Philadelphia-L.A., sola andata.

postato il 9 Dic 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

 

 

 

Non ho mai avuto una vita “normale”. La mia vita è sempre stata dura, sporca, violenta e immorale. Ma almeno era la mia, e il diavolo sa se volevo che finisse a gambe all’aria, capovolta per sempre.

Sono cresciuto a West Philadelphia, nei sobborghi. Allora non ce ne fregava molto di studiare o lavorare per fuggire di lì, non avevamo idea dello schifo a cui andavamo incontro. Così passavo le mie giornate a bighellonare per strada, giocando con la palla. Qualche sera, se riuscivamo a non farci vedere, ci intrufolavamo nel cinema a vedere qualche pulp o qualche poliziesco. Dev’essere così che mi è venuta voglia di entrare in polizia… avessi saputo lo schifo che mi aspettava, avessi saputo che non sarebbe stato come nei film con Bogart, forse ci avrei pensato due volte.

Ma non si può dire che io non abbia fatto il mio sporco lavoro, diamine, questo no. Anzi, forse l’ho fatto anche troppo, a giudicare da com’è andata a finire la mia ultima indagine.

Inizia come tutte le notti, con un whisky e una paglia a casa, ascoltando la radio. Poi giù, via. Stavolta è al campetto da basket, quello fra la 15esima e Madison. Arrivo di soppiatto, e mi trovo davanti quello che aspettavo: la banda di Soapy ha un appuntamento importante, e io lo sapevo: le informazioni nelle bettole costano alcol e sangue, ma sono affidabili, e io so procurarmele.

E’ un incontro discreto: da lontano vedo solo Soapy, un paio di sgherri, e altri tre uomini che mi danno le spalle. So che si vedono qui perché è territorio neutrale per tutte le gang, ma non so chi siano gli altri. E continuo a non saperlo: avvicinandomi mi sono buttato dietro un cassonetto, e non vedo un beneamato. Però sento. Sento che si accordano per qualcosa di grosso: una partita di droga dal Medio-Oriente, pronta a inzozzare le strade per benevola interecessione di qualche testa di cazzo dell’esercito che ha ben pensando di arrotondare spacciando roba dall’Afghanistan. Vendendo questa roba quei segaioli di Soapy e dei suoi faranno un bel salto di qualità. Complimenti. Cerco di capire luogo ed ora, voglio essere lì ad aspettarli con qualche amico. Quello che invece non mi aspettavo, è una botta fortissima giusto dietro la nuca.

E’ quello che ricevo.

Forse sono stato un coglione a non immaginare che ci fosse qualcuno che controllava la zona, o forse no. Non ho il tempo di chiedermelo: ho giusto il tempo di vedere il bestione nero che mi ha offerto il primo giro, e poi me ne regala un altro dritto sul muso mentre chiama gli altri, e io smetto di vedere e capire. Sento solo l’asfalto ruvido e sozzo grattarmi la faccia, e rumore di pistole e coltelli sguainati. Urlano, mi vogliono fare secco. Cerco di rialzarmi, ma ricevo un calcio in pancia. Sputo sangue sul trench e sulle scarpe. Poi sento una voce, dice che ci devono andare piano, dice di darmi una lezione ma di non farmi tirare le cuoia, perché hanno bisogno di discrezione. Dev’essere l’altro stronzo, lo sconosciuto che ancora non riesco a vedere, e mi ha appena salvato la vita. Non mi salva dalla lezione: mi pestano di brutto per venti minuti, credo mi minaccino di mandarmi al Creatore, ma io ormai sono per metà da Belzebù, e neanche capisco quello che dicono. Alla fine qualcuno mi solleva sopra la testa, mi fa fare un paio di giri in aria e mi lancia contro il cassonetto. Urlano qualche altra cosa e se ne vanno, lasciandomi lì, ricoperto di sangue e sputi.

Non le ho mai prese così, mai.

“William, hai tirato troppo la corda”, mi dice il commissario qualche ora dopo “Alla prossima cazzata che fai, qualcuno ti ammazza. Vattene. Cambia città, ti possiamo trovare un posto. Ricomincia.” E se io fuggo con la coda fra le gambe, chi lo finisce il fottuto lavoro, qui? Forse lui o quei damerini culi lardosi della procura/qualche? Glielo dico, ma lui mi ignora. “Da cadavere non servirai per un cazzo. Non fare lo stronzo: c’è un distretto a Los Angeles, hanno bisogno di uomini. Aspettano solo te”. A quel punto, mi insospettisco, e iniziano a girarmi. So bene che chi fa onestamente il suo mestiere in polizia non va a genio molti politici con le mani immerse nel miele fino ai gemelli d’oro. Gli faccio: “Ma che premuroso. Non è che invece ho rotto le palle una volta di troppo a qualche alto papavero degli amici tuoi? Che mi dici, caro il mio commissario in carriera del cazzo?.”

Forse ho centrato il bersaglio. O forse gli ho dato del corrotto ingiustamente. Comunque sia, mi guarda male e mi dice di avere rispetto per chi vuole il mio bene, di levarmi dai coglioni prima che cambi idea e smetta di cercare di salvarmi la pelle, puttanate del genere. Dice che non ho scelta, che se non vado via mi sbatte a dirigere il traffico fin quando qualche sgherro non mi trova e non mi fa fuori sul posto. Francamente non lo ascolto. Probabilmente lui non c’entra niente, lo conosco da vent’anni e in fondo è un poliziotto onesto. Però sa, e ormai l’ho capito anche io, che questa volta ho pesato i piedi al figlio di puttana sbagliato, e rischio di compromettere, oltre al mio culo, anche il mio lavoro. Meglio non insistere.

Accendo la paglia, e capisco che è meglio sgommare.

Non lascio molto, qui a Philadelphia . Parenti non ne ho, e con gli amici di un tempo ho perso i contatti.  Con quelli che non si è portati via l’alcol, la droga, la mafia o il glorioso esercito degli Stati Uniti d’America, intendo. Al lavoro, non sono mai andato a genio a molti. Poco male,neanche loro andavano a genio a me. Un’ultima sbronza con i derelitti da  Franky’s, e sono pronto. Non saluto Charlene ,e probabilmente è meglio così anche per lei. In fondo, per me il lavoro era tutto, e se a Philadelphia per me non ce n’è più, tanto vale andare, e arrivederci a questa fogna senza troppi rimpianti. Non sono un sentimentale. Forse s’era capito.

Il problema è che io nella fogna ci sguazzavo a meraviglia. Sono nato lì, cresciuto lì, è lì che ho preso i primi pugni sul muso, ed è in quei vicoli che ho imparato a rispondere a ginocchiate nelle palle. Philadelphia, almeno la mia Philadelphia, è un posto di merda, chiariamo. Lurido, violento, insensibile. Ma non ha pretese di essere meglio di quanto non sia. Ed io sono fatto per lei, almeno quanto lei è fatta per me. Neanche io sono un tipino raccomandabile, ma non mi sono mai creduto diverso. Los Angeles, invece, è bugiarda. In mezzo ai lustrini, alle luci e alle feste, strisciano il crimine e la corruzione in tutte le loro forme. Con crimine e corruzione ci so fare, con i lustrini e le feste no. Odio gli ipocriti, e LA è probabilmente la città più ipocrita del mondo. Ci sono film di Hollywood molto più veri di Los Angeles.

Salgo in aereo e realizzo che, non so perché, ma mi hanno messo in prima classe. Facce belle, abbronzate e vuote; credo sia un’anteprima di quello che mi aspetta. Mi servono aranciata in bicchieri di cristallo, chiedo all’hostess se  posso avere un po’ di whisky in bicchiere di plastica, e le rido in faccia quando per un bicchiere mi chiede il prezzo di due bottiglie della riserva di Franky. Sarà orribile.

Uscito dall’aereoporto chiamo un taxi, e mi avvio sotto il dannatissimo sole della California verso la mia nuova vita, e guardando la città dal finestrino mi ricordo che L.A. e Hollywood non sono la stessa cosa. L.A. è anche ghetti di ispanici, gang di strada, droga nei parchi per bambini, miseria. Questo potrei gestirlo, è roba mia. Neanche il tempo di finire la paglia, e mi rendo conto che la cosa non mi riguarda: io non vado a Compton, non vado a Venice. Quando inizio a vedere i cancelli delle ville e i giardini vorrei dirgli di fermarsi, che questo non è il mio posto e sta sbagliando. Probabilmente mi prenderebbe per pazzo.  In fondo mi ricordo di averglielo detto proprio io entrando in auto:

“Portami a Bel-Air.”

E non conta quanto dello sciacquabudella infimo che ho nella fiaschetta dovrò mandare giù per sopportare l’idea. Gli dico l’indirizzo esatto, e lui mi ci porta. “Che sventola di commissariato”, penso mentre accendo l’ennesima paglia di una giornata che sta iniziando a sapere troppo di catrame persino per le mie abitudini. Il palazzo è pulito, sistemato, tranquillo; nessun via vai di teppisti in manette e volanti a sirene spiegate. Il mio commissariato puzzava di vecchio, di sigaro, di caffè. Questo odora di disinfettante. Bè, ormai che sono in pista, meglio ballare, e cercare di farci l’abitudine. Willy Smith, ispettore, distretto di Bel-Air. Suona strano.

 

Ualà

 

 

 

 

 

 

Luoghi comuni

postato il 8 Mag 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

[Probabilmente questo post sarà pieno di errori, ma ora mi scoccio di rileggerlo, e ho paura che se non lo posto ora non lo posto più. E considerando che è il post del mese scorso, forse è pure ora. Correggerò poi. ]

Il problema dei luoghi, almeno secondo me, è che c’è un luogo per ogni cosa, un po’ come le App (prendo dieci euro dalla Apple, per questa battuta). L’Università per studiare, il pub per magnà e beve, la discoteca per ballare, la palestra per lo sport, la piazza per ciondolare senza scopo, il muffoso antro che all’età di 20 anni ancora alcuni chiamano cameretta per, uh, tipo tutto: studiare, leggere, copulare, suonare o coltivare un qualsiasi altro hobby. Il tutto non sembra dimostrare particolari problematiche, se tralasciamo che per svolgere buona parte di queste attività paghiamo un servizio nullo o quasi, consistente, alla fine, nella sola messa a disposizione di un luogo che potrebbe benissimo essere sostituito dalla cantina della nonna. Ma, più di questo, mi colpisce una questione solo parzialmente analoga: se c’è un luogo per ogni cosa, è anche vero che il più delle volte per ogni cosa c’è un solo luogo. Coerente? Forse sì. Ma se si considera che passiamo buona parte della nostra giornata, e conseguentemente della nostra vita, in luoghi con un vincolo di destinazione, come il posto di lavoro o la scuola, anche il lettore più tardo realizzerà (o sono pazzo io) che, a conti fatti è ben poco il tempo e lo spazio che possiamo dedicare “a noi stessi”, per dirla in termini semplici, o, per usare un’immagine presa dalla Costituzione, immagine che estrapolerò e stravolgerò nel suo significato ma che secondo me rende bene e mi piace un sacco, per “svolgere la nostra personalità”. Mi piace perché mi sembra una descrizione abbastanza vaga e omnicomprensiva, ma al tempo stesso dotata di una certa precisione, di quello che rende l’uomo..uomo? Vivo?Insomma, penso parli bene da sé, ove io invece mostro difficoltà anche a pensare cosa sto scrivendo.

Qualunque sia il modo in cui vi piace “svolgere la vostra personalità”, per farlo vi tocca sicuramente aspettare fino a fine giornata, e probabilmente anche pagare qualcuno che vi metta i mezzi a disposizione.

Io penso, innanzitutto, per quanto che dovremmo imparare a gestire meglio i tempi, soprattutto noi cciovani che spesso, più che nei nostri doveri, siamo intrappolati nei tempi morti e nelle attese fra un dovere e l’altro, ore preziosissime (Pdp docet) che capita di buttare grattandosi lo scroto a parlare di gnocca nella stessa aula che ci vedrà studenti per le successive quattro ore (e ogni tanto ci può stare, dai), o fissando la pubblicità delle mutande di fronte alla pensilina del pullman(e forse pure questo..). Sarebbe bello cercare di riempire gli interstizi dei muri di impegni che costituiscono l’edificio della nostra giornata di quello che ci piace, invece di trascorrerla rimbalzando fra fatica e inerzia: leggere un libro o prendere una birra con gli amici durante lo spacco, disegnare poggiati sulle gionocchia mentre si aspetta il pullman, qualunque cosa appartenga a quel genere di cose che abbiamo quasi paura di fare davanti agli altri, quasi fosse un sacrilegio distogliersi dal beneamato binomio corsa frenetica-attesa che anima la metropoli.

Ma, più che imparare a gestire i tempi, soprattutto penso che si debba imparare a vivere i luoghi nei quali spendiamo le nostre vite, perché io trovo, senza esagerare, avvilente pensare che -se non fosse per questa mia linea di pensiero che sto confusamente esponendo (che immagino sia, coscientemente o meno, condivisa da alcuni di voi)- io assocerei la maggior parte degli scenari che fanno da sfondo al mio quotidiano esclusivamente a ricordi e sensazioni non voglio dire negative, perché di certo non posso dire che correre verso la metro o studiare e seguire i corsi siano faccende negative. Ma posso dire tranquillamente che si tratta di rituali imposti, faticosi, ansiogeni e quant’altro. Per questo penso che possa essere quasi “terapeutico” impadronirsi, in senso buono, di un luogo della nostra vita di tutti i giorni, vivendolo tramite una di quelle attività che sono tradizionalmente confinate altrove e che sentiamo nostre. Mi si passi l’immagine un po’ sdolcinata, ma è un po’ come piantare un bell’albero fiorito in un campo arido, o pieno di barbabietole, una cosa che per carità, ma non si vive di sola barbabietola. L’albero rimane lì, bello e florido, anche quando vai per barbabietole. Andare a ballare all’università invece che pagare 25 euro per un casermone stroboscopico a Via Culo, suonare la chitarra nello slargo antistante la biblioteca dove butti il sangue sui libri invece che a casa, non sedersi al bar ma prendere la birra e schiattarsi sulle panche dei giardinetti della metro che la mattina ti vedono perennemente in ritardo; sono cose che possono cambiare, e non solo per una sera, la concezione di un luogo, il modo di guardarlo e di sentirselo addosso, come un vestito fatto su misura invece che il monomisura-unisex del mercatino. Certo, non è necessario, ma visto che a pacche al vento non si può andare, tanto vale fare qualcosa per farsi andare meglio i suddetti indumenti. E se proprio ci va bene, possiamo rendere questo servizio anche a qualcun altro. Non voglio azzardarmi a pensare che la visione di me che fricchettoneggio con la chitarra possa rendere felice chi frequenta una piazza, però qualcosa del genere è possibile: per esempio, credo che la roba dell’albero di cui sopra, mi sia venuta pensando a una brutta giornata risollevata di punto in bianco dalla visione di un pesco fiorito (o comunque un coso coi petali rosa) piantato nelle squallide aiuolette di Quattro Giornate. Magari lo ha messo il Comune, ma forse no, e a me piace pensare che un tizio con l’hobby del giardinaggio un giorno si sia svegliato, abbia guardato il suo bel prato verde (cit.) e abbia detto “Meh. Oggi vado a piantare alberi per la via.”, e così facendo abbia sputato su di un po’ di grigiume urbano e migliorato la giornata di qualcuno. Tipo la mia, per esempio.

Ma poi, diciamolo, condividere qualcosa è sempre meglio che farla per se stessi; io sono convinto che il giorno che qualcuno ha inventato la musica, non l’ha inventata perché fosse suonata con la lucina puntata sul leggio, seduto con lo strumento in mano(ehm) in mezzo alla stanza. Io penso che chi ha inventato la musica lo abbia fatto per suonarla su una scogliera al tramonto, su un prato alpino in primavera, o su una gradinata medioevale. Lo stesso vale per i libri ,per il pallone; dio che tristezza i ragazzini che tirano calci in salotto, con tutto che io odio passare in mezzo ai creaturi che giocano il pallone.

Certo non sono certo parole nuove, le mie. Magari vi viene in mente il tripudio di liberazioni di spazi, e riappropriazioni varie che si fanno in nome di questo o quello. Mi preme, a questo punto, fare un distinguo con quello dicevo prima. Senza scendere nei dettagli, penso sia presuntuoso affermare di aver “liberato” uno spazio, quando di fatto lo si è sottratto a una parte di coloro che ne potrebbero usufruire, allo scopo di renderlo conforme all’idea di spazio dei “liberatori”(a meno che non si tratti di spazi sottratti al nulla e liberati dalla fatiscenza). E lo dico pur non facendo certo parte, la maggior parte delle volte, di coloro che si sentono depauperati dall’occupazione di uno spazio pubblico. Ma su questo di dovrebbe mettere su una vera discussione, io di certo non voglio affidare ad una piccola parentesi inserita in un post che parla d’altro il mio parare su una questione così spinosa. Il concetto di “vivere” un luogo, come comunità, è ben diverso, e si basa sulla possibilità che tutti possano proiettare qualcosa di loro stessi in uno spazio condiviso, senza che alcuno debba essere escluso dalle “proiezioni” altrui. Si può coesistere rispettosamente (a Piazza Quattro giornate, nei pomeriggi di primavera, ci trovi di tutto, e nessuno sembra disturbare), si può fare a turno (ci si potrebbe stupire a vedere cosa si agita certe sere nei cortili di alcuni palazzi universitari che il giorno dopo sono pieni di studenti e professori), si può fare un po’ in tutti i modi. Più triste è, come a Piazza Quattro Giornate (è una piazza grande, c’è zona e zona!), quando un gruppo di turpi rende perennemente sozza e invivibile un’area comune.

Non è che vengo qui a scrivere queste belle cose sperando che nessuno possa aversene a male neanche per un istante se io faccio una festa in una facoltà, o se suono i bonghi in piazza, ma secondo me sarebbe bello se si riuscisse a contemperare un minimo gli interessi, senza agitare qualche spauracchio ad hoc (Risse! Droga! Rapine!) ed evocare prontamente i guardiani del pubblico silenzio, uccidendo a volo a volo un’occasione di socialità e mandando tutti su facebook a passare le serate in cui non hai soldi per un pub davanti a FB a commentare il Grande Fratello in differita di 0,15 secondi. Ma soprattutto. Che cazzo ci faccio davanti al computer?

 

 

 

Un post senza pretese

postato il 7 Mar 2012 in Main thread
da Cerbs

Nei miei passati interventi in questo blog ho sempre cercato di insaporire i miei post con una vena burlesca, per dilettare il pubblico e rendere più accette le mie stronzate (celando spesso evidenti mancanze di contenuti di fondo).
Questa volta però voglio semplicemente porvi una domanda.

Vi siete accorti che non sapete perchè si dorme?

Non si sa con certezza perchè il sonno esista e che funzione abbia di preciso. E’ un meccanismo universale, di cui l’evoluzione non sembra essere riuscita a fare a meno, tanto da servirsi di buffi espedienti pur di garantirlo: ad esempio, i delfini ed alcuni uccelli migratori dormono con metà cervello alla volta perchè necessitano di essere continuamente vigili mentre nuotano o volano.
Certo,voi direte: “Il sonno serve a riposarsi”. Bene, ma allora, cos’è che si riposa?

Per quanto riguarda l’attività muscolare, si sarebbe potuto ugualmente riposare in una veglia quieta. Il sonno è un apparente controsenso evoluzionistico, perchè ci rende inermi ed esposti ai pericoli, per cui sarebbe stata molto più saggia la seconda scelta: riposare le membra restando pur vigili. Forse allora il sonno serve a proteggerci da eccessive fatiche: ma anche in questo caso, sonno e veglia quieta non differiscono molto in termini di consumo energetico. Sarebbe bastata lei.

Tutto ciò induce a pensare che il sonno sia importante per il cervello. Ma le cellule neuronali non si “disattivano” affatto: al contrario, si instaurano particolari attività elettriche, così particolari che hanno permesso di dividere il sonno in fasi (ma non è mia intenzione annoiarvi con la loro descrizione specifica). Si potrebbe pensare che il sonno allora serva a ricostituire le riserve di alcuni metaboliti cerebrali, cioè, per dirla in modo più semplice, a ridare gli zuccheri, ad esempio, alle cellule, per farle funzionare di nuovo una volta svegli. Questo però succede solo in alcune specie animali e solo in alcune zone cerebrali. Altre ipotesi secondo cui esso potrebbe favorire il recupero dell’attività mitocondriale (i mitocondri, se non lo ricordate, sono organelli delle cellule), la sintesi proteica e rimaneggiamenti delle membrane cellulari sono suffragate solo da dati correlativi.

In una fase del sonno, la famosa fase REM, le cellule del cervello intraprendono una attività elettrica tale da essere estremamente simile a quella della veglia! Da qui il soprannome dato al sonno REM di “sonno paradossale”. Ciò ha qualche significato?
L’alternanza, quando si dorme, delle varie fasi del sonno (cioè,quando dormite, dormite prima in fase Non REM, poi in fase REM, poi di nuovo Non Rem e così via per 4-5 volte), ha significato? La risposta della scienza per ora è “Boh!”.

Il tempo trascorso a dormire cambia nel corso della vita, così come la sua composizione (le fasi del sonno, cioè, variano di durata nel corso della vita). Ciò ha significato? La risposta è nuovamente “Boh!”.

Sicuramente invece il sonno è associato con la memoria, ma non si sa bene se favorisca il consolidamento di ricordi nuovi (appena acquisiti) o dei ricordi vecchi. Una recente ipotesi sostiene che la funzione principale del sonno sarebbe quella di “mantenere sotto controllo” il numero e l’efficacia totale delle sinapsi (cioè le connessioni fra i neuroni), che si potenzierebbero durante la veglia. Per poter sempre funzionare, il nostro cervello non può potenziare le proprie sinapsi a suo piacimento: la funzione del sonno sarebbe dunque quella di “depotenziarle” per evitare una saturazione.

Ovviamente non vi ho detto tutto quello che si sa e che non si sa sul sonno, però spero di aver generato in voi una sana curiosità intellettuale riguardo questo misterioso sonno.

Vi lascio intendere che sono stato aiutato nello scrivere questo post dall’aver fatto da poco Fisiologia II.

 

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