Luoghi comuni

postato il 8 Mag 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

[Probabilmente questo post sarà pieno di errori, ma ora mi scoccio di rileggerlo, e ho paura che se non lo posto ora non lo posto più. E considerando che è il post del mese scorso, forse è pure ora. Correggerò poi. ]

Il problema dei luoghi, almeno secondo me, è che c’è un luogo per ogni cosa, un po’ come le App (prendo dieci euro dalla Apple, per questa battuta). L’Università per studiare, il pub per magnà e beve, la discoteca per ballare, la palestra per lo sport, la piazza per ciondolare senza scopo, il muffoso antro che all’età di 20 anni ancora alcuni chiamano cameretta per, uh, tipo tutto: studiare, leggere, copulare, suonare o coltivare un qualsiasi altro hobby. Il tutto non sembra dimostrare particolari problematiche, se tralasciamo che per svolgere buona parte di queste attività paghiamo un servizio nullo o quasi, consistente, alla fine, nella sola messa a disposizione di un luogo che potrebbe benissimo essere sostituito dalla cantina della nonna. Ma, più di questo, mi colpisce una questione solo parzialmente analoga: se c’è un luogo per ogni cosa, è anche vero che il più delle volte per ogni cosa c’è un solo luogo. Coerente? Forse sì. Ma se si considera che passiamo buona parte della nostra giornata, e conseguentemente della nostra vita, in luoghi con un vincolo di destinazione, come il posto di lavoro o la scuola, anche il lettore più tardo realizzerà (o sono pazzo io) che, a conti fatti è ben poco il tempo e lo spazio che possiamo dedicare “a noi stessi”, per dirla in termini semplici, o, per usare un’immagine presa dalla Costituzione, immagine che estrapolerò e stravolgerò nel suo significato ma che secondo me rende bene e mi piace un sacco, per “svolgere la nostra personalità”. Mi piace perché mi sembra una descrizione abbastanza vaga e omnicomprensiva, ma al tempo stesso dotata di una certa precisione, di quello che rende l’uomo..uomo? Vivo?Insomma, penso parli bene da sé, ove io invece mostro difficoltà anche a pensare cosa sto scrivendo.

Qualunque sia il modo in cui vi piace “svolgere la vostra personalità”, per farlo vi tocca sicuramente aspettare fino a fine giornata, e probabilmente anche pagare qualcuno che vi metta i mezzi a disposizione.

Io penso, innanzitutto, per quanto che dovremmo imparare a gestire meglio i tempi, soprattutto noi cciovani che spesso, più che nei nostri doveri, siamo intrappolati nei tempi morti e nelle attese fra un dovere e l’altro, ore preziosissime (Pdp docet) che capita di buttare grattandosi lo scroto a parlare di gnocca nella stessa aula che ci vedrà studenti per le successive quattro ore (e ogni tanto ci può stare, dai), o fissando la pubblicità delle mutande di fronte alla pensilina del pullman(e forse pure questo..). Sarebbe bello cercare di riempire gli interstizi dei muri di impegni che costituiscono l’edificio della nostra giornata di quello che ci piace, invece di trascorrerla rimbalzando fra fatica e inerzia: leggere un libro o prendere una birra con gli amici durante lo spacco, disegnare poggiati sulle gionocchia mentre si aspetta il pullman, qualunque cosa appartenga a quel genere di cose che abbiamo quasi paura di fare davanti agli altri, quasi fosse un sacrilegio distogliersi dal beneamato binomio corsa frenetica-attesa che anima la metropoli.

Ma, più che imparare a gestire i tempi, soprattutto penso che si debba imparare a vivere i luoghi nei quali spendiamo le nostre vite, perché io trovo, senza esagerare, avvilente pensare che -se non fosse per questa mia linea di pensiero che sto confusamente esponendo (che immagino sia, coscientemente o meno, condivisa da alcuni di voi)- io assocerei la maggior parte degli scenari che fanno da sfondo al mio quotidiano esclusivamente a ricordi e sensazioni non voglio dire negative, perché di certo non posso dire che correre verso la metro o studiare e seguire i corsi siano faccende negative. Ma posso dire tranquillamente che si tratta di rituali imposti, faticosi, ansiogeni e quant’altro. Per questo penso che possa essere quasi “terapeutico” impadronirsi, in senso buono, di un luogo della nostra vita di tutti i giorni, vivendolo tramite una di quelle attività che sono tradizionalmente confinate altrove e che sentiamo nostre. Mi si passi l’immagine un po’ sdolcinata, ma è un po’ come piantare un bell’albero fiorito in un campo arido, o pieno di barbabietole, una cosa che per carità, ma non si vive di sola barbabietola. L’albero rimane lì, bello e florido, anche quando vai per barbabietole. Andare a ballare all’università invece che pagare 25 euro per un casermone stroboscopico a Via Culo, suonare la chitarra nello slargo antistante la biblioteca dove butti il sangue sui libri invece che a casa, non sedersi al bar ma prendere la birra e schiattarsi sulle panche dei giardinetti della metro che la mattina ti vedono perennemente in ritardo; sono cose che possono cambiare, e non solo per una sera, la concezione di un luogo, il modo di guardarlo e di sentirselo addosso, come un vestito fatto su misura invece che il monomisura-unisex del mercatino. Certo, non è necessario, ma visto che a pacche al vento non si può andare, tanto vale fare qualcosa per farsi andare meglio i suddetti indumenti. E se proprio ci va bene, possiamo rendere questo servizio anche a qualcun altro. Non voglio azzardarmi a pensare che la visione di me che fricchettoneggio con la chitarra possa rendere felice chi frequenta una piazza, però qualcosa del genere è possibile: per esempio, credo che la roba dell’albero di cui sopra, mi sia venuta pensando a una brutta giornata risollevata di punto in bianco dalla visione di un pesco fiorito (o comunque un coso coi petali rosa) piantato nelle squallide aiuolette di Quattro Giornate. Magari lo ha messo il Comune, ma forse no, e a me piace pensare che un tizio con l’hobby del giardinaggio un giorno si sia svegliato, abbia guardato il suo bel prato verde (cit.) e abbia detto “Meh. Oggi vado a piantare alberi per la via.”, e così facendo abbia sputato su di un po’ di grigiume urbano e migliorato la giornata di qualcuno. Tipo la mia, per esempio.

Ma poi, diciamolo, condividere qualcosa è sempre meglio che farla per se stessi; io sono convinto che il giorno che qualcuno ha inventato la musica, non l’ha inventata perché fosse suonata con la lucina puntata sul leggio, seduto con lo strumento in mano(ehm) in mezzo alla stanza. Io penso che chi ha inventato la musica lo abbia fatto per suonarla su una scogliera al tramonto, su un prato alpino in primavera, o su una gradinata medioevale. Lo stesso vale per i libri ,per il pallone; dio che tristezza i ragazzini che tirano calci in salotto, con tutto che io odio passare in mezzo ai creaturi che giocano il pallone.

Certo non sono certo parole nuove, le mie. Magari vi viene in mente il tripudio di liberazioni di spazi, e riappropriazioni varie che si fanno in nome di questo o quello. Mi preme, a questo punto, fare un distinguo con quello dicevo prima. Senza scendere nei dettagli, penso sia presuntuoso affermare di aver “liberato” uno spazio, quando di fatto lo si è sottratto a una parte di coloro che ne potrebbero usufruire, allo scopo di renderlo conforme all’idea di spazio dei “liberatori”(a meno che non si tratti di spazi sottratti al nulla e liberati dalla fatiscenza). E lo dico pur non facendo certo parte, la maggior parte delle volte, di coloro che si sentono depauperati dall’occupazione di uno spazio pubblico. Ma su questo di dovrebbe mettere su una vera discussione, io di certo non voglio affidare ad una piccola parentesi inserita in un post che parla d’altro il mio parare su una questione così spinosa. Il concetto di “vivere” un luogo, come comunità, è ben diverso, e si basa sulla possibilità che tutti possano proiettare qualcosa di loro stessi in uno spazio condiviso, senza che alcuno debba essere escluso dalle “proiezioni” altrui. Si può coesistere rispettosamente (a Piazza Quattro giornate, nei pomeriggi di primavera, ci trovi di tutto, e nessuno sembra disturbare), si può fare a turno (ci si potrebbe stupire a vedere cosa si agita certe sere nei cortili di alcuni palazzi universitari che il giorno dopo sono pieni di studenti e professori), si può fare un po’ in tutti i modi. Più triste è, come a Piazza Quattro Giornate (è una piazza grande, c’è zona e zona!), quando un gruppo di turpi rende perennemente sozza e invivibile un’area comune.

Non è che vengo qui a scrivere queste belle cose sperando che nessuno possa aversene a male neanche per un istante se io faccio una festa in una facoltà, o se suono i bonghi in piazza, ma secondo me sarebbe bello se si riuscisse a contemperare un minimo gli interessi, senza agitare qualche spauracchio ad hoc (Risse! Droga! Rapine!) ed evocare prontamente i guardiani del pubblico silenzio, uccidendo a volo a volo un’occasione di socialità e mandando tutti su facebook a passare le serate in cui non hai soldi per un pub davanti a FB a commentare il Grande Fratello in differita di 0,15 secondi. Ma soprattutto. Che cazzo ci faccio davanti al computer?

 

 

 

Un commento to “Luoghi comuni”

  1. avatar Vobby ha detto:

    Stavo scrivendo un commento così lungo che lungo la strada ho deciso di trasformarlo in post. Belle le pubblicazioni lunghe e corpose, comunque!

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