Il referendum è un istituto ambiguo, ma ci da dentro.

postato il 27 Nov 2011 in Cazzi e mazzi personali, Il rubricone musicone rotolone
da Deluded Wiseman

Ci sono due tipi di musicisti. Quelli che suonano ai matrimoni e fanno le caznoni a richiesta(“A saje o’latitant?” evviacosì), che se no il padre della sposa li spiezza in due, e quelli che hanno raggiunto una certa dignità artistica, e suonano quello che vogliono e nell’ordine che vogliono, per una serie di motivi. Motivi deprecabili tipo la spocchiosità da star della ceppa che non fa il classicone per dispetto ai fan occasionali andati allo show solo e unicamente per sentire quel pezzo, ecchissene se hanno pagato, occasionali o no, cinquanta soldi.  O motivi seri, tipo il fatto che anche la scelta di una scaletta,dei pezzi che la compongono e del loro ordine, può avere un senso o uno scopo precisi, che sia quello di orientare l’andamento del concerto e il coinvolgimento del pubblico dosando attentamente i pezzi veloci e i pezzi lenti o quelli famosi e quelli sconosciuti, o quello di permettere ai musicisti di arrivare più dignitosamente alla fine del set, alternanto pezzi facili a brani più logoranti; o ancora, magari con una scelta precisa si vuole comunicare qualcosa di preciso, una storia, una messaggio, o si è scelto un certo ordine per ripercorrere la storia del gruppo, o per festeggiare qualcosa, tipo l’anniversario di un album.

Per i succitati motivi, non mi piacciono molto i tizi che ogni volta che dal palco non arriva casino si mettono a cantare un pezzo o a invocarlo. Parliamoci chiaro, io sono uno che se va a un concerto e non gli fanno un pezzo che si aspettava, poi non lo ascolta per mesi. C’ho messo un anno per riascoltare Money Talks dopo gli AC/DC, e sì che lo sapevo da mesi che non era in scaletta. E quindi spesso sarei ben felice di trasformare i miei musicisti preferiti in juke-box umani(e costosi). Però poi, quando non sono in presenza di evidenti spocchiosi della ceppa(che pure è capitato) penso anche: “Ci dovrà pur essere una ragione sensata se questi gentiluomini hanno ideato questa scaletta. Lasciamo che la suonino, per Giove.”(si, nella mia testa parlo molto più signorilmente che fuori).

E poi, insomma, se uno sta suonando da due ore e tutti sono felici, e tu sei ancora lì che gli urli “O’latitant!”, si può anche risentire un po’. Io mi sa che mi risentirei un po’, paganti o non paganti. Non per niente, ma se tu fai un accordo di X e ti senti qualcuno attaccare a cantare Y, pare di deluderli, e non è bello per uno che cerca di far bene il suo.

E poi si deve calcolare che ci sono show che prevedono un preciso gioco di luci, scenografie o effetti speciali per ogni canzone. E non è che se dopo 15 pezzi con tripudi di laser, flash, scenografie apposite, fuochi d’artificio,  pupazzoni giganti, video e amenità varie, ci si può mettere a farne uno con le lucine fuori tempo tipo Sagra della Cotica di Brenzole, solo perché il pubblico lo chiede capite? Di nuovo, parliamoci chiaro, se, per dire, i Maiden suonassero Alexander the Great(pezzo figuerrimo mai suonato, ndnerd) io mi farei le pippe bulgare pure se la facessero in piedi sul tettuccio di una Fiat Punto illuminati da una torcia rotta. Però, obiettivamente, una roba così ti rovina lo show, e non so se io la farei.

Riassumendo: il confine fra i due tipi è abbastanza netto. E non lascia sconti: il secondo tipo regna. E’ quello con la pistola, e l’altro scava.

Poi però ci sono quei gruppi che scavano con la pistola in mano, quelli, tipo Modena City Ramblers o Bandabardò, che hanno un cuore grande così. Non sono juke-box ambulanti, non cantano  “Tanti auguri” se il padre della bambina si avvicina con la dieci euro, e sono gruppi che danno sempre il massimo; te lo dice il sudore di due ore di ammuina che se chiudono senza aver suonato la tua canzone preferita non è per pigrizia o spocchiosità, ma per una loro scelta di musici, condivisibile o meno. E, però, sono anche quei gruppi che magari suonano davanti a tremila persone, ma non sono certo persone arrivate lì per i passaggi su emtivì o a icsfattor, e quindi, sì, sono sempre professionisti che lavorano, ma è un po’ come se fosse una festa fra amici, magari piena di imbucati che non conosci, ma che ti stanno simpatici perché sono venuti a farti il regalo e gli auguri, quindi a pelle ti stanno simpatici. E quando senti che non uno scontento o uno che era lì per caso,  ma TUTTI ti chiedono un pezzo, che fai? Da un lato pensi che il tuo l’hai fatto, che sei distrutto, che il biglietto è pagato , lo spettacolo che avevi studiato è finito, e tutti a casa. Triste, ma legittimo. Ma dall’altro pensi che, da buon fricchettone, alla volontà popolare dovrai pur dare un peso, no? Non voglio idealizzarli troppo, sapendo di esagerare, ma voglio idealizzarli un po’, sperando di aver ragione, e quindi non accetterò commenti tipo “ma se non la facevano poi la gente non andava più ai concerti”, cosa che, oltretutto, non corrisponde al vero. E poi, se hai la fortuna di stare in prima fila, mentre il coro della vox populi monta piano piano, riesci a vedere gli occhi stanchi del lavoratore che ha finito la giornata e gli occhi innervositi del musicista che da mezz’ora sente gente attaccare a cantare un pezzo ogni volta che inizia a suonare tutt’altro, mutarsi negli occhi di quelli che pensano,”Fanculo la scaletta, se fanno tutti così, dovrà pur significare qualcosa per loro”. Alla fine, un coro così è un coro di tanto tanto amore, e come rispondi a tanto tanto amore?

Così, quando, incredulo, capisci che lo stanno proprio facendo, ti sembra un regalo. Ti sembra un regalo perché tu hai pagato per qualcosa che, buona o cattiva idea che fosse, non comprendeva questo; e se avevi apprezzato  lo show a prescindere, ti sembra proprio di aver fatto terno a lotto.

Quando il giorno dopo riesci anche a farti dire in faccia “Sì, è stato bello, si doveva fare” da uno di loro, capisci che i musicisti si dividono in due categorie, che una è superiore all’altra, ma che quando quelli con la pistola si mettono a scavare, con la pistola in tasca, è davvero bello, e lo è davvero perché è uno sforzo che vuol dire qualcosa per migliaia di persone in una stanza, paganti e pagati, sudanti e sudati, piecori e artisti.

E adesso, beccatevi i due “regali” pagati che questi attempati fricchettoni ci hanno voluto fare dall’alto della loro scioltezza:

Ubriaco canta amore

e

I Cento Passi

Fino a sera

postato il 1 Nov 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Dove sono?

Quando ti svegli e intorno a te c’è solo il buio, è questo che ti chiedi. Poi ti rendi conto di essere steso, senti un suolo duro sotto la schiena e sai di non essere nel tuo letto. Allunghi una mano, vuoi capire cos’hai intorno, ma una parete di legno interrompe prematuramente il gesto. Col movimento ancora impresso nei muscoli ritrai il braccio e esiti per un secondo, poi, palmi spalancati, colpisci con forza la parete nera davanti a te, riprovi in altre direzioni, agiti i piedi e provi ad alzare le gambe, sbatti le ginocchia, ti dimeni, cerchi in ogni modo di allungarti in ogni microscopica frazione di spazio a tua disposizione. Urli.

Poi ti fermi con qualche graffio e un po’ di coscienza in più: sei rinchiuso. Arrivano lo sgomento, la paura, l’orrore. La rassegnazione no.

Non ti muovi, o se lo fai non te ne accorgi. Chiudi gli occhi. Sei solo. Lo capisci. Pensi ai tuoi amici, ti ricordi dei tuoi appuntamenti, anche i più inutili, pensi ai libri che stavi leggendo. Sei solo. Riapri gli occhi.

Luce.

Sei nel tuo letto, stai bene, vedi le lenzuola, puoi sentire il materasso sotto di te, avverti il rumore di fondo delle grandi città, le urla sporadiche dei negozianti al di là della tua finestra. È tutto al proprio posto: allunghi la mano, prendi il cellulare e guardi l’ora. Ti alzi, senti i tuoi genitori urlarsi qualcosa nell’altra stanza, cerchi di fare un riassunto e di ricordare a che punto sei della tua vita. Fai un po’ di confusione – a volte ti trovi più avanti di dove sei, ma più spesso sei un po’ indietro, giusto di qualche giorno. Ridisegni rapidamente una mappa dei tuoi luoghi, ti siedi, fai qualcosa di estremamente quotidiano senza nemmeno accorgertene. Ti colpisce quell’unico raggio di sole che riesce a infiltrarsi tra il palazzo di fronte alla tua finestra, le serrande un po’ abbassate e le tende. Chiudi gli occhi per non essere abbagliato. Li riapri per gettare un rapido sguardo al cellulare, allo schermo del computer, all’orario, ai messaggi, alle chiamate perse. Guardi il mondo girare senza di te, richiudi gli occhi e dormi.

Dove sono?

Solo.

Oggi, sabato 15 ottobre 2011

postato il 15 Ott 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

“Avevano iniziato a considerare il governo degli USA come una mera appendice dei propri affari. Ora sappiamo che il governo esercitato dalla finanza organizzata è altrettanto pericoloso del governo della malavita organizzata”.

Michael Moore? Naomi Klein? Qualche manifestante di Occupy Wall Street? No, Franklin D. Roosevelt.
Argomentare oggi questa attualissima affermazione non è necessario, dal momento che la sua veridicità è immediatamente notata dal cittadino anche solo vagamente informato dell’attualità economica e politica.
Piuttosto, va aggiunta una seconda determinazione al governo della finanza: esso, prima e più che pericoloso, è assolutamente antidemocratico. E anche questo è immediatamente evidente, perché non ci vuol molto a capire che dove governano i finanzieri non governa il popolo.
Spostiamo lo sguardo dalla Grande Depressione per posarlo sull’attuale crisi del debito che si sta verificando in Europa.
Perché la finanza eserciti le sue funzioni di pericolosità e antidemocraticità deve innanzitutto farsi governo. E l’istituzione che naturalmente è portata a esprimere la volontà della finanza è certamente la banca, luogo di incrocio e base per le operazioni di borsa.
Se la banca è centrale, se la banca centrale è indipendente dallo Stato, cioè da qualsivoglia controllo pubblico sul suo operato, e quindi dipendente solo dai privati che attraverso essa operano, se la banca centrale indipendente ha il compito, scritto a chiare lettere nel suo statuto, di limitare l’inflazione, cioè di decidere la quantità di risorse che lo Stato può gestire per intervenire nell’economia e, infine, se questo già di per sè completo potere di controllo sulla moneta e sulla politica monetaria in generale è esercitato non già su uno Stato, ma su di un’organizzazione sovranazionale che di stati ne comprende 27, possiamo stare pur certi che il governo della finanza (pericoloso e antidemocratico, ripetiamolo) è assicurato.
Insomma, la Banca Centrale Europea è un portentoso organo di governo-ombra, per quanto dopo tutto eserciti questa sua funzione alla luce del sole, essendo decisamente maldestri e inutili i tentativi fatti dalla casta politica per nascondere questo fatto: le ricette anticrisi prescritte dalla BCE sono eseguite in tutti i paesi interessati con grande solerzia e senza alcun dialogo. Opposizione e maggioranza fanno fronte comune davanti agli ordini della finanza.
La più coraggiosa delle politiche potrebbe fare poco di fronte alla BCE, mancando gli strumenti istituzionali per controllarne l’operato. Tanto meno può agire la classe politica a cui siamo ormai assuefatti, politica debole, politica serva, che preferisce chinare la testa di fronte al denaro piuttosto che alzarla insieme alle grandi masse di persone.
Il fatto che a una banca (una banca!) sia sufficiente inviare una lettera al capo del governo per far scattare sull’attenti l’intero parlamento di fronte a proposte (ordini) francamente irricevili mi lascia disgustato. Indignato.
Una banca non può decidere la politica economica del mio paese, una banca non può mettere mano alla mia costituzione. Non glielo si deve permettere.
E quali sono poi questi ordini? Privatizzazioni, tagli della spesa, ovvero meno pensioni e riduzione degli stipendi, deregolamentazione dei contratti di lavoro e quindi, in sostanza, questo: ancora meno potere allo Stato, ulteriore trasferimento di risorse, quindi di potere, dalla sfera pubblica a quella privata. Abbiamo di fronte una tecnostruttura che perpetra sè stessa e il suo potere.
La civiltà, la legge, devono ritirarsi per lasciar crescere la giungla dell’economia incontrollata.
Oggi, sabato 15 ottobre 2011, folle di cittadini si stanno riunendo in diverse grandi città dall’oriente all’occidente. Il loro scopo è quello di rompere le catene che legano le mani della politica di fronte all’economia.
E’ quello di riaffermare una mutilata e offesa sovranità.
Di far riguadagnare terreno alla democrazia.
La manifestazione di oggi costituisce insieme il culmine di una grande stagione di mobilitazione e l’inizio di una lunga lotta sociale e politica.
Se non saranno le forze di questo movimento a costruire il futuro, a farlo sarà la banca, il governo della finanza.
Sappiamo tutti da che parte stare: “we are the 99%!”
Speriamo in bene, e muoviamoci per realizzarlo.

P.S.: dedico questo articolo a mia sorella Anna, ormai da qualche ora arrivata a Roma per la manifestazione. Se verrà anche solo sfiorata da una manganellata, mi toccherà dare alle fiamme la capitale.

“Il formichiere e il gufo”, ovvero “Favoletta morale # 1” (tratto da una storia veramente vera)

postato il 10 Ott 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Lalla

C’era una volta un simpatico, socievole e decisamente affascinante formichiere, di nome Formichiere (!!), la cui bellezza era eguagliata solo dalla sua sete di conoscenza, o fame di inciuci, come i maligni andavano dicendo su di lui per ogni dove.

Un giorno si dirigeva alla sua tana dopo una faticosa giornata di studio; era in compagnia dei suoi amici e compagni di quotidiana fatica, con i quali ogni giorno si dedicava alla finora infruttuosa ricerca della leggendaria Grinta. In verità, in verità vi dico, i loro interessi accademici erano tutt’altro che simili: il Fenicottero, appassionatosi in gioventù degli insegnamenti del professor Gallo, si occupa di linguistica diacronica della ormai estinta lingua dei Dinosauri; Gufo, credendosi ed erroneamente creduto saggio,  studiava Legge della giungla; Sciacallo si stava specializzando nel conto di carcasse, mentre Bradipo mescolava le proprie feci (cacca*) con acido ialuronico, e Formichiere apprendeva la lingua e la cultura di quei rozzi Cammelli arretrati di 1000 anni. Quando al tramonto iniziarono a rintanare, incontrarono sul loro cammino Pavone e Koala. Erano lì a ristorarsi alla sorgente , e Formichiere, dall’alto della sua socievolezza, non poté evitare di fermarsi a parlare con loro. Nel frattempo Bradipo, Sciacallo e Fenicottero continuarono a camminare. La strada verso casa era lunga e impervia, ed anche Gufo desiderava avviarsi, ma Formichiere era dilaniato dal dubbio, e non riusciva a decidere se andare con Gufo o proseguire le proprie ciarle rinfrescandosi un po’ coi due compari. Dopo un po’ si decise ad incamminarsi, e lui e Gufo seguirono il proprio tragitto, dopo essersi educatamente accomiatati.

“10 minuti, cazzo!!” disse Gufo con aria

“Stavo salutando, cosa vuoi?” rispose Formichiere, con la ferma convinzione di non aver alcun torto

“Che tu non mi faccia perdere 10 minuti in baggianate(*2)”

“Ma che dovevo fare?! Stavo solo salutando”

“Si, mettendoci 10 minuti”

“Non erano 10 minuti. Cosa vuoi?”

“Si, lo erano proprio”

“No, non lo erano. E poi, cosa vuoi?”

“Come cosa voglio? Che tu non mi faccia perdere 10 minuti”

“Non erano 10”

(e così via ancora per un po’)

“Non erano 10 minuti”

“Si, lo erano. Ora non raggiungeremo gli altri e stasera dovrò chiamare Bradipo”

“Perché?” chiese.

“Fatti miei”

“..” la perplessità comparve sul suo lungo e prensile muso.

“Ja, sul serio, che devi dirgli?”

“Non posso dirtelo”

“Ma dai!”

“No, sul serio non posso. E’ una cosa di Bradipo”

“Ah ok” esclamò, cercando di nascondere la dilaniante curiosità.

“No vabbè, è un fatto mio”

“E dai! Dimmelo! Perché non posso saperlo? Dai, ti prego!!!”

“No, non posso”

“Ti prego!! Ti pago!”

“No, dai.. Non pos…. Quanto??”

“Uhm… 2 euro!”

“Ok”

E Formichiere sorrise, felice di essere sul punto di colmare la sua inguaribile voglia di sapere.

“Devo chiedergli se vuole fare la chitarra ritmica o solistica in Outside degli Staind!”

“………………….”

La favola ci insegna che bisogna sempre farsi i cazzi propri.

E soprattutto: mai, e dico MAI, fidarsi dei gufi!!

 

*umorismo spicciolo

*2 baggianate – barbagiannate – barbagianni -gufo ahahahah!

Il Piccolo Lucio Returns

postato il 8 Ott 2011 in Senza categoria
da Bread

Dopo* il grande successo di “A me me piace ‘a nutella” campione di vendite dello squallore, il Piccolo ci regala dei nuovi grandissimi successi quali \'O Playboy, e Coca cola e patatine. La produzione è nettamente migliorata, sia nei video che nelle registrazioni audio, mi chiedo chi diamine si occupi dei video di questo panzarotto canterino. Mi chiedo anche con un infanzia del genere come mai potrà crescere ‘sto povero cristo.

*In realtà non sono sicuro che siano stati fatti dopo, ma io li ho scoperti dopo:°D, tra l’altro sono davvero fatti meglio quindi credo di aver ragione.

Brevissimi pensieri poco componenti a livello di studio.

postato il 3 Ott 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Voyager mi ha dato da pensare, oggi, e sono giunto a 3 conclusioni.
1)Il tipo che voleva uccidere Giovanni Paolo II era un fico. Che capata storta è dire che sei Gesù mentre ti processano per aver sparato al Papa?
2)GP2 era un fico. Che capata stile narcos mexicani pseudoreligiosi è incastonare il proiettile che ti hanno estratto dal corpo in una statua della Madonna di Fatima?
3)Giacobbo è un fesso. Che cacata è imbastire una solfa su GP2  e la sua missione al servizio dell’umanità,  la sua grandezza spirituale e la provvidenza lo guidava, quando tu campi dicendo che credi a dei Maya alieni che profetizzano la fine del mondo, egizi spaziali scesi sulla terra per creare l’uomo in provetta e fantasmi, reincarnazioni, eresie new age e zombi-vampirismi di ogni sorta?

Lettera

postato il 26 Set 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

[Questo post è stato scritto in pullman in una maniera perversa per cui non vedevo ciò che scrivevo, quindi perdonerete eventuali errori attribuibili alla cosa. Era anche un momento un po’… non saprei dirlo, ma comunque non ho avuto il coraggio di rileggerlo per controllare che non facesse schifo, però so che è importante per me e quindi lo posto ugualmente!]

Quelli che mi conoscono meglio tra i nostri due o tre lettori (ciao ma’, ciao pa’) probabilmente sanno che ruolo ha rivestito un uomo di nome Francesco Guccini nella mia vita. La cosa interessante, o forse triste, del mio rapporto con lui è che ho iniziato ad apprezzarlo molto prima di avere delle buone ragioni per farlo, più perché la mia mente di bambino era ignara dell’immenso panorama musicale in cui avrei potuto pescare le mie passioni infantili che non per effettivi meriti della sua musica, forse. Tutto è cominciato con un CD che si chiamava “L’Italia del Rock”, forse parte di una serie uscita in edicola, una compilation di brani che avevano (o non avevano poi tanto) fatto la storia della musica italiana, grazie al quale mi sono innamorato delle prime due canzoni di Guccini che abbia ascoltato: “La Locomotiva” e “Un altro giorno è andato”. Certo, sono stato colpito anche da altre canzoni di altri autori, come “Pablo”, “Stalingrado”, “Ho visto un re”, “Vengo anch’io!”, “El Pueblo Unido”, “Tammurriata Nera”, “Contessa”, ma quelle due erano tutto ciò che mi serviva per rendere sopportabile, anzi piacevole, le 17 ore di auto che separavano la mia casa di Heidelberg da quella di mia nonna a Napoli, un altro classico della mia infanzia.

Per alcuni (pochi) anni la situazione è rimasta quella: “L’Italia del Rock” era la mia principale se non unica fonte di musica e quelle due canzoni bastavano a soddisfare qualsiasi esigenza potessi avere in merito. Poi mia madre ha compiuto 40 anni ed ha ricevuto in regalo due dischi di Guccini: “Guccini Live Collection”, in due CD, e “D’amore, di morte e di altre sciocchezze” (c’è chi dice che “Radici” sia il più bel disco di Guccini, lui compreso. Queste persone non hanno capito niente e, chiaramente, non hanno mai ascoltato “D’amore, di morte, e di altre sciocchezze”. Lui compreso). Con queste due nuove fonti la mia esperienza in materia si è più che decuplicata, facendomi scoprire nuovi brani che avrebbero occupato i più bei minuti musicali della mia tarda infanzia (e della mia vita). Anche in quei momenti non capivo cosa stavo ascoltando, anche se se in certi casi potevo avvertire l’atmosfera che la canzone voleva dare, il suo senso: la placida dolcezza di “Vorrei”, l’incedere del tempo di “Lettera”, l’amarezza celata nel riso del “Matto”. Ho cominciato a crescere e a capire qualcosa di più di ogni canzone, sempre durante i lunghi viaggi in macchina coi miei genitori, poi ho potuto apprezzarne di nuove quando mia madre ha comprato “Stagioni”, “Parnassius Guccinii”, “Ritratti”. Ora, a tanti anni di distanza, amo ancora Guccini come un padre, al punto che ci sono sue canzoni che ascolto da una vita e che non conosco, non capisco e non mi sforzo di capire, perché sono lì da sempre, parte della mia famiglia, finché non mi accorgo di non sapere nemmeno di cosa parlano e provvedo.

Ma che gioia è stata scoprire, a partire da quegli anni, che l’uomo che tanto amavo per un affetto irrazionale, per imprinting, si trovava a buon diritto nella classifica dei miei musicisti preferiti!

Da capo, un’altra volta, mi sono innamorato della sua lirica così variabile nello stile, ma sempre unita nella chiarezza dei periodi, da una rustica sincerità narrativa. Ancora una volta l’ho sentito vicino, questa volta non come un padre con le sue favole, ma come un amico che mi raccontava di sé, dei temi che sentiva più vicini, dei suoi amori, delle sue delusioni, di come l’avanzare dell’età gli portava via forza, amici, gioie, amori, ma di come riusciva a superare queste cose, di come si può -e si deve- invecchiare serenamente, accettando il passare del tempo come necessario e naturale. Di come la vita meritasse di essere vissuta per le cose davvero importanti: l’amore, il sogno, la fantasia, la compagnia. Con lui ho reinterpretato eventi, riletto grandi romanzi romantici e non, da lui ho imparato, o forse in lui ho rivisto, un modo di vivere l’amore più quotidiano, meno irrazionalmente passionale, ma non per questo meno romantico. Con lui ho parlato di politica, ho rivissuto la vita dei grandi eroi della rivoluzione e ne ho scoperto la parte umana, ne ho vissuto il sogno e di esso mi sono emozionato, mi sono lasciato infervorare e sono tornato coi piedi per terra, sempre con lui. Nelle sue canzoni ho visto vasti paesaggi e grandi storie, ma anche l’intimo piacere di un momento a letto con la propria compagna, di una serrata al bar con gli amici. Ho provato la cosa più vicina a quello che può significare essere padre.

Dalla verità e l’incorruttibilità di Guccini ho imparato che si può dire no ai compromessi inaccettabili, ho scoperto che l’amore può non essere solo un dolore oscillante tra il petto e lo stomaco, ma un gioco, un tenero scherzo, per il solo giovamento degli amanti. Ho imparato ad aspettare con ansia l’incontro con una vecchia amica.

 

Ma forse la cosa più importante che ho capito ascoltando Guccini è che quasi tutto alla fine si risolve, in una maniera o nell’altra, e che vale sempre la pena di restare per vedere come va a finire.

Positivi e componenti: storia di una Formula Magica.

postato il 16 Set 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Onde evitare che Voyager, Mistero, l’Albero azzurro e altri programmi della stessa risma si lancino in elucubrazioni e strampalate teori sul significato recondito dell’arcana formula alla quale il titolo del mio ultimo post sembra fare riferimento, mi vedo costretto a giuocare di anticipo, illustrando rapidamente, non solo come venni a conoscenza della suddetta fomula, ma anche, e soprattutto, quali siano le sue origini. Appresi dell’esistenza dei magici versi da un marinaio orbo di Katmandu, che, in seguito ad una sconfitta ad Halo, si è visto costretto a consegnarmi in pagamento un lercio manoscritto che diceva di aver a sua volta ottenuto da un monaco trappista di Canicattì.

Dubbioso, accettai il manoscritto, capendo che il povero diavolo non aveva altro da darmi, se non il suo occhio di vetro scheggiato. Una volta lettolo, al caldo del mio letto nella locanda, appresi del segreto destinato a rivoluzionare il mondo dei giochi di carte.  Ma basta dilungarsi; molto meglio delle mie parole sapranno fare quelle dell’anonimo autore del manoscritto:

Barcellona, 1711

A quel punto del gioco, ero già ubriaco. Ero ancora in relativo  possesso delle mie facoltà mentali, solo una buffa ridarella, un bruciore allo stomaco e una generica incapacità di comprendere ed  elaborare le connessioni fra gli eventi del gioco, palesavano la penosa ed ebbra condizione nella quale versavo ormai da giorni.  Ero approdato al porto di Barcellona solo quattro lunghissimi giorni prima, pronto ad avviare una reddititizia attività commeciale, sfruttando il gruzzolo che ero riuscito a tirare su vendendo giaguari ai ricchi  Maraja del Sud-est asiatico.  Allora, non potevo certo immaginare come la febbre del gioco mi avrebbe rubato, in brevissimo tempo, non solo i soldi duramente guadagnati, ma anche la salute. E dire che non sono mai stato un gran giocatore; eppure, il gioco che in quegli anni imperversava in Catalogna aveva qualcosa di magnetico, un fascino infernale al quale era impossibile sfuggire. Non aveva un nome ufficiale; ma i più, nelle bettole, lo chiamavano “Arkamon”.  Era un empia fusione fra due giochi celebrei già da tempo, due giochi che si erano portati nel baratro i fegati di mezza Europa: “Uno alcolico”, e “King’s”.  Semplicemente, “Arkamon” univa l’esagerata propensione al bere e l’impietosità verso le distrazioni dell “Uno alcolico”, alla follia normativa del “King’s”. E provate voi a tenere il conto dei turni e a ricordarvi di chiamare i vostri compagni di gioco con appellativi ridicoli, dopo giri e giri passati a subire quei dannati “+4” e a bere i relativi, dannati anch’essi, sorsi. Io, personalmente, non ci riuscivo. E così, da quattro giorni ormai, mi trascinavo di balera in balera, nutrendomi di baguettine catalane e zumi di frutta per risparmiare, e passavo le nottate a sbronzarmi e perdere soldi a quel diabolico gioco. Anche quella sera, non era diverso: non vi riuscirà, dunque, difficile capire perchè, giunti ad uno stato avanzato della partita e della mia ubricatura, io non volessi arrendermi alla mancanza di carte blu dalla mia mano, e al sorso di birra calda che ne sarebbe stata la conseguenza. Così, poggiata la mano sul mazzo, preparandomi a pescare, iniziai a pensare, a sperare, a pregare, per Dio, che ci fosse qualcosa dietro al Gioco, una mente, un pensiero, un Cuore delle Carte! Perchè come poteva mai essere che fosse solo il Caso a regolare tutto, come potevano le umane sventure e le umane fortune dipendere solo dal casuale ordine dei turni e dalle ancora più casuali posizioni delle carte del mazzo? Poteva non esserci alcuna misteriosa forza, ma solo l’impietosa fatalità? Io, in quel momento, mi rifiutavo di crederlo. E proprio allo Spirito che si celava, doveva celarsi, dietro a quel mazzo e ad ogni altro mazzo di carte nel mondo, io fortissimamente mi appellai in quei drammatici momenti, la mano ancora poggiata sopra alla pila di carte. Fu solo la poco cortese esortazione di uno dei miei compagni, non saprei dire chi, che mi scosse dal mio assorto sperare. Ed a quel punto, alzati gli occhi, le parole vennero fuori da sole: “Carta..tu che sei positiva e componente, color del cobalto..!” Gli altri giocatori mi guardavano nella tipica maniera in cui un ubriaco guarda un ubriaco credendonosi meno ubriaco di lui; io, da bravo ubriaco, me ne fregai: girai la carta, e rimasi così, la mano rivolta al cielo e la carta bene in vista. Con un ghigno serafico fissai i miei avversari negli occhi, uno ad uno, osservando compiaciuto nei loro occhi la variopinta gamma di emozioni che va dall’incredulo all’irato;  Eduardo, l’alchimista italiano, sembrava aver visto un empio miracolo con quei suoi occhi ebbri che dovevano aver osservato qualche intruglio non prettamente alchemico di troppo; Lukas  emise un rutto di disappunto dalla sua un tempo pregiata ugola, famosa in tutti i regni alemanni per la squisitezza dello yodel che sapeva partorire, prima di essere devastate dal fumo e dall’alcol; Matja, invece, quella specie di saltimbanco russo, sembrava covare il risentimento più vivo per ciò che era accaduto; dal canto suo, Il-al-rhia, l’ ispano-marocchina che nella vita di tutti i  giorni guidava con pugno di ferro una feroce banda di briganti mori, sembrava pronta a mozzarmi la testa da un secondo all’altro. Senza smettere di sorrdiere poggiai la carta, un 7 di un glorioso e scintillante blu cobalto, sul mazzo, e assaporai le imprecazioni che in quattro idiomi differenti, dei quali neanche uno mi era comprensibile, si levavano dal tavolo; e il gioco continuò.

Ormai tenere il conto dei turni era diventato davvero difficile, ad ogni momento l’un l’altro ci si accusava impietosamente di distrazione, e non a torto; e poi era quella fase del gioco in cui tutti hanno poche carte, ed è difficile che passi un giro senza che qualcuno debba pescare. Ma è proprio qui che io mostrai il mio asso nella manica: la formula continuava, incredibilmente, ma forse non tanto, a funzionare.

“Carta tu che sei positiva e componente, color dell’amaranto..”; “Carta tu che sei positiva e componente, color dello zaffiro;  “Carta tu che sei positiva e componente, color dello smeraldo..”; mi bastava semplicemente recitare questa semplice formula al momento di pescare, e mai, mai una solo volta in quella partita, fui costretto a passare il turno. Magia? Fede? Fortuna non di certo. Nè trucchi o inganni di alcun tipo, lo posso giurare sul mio onore, se questa parola ha ancora un qualche valore da quando spreco le mie ore nelle bettole. Lo posso giurare sulle Carte e sull Azzardo, su questo di certo nessuno mi accuserà di giurare alla leggera. Eppure, non tutti sembravano convinti della mia onestà, e ci mancò poco che non mi trovassi la gola aperta da un orecchio all’altro per mezzo di un arruginito pugnale ricurvo ornato di opale e madreperla. Solo grazie all’italiano, il cui senso scientifico, ancorchè offuscato,  gli aveva reso evidente l’impossibilità di truccare il mazzo con tale finezza, si riuscì a placare la barbara furia dell’islamica, e a convincerla che non ero un abile baro. E così, salvata la testa, conclusi in pochi turni la partita, poggiando sul mazzo anche la mia ultima carta, un bel 3 blu.  Mi aggiudicai non solo un gruzzolo che mi avrebbe permesso di continuar a giocare e, insieme, sostentarmi, ma anche una gloriosa vittoria sulla concezione che dietro un gioco di carte non ci sia che il caso. Io ormai ero convinto del contrario, e forse anche Lukas  e Matja iniziavano a comprenderlo, almeno a giudicare dall’atteggiamento rispettoso che mostrarono nel pagarmi, in ruolo della scorbutica riluttanza che mi sarei aspettato. Perfino quella pazza cagna infedele, perfino lo scienziato, sembravano aver capito che non solo non si trattava di una truffa, ma che poteva esserci qualcosa di più del mero gioco. 

E poi? E poi, finita una delle due partite più importanti della la mia vita, continuai a giocare e a viaggiare, fiducioso nel potere che mi aveva aiutato. Venezia, Marrakesch, Istanbul, Samarcanda, Katmandu, Parigi; poker, blackjack, arkamon, ramino; le sale da gioco di mezzo mondo conosciuto, e  i tavoli di tutti i giochi in cui ci fosse da pescar carte, conobbero me e la mia formula. Ovunque destai stupore, incredulità, a volte rabbia, altre volteil più puro entusiasmo; e ovunque riuscii a riempirmi le sacche d’oro. Ma non abbandonai il gioco d’azzardo:  dentro di me ben sapevo, c’era una voce che me lo diceva chiaramente,  che se avessi smesso di sguazzare nel lordume delle balere e arricchirmi a danno dei miei malcapitati avversari, sarei riuscito a tenere stretto il gruzzolo per ben poco.

E così,  un giorno come un altro, decisi di testare la mia abilità, o comunque si voglia chiamarla, nelle sale da gioco al di là dell’oceano.  Pensvo che la giovane terra delle opportunità molto avrebbe potuto offrire ad un giocatore affamato di vittoria.  E probabilmente, molto avrebbe avuto da offrire a qualcuo il cui stile non fosse stato così duramente osteggiato dai coloni. Invece, i frequentatori dell’ Jack in the Box Saloon di Newark, New Jersey non accettarono di buon grado la mia formula segreta. Non saprei dire, a onor del vero, il perchè. Forse troppo bigotti per accettare un potere che chiaramente non veniva dal loro messia, troppo bifolchi per comprendere la magia delle carte, gli abitanti di quella terra tanto puritana quanto dimenticata da Dio mi bollarono come baro, e stavolta nessun arguto erudito(quale erudito avrei potuto trovare nel continente dei mandriani?) era lì per aprire gli occhi ai miei avversari. E così, conclusa con una scarica di piombo nel mio addome la seconda partita più importante della mia vita, affido a questo foglio il segreto della mia ormai antica fortuna.  Spero che qualcuno lo trovi, che qualcuno apprenda la lezione e impedisca che siffatto segreto si perda per sempre. Se così non dovesse accadere, vorrà dire che qualcuno di più grande e saggio di me ha deciso che l’uomo non è pronto per tali rivelazioni. Ma chiunque tu sia, se stai leggendo, ricorda queste parole: positivo e componente. Positivo. E componente.”

E questo, è il manoscritto grazie al quale oggi sono vittorioso vincitore di vari giochi di carte&affini. Avevo deciso di tenere il segreto per me, ma adesso che le cose stanno venendo allo scoperto, mi sono visto costretto a rivelare al mondo la verità.

Che Dio ci aiuti.

Tu non hai fame. [Leggi anche: pubblicità 2, il ritorno]

postato il 8 Set 2011 in Cazzi e mazzi personali
da VaMina

E’ da tempo che volevo parlare dello spot dei sofficini, quello della dannata lucertola, insomma. Il fatto è che mi crea numerosi problemi. Per prima cosa, i sofficini mi piacciono, quindi odio quella pubblicità. Sempre per prima cosa, le lucertole sono schifose. Parlando di questa in particolare, potevano applicarsi di più a disegnarla, ché è sgraziata e strabica, ha una voce così disturbante che, nel campo del fastidio, è possibile paragonarla solo al tizio che suona le prime quattro note di Besame Mucho a ripetizione sotto casa mia, oppure all’arrotino, e nonostante tutto questo non è schifosa come le lucertole vere. Che sono proprio schifose. Chi mai riuscirebbe a mangiare con una lucertola che lo fissa? Figurati se parla pure.
Scenario:
Io tengo in mano la padella con dentro i sofficini fatti con tanto amore, mi giro e trovo questo rettile immondo che mi guarda, e parla. E mi chiede: “Tu non hai fame?”. Allora, innanzitutto non credo che qualcuno avrebbe fame. Ma a parte questo, credo che nessuno riuscirebbe a pensare al cibo in un momento come questo. Lo ripeto, c’è una lucertola che mi osserva allegramente e parla, e mi chiede se non ho fame. A questo punto le mie reazioni più probabili, se non mi sono appena calata un acido, a causa del quale potrei considerare normale la faccenda e fare il sorriso al sofficino con la forchetta, sono varie.
Prima possibile reazione:
Fuga!
Seconda possibile reazione:
Dato che stringo la padella con i sofficini appena fritti nell’olio bollente, scaglio il contenuto contro la lucertola, quindi, fuga!
Terza possibile reazione:
Dato che ho sempre la suddetta padella in mano, butto a terra i sofficini e comincio a picchiare sulla testa la lucertola con la padella, mentre grido alla famiglia “Fuga!”
Quarta possibile reazione:
Svengo, e dato che sto ancora tenendo la maledetta padella, mi verso olio e sofficini addosso e mi ustiono. La mia famiglia si dà alla fuga lasciandomi da sola con la lucertola.
In realtà i sofficini hanno una lunga tradizione di pubblicità pessime. Una volta ho visto quella datata ’86, che riusciva a contenere in pochi secondi il bambino più odioso del mondo, la mamma devota e deficiente, e la frase tristissima “Mamma, anche tu sei un campione!”. Appena finito di vederla, ho pensato, ma allora siete recidivi!
Però devo ammettere che le pubblicità degli anni ’80 erano tutte più o meno così, soprattutto per le mamme lobotomizzate.
Tornando alla lucertola, non c’è molto da dire, cioè, Gesù, è una lucertola. Una lucertola a grandezza umana.

Corollario:
“..Che poi non è tipo un camaleonte?”
Lo è proprio, ma io mi sono fatta tutte queste scene in testa di lucertole. E poi i camaleonti sono perfino più brutti.

In morte di Socrate

postato il 8 Set 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

(Socrate è stato condannato a morte; i suoi discepoli sono disperati, e decidono di riunirsi intorno a lui per ascoltare le sue ultime parole, già rassegnati all’idea che il loro maestro rifiuterà la fuga. Una nostra vecchia conoscenza, Eumolpo, si reca per primo dal nostro pederasta preferito, certo che la sua compagnia lo avrebbe confortato in queste difficili ore.)

-Socrate: (nell’atto di posare un bicchiere dopo averne bevuto il contenuto in solo sorso) “hic”.
-Eumolpo: Maestro! Padre spirituale di noi tutti! Hai già assunto il veleno mortale, senza bisogno di conforto alcuno?!? Quanta forza d’animo! Che coraggio!
-S: Ma che cazzo dici, pezzo d’idiota! Sto tracannando vino, altro che veleno! La cicuta è in quel bicchiere all’angolo del tavolo, ma -hic- ho cambiato idea, non la berrò per nessun motivo al mondo!
-E: L’ebbrezza deve aver offuscato la tua mente, oppure stai scherzando! Metti fine alle tue sofferenze, maestro, e alle pene di chi ti ama! Vuota in fretta l’amaro calice!
-S: Ma di che sofferenze parli, cretino! Su, scoliamoci insieme quest’altra bottiglia di buon vino, prima che io scappi.
-E: Hai davvero cambiato idea allora, o Socrate? Fuggirai da Atene come di avevamo suggerito? Questo mi rende felice, ma anche confuso..
-S: E certo che fuggo! Solo un coglione resterebbe qui a farsi ammazzare da qualche boia fetente, servo di uno stato corrotto. Nè mi sembra più saggio uccidersi con la cicuta, quando potrei trascorrere un’altra decina d’anni in compagnia di teneri fanciulli e dolce nettare! Ah!
-E: Ma… Maestro, io… noi credevamo che tu avessi scelto di accettare la sentenza del Tribunale, che tu desiderassi morire pur di insegnare a noi e ai posteri il rispetto per la Legge, la deferenza nei confronti dell’autorità, verso le istituzioni di questa Repubblica… perché adesso parli di corruzione dello Stato? La Democrazia è il sistema di governo migliore mai creato! Davvero, non capisco..
-S: E allora bevi, che “in vino veritas”, come diranno i futuri! E metti da parte questo tono solenne, queste parole altisonanti, e soprattutto quelle maledette maiuscole! Ora basta. So cosa vi ho detto. Ho parlato molto, troppo, senza davvero comprendere il senso dei miei stessi insegnamenti. Ma ho fatto bene a bere, in questo momento che poteva essermi fatale! Ho capito qualcosa, ho visto le cose con più -hic-, con più chiarezza! E’ tutto sbagliato, Eumolpo, tutto falso. Questa notte fuggirò, adorato allievo, perchè ho smesso di vedere la giustizia in questo stato che troppi si ostinano a chiamare giusto!
-E: Ma cosa dici, Socrate! Questa è la Democrazia! E’ lo Stato giusto per eccellenza, il governo di tutti!
-S: Ora mi stai facendo girare le palle, Eumolpo! Bevi, che ne hai bisogno. Questo tuo stato così giusto mi vuole morto, te ne sei già dimenticato? Smettila, dimentica quello che ti hanno insegnato, scordati delle mie stesse parole, ma ascoltami ora! “Il governo di tutti” non è altro che il governo dei demoi, dei gruppuscoli d’interesse, non sono altro che delle schifose lobby! Fanno finta che ci sia una reale competizione per il potere, loro, quella maledetta accozzaglia di mercanti e usurai, assumono il comando dello stato e lo usano per fare ancora più soldi! La feroce conquista dell’Eubea, i furti della lega delio-attica (non merita maiuscole!)… Questi scempi, tali vergognose macchie sulla storia della città, credi che abbiano almeno servito gli interessi di tutti gli ateniesi? Col cazzo! Affogano nel lusso questi bastardi, nello sperpero e nella speculazione* di risorse pubbliche! Li vedi con le loro triremi e quinqueremi, a farsi i giretti del Pireo, mentre il popolo, quello vero, e i meteci, nati stranieri, vivono di stenti e lavorano per loro, senza avere alcun diritto..
-E: Ma cosa vai dicendo, Socrate! Il popolo intero vota, e i meteci non sono cittadini, sono stranieri, appunto, è giusto che non prendano parte alle decisioni politiche!
-S: Ancora a parlare di giustizia, e di giustizia in questa politica??? Continua a bere, deficiente! E fai attenzione: certo che gli stranieri non sono cittadini, le nostre leggi sulla cittadinanza fanno rivoltare lo stomaco! Ci piace, anzi piace a loro, agli stronzi pieni di dracme, farli lavorare come muli, questi poveracci.. per quante altre generazioni dovranno spalare la merda dalle strade, prima di cominciare a votare?!?
-E: Ma -hic- è vero ma… E’ la volontà popolare, ti ripeto, -hic- no?
-S: Certo che no! Quale volontà? Branco di pecore, questo è diventato il popolo sovrano, o forse lo è sempre stato! Sono convinti di discutere e di informarsi, nell’agorà, e invece stanno lì a farsi rincoglionire e manipolare da qualche sofista prezzolato, maledetti linguivendoli!
-E: Sì! Che merda i sofi..-hic-, i sofisti! Questo lo abbiamo sempre detto!
-S: Ma non solo loro: ogni rito cittadino, ogni festa, ognuna di queste cazzate non serve ad altro che a irregimentare, a far marciare in fila, col passo dell’oca, senza nemmeno saperlo, questo maledetto popolo di servi…!
-E:…Anche la tragedia?
-S: Anche la tragedia! Serve solo a confondere e distrarre chi dovrebbe decidere i destini della polis!
-E: Ma la funzione -hic, la funzione educativa…
-S: Puah! Eschilo aveva qualcosa da insegnare, e forse anche Sofocle! Ma che affoghi nell’Acheronte la nuova generazione di tragediografi, Euripide coi suoi degni compari! “Oh, poveri i figli di Medea! O che miserie le piccole Troiane!” Di questo piange il “popolo sovrano”, quando dovrebbe governare! Puah! Psicodrammi adolescenziali senza il minimo spessore, privi di qualsivoglia messaggio politico!
-E: Sì… Sì! Hai ragione maestro! Hic! Finalmente anche io ci vedo chiaro!
-S: (Ormai completamente sbronzo ed euforico) Bravo, mio dolce discepolo! Il vino ha dissipato le nubi anche dalla tua mente! Hai capito finalmente le bugie che si annidano dietro…
(Entra Platone)
…il rispetto delle leggi, la deferenza verso l’autorità, la dignità delle istituzioni! Forza ora, alla goccia!
-E: Sì!
(Bevono felici, senza capirci proprio più un cazzo)
(Eumolpo scompare sotto il tavolo, definitivamente ciucco)
-Platone: Socrate, Maestro, Padre Nostro! Quanta gioia mi dà la possibilità di assistere al tuo ultimo, supremo gesto di coerenza, saggezza e coraggio!
-S: Ma cosa dici Platone, questo è… (guarda il bicchiere che ha in mano. Inorridisce) MA PORCACCIA EUROPA INCULATA DA ZEUS-TORO!
-P: Sì, così! Bestemmia queste divinità false e bugiarde!
-S: Ma va’ a farti fott.. argh..
(Cade a terra. Rantola, muore. Platone si sente particolarmente commosso. Eumolpo russa.)

Fine

*non manca mai, la speculazione.

 

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