Il referendum è un istituto ambiguo, ma ci da dentro.

postato il 27 Nov 2011 in Cazzi e mazzi personali, Il rubricone musicone rotolone
da Deluded Wiseman

Ci sono due tipi di musicisti. Quelli che suonano ai matrimoni e fanno le caznoni a richiesta(“A saje o’latitant?” evviacosì), che se no il padre della sposa li spiezza in due, e quelli che hanno raggiunto una certa dignità artistica, e suonano quello che vogliono e nell’ordine che vogliono, per una serie di motivi. Motivi deprecabili tipo la spocchiosità da star della ceppa che non fa il classicone per dispetto ai fan occasionali andati allo show solo e unicamente per sentire quel pezzo, ecchissene se hanno pagato, occasionali o no, cinquanta soldi.  O motivi seri, tipo il fatto che anche la scelta di una scaletta,dei pezzi che la compongono e del loro ordine, può avere un senso o uno scopo precisi, che sia quello di orientare l’andamento del concerto e il coinvolgimento del pubblico dosando attentamente i pezzi veloci e i pezzi lenti o quelli famosi e quelli sconosciuti, o quello di permettere ai musicisti di arrivare più dignitosamente alla fine del set, alternanto pezzi facili a brani più logoranti; o ancora, magari con una scelta precisa si vuole comunicare qualcosa di preciso, una storia, una messaggio, o si è scelto un certo ordine per ripercorrere la storia del gruppo, o per festeggiare qualcosa, tipo l’anniversario di un album.

Per i succitati motivi, non mi piacciono molto i tizi che ogni volta che dal palco non arriva casino si mettono a cantare un pezzo o a invocarlo. Parliamoci chiaro, io sono uno che se va a un concerto e non gli fanno un pezzo che si aspettava, poi non lo ascolta per mesi. C’ho messo un anno per riascoltare Money Talks dopo gli AC/DC, e sì che lo sapevo da mesi che non era in scaletta. E quindi spesso sarei ben felice di trasformare i miei musicisti preferiti in juke-box umani(e costosi). Però poi, quando non sono in presenza di evidenti spocchiosi della ceppa(che pure è capitato) penso anche: “Ci dovrà pur essere una ragione sensata se questi gentiluomini hanno ideato questa scaletta. Lasciamo che la suonino, per Giove.”(si, nella mia testa parlo molto più signorilmente che fuori).

E poi, insomma, se uno sta suonando da due ore e tutti sono felici, e tu sei ancora lì che gli urli “O’latitant!”, si può anche risentire un po’. Io mi sa che mi risentirei un po’, paganti o non paganti. Non per niente, ma se tu fai un accordo di X e ti senti qualcuno attaccare a cantare Y, pare di deluderli, e non è bello per uno che cerca di far bene il suo.

E poi si deve calcolare che ci sono show che prevedono un preciso gioco di luci, scenografie o effetti speciali per ogni canzone. E non è che se dopo 15 pezzi con tripudi di laser, flash, scenografie apposite, fuochi d’artificio,  pupazzoni giganti, video e amenità varie, ci si può mettere a farne uno con le lucine fuori tempo tipo Sagra della Cotica di Brenzole, solo perché il pubblico lo chiede capite? Di nuovo, parliamoci chiaro, se, per dire, i Maiden suonassero Alexander the Great(pezzo figuerrimo mai suonato, ndnerd) io mi farei le pippe bulgare pure se la facessero in piedi sul tettuccio di una Fiat Punto illuminati da una torcia rotta. Però, obiettivamente, una roba così ti rovina lo show, e non so se io la farei.

Riassumendo: il confine fra i due tipi è abbastanza netto. E non lascia sconti: il secondo tipo regna. E’ quello con la pistola, e l’altro scava.

Poi però ci sono quei gruppi che scavano con la pistola in mano, quelli, tipo Modena City Ramblers o Bandabardò, che hanno un cuore grande così. Non sono juke-box ambulanti, non cantano  “Tanti auguri” se il padre della bambina si avvicina con la dieci euro, e sono gruppi che danno sempre il massimo; te lo dice il sudore di due ore di ammuina che se chiudono senza aver suonato la tua canzone preferita non è per pigrizia o spocchiosità, ma per una loro scelta di musici, condivisibile o meno. E, però, sono anche quei gruppi che magari suonano davanti a tremila persone, ma non sono certo persone arrivate lì per i passaggi su emtivì o a icsfattor, e quindi, sì, sono sempre professionisti che lavorano, ma è un po’ come se fosse una festa fra amici, magari piena di imbucati che non conosci, ma che ti stanno simpatici perché sono venuti a farti il regalo e gli auguri, quindi a pelle ti stanno simpatici. E quando senti che non uno scontento o uno che era lì per caso,  ma TUTTI ti chiedono un pezzo, che fai? Da un lato pensi che il tuo l’hai fatto, che sei distrutto, che il biglietto è pagato , lo spettacolo che avevi studiato è finito, e tutti a casa. Triste, ma legittimo. Ma dall’altro pensi che, da buon fricchettone, alla volontà popolare dovrai pur dare un peso, no? Non voglio idealizzarli troppo, sapendo di esagerare, ma voglio idealizzarli un po’, sperando di aver ragione, e quindi non accetterò commenti tipo “ma se non la facevano poi la gente non andava più ai concerti”, cosa che, oltretutto, non corrisponde al vero. E poi, se hai la fortuna di stare in prima fila, mentre il coro della vox populi monta piano piano, riesci a vedere gli occhi stanchi del lavoratore che ha finito la giornata e gli occhi innervositi del musicista che da mezz’ora sente gente attaccare a cantare un pezzo ogni volta che inizia a suonare tutt’altro, mutarsi negli occhi di quelli che pensano,”Fanculo la scaletta, se fanno tutti così, dovrà pur significare qualcosa per loro”. Alla fine, un coro così è un coro di tanto tanto amore, e come rispondi a tanto tanto amore?

Così, quando, incredulo, capisci che lo stanno proprio facendo, ti sembra un regalo. Ti sembra un regalo perché tu hai pagato per qualcosa che, buona o cattiva idea che fosse, non comprendeva questo; e se avevi apprezzato  lo show a prescindere, ti sembra proprio di aver fatto terno a lotto.

Quando il giorno dopo riesci anche a farti dire in faccia “Sì, è stato bello, si doveva fare” da uno di loro, capisci che i musicisti si dividono in due categorie, che una è superiore all’altra, ma che quando quelli con la pistola si mettono a scavare, con la pistola in tasca, è davvero bello, e lo è davvero perché è uno sforzo che vuol dire qualcosa per migliaia di persone in una stanza, paganti e pagati, sudanti e sudati, piecori e artisti.

E adesso, beccatevi i due “regali” pagati che questi attempati fricchettoni ci hanno voluto fare dall’alto della loro scioltezza:

Ubriaco canta amore

e

I Cento Passi

Un commento to “Il referendum è un istituto ambiguo, ma ci da dentro.”

  1. avatar Azazello ha detto:

    http://www.youtube.com/watch?v=J34eWDTHD18&feature=related

    Non ci si vede, ma eravamo lì, zompettanti e felici come non mai

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