medio-Oriente, pronta a inzozzare le strade per benevola interecessione di qualche testa di cazzo dell’esercito che ha ben pensando di arrotondare spacciando roba dall’Afghanistan. Vendendo questa roba quei segaioli di Soapy e dei suoi faranno un bel salto di qualità. Complimenti. Cerco di capire luogo ed ora, voglio essere lì ad aspettarli con qualche amico. Quello che invece non mi aspettavo, è una botta fortissima giusto dietro la nuca.

E’ quello che ricevo.

Forse sono stato un coglione a non immaginare che ci fosse qualcuno che controllava la zona, o forse no. Non ho il tempo di chiedermelo: ho giusto il tempo di vedere il bestione nero che mi ha offerto il primo giro, e poi me ne regala un altro dritto sul muso mentre chiama gli altri, e io smetto di vedere e capire. Sento solo l’asfalto ruvido e sozzo grattarmi la faccia, e rumore di pistole e coltelli sguainati. Urlano, mi vogliono fare secco. Cerco di rialzarmi, ma ricevo un calcio in pancia. Sputo sangue sul trench e sulle scarpe. Poi sento una voce, dice che ci devono andare piano, dice di darmi una lezione ma di non farmi tirare le cuoia, perché hanno bisogno di discrezione. Dev’essere l’altro stronzo, lo sconosciuto che ancora non riesco a vedere, e mi ha appena salvato la vita. Non mi salva dalla lezione: mi pestano di brutto per venti minuti, credo mi minaccino di mandarmi al Creatore, ma io ormai sono per metà da Belzebù, e neanche capisco quello che dicono. Alla fine qualcuno mi solleva sopra la testa, mi fa fare un paio di giri in aria e mi lancia contro il cassonetto. Urlano qualche altra cosa e se ne vanno, lasciandomi lì, ricoperto di sangue e sputi.

Non le ho mai prese così, mai.

“William, hai tirato troppo la corda”, mi dice il commissario qualche ora dopo “Alla prossima cazzata che fai, qualcuno ti ammazza. Vattene. Cambia città, ti possiamo trovare un posto. Ricomincia.” E se io fuggo con la coda fra le gambe, chi lo finisce il fottuto lavoro, qui? Forse lui o quei damerini culi lardosi della procura/qualche? Glielo dico, ma lui mi ignora. “Da cadavere non servirai per un cazzo. Non fare lo stronzo: c’è un distretto a Los Angeles, hanno bisogno di uomini. Aspettano solo te”. A quel punto, mi insospettisco, e iniziano a girarmi. So bene che chi fa onestamente il suo mestiere in polizia non va a genio molti politici con le mani immerse nel miele fino ai gemelli d’oro. Gli faccio: “Ma che premuroso. Non è che invece ho rotto le palle una volta di troppo a qualche alto papavero degli amici tuoi? Che mi dici, caro il mio commissario in carriera del cazzo?.”

Forse ho centrato il bersaglio. O forse gli ho dato del corrotto ingiustamente. Comunque sia, mi guarda male e mi dice di avere rispetto per chi vuole il mio bene, di levarmi dai coglioni prima che cambi idea e smetta di cercare di salvarmi la pelle, puttanate del genere. Dice che non ho scelta, che se non vado via mi sbatte a dirigere il traffico fin quando qualche sgherro non mi trova e non mi fa fuori sul posto. Francamente non lo ascolto. Probabilmente lui non c’entra niente, lo conosco da vent’anni e in fondo è un poliziotto onesto. Però sa, e ormai l’ho capito anche io, che questa volta ho pesato i piedi al figlio di puttana sbagliato, e rischio di compromettere, oltre al mio culo, anche il mio lavoro. Meglio non insistere.

Accendo la paglia, e capisco che è meglio sgommare.

Non lascio molto, qui a Philadelphia . Parenti non ne ho, e con gli amici di un tempo ho perso i contatti.  Con quelli che non si è portati via l’alcol, la droga, la mafia o il glorioso esercito degli Stati Uniti d’America, intendo. Al lavoro, non sono mai andato a genio a molti. Poco male,neanche loro andavano a genio a me. Un’ultima sbronza con i derelitti da  Franky’s, e sono pronto. Non saluto Charlene ,e probabilmente è meglio così anche per lei. In fondo, per me il lavoro era tutto, e se a Philadelphia per me non ce n’è più, tanto vale andare, e arrivederci a questa fogna senza troppi rimpianti. Non sono un sentimentale. Forse s’era capito.

Il problema è che io nella fogna ci sguazzavo a meraviglia. Sono nato lì, cresciuto lì, è lì che ho preso i primi pugni sul muso, ed è in quei vicoli che ho imparato a rispondere a ginocchiate nelle palle. Philadelphia, almeno la mia Philadelphia, è un posto di merda, chiariamo. Lurido, violento, insensibile. Ma non ha pretese di essere meglio di quanto non sia. Ed io sono fatto per lei, almeno quanto lei è fatta per me. Neanche io sono un tipino raccomandabile, ma non mi sono mai creduto diverso. Los Angeles, invece, è bugiarda. In mezzo ai lustrini, alle luci e alle feste, strisciano il crimine e la corruzione in tutte le loro forme. Con crimine e corruzione ci so fare, con i lustrini e le feste no. Odio gli ipocriti, e LA è probabilmente la città più ipocrita del mondo. Ci sono film di Hollywood molto più veri di Los Angeles.

Salgo in aereo e realizzo che, non so perché, ma mi hanno messo in prima classe. Facce belle, abbronzate e vuote; credo sia un’anteprima di quello che mi aspetta. Mi servono aranciata in bicchieri di cristallo, chiedo all’hostess se  posso avere un po’ di whisky in bicchiere di plastica, e le rido in faccia quando per un bicchiere mi chiede il prezzo di due bottiglie della riserva di Franky. Sarà orribile.

Uscito dall’aereoporto chiamo un taxi, e mi avvio sotto il dannatissimo sole della California verso la mia nuova vita, e guardando la città dal finestrino mi ricordo che L.A. e Hollywood non sono la stessa cosa. L.A. è anche ghetti di ispanici, gang di strada, droga nei parchi per bambini, miseria. Questo potrei gestirlo, è roba mia. Neanche il tempo di finire la paglia, e mi rendo conto che la cosa non mi riguarda: io non vado a Compton, non vado a Venice. Quando inizio a vedere i cancelli delle ville e i giardini vorrei dirgli di fermarsi, che questo non è il mio posto e sta sbagliando. Probabilmente mi prenderebbe per pazzo.  In fondo mi ricordo di averglielo detto proprio io entrando in auto:

“Portami a Bel-Air.”

E non conta quanto dello sciacquabudella infimo che ho nella fiaschetta dovrò mandare giù per sopportare l’idea. Gli dico l’indirizzo esatto, e lui mi ci porta. “Che sventola di commissariato”, penso mentre accendo l’ennesima paglia di una giornata che sta iniziando a sapere troppo di catrame persino per le mie abitudini. Il palazzo è pulito, sistemato, tranquillo; nessun via vai di teppisti in manette e volanti a sirene spiegate. Il mio commissariato puzzava di vecchio, di sigaro, di caffè. Questo odora di disinfettante. Bè, ormai che sono in pista, meglio ballare, e cercare di farci l’abitudine. Willy Smith, ispettore, distretto di Bel-Air. Suona strano.

 

Ualà

 

 

 

 

 

 

Compilation random: canzoni che mi fanno mangiare il cazzo.

postato il 8 Nov 2012 in Cazzi e mazzi personali, Il rubricone musicone rotolone
da Deluded Wiseman

Come un elenco telefonico in quei programmi strani con uomini nerboruti che stabiliscono record improbabili, il mondo si divide in due categorie. Non cascherò nel facile gioco delle citazioni Leoniane, ma andrò dritto al punto.

“Il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica, e chi scava. Tu scavi.”

Chè, ci credevate pèdavvero?

No, sul serio. Sapete quali sono le due categorie di persona davvero rilevanti?

Quelli che cercano le scalette dei concerti venturi su internet, e quelli che non lo fanno. Questa è una storiaccia vero, che al confronto Guelfi-Ghibellini e Autobot-Decepticon, erano delle amichevoli di curling. Per quanto mi riguarda, dipende dai casi. Se vado a vedere un gruppo che mi piace molto e conosco bene, DEVO cercare di leggere la scaletta: solo così potrò sfruttare il tempo che manca al lieto evento del concerto per fare i conti con le imperdonabili mancanze che sicuramente avrò scoperto consultando la setlist. Questa cosa mi ha salvato la vita: la prima volta che vidi gli Airon Meiden, essi decisero di suonare tutto l’ultimo album e giusto una manciata di pezzi storici. Io lo sapevo, ebbi vari mesi per metabolizzare la notizia, e riuscì a godermi il concerto. Se avessi scoperto la sera stessa che The Number of the beast era rimasta a casa, potete immaginare che non sarei qui a parlarvene. Se, invece, vado a vedere un gruppo che conosco poco, mi piace farmi un idea di quello che portano in tour; sai com’è, vorrei giusto sincerarmi che il gruppo electro-punk che vado a sentire non abbia scelto di fare un tour di cover di Amedeo Minghi. Per il resto, non c’è niente di meglio che sentire una canzone per la prima volta a un concerto, con la gente che salta, le luci, il votta votta, il sudore, la canzone che si muove sul palco insieme ai musicisti…bellissimo. Ma. MA. Ma io mi mangio anche il cazzo, però. Mi mangio il cazzo a vedere la gente emozionata che canta a squarciagola mentre penso “chissà come si chiama sta cosa” e cerco miserabilmente di muovermi al ritmo sconosciuto di una canzone ignota, mi mangio il cazzo a sentire una canzone e pensare “vabbè, quando fanno *inserire nome del pezzo quello là, quello famoso*?”, solo per poi scoprire, magari anni dopo, che ho snobbato con ignorante impazienza proprio un pezzo da greatest hits dell’umana stirpe. Qualcuno direbbe che lo faccio perché sono un azzeccato, che

5) Non metterò i titoli qui.

Nell’anno veramente boh, decisi di recarmi con dei compagni di classe al festivalbar, quello che facevano ogni anno a  piazza Plebiscito. Beata gioventù. Alle inutilmente e scandalosamente presto meno un quarto, sono già in piazza. Sul palco, un gruppo che non riconosco sta facendo il soundcheck. Stranamente, noto un paio di gruppetti di persone un po’ diversi dal resto del pubblico che assistono esaltati all’evento, non ultime un paio di ragazze pisellabili anzichenò. Ma la canzone la conosco! La passavano su Mtv e non mi garbava, ma analizzandola senza le immagini disturbanti che la accompagnavano sullo schermo, mi accorgo che non mi dispiace troppo. Magari la voce è un po’ effeminata, ecco.

Un video sul Tubo è l’unica cosa che testimonia l’esistenza della penosa esibizione in semi-playback dei Muse al Festivalbar 2006. Io, francamente, non ne ho alcun ricordo.  Mi piace pensare che loro abbiano “suonato” dopo Jovanotti, l’ultimo che vidi esibirsi prima di fuggire causa pioggia. Preferisco non pensare all’ipotesi di averli snobbati così tanto da non serbarne memoria alcuna. Ad oggi, i Muse sono uno dei miei gruppi preferiti e il mese prossimo pagherò fior di danari per assistere a un loro concerto. Supermassive Black Hole è, ovviamente, in scaletta.

PS: alla fine si trattava di un soundcheck, pure in playback.  Sicchè, 5°posto per i Muse.

Beccatevi il video dei Muse al suddetto Festivalbar 2006, orrendocapelluti per l’occasione.

Muse

 

4) E’ più carino che si capisce alla fine della storiella che, inevitabilmente, finirò per narrare a ogni posizione della classifica.

Dicevo, i Muse sono uno dei miei gruppi preferiti. E infatti, nel giugno del 2010 mi sono sobbarcato dieci ore di treno per andare a Milano a vedere un po’ cosa avrebbero fatto con il S.Siro a disposizione. Non che me ne fregasse molto, ma c’erano 3 gruppi spalla. I primi sono italiani, e salgono sul palco nel disinteresse generale. Oltreutto, sono un po’ strani, sono abbastanza grandi d’età. Poi, si infilano dei passamontagna e attaccano a suonare questa musica assurda, scandalosamente vintage ma grintosa, tecnicamente ineccepibile, travolgente. Fichissima lei, fichissimi loro. “Oh ma chi so ‘sti tipi?” Il mio amico mi spiega che sono il tastierista degli Afterhours (che io però vedo suonare tastiere, sassofono e flauto traverso. Anche nello stesso pezzo )e altra gente, che riadattano colonne sonore di poliziotteschi italiani anni ’70. Uà. Dov’erano stati finora, così lontani dalle mie orecchie?

Per fortuna, un concerto dei Calibro 35 è godibilissimo anche non sapendo nulla della loro musica; per questo, nella magnarcazzo parade sono solo quarti. Ad oggi, i Calibro 35 hanno appeso ben due concerti a Napoli, ma per fortuna le terza volta è quella buona, li ho visti, hanno fatto tutte le canzoni più belle, e sono felice di averli conosciuti laiv. Una piccola nota di gioia nel disastro che sarà questa classifica

Nell’impossibilità di reperire video decenti dei Calibro che si esibiscono davanti a migliari e migliari di disinteressatissimi fan dei Muse, vi schiaffo la semi-tiletrack dell’ultimo album dei calibri, giusto perchè oggi ce l’ho in testa.

Calibro 35

 

3)Almeno secondo me.

Al concerto dei Subsonica, nel 2008 c’ero finito proprio per caso, con un biglietto aggratisse. Non mi dispiacevano, ma non li conoscevo bene né mi interessava farlo. Sinceratomi che avrebbero, probabilmente, suonato “L’Odore” e “Tutti i miei sbagli”, mi presento alla Mostra d’Oltremare a cuor leggero e senza troppe aspettative. Loro sul palco sembrano sapere il fattaccio loro, ma io non mi gaso più di tanto: aspetto che facciano le canzoni che mi gustano, e non mi cago molto il resto. Soprattutto, non mi cago “Veleno”, “Up Patriots to Arms” e “Il mio dj”. Anzi, se non fosse per i dannatissimi e indesiderati video correlati  del tubo, non avrei saputo niente della loro presenza quella sera perché, davvero, non me le ero proprio cagate.

Ad oggi, ho visto i Subsonica quattro volte, pagando, eventualmente anche treno e alloggio. Tutte le volte che hanno fatto “Veleno “ e “Up Patriots to Arms”, mi sono gasato come un furetto anfetaminomane. “Il mio Dj” è assente dalle scalette dei Subsonica da ormai 5 anni.

E quindi, ladies&gentlemans, “Il mio diggei”, per voi in questo sconfortante “video” con la foto della (mediocre anzichèno) copertina di Microchip Emozionale.

2)Smettila di guardare qui.

Al concerto dei Rage, ‘ndovina? C’ero finito per caso. A dirla tutta ero in vacanza a Los Angeles, un giornale buttato per terra mi ha detto che quella sera i RATM festeggiavano il loro compleanno con i Muse di spalla e così, un’interminabile corsa in taxi e mezza scaletta dei Muse (lo avevo detto che la corsa era interminabile?) dopo, sono in mezzo a un fracco di personaggi unici, perlopiù gente from da ghetto che fumava da enormi pipotti o mi invitava a sfondare gli impenetrabili cordoni di steward agguerritissimi per accedere al parterre, oppure comunisti americani (wut?!), e tutti insieme aspettiamo che i Rage salgano sul palco a sputare fango(o funk) sull’ imperialismo a stelle e strisce.

Il concerto è grandioso, la gente si gasa e inizia a pogare intorno a dei falò improvvisati, o forse non tanto, vista la pervicacia con cui venivano riaccesi quando gli agguerriti steward  di cui sopra li spegnevano (nel caso ve lo foste chiesti, alla fine gli steward hanno vinto: hanno spento il fuoco e sono rimasti in piedi sulle ceneri, fermi e minacciosi, a impedire che venisse riacceso. Inutile dire che la gente ha iniziato a pogare intorno a loro.) Quando ho visto strane scene tipo qualche migliaio di ammeregani che sul finale di canzone(che poi avrei scoperto essere Know Your Enemy), a pugno alzato, alluccava qualcosa che io non capivo bene ma che pareva essere quel tipo di cosa poco gentile sul sogno americano che non ti aspetteresti di sentir urlare in uno stadio californiano, ho avuto l’impressione di essermi perso qualcosa. Anche quando ho sentito, in mezzo ad una canzone “I’m the Nina, the Pinta, the Santa Maria” ho avuto l’impressione di essermi perso qualcosa, tipo il cervello, e invece si trattava di “Sleep Now in The Fire”.  Che è meno bella di Know Your Enemy, ma ha un video epico, quindi beccatevelo.

RATM, Wall Street, cos

1)Davvero.

Il concerto gratuito di Elio e le storie tese a piazza Dante, nel boh ottobre del 2007 è stato, per vari motivi legati alla gente con cui ci sono finito (abbastanza per caso, sì), uno dei momenti fondanti della mia adolescenza, nonché della mia storia politica, avendo lì conosciuto il bancariello di Gastronomia Proletaria, che ancora oggi costituisce la stella polare del mio personale firmamento politico. Conoscevo poco del gruppo, ma mi comportai, quella sera, come uno spettatore attento e volenteroso, ascoltando con interesse un sacco di pezzi che non conoscevo e che amai da subito, o dopo poco.

O almeno credevo di esserlo stato. In un impeto controllatorio puramente masochistico, ho scoperto dopo anni che quella sera, su quel palco,mentre io chissà a che cazzo stavo pensando, è stata data voce alla sofferenza e alla disgrazia di centinaia di uomini e donne sfortunati attraverso la narrazione in musica della tragica storia di un eroe dei nostri tempi. Di uno di noi. Di Gimmi Il pedofilo.

Ho visto un’altra volta gli Elii, ma quella volta non suonarono “Gimmi I.”.Del resto, io neanche la conoscevo ancora, quindi forse ho solo evitato di far raddoppiare il già cocente rimorso che mi brucia nel petto ogni qualvolta penso a come ho fatto orecchie da mercante mentre davanti a me si eseguiva un pezzo che, per i suoi significati sociali, politici e soprattutto umani, non esito a elencare fra i pezzi che mi hanno formato nell’uomo probo e integro che sono oggi.

Qui, per voi, un esibizione laiv all’Mtv Day del 2003, quando ancora ci andavano i gruppi forti. A giudicare dal fatto che i milioni di spettatori ripresi nel video sembrano disposti a disimpagliarsi solo per giocare col cazzo di pallone gigante, non me la sento neanche tanto di prendermela col signor Mtv day se ha deciso di chiamare Club Dogo e Sonohra, o come cazzo si scrive, invece di Eelest e Bluvertigo. “Ma hai messo tutti video non live, metti il live proprio ora che noi volevamo la versione studiocol Ruggeri nazionale!”. Zitti, uomini di poca fede, e mirate come, contro ogni vostra menagrama aspettativa, il provvido intervente del Mangoni e del suo inglese accidentato salvano egregiamente la siuation.

Ps: il mio gompiuter non vuol proprio farmi mettere per bene gli ultimi video che devo inserire, quindi per ora metto i link in maniera zingara, e poi correggerò quando gli dei della multimedialità mi saranno favorevoli.

 

 

 

 

Luoghi comuni

postato il 8 Mag 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

[Probabilmente questo post sarà pieno di errori, ma ora mi scoccio di rileggerlo, e ho paura che se non lo posto ora non lo posto più. E considerando che è il post del mese scorso, forse è pure ora. Correggerò poi. ]

Il problema dei luoghi, almeno secondo me, è che c’è un luogo per ogni cosa, un po’ come le App (prendo dieci euro dalla Apple, per questa battuta). L’Università per studiare, il pub per magnà e beve, la discoteca per ballare, la palestra per lo sport, la piazza per ciondolare senza scopo, il muffoso antro che all’età di 20 anni ancora alcuni chiamano cameretta per, uh, tipo tutto: studiare, leggere, copulare, suonare o coltivare un qualsiasi altro hobby. Il tutto non sembra dimostrare particolari problematiche, se tralasciamo che per svolgere buona parte di queste attività paghiamo un servizio nullo o quasi, consistente, alla fine, nella sola messa a disposizione di un luogo che potrebbe benissimo essere sostituito dalla cantina della nonna. Ma, più di questo, mi colpisce una questione solo parzialmente analoga: se c’è un luogo per ogni cosa, è anche vero che il più delle volte per ogni cosa c’è un solo luogo. Coerente? Forse sì. Ma se si considera che passiamo buona parte della nostra giornata, e conseguentemente della nostra vita, in luoghi con un vincolo di destinazione, come il posto di lavoro o la scuola, anche il lettore più tardo realizzerà (o sono pazzo io) che, a conti fatti è ben poco il tempo e lo spazio che possiamo dedicare “a noi stessi”, per dirla in termini semplici, o, per usare un’immagine presa dalla Costituzione, immagine che estrapolerò e stravolgerò nel suo significato ma che secondo me rende bene e mi piace un sacco, per “svolgere la nostra personalità”. Mi piace perché mi sembra una descrizione abbastanza vaga e omnicomprensiva, ma al tempo stesso dotata di una certa precisione, di quello che rende l’uomo..uomo? Vivo?Insomma, penso parli bene da sé, ove io invece mostro difficoltà anche a pensare cosa sto scrivendo.

Qualunque sia il modo in cui vi piace “svolgere la vostra personalità”, per farlo vi tocca sicuramente aspettare fino a fine giornata, e probabilmente anche pagare qualcuno che vi metta i mezzi a disposizione.

Io penso, innanzitutto, per quanto che dovremmo imparare a gestire meglio i tempi, soprattutto noi cciovani che spesso, più che nei nostri doveri, siamo intrappolati nei tempi morti e nelle attese fra un dovere e l’altro, ore preziosissime (Pdp docet) che capita di buttare grattandosi lo scroto a parlare di gnocca nella stessa aula che ci vedrà studenti per le successive quattro ore (e ogni tanto ci può stare, dai), o fissando la pubblicità delle mutande di fronte alla pensilina del pullman(e forse pure questo..). Sarebbe bello cercare di riempire gli interstizi dei muri di impegni che costituiscono l’edificio della nostra giornata di quello che ci piace, invece di trascorrerla rimbalzando fra fatica e inerzia: leggere un libro o prendere una birra con gli amici durante lo spacco, disegnare poggiati sulle gionocchia mentre si aspetta il pullman, qualunque cosa appartenga a quel genere di cose che abbiamo quasi paura di fare davanti agli altri, quasi fosse un sacrilegio distogliersi dal beneamato binomio corsa frenetica-attesa che anima la metropoli.

Ma, più che imparare a gestire i tempi, soprattutto penso che si debba imparare a vivere i luoghi nei quali spendiamo le nostre vite, perché io trovo, senza esagerare, avvilente pensare che -se non fosse per questa mia linea di pensiero che sto confusamente esponendo (che immagino sia, coscientemente o meno, condivisa da alcuni di voi)- io assocerei la maggior parte degli scenari che fanno da sfondo al mio quotidiano esclusivamente a ricordi e sensazioni non voglio dire negative, perché di certo non posso dire che correre verso la metro o studiare e seguire i corsi siano faccende negative. Ma posso dire tranquillamente che si tratta di rituali imposti, faticosi, ansiogeni e quant’altro. Per questo penso che possa essere quasi “terapeutico” impadronirsi, in senso buono, di un luogo della nostra vita di tutti i giorni, vivendolo tramite una di quelle attività che sono tradizionalmente confinate altrove e che sentiamo nostre. Mi si passi l’immagine un po’ sdolcinata, ma è un po’ come piantare un bell’albero fiorito in un campo arido, o pieno di barbabietole, una cosa che per carità, ma non si vive di sola barbabietola. L’albero rimane lì, bello e florido, anche quando vai per barbabietole. Andare a ballare all’università invece che pagare 25 euro per un casermone stroboscopico a Via Culo, suonare la chitarra nello slargo antistante la biblioteca dove butti il sangue sui libri invece che a casa, non sedersi al bar ma prendere la birra e schiattarsi sulle panche dei giardinetti della metro che la mattina ti vedono perennemente in ritardo; sono cose che possono cambiare, e non solo per una sera, la concezione di un luogo, il modo di guardarlo e di sentirselo addosso, come un vestito fatto su misura invece che il monomisura-unisex del mercatino. Certo, non è necessario, ma visto che a pacche al vento non si può andare, tanto vale fare qualcosa per farsi andare meglio i suddetti indumenti. E se proprio ci va bene, possiamo rendere questo servizio anche a qualcun altro. Non voglio azzardarmi a pensare che la visione di me che fricchettoneggio con la chitarra possa rendere felice chi frequenta una piazza, però qualcosa del genere è possibile: per esempio, credo che la roba dell’albero di cui sopra, mi sia venuta pensando a una brutta giornata risollevata di punto in bianco dalla visione di un pesco fiorito (o comunque un coso coi petali rosa) piantato nelle squallide aiuolette di Quattro Giornate. Magari lo ha messo il Comune, ma forse no, e a me piace pensare che un tizio con l’hobby del giardinaggio un giorno si sia svegliato, abbia guardato il suo bel prato verde (cit.) e abbia detto “Meh. Oggi vado a piantare alberi per la via.”, e così facendo abbia sputato su di un po’ di grigiume urbano e migliorato la giornata di qualcuno. Tipo la mia, per esempio.

Ma poi, diciamolo, condividere qualcosa è sempre meglio che farla per se stessi; io sono convinto che il giorno che qualcuno ha inventato la musica, non l’ha inventata perché fosse suonata con la lucina puntata sul leggio, seduto con lo strumento in mano(ehm) in mezzo alla stanza. Io penso che chi ha inventato la musica lo abbia fatto per suonarla su una scogliera al tramonto, su un prato alpino in primavera, o su una gradinata medioevale. Lo stesso vale per i libri ,per il pallone; dio che tristezza i ragazzini che tirano calci in salotto, con tutto che io odio passare in mezzo ai creaturi che giocano il pallone.

Certo non sono certo parole nuove, le mie. Magari vi viene in mente il tripudio di liberazioni di spazi, e riappropriazioni varie che si fanno in nome di questo o quello. Mi preme, a questo punto, fare un distinguo con quello dicevo prima. Senza scendere nei dettagli, penso sia presuntuoso affermare di aver “liberato” uno spazio, quando di fatto lo si è sottratto a una parte di coloro che ne potrebbero usufruire, allo scopo di renderlo conforme all’idea di spazio dei “liberatori”(a meno che non si tratti di spazi sottratti al nulla e liberati dalla fatiscenza). E lo dico pur non facendo certo parte, la maggior parte delle volte, di coloro che si sentono depauperati dall’occupazione di uno spazio pubblico. Ma su questo di dovrebbe mettere su una vera discussione, io di certo non voglio affidare ad una piccola parentesi inserita in un post che parla d’altro il mio parare su una questione così spinosa. Il concetto di “vivere” un luogo, come comunità, è ben diverso, e si basa sulla possibilità che tutti possano proiettare qualcosa di loro stessi in uno spazio condiviso, senza che alcuno debba essere escluso dalle “proiezioni” altrui. Si può coesistere rispettosamente (a Piazza Quattro giornate, nei pomeriggi di primavera, ci trovi di tutto, e nessuno sembra disturbare), si può fare a turno (ci si potrebbe stupire a vedere cosa si agita certe sere nei cortili di alcuni palazzi universitari che il giorno dopo sono pieni di studenti e professori), si può fare un po’ in tutti i modi. Più triste è, come a Piazza Quattro Giornate (è una piazza grande, c’è zona e zona!), quando un gruppo di turpi rende perennemente sozza e invivibile un’area comune.

Non è che vengo qui a scrivere queste belle cose sperando che nessuno possa aversene a male neanche per un istante se io faccio una festa in una facoltà, o se suono i bonghi in piazza, ma secondo me sarebbe bello se si riuscisse a contemperare un minimo gli interessi, senza agitare qualche spauracchio ad hoc (Risse! Droga! Rapine!) ed evocare prontamente i guardiani del pubblico silenzio, uccidendo a volo a volo un’occasione di socialità e mandando tutti su facebook a passare le serate in cui non hai soldi per un pub davanti a FB a commentare il Grande Fratello in differita di 0,15 secondi. Ma soprattutto. Che cazzo ci faccio davanti al computer?

 

 

 

Quel momento..

postato il 2 Mar 2012 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Quel momento..quel momento in cui vedi il tuo nome comparire sul tuo giornale preferito, quello che leggi da anni e per scrivere sul quale daresti un rene, sicuramente quello di un altro ma forse anche il tuo.. e non compare mica così, no! Compare proprio lì,  sotto a un testo che parla in maniera critica e sagace di musica!

Certo.

Quel momento, proprio quello in cui all’improvviso ti accorgi che quelli del giornale hanno pubblicato un tuo commento preso da una discussione sul loro account di Facebook, un commento in cui con lessico povero e volgare parli di un musicista che ti fa abbastanza schifo,  e tutto questo solo perchè agli insulti segue una parte che al giornale faceva comodo nell’economia della discussione.

Un tremito nella forza.

postato il 28 Feb 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

Quando questo argomento fu proposto, in quella discarica tossica che sono le nostre menti si accese una lucina. Anzi, si può dire, esagerando in cinismo, ma poi neanche tanto, che qui si tratta di uno di quei vocaboli appartenenti alla ristretta cerchia di parole che, morte ormai le ideologie, le passioni, le speranze e quant’altro, è capace di accendere una lucina, anzi, un autentico fuoco di segnalazione nella pigra tenebra delle nostre menti. E quello che illumina, il suddetto fuocherellone, è un numero sinceramente indecoroso di ore passate con la testa immersa, in guisa di struzzo, in un universo che i più stolti direbbero futuristico, ma che i veri credenti sanno essere più antico delle stuppolaggini studiate al liceo.

“Farò un post su Star Wars.” Tagliamo corto, ecco quello che tutti abbiamo pensato. Avevamo già qualche ideuzza in mente. Almeno, quelli che non hanno dovuto spegnere lo schermo e andare fuori a prendere una boccata d’aria e schiarirsi le idee. Che cazzo sono i Midichlorian? Che bisogno ce n’era? Il panzone si è reso conto o no che è come far saltare fuori che la santità dipende dal quantitativo di Gesùene nel sangue? Basta, basta.

Bè, comunque è durato poco. “E’ ammesso un solo post su Star Wars.” Ecco quello che, invece, pensava Vobby. Un po’ come con quell’ultimo panzarotto sul vassoio che nessuno si azzarda a toccare per decenza, chè va bene 13 panzarotti, ma 14 veramente è un’esagerazione, certa gente non si sa dare un limite, guarda, nessuno si è più azzardato ad avvicinarsi al post su Star Wars. Insomma, se voleva farlo X poi mi dispiace, e se Y aveva in mente il miglior post su Star Wars della storia? Perché mettersi lì a fare un post sulle abitudini igieniche degli Ewok o azzardare teorie sulla traspirazione nelle armature degli Stormtrooper quando magari qualcun altro era pronto a spiegarci la verità sui Midichlorian?

Scusate, devo prendere una boccata d’aria.

Anche io, quando oggi mi sono seduto davanti al pc, totalmente privo di idee, per cercare di recuperare questa occasione di postare sprecata, non volevo fare un post su Star Wars. E non voglio farlo neanche ora. Forse il motivo dell’assenza di un post su Luke e compagni, non è da ricercarsi nella questione di galanteria da me previamente descritta, e comunemente nota come “o’muorzo r’a vergogna”, ma nel fatto che un post su SW è dannatamente difficile. Non voglio esagerare, chi mi conosce sa che sono, sì, un azzeccato, ma non dei peggiori; però fare un post sull’esalogia più celebre della fantascienza è un po’ come fare i conti con una parte della propria infanzia/adolescenza, con una porzione non trascurabile dell’immaginario pop mondiale o, volendo attenerci alla lettera dell’argomento, con quella che probabilmente è la cosa più simile alla religione fra i miliardi di minchiate nelle quali fluttuano i vostri neuroni. Proprio qualche giorno fa sentivo una ragazzina inglese di 14-15 anni scherzare dicendo di usare la Forza all’amica che tentava vanamente di recuperare una pallina da ping-pong sotto finita sotto un tavolo. Insomma, quante cose vi accomunano ad una ragazzina inglese di 15 anni, e, contemporaneamente, ad un esercito di ciccioni sociopatici,  di insospettabili ed affermati padri di famiglia e lavoratori con la spada laser nel ripostiglio, di bambinelli che si vedono uscire “cucchiai laser” dai cereali?*  E poi bisogna fare i conti con i Midichlorian. O, più in generale, con tutti i difetti e le debolezze che volete trascurare perchè i grandi amori vanno oltre certe piccolezze, ma che non potete davvero ignorare se iniziate a trattare con un minimo di serietà l’argomento. Sicchè, ripeto, questo non è un post su SW. Allo stesso tempo, non può non esserlo almeno in parte. Si dà il caso che, proprio sotto al mio monitor, faccia bella mostra di se un DVD di “Star Wars Ep. IV- Una Nuova Speranza”, edizione limitata in digitale e “video superiore”(sic). Come il Millennium Falcon verso quella strana luna, il mio sguardo viene ineluttabilmente astratto verso la copertina.

 

Quella specie di Nino D’Angelo che, dismessi jeans e maglietta in favore di una meravigliosa tuta da pseudo-karateka campeggia in primo piano con sguardo vispo e sveglio. Sì, proprio lo sguardo da Prescelto che porterà equilibrio nella Forza. La principessa Leia, che impugna un fucile laser, ma pare che stia cercando di fare benzina al self-service con scarso successo. Padre Pio che compare, più santinoso che mai, alla destra di Indiana Jones. Sì, Obi-Wan da Pietrelcina, proprio il viso che io, e non sto scherzando, per tutta l’infanzia ho associato a Dio nelle mie preghierine. Dietro questo ameno gruppetto, la prova vivente di quanto Qui-gon Jinn sia un pesce sopravvalutato stringe nelle mani l’arma più fica della storia della sci-fi, seppur in un’incarnazione ancora un po’ pezzente, del tipo che a guardar bene la versione giocattolo che mio padre di portò in dono dalla terra dei cheeseburger, ormai più di dieci anni orsono, è molto più realistica e accurata.

Eeeh, insomma, forse in questa copertina, epica e un po’ ingenua, maestosa ma un po’ arrangiata, i motivi per cui impossibile fare un vero post su questo film o sul background mistico dei suoi personaggi, per me è impossibile è.  Boh. Magari se me li rivedo tutti per la ventesima volta mi viene in mente qualcsosa di figo, vassapè.

*http://kelloggsmaniac.blogspot.com/2012/01/cucchiaio-laser-di-star-wars-in-regalo.html

 

Perzonaggi di Natale.

postato il 20 Dic 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Io non odio il natale. Adesso si porta molto fare i Grinch dei poveri e dire “Io detesto il Natale, io piscio sull’asinello”, eccetera; sicchè, mi piacerebbe dire qualcosa tipo “Io odio il Natale da che Gesù ancora stava a intagliare sgabelli in Galilea”, o “Il Grinch l’ho scoperto io, suonava in una cantina del Viterbese vendendo demo autoprodotti”, cose così, insomma. Ma sarei, come il 50% di questi Ebenezer Scrooge post-emo, falso. Il Natale ha tante cose orrende. Taaaante. Vorrei elencarle, ma sono tante. Però ha anche cose belle: tanto cibo, regali, qualche giorno di festa, l’occasione di riavvicinarti al focolare familiare dal quale rifuggi tutto l’anno, che una volta ogni tanto ci sta, e cose così. Ma nell’ambito delle cose brutte del Natale, io sono disposto ad accettarne alcune. Tipo, fare i regali è stressante. Ma qualcosa dovrai pur fare, se vuoi ricevere qualche coppola di cazzo anche l’anno prossimo, no? E quindi, passi.

Poi però ci sono quei personaggi Natalizi del cazzo, quelli che è colpa loro se il Natale rischia di passare per una merda. Sono loro. Sono tanti, più o meno tutti quelli che incrociate durante il periodo natalizio; periodo che fra l’altro, al contrario delle mezze stagioni, tende a espandersi di anno in anno. Già per il 2030, si prevedono le prime luminarie dal 17 agosto.

Ma torniamo ai personaggi. Dicevo, sono tanti, sicchè, nell’impossibilità di parlarne, stilerò una pratica top five. Badate bene, non giudico nessuno: potrei benissimo essere io, al posto di alcuni.

 

5)”Nulla è reale, tutto è lecito” o “quello col Babbo Natale appeso al balcone”.

Io amo le luminarie di Natale, e le stronzate varie. E’ un retaggio familiare. Ma non è possibile che a dicembre uno guarda in aria e gli viene da correre protendendo le braccia, che un neonato peloso sta cadendo dal balcone, o da chiamare il 112, chiedendo di fermare subito quel nano marxista che sta svaligiando una casa. Andiamo, sembrano dei bambini impiccati. O i cugini stronzi di Ezio Auditore da Firenze, roba così, non lo so. Per favore.

 

4)Il bambino di “A Natale puoi”.

Allora. State pensando: “Ah, ora inizia a inveire come suo solito contro l’amore, la dolcezza e la bontà, quanto è duro, quanto è figo, cheppalle”.

No.

Non senza vergogna, ammetto che quella canzoncina è bellissima, mi fa sciogliere le budella. Sarà la melodia, la vocetta del bambino del cazzo, la faccia sincera mentre elargisce felle di pandoro. Boh. Però mi piace. Non me ne frega che proprio non vedo perché a Natale dovrei essere più buono(cioè, lo vedo: perché io spendo e spando, e mi sento colpevole verso chi non può. E’ anche valideo, ma non credo si riferisca a questo). Non me ne frega neanche che la versione multi-etnica/quote rosa/quote nere(http://www.youtube.com/watch?v=ukAibmAvH_A) è ruffiana come un piazzista. E’ anche meglio. Però diamine..cioè..per vendere panettoni? Davvero? Per vedere fottuti panettoni? Dico..quel bimbo con quella canzone potrebbe convincere i grandi della Terra a fare la pace, e a trasportare il mondo in un’era senza canditi di eguaglianza, benessere e giustizia! E invece, vende panettoni. Al più, convince a regalare felle di pandoro a ragazzini alle prese con piccoli problemi di cuore, mimi, bimbe medio-borghesi, e piccioni. Ma vaffanculo, Bauli.

 

3)”Il puntuale”.

“L’abero si fa il giorno dell’Immacolata:” Che ansia! Non me ne vogliate, probabilmente è normale. Ma a casa mia l’albero richiede, fra difficoltà tecniche e difficoltà legate alla nostra scarsa presenza in casa:

a)una sera di scaricamento pacchi dal mezzanino b)una sera di montaggio albero c) una sera di luci e palline d)una sera di caricaggio scatoli vuoti sul mezzanino. Quindi, anche iniziando l’otto, cosa che non accade mai, io lo finisco l’unidici. I vostri immacolateschi e puntuali alberi..mi mettono ansia!

 

2)”L’intoccabile”

E’ colui/colei (col@i, direbbe qualcuno che ha sacrificato la grammatica sull’altare della parità dei sessi), ma l’esperienza mi dice che è più una colei, che quando lo urti in un posto affollatissimo, tipo… Fnac sotto Natale, dubito di poter trovare una metafora che renda meglio; ebbene, quando lo urti in quella bolgia infernale, trascinato, privo di controllo motorio, da una pressa che manco la reunion di Hendrix con la vita (Era più forte di me. Ma sappiate che Fnac sotto Natale è peggio.), lui ti guarda come se gli avessi cagato nella torta il giorno del suo diciottesimo compleanno. E che cazzo; o Kevin Costner di questo paio di palle, se vuoi fare i regali senza che il tuo lebensraum debba vedersi ridotto dalla fisicità altrui, i regali valli a fare nel Nevada a Ferragosto, vedi che libertà di movimento.

 

1)”Babbo Natale”

Non ce l’ho col fatto che è una trovata della Coca-cola. Ce l’ho, più che altro, coi migliaia di gonzi che scrivono fumetti,film,spot, con Babbo Anale per protagonista, e mi sembra scrivano spesso una storia abbastanza insensibile.

“Ma come, Babbo Natale porta regali a tutti i bambini! I bambini hanno i regali dai genitori, e gli si racconta che è Babbo Natale! E’ bello!”

Lo so. Ma a me fa un po’ tristezza pensare che ci sono milioni di creaturi che non hanno mai visto l’ombra di un giocattolo. E quando si sentono dire “Babbo Natale porta i regali a tutti i bambini”, che devono pensà? Di essere cattivi? E quando vedono che nelle miriadi di storie e storielle in cui BN ha dimenticato qualche bambino per poi rimediare in extremis(la prossima è “Il figlio di Babbo Natale”, a breve nei cinema), pure quel bambino è sempre un americano o europeo benestante? Dimenticati anche fra i dimenticati.

Lo so, non sto per nulla argomentando, né potrei farlo perché probabilmente non ha senso, ma è una capata storta che mi è venuta oggi, come dicevo, mi capita quando spendo soldi in futilità. Evabè, quest’era.

 

Voglio, però, chiudere con una nota positiva: l’Eroe del mio Natale.                                                                                                                                                                                                                    Siediti, Gesù. Mi spiace, non sei tu. Lo so, lo so. Sarà per la prossima. L’Eroe del mio Natale è mio padre. Egli possiede tre caratteristiche. E’ tardi, sicché ve le elencherò schematicamente.

a)Mio padre è un fissato di decorazioni natalizie. Possiede un gran numero di palline e cazzimmocchi vari da albero, provenienti dalla collezione del mio defunto nonno, ed ha ampliato la collezione negli anni, anche con pezzi davvero pregevoli e particolari, di cui vi faccio la grazia di non parlarvi. Egli è, inoltre, fissato con le luci, e ha intamarrito il balcone con led e lampade gialle.

Talis pater..anche io adoro ste cose, sicchè passiamo un sacco di tempo(seppur, ahimè, sempre meno: quest’anno non ho aiutato con le luci fuori al balcone) a intommare la casa di luci, pendagli e robe, il tutto ruotante attorno al nostro tamarrissimo e traboccante albero. Vi sembra la descrizione di casa Flanders? Permettetevi di smentirvi, signori, perché tutto ciò è rigorosamente e inderogabilmente compiuto SENZA  alcuna di quelle cazzate natalizie quali: affetto forzato; riti e ritini religiosi vari; allegria e bontà comandate; Puro hobby, madame set messieux. E questo ci piace.

 

b)Mio padre paga. Tutto.

 

c)Mio padre riceve, sotto Natale, un osceno numero di cesti gastronomici e regalie varie(tutti quelli che a Capodanno si sono bevuti il Chivas arrubato da mio padre ringrazino). Il momento clou è l’immancabile arrivo del prosuttone sano, che quest’anno è stato accompagnato da un gemello più piccolino e tenerissimo.

Il referendum è un istituto ambiguo, ma ci da dentro.

postato il 27 Nov 2011 in Cazzi e mazzi personali, Il rubricone musicone rotolone
da Deluded Wiseman

Ci sono due tipi di musicisti. Quelli che suonano ai matrimoni e fanno le caznoni a richiesta(“A saje o’latitant?” evviacosì), che se no il padre della sposa li spiezza in due, e quelli che hanno raggiunto una certa dignità artistica, e suonano quello che vogliono e nell’ordine che vogliono, per una serie di motivi. Motivi deprecabili tipo la spocchiosità da star della ceppa che non fa il classicone per dispetto ai fan occasionali andati allo show solo e unicamente per sentire quel pezzo, ecchissene se hanno pagato, occasionali o no, cinquanta soldi.  O motivi seri, tipo il fatto che anche la scelta di una scaletta,dei pezzi che la compongono e del loro ordine, può avere un senso o uno scopo precisi, che sia quello di orientare l’andamento del concerto e il coinvolgimento del pubblico dosando attentamente i pezzi veloci e i pezzi lenti o quelli famosi e quelli sconosciuti, o quello di permettere ai musicisti di arrivare più dignitosamente alla fine del set, alternanto pezzi facili a brani più logoranti; o ancora, magari con una scelta precisa si vuole comunicare qualcosa di preciso, una storia, una messaggio, o si è scelto un certo ordine per ripercorrere la storia del gruppo, o per festeggiare qualcosa, tipo l’anniversario di un album.

Per i succitati motivi, non mi piacciono molto i tizi che ogni volta che dal palco non arriva casino si mettono a cantare un pezzo o a invocarlo. Parliamoci chiaro, io sono uno che se va a un concerto e non gli fanno un pezzo che si aspettava, poi non lo ascolta per mesi. C’ho messo un anno per riascoltare Money Talks dopo gli AC/DC, e sì che lo sapevo da mesi che non era in scaletta. E quindi spesso sarei ben felice di trasformare i miei musicisti preferiti in juke-box umani(e costosi). Però poi, quando non sono in presenza di evidenti spocchiosi della ceppa(che pure è capitato) penso anche: “Ci dovrà pur essere una ragione sensata se questi gentiluomini hanno ideato questa scaletta. Lasciamo che la suonino, per Giove.”(si, nella mia testa parlo molto più signorilmente che fuori).

E poi, insomma, se uno sta suonando da due ore e tutti sono felici, e tu sei ancora lì che gli urli “O’latitant!”, si può anche risentire un po’. Io mi sa che mi risentirei un po’, paganti o non paganti. Non per niente, ma se tu fai un accordo di X e ti senti qualcuno attaccare a cantare Y, pare di deluderli, e non è bello per uno che cerca di far bene il suo.

E poi si deve calcolare che ci sono show che prevedono un preciso gioco di luci, scenografie o effetti speciali per ogni canzone. E non è che se dopo 15 pezzi con tripudi di laser, flash, scenografie apposite, fuochi d’artificio,  pupazzoni giganti, video e amenità varie, ci si può mettere a farne uno con le lucine fuori tempo tipo Sagra della Cotica di Brenzole, solo perché il pubblico lo chiede capite? Di nuovo, parliamoci chiaro, se, per dire, i Maiden suonassero Alexander the Great(pezzo figuerrimo mai suonato, ndnerd) io mi farei le pippe bulgare pure se la facessero in piedi sul tettuccio di una Fiat Punto illuminati da una torcia rotta. Però, obiettivamente, una roba così ti rovina lo show, e non so se io la farei.

Riassumendo: il confine fra i due tipi è abbastanza netto. E non lascia sconti: il secondo tipo regna. E’ quello con la pistola, e l’altro scava.

Poi però ci sono quei gruppi che scavano con la pistola in mano, quelli, tipo Modena City Ramblers o Bandabardò, che hanno un cuore grande così. Non sono juke-box ambulanti, non cantano  “Tanti auguri” se il padre della bambina si avvicina con la dieci euro, e sono gruppi che danno sempre il massimo; te lo dice il sudore di due ore di ammuina che se chiudono senza aver suonato la tua canzone preferita non è per pigrizia o spocchiosità, ma per una loro scelta di musici, condivisibile o meno. E, però, sono anche quei gruppi che magari suonano davanti a tremila persone, ma non sono certo persone arrivate lì per i passaggi su emtivì o a icsfattor, e quindi, sì, sono sempre professionisti che lavorano, ma è un po’ come se fosse una festa fra amici, magari piena di imbucati che non conosci, ma che ti stanno simpatici perché sono venuti a farti il regalo e gli auguri, quindi a pelle ti stanno simpatici. E quando senti che non uno scontento o uno che era lì per caso,  ma TUTTI ti chiedono un pezzo, che fai? Da un lato pensi che il tuo l’hai fatto, che sei distrutto, che il biglietto è pagato , lo spettacolo che avevi studiato è finito, e tutti a casa. Triste, ma legittimo. Ma dall’altro pensi che, da buon fricchettone, alla volontà popolare dovrai pur dare un peso, no? Non voglio idealizzarli troppo, sapendo di esagerare, ma voglio idealizzarli un po’, sperando di aver ragione, e quindi non accetterò commenti tipo “ma se non la facevano poi la gente non andava più ai concerti”, cosa che, oltretutto, non corrisponde al vero. E poi, se hai la fortuna di stare in prima fila, mentre il coro della vox populi monta piano piano, riesci a vedere gli occhi stanchi del lavoratore che ha finito la giornata e gli occhi innervositi del musicista che da mezz’ora sente gente attaccare a cantare un pezzo ogni volta che inizia a suonare tutt’altro, mutarsi negli occhi di quelli che pensano,”Fanculo la scaletta, se fanno tutti così, dovrà pur significare qualcosa per loro”. Alla fine, un coro così è un coro di tanto tanto amore, e come rispondi a tanto tanto amore?

Così, quando, incredulo, capisci che lo stanno proprio facendo, ti sembra un regalo. Ti sembra un regalo perché tu hai pagato per qualcosa che, buona o cattiva idea che fosse, non comprendeva questo; e se avevi apprezzato  lo show a prescindere, ti sembra proprio di aver fatto terno a lotto.

Quando il giorno dopo riesci anche a farti dire in faccia “Sì, è stato bello, si doveva fare” da uno di loro, capisci che i musicisti si dividono in due categorie, che una è superiore all’altra, ma che quando quelli con la pistola si mettono a scavare, con la pistola in tasca, è davvero bello, e lo è davvero perché è uno sforzo che vuol dire qualcosa per migliaia di persone in una stanza, paganti e pagati, sudanti e sudati, piecori e artisti.

E adesso, beccatevi i due “regali” pagati che questi attempati fricchettoni ci hanno voluto fare dall’alto della loro scioltezza:

Ubriaco canta amore

e

I Cento Passi

Qualcuno doveva pur farlo.

postato il 28 Ott 2011 in Main thread
da Cerbs

” Quella è una troia, c’ha la fica che è un imbuto!”   [Gianmarco Cerotto]

Questa citazione sui massimi sistemi proviene da una conversazione avuta il giorno 18 ottobre 2011 mentre io ed alcuni casi umani che rispondono ai nomi di Aldo Natale, Fabrizio Todisco, e, per l’appunto, Cerotto, attendevamo davanti allo Stadio San Paolo che gli steward aprissero i cancelli per l’epico match Napoli – Bayern Monaco. L’argomento in questione era il video a luci rosse di Belen Rodriguez, seguito da approfondimenti, commenti e discussione. Al di là delle mie impressioni sulla pellicola in questione (che giudico abbastanza una delusione, poichè fredda, asettica e troppo piena del culo del tizio nella seconda metà), questo episodio mi ha fornito l’ispirazione per il presente post, che risulterà sicuramente discutibile, ma tant’è: visto l’argomento mensile e la coincidenza con la citazione, non potevo lasciarmi scappare l’occasione.

Parlare di queste esperienze con la pornografia mi ricorda sempre di una grande teoria formulata dal mio fedele amico e compagno di studi Luigi Giuliani: gli uomini si dividono in tre categorie, ossia gli ipocriti, i mezzi ipocriti ed i non-ipocriti.
Ecco un ipocrita: “Io? Pornografia? Ma per favore, queste cose non le faccio più!” . Falsi! Bugiardi! Non ci crede nessuno! Ho sentito anche alcuni dire: “Non conosco youporn, non ci sono mai andato!”.
Un mezzo ipocrita ragiona così: “Beh, sai, qualche volta capita….” . Ne ho conosciuti molti.
Il non-ipocrita è quello che ammette l’inconfutabile verità. Poichè io mi fregio di appartenere a quest’ultima categoria, mi propongo con questo post di raccontarvi alcuni buffi episodi relazionati al mio vissuto personale con la zozzeriegrafia; vi avviso per tempo, così potete cliccare sulla X rossa in alto alla pagina se non siete interessati (cosa che immagino e comprendo).

Il mio primo approccio al nudo femminile televisivo mi fu garantito da un ingenuo errore. In giovine età, solevo guardare Disney Channel con mia sorella su Sky, canale 15. Un giorno, sbagliando a digitare, composi per errore il numero 515 sul telecomando…mi si aprì il mondo della perdizione. Ricordo ancora la leggiadria della tizia che correva tette al vento in una specie di strada di campagna, mentre apparivano in sovraimpressione numeri da telefonare con delle bandiere di varie nazionalità (tutt’ora non capisco come mai); come scusa per continuare a vedere quella meraviglia, dissi a mia sorella che era giusto non cambiare canale perchè si trattava di un format educativo, in cui si insegnava ai bambini non solo a riconoscere le bandiere, ma anche ad avere maggior dimistichezza con i numeri. Credo che non mi vergognerò mai abbastanza!

Successivamente, venne il periodo glorioso dei giornaletti. Il nostro fornitore ufficiale era il sopracitato Fabrizio Todisco, il quale, vergognandosi di acquistarli dal giornalaio, pensava bene di rubarli per evitare la figuraccia di apparire come un libidinoso zozzone. Ci si vedeva a casa mia in gruppi di 4-5 persone, ognuno con la propria rivista, avendo cura di nasconderla fra un fumetto di Lupo Alberto (proprio lo stereotipo insegna); altre volte uno leggeva le storie e gli altri seguivano divertiti. Vi lascio intendere quanto potessero essere divertenti quelle avventure (ne ricordo una particolarmente intrigante ambientata in una caserma, piena di sotterfugi, guardoni paganti, tradimenti!) e quanto affascinanti potessero essere invece i testi (“Il postino le consegnò sberle cazzute“, oppure “Ed ecco uscire la sua crema di maschio“).
Com’è chiaro, una siffatta mole di impudicizia non poteva passare inosservata, e la nostra preziosa mercanzia fu scoperta in casa del Todisco (il coglione manco si era curato di nasconderla per bene), e sequestrata dalla di lui madre al grido di “Con queste cose si diventa pervertiti!“. Tra l’altro l’infame diede la colpa a me, sostendendo che mi appartenessero e che fossero lì per caso. Vigliacco.

La mia esperienza con Sky (o quel che era all’epoca) non si era affatto conclusa. Dopo accurate ricerche, scoprii che era trasmesso sul canale 825 il mitico “Superpippa Channel”, i cui strabilianti contenuti hanno incantato intere schiere di giovinotti: tra essi, figuravano delle istruttive “Lezioni per principianti” a cartoni animati ( protagonista era un simpatico pene, chiaramente), nonchè le appassionanti avventure cartoonose di “Superdick”, un supereroe le cui capacità saprete acutamente arguire, che però si concludevano sempre in maniera tragica (cioè col suo membro schiacciato da un masso, o roba del simile). Ad essi erano intercalati anche spezzoni di film porni davvero veri (anche se edulcorati, poichè come avrete capito l’impronta del canale era più sul pariare, ma si vedevano comunque le zinne!), con tanto di commenti scritti sotto dai programmatori, sicchè fu d’uopo invitare gli amici a casa. Lì un mio fraterno compare, tale Damiano Improta, forte della sua (ma anche mia) ignoranza, non solo in materia di anatomia ma anche del buonsenso in generale, iniziò ad espormi le sue sublimi e profonde teorie: Ad esempio, che per avere un figlio maschio era necessaria la penetrazione vaginale e per una femmina quella anale, oppure che se qualcuno ti fa una sega devi dire che ti ha “automasturbato”, perchè il termine “masturbarsi” è già riflessivo e dunque andava contrastato.
Un giorno cliccai su 825 e ci trovai “Senato della Repubblica”. E’ annoverato fra i giorni più brutti della mia vita.

Mi lanciai ben oltre i ristretti confini mediatici televisivi, espandendo la mia conoscenza anche al campo delle porcellinate telefoniche: tuttavia fui ben presto costretto a rinunciarvi a causa degli alti costi. Dopo aver scartato l’ipotesi della telefonata con la tizia live (“Pronto, sono Eva!” Tuu…Tuu…Tuu…) per l’eccessivo disagio che la cosa mi causava, mi orientai verso i numeri del tipo “ascolta in silenzio”. Evidentemente dovevo aver sbagliato qualcosa, perchè il risultato che ottenni fu: “Ciao…. (io nel frattempo ero già lì licezioso a congratularmi per la mia pensata) … Io sono la tua padrona! Tu sarai il mio schiavo!” Doh!
Oltre alla telefonia, anche internet fa incappare accidentalmente in episodi ragguardevolmente ridicoli legati al mondo delle oscenità. Un amico di Giuliani giura di aver voluto scaricare un porno e di aver scoperto invece che era “Guerre Stellari” rinominato da qualche burlone.
E, come dice Guido Coma Cuomo, chi non ha mai pensato di cliccare sulle icone “Click Here To Enlarge Your Penis”?

L’ultimo paragrafo di questa mia Parata dell’Esecrabile non posso non dedicarlo a Telecapri, col suo programma record di ascolti “Cattivi Pensieri”, che era tra l’ altro preceduto da i discutibili film pseudo-erotici italiani con Lino Banfi, che ora sono stati addirittura elevati al rango di “cult”. A saperlo, avrei potuto dire che mentre aspettavo la roba forte mi stavo formando come esperto cinefilo.La realtà è che l’unica cosa effettivamente cattiva di quei film erano esclusivamente i pensieri, perchè le pellicole erano tipo censurate, o girate in modo particolarmente casto, non so, fattostà che ogni tanto si vedeva che questi facevano sesso in mutande. Il pendolo non era mai inquadrato, e gli amplessi erano di durata decisamente troppo breve per essere verosimili e soddisfacenti le mie esigenze, ma, come si suol dire, occorre fare di necessità virtù ed accontentarsi: rimanevo sveglio, dopodichè, quando ritenevo che l’orario fosse giusto, accendevo la tivvù e mi gustavo le proiezioni. Una volta fui scoperto e, siccome fui colto di sorpresa, usai come giustificazione la prima cosa che mi venne in mente: “Mi sono svegliato perchè ho fatto un incubo! Ero mangiato dai leoni!”. Chissà cosa ha pensato di me mia madre, se ero più un pervertito lestofante oppure un deficiente colossale. A giudicare dal resto della mia vita, forse la seconda è più verosimile.
Una sera eravamo io, Luigi Natale, mi pare anche il fratello Aldo, Fabrizio Todisco e Cerotto; dopo aver trascorso molte ore nei bagordi, ci ritirammo tutti a dormire in casa Natale, pratica che nei periodi in cui la mia vita non era così triste come lo è ora era sufficientemente frequente da dar sapore alle nostre esistenze piccolo-borghesi. Ognuno si stava preparando: Luigi faceva il letto, Todisco si cambiava, io armeggiavo col mio zaino; solo Cerotto non aveva un cazzo da fare, e, dunque, decise di agire in modo tale da concludere la serata in modo ancora più indegno di come era stata trascorsa. D’altronde noi siamo persone serie, e non ci piace lasciare le cose a metà, anche se si tratta della nostra dignità: era disdicevole che ce ne fosse rimasto un briciolo, ed andava polverizzata con quanto avessimo di più pesante. Il lercio individuo pensò bene di accendere la tivvù e, “facendo zapping”, finì su Telecapri. Io credo di non aver mai visto un film più assurdo di quello: una tizia aveva disegnate sulle chiappe due palloni da calcio ed un tizio agghindato tipo menbro da banda di motociclisti americani la percuoteva vigorosamente sul tafanario, somministrandole successivamente la dovuta punizione per un comportamente evidentemente riprovevole che lei doveva avere assunto nella prima parte del film che (purtroppo) avevamo perso.
Entrò a salutarci, aprendo la porta di scatto, la sorella maggiore dei fratelli Natale, nonostante fosse notte fonda.
Da qui l’aneddoto viene raccontato in due modi diversi: Cerotto sostiene di aver premuto il telecomando al momento topico evitando a tutti una figuraccia e autoproclamandosi quindi un eroe, salvatore della situazione; la realtà fu invece che la sorella vide TUTTO, Luigi si gettò sul letto in preda allo scuorno più totale ed il giorno dopo diede la colpa dell’accaduto (questo era vero) a quel pesce integrale.

Penso di avervi tediato abbastanza, per cui vi saluto e vi chiedo perdono per la meschinità strabordante di questo post.

P.S. : Avrei voluto allegare un video di Pippo Franco che dice “Mamma mia quant’è bbona!“, ma non lo trovo. Peccato!

Carta, tu che sei giallastra e componente, color dell’ocra.

postato il 11 Set 2011 in Main thread
da Deluded Wiseman

Sto per scrivere una cosa molto nerd. E un po’ creepy. Insomma, una cosa che non mi rende molto cool, ma non fa niente(Dante, ti prego aiutami o fammi fuori). Si tratta di carta, ovviamente, un tipo di carta specifica con la quale ho un rapporto particolare. No, non è la carta igienica, o comunque non è quella ciò di cui voglio parlare. Si tratta, e lo dico con un grasso e unticcio orgoglio nerd, della carta dei fumetti vecchi, mi riferisco in particolare a quella che, negli anni ’70 aveva il privilegio di ospitare le colorate e innocentemente fighissime avventure dei supereroi Marvel, per gentile(?) concessione dell’Editore Corno, il primo editore italico a portare nello Stivale le suddette colorate vicende(non voglio sminuire i rispettabilissimi fumetti d’altro genere, dal cowboy al porno, che pure, appartenendo a quell’epoca, odorano similmente. Però non li ho mai letti molto, o comunque non li ho mai annusati con particolare zelo, quindi sticazzi). Anche la carta dei libri vecchi è bella, ha quell’odore penetrante e quel giallino cultura austera che anche il manuale dei panzarotti ha l’aria di un trattato di filologia sumera. Però a me la carta dei fumetti prende di più, ci sono più legato per vari motivi e soprattutto per uno in particolare: le parole del libro le leggi sulla pagina, ok, ma l’azione poi, a meno che tu non abbia la fantasia di un cardo, si svolge nella tua mente, la pagine col testo è solo l’imput. Nel fumetto invece no, è tutto lì sulla  carta: la descrizione, il dialogo e l’azione stessa, si stampano nella testa esattamente come sono nell’albo, e non c’è nessuna operazione di immaginazione(il che è tanto un pregio, quanto un difetto). Il libro puoi anche ascoltarlo, il supporto fisico serve solo ad avere un’esperienza di lettura più intima e vicina al testo, il fumetto se non stringi la pagina fra le mani non è nulla. E’così legato al suo supporto fisico, che per quanto mi riguarda molte delle storie vecchie, ristampate in edizioni nuove perdono metà del loro fascino: sembrano solo delle avventure fuori dal tempo, troppo semplici e variopinte per sopravvivere al fianco delle loro discendenti, più serie e mature, almeno quelle fatte bene. Però se l’edizione è originale il discorso cambia; certo, niente trasformerà “I Fantastici 4 contro l’Uomo Impossibile” in  ”Watchmen”, ma per quanto mi riguarda bastano quella colorazione zingara e imprecisa resa ancora più ignorante dall’alternanza pagine colorate-pagine bianco e nero (poi soppiantata, con profondere di annunci tamarri “Tutto a colori”) e quell’odore inimitabile a conferire a quelle vetuste vignette un senso di ingenua e immaginifica epicità, come quella di pitture e incisioni antiche che ci affascinano ancorché rozze e rudimentali, e rendere godibile qualunque baggianata anni ‘60. Ma poi l’odore, devo ripeterlo. Mi sa che questo è il punto nerd&creep: a me il profumo delle ingiallite pagine dei fumettazzi anni ’70 piace proprio, è inimitabile. Non lo so perché è diverso dal generico (e comunque esaltante) odore di pagine vecchie. Boh. Saranno i colori zingari, le manine unticce di tre generazioni di nerd che le tocchicciano e le accarezzano, sarà che sono stampate su fogli di carta igienica riciclata. Non lo so, però trasuda storia, e storie. Miste: odore delle storie dei supertizi in calzamaglia, della storia di dell’intrattenimento leggero, degli epici viaggi di quell’albo fra cantine e scaffali, e delle storie di tutti i gonzi che lo hanno posseduto, lasciandoci un segno, una macchia di caffè, un nome, una macchia di caffè che non ci pare tanto, ma una macchia marrone SICURAMENTE altro non può essere, e facendoti chiedere cosa cazzo spinga un uomo a spendere L.200 per fare i baffi a Capitan America, o per colorare il costume dell’Uomo Ragno di lillà e azzurro. Chiuderò in bellezza, raccontandovi di quando mia madre mi aveva comprato il glorioso “Fantastici 4 n.56” per natale, impacchettandolo solo dopo averlo inscatolato per non farsi sgamare subito, fallendo perché io già in macchina esaminando i regali come tutti i bravi bambini fanno avevo percepito l’odorazzo di fumetti vecchi. Lo so, è un incesto fra un aneddoto e uno spoiler, ma non avevo il cuore di narrarlo cristianamente.

No amici, non ve ne andate! È un feticismo socialmente accettato, chiedete pure a tutti gli appassionati in quelle le fiere del fumetto che non ho MAI frequentato!

C’è a chi piacciono i piedi, a chi le scarpe, a chi le carrozzerie cromate, a chi le tette. Bè, a me piacciono le tette i fumetti vecchi, carta compresa, sì.

 

 

PS:servirà un post per spiegare il titolo.

 

No.

postato il 3 Giu 2011 in Main thread
da Deluded Wiseman

A dispetto di come sarebbe facile pensare, dato che sono in ignominioso ritardo nel cambiare thread, l’argomento di questo mese NON è la prima cagata che mi è venuta in mente all’ultimo all’ultimo. Magari è una cagata, sicuramente è vago(infatti se preferite c’è l’argomento di riserva, altrettanto stimolante: “Stocazzo”), ma non mi è esattamente venuta in mente a me medesimo, e non è tirata fuori all’ultimo, anzi, posso dire che sono vari giorni che rifletto sull’opportunità del droppare o meno questo argomento, che trovo interessante, ma come dicevo prima, forse un pò difficile da inquadrare. Ovviamente, nella mia riflessione è andato perso del tempo, e quindi, diciamo, che non avevo proprio deciso, però s’è fatto tardi e tant’è.

Allora, non avete capito? No, niet, nein, non, insomma, negazioni assortite. Concetto tanto rudimentale, eppure non semplice, mi pare; pensate, per fare un esempio d’attualità, alle tarantelle sul valore del no in un referendum, o cose del genere.

Vi piace? No? Ecco, bravi, è già un buon inizio.

 

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