Autore: Azazello (aka Cho Teko)


Biografia

Nato nel 1990 a Heidelberg (Germania) si distingue da subito tra i suoi colleghi della scuola materna per le eccezionali doti di latin lover, così, compiuti i 7 anni, spinto dall'esigenza di approfondire gli studi sull'argomento, decide di trasferirsi in Italia, patria della posteggia riconosciuta a livello internazionale. All'età di 8 anni abbandona la strada del machismo per dedicarsi ad attività più alte: approfondisce la chimica, la fisica e la matematica, la cui conoscenza, acquisita prevalentemente in questo periodo, gli sarà utile per il resto della vita. Verso i 9-10 anni inizia un percorso spirituale che attraverso la scuola media inferiore (completata in soli tre anni) lo porterà a un nuovo livello di consapevolezza, soprattutto mediante l'immersione nel mondo dei Pokémon, che non abbandonerà mai. Il periodo adolescenziale è coronato di successi: il giovane autore, nel giro di 2-3 anni, scala la gerarchia amministrativa acquistando una posizione di rilievo in ben due forum di pokémon e si qualifica tra i migliori giocatori di TCG del suo isolato. Gli anni immediatamente successivi sono dedicati prevalentemente allo studio dell'effetto di alcolici e sostanze stupefacenti sul corpo di adolescenti tra i 16 e i 18 anni che però non producono i risultati sperati, spesso finendo per crisi da parte delle cavie di laboratorio e portando, infine, alla conclusione prematura della ricerca. Non si sa bene a cosa siano dedicati gli anni successivi, ma di recente sembra che si stia occupando di un blog, in collaborazione con altri intellettuali di simile fattura.


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Tutti i post di Azazello


Serial Killer

postato il 2 Set 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Mi sono spesso domandato che avrei fatto se mai mi fosse capitato di uccidere qualcuno (Dio non voglia) essendo imputabile per la cosa e mi sono risposto adesso: diventerei un assassino. Non un assassino professionista, di quelli che si fanno pagare per uccidere la gente, ma più un serial killer, dove “serial” implica l’uccisione sistematica di tutte le persone che desidero ammazzare. Ho una lista non esageratamente lunga, anche se sicuramente più di quanto non sia salutare per un essere umano sano di mente, e diversi programmi molto originali su cosa fare della mia eventualmente acquisita libertà da costrizioni morali. Alcuni si basano sulla forse non così assurda possibilità che decida di suicidarmi, tormentato dai sensi di colpa, dopo un certo periodo, ma non per questo sono meno validi.

Il più originale di questi progetti è sicuramente quello in cui, ormai esperto nell’arte dell’uccisione, della coercizione, del camuffamento e della sparizione, mi vedo usare le mie abilità per punire chi invece della morte merita la prigione, facendoli risultare in qualche modo colpevoli dei miei delitti. Il più ardito di questi programmi prevede di incolpare qualcuno del mio suicidio, figuratevi. Per quanto riguarda le vittime, non si tratta di persone che meritano la morte, che sarebbe in contrasto col mio principio che la morte non è una pena funzionale, ma di persone che desidero uccidere. Non so se riesco a rendere l’idea: il punto non è tanto che queste persone devono morire, ma che io voglio usare loro tanta di quella violenza tutta insieme che, purtroppo, non sopravviverebbero. Una persona di questo tipo è, per fare un esempio a caso, Mirko del centro amministrativo della Vodafone. Guardati le spalle.

Perché?

postato il 1 Set 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

D’improvviso, tutte le cose intorno a lui furono ferme. Non se ne accorse subito, ma un passo alla volta, cominciando dal silenzio. Dapprima non sentì più la ventola del computer, il ronzio del neon, l’aspiratore dell’asciugatrice. Poi non vide più il lampeggiare del LED della batteria sul cellulare, il tremolio della luce nell’appartamento di fronte, il continuo ricambio di foto, parole e immagini sul suo schermo. Uscì dalla sua stanza e pur trovando il padre addormentato sul divano del salotto non ne udì il russare, né vide il ventre alzarsi e abbassarsi al passo col respiro sommesso di un uomo addormentato, non sentì il gocciolio del rubinetto in cucina né il gorgoglio dello scarico. Si guardò intorno, fermo al centro del salotto, e capì che quell’istante sarebbe durato in eterno.

Quindi, pensò.

Pensò alle cose passate che l’avevano portato a quel momento, agli errori cui non avrebbe posto rimedio, alle cose non dette e a quelle dette troppo presto, troppo tardi o troppo e basta, pensò alle persone che l’avevano accompagnato e a quelle che lo avevano abbandonato. Pensò alle gioie, alle delusioni, pensò alle speranze e al futuro, ormai sepolto tra i ricordi per cui non trovava più posto, e al presente, che durava da troppo tempo e, in effetti, non aveva mai accennato a finire. Capì che non sarebbe potuta andare altrimenti.

Si sedette e tornò ai volti dei suoi amori più appassionati, persone ormai perdute nei cunicoli delle cose mai accadute, dimenticate innanzi tutto da loro stesse, accantonate per fare spazio ad altri sé che, col tempo, di spazio non ne avevano trovato per lui. Di ciascuno si innamorò ancora, ancora sentì lacerarsi il petto per la tragedia del rifiuto e ancora li vide sbiadire, sparire, cambiarsi e cambiarlo.

Si alzò, camminando deciso verso la propria stanza, disseminata degli oggetti che l’avevano plasmato. Piega su piega e callo su callo, ognuno l’aveva segnato in qualche modo ed ognuno, complementare al suo marchio, era stato un insostituibile manovale nella sua costruzione. Odiò tutti quegli oggetti, ora così irrimediabilmente fermi, che nonostante i pomeriggi spesi insieme non avevano potuto portarlo altrove che lì, nell’assoluta immobilità, di fronte a se stesso e ai suoi rimpianti.

Si stese sul letto e osservò a lungo il soffitto, l’intonaco che non ne sarebbe mai caduto, le varie tonalità di grigio che gli conferivano la polvere e il gioco di luci e ombre creato dalla sua irregolarità. Fu inquieto. Lo sconforto si alternava alla rabbia ogni volta che si rigirava sulle coperte, preso da un’inspiegabile smania di essere, di tornare indietro, di correggere.  Era di fronte al sempre, tormentato dal vuoto irrisolto dei mai.

 

Poi chiuse gli occhi.

 

Si chiese se in fondo non avrebbe rifatto tutto allo stesso modo.

 

E si addormentò.

Un giallo d’eccezione

postato il 16 Ago 2011 in Main thread
da Azazello

Saranno state le undici e mezza quando l’ispettore Brugherio arrivò sul posto. “C’è un cadavere”, gli avevano detto, “nel bagno di una birreria locale”. L’ispettore sapeva bene che a Castel di Sangro, l’insipida località dove si era fatto trasferire per non avere più niente a che fare con i truculenti crimini metropolitani, c’erano solo due tipi di cadaveri: vecchietti, morti per conto loro nella solitudine delle proprie casette, e ragazzini dall’acceleratore facile; per il resto, la cosa più morta nell’arco di un centinaio di chilometri erano i gamberi surgelati che gli avevano propinato per cena – e la cosa, sia ben chiaro, era assolutamente di suo gradimento. Riluttante, quindi, l’ispettore entrò nella birreria salutando con un cenno le (molte) persone che conosceva tra gli avventori e si diresse verso la toilette. Lì, in una frazione di secondo, ebbe modo di pentirsi della sua riluttanza, del suo trasferimento e, soprattutto, dei gamberi surgelati: nel gabinetto, pieno di sangue fino all’orlo, si potevano distinguere con difficoltà una mano, un gomito e i lineamenti di un volto, mentre il resto di quello che costituiva a buon diritto il terzo tipo di cadavere di Castel di Sangro si poteva trovare sparpagliato a casaccio intorno al vaso. Dopo qualche istante di contemplazione l’ispettore si sentì di dichiarare con sicurezza:

– Beh, è morto.

Dopodiché, con la rassegnazione propria di un gesto compiuto tante volte da essere naturale, estrasse un paio di guanti in lattice dalla tasca della giacca e li infilò prima di cominciare l’esplorazione della scena del delitto.

– Intanto direi che non è un suicidio.

Forse perché era un po’ arrugginito, forse perché il giovane poliziotto locale e il grasso, ubriaco proprietario del locale che assistevano alla scena non sembravano troppo impressionati dalle sue deduzioni, per un attimo Brugherio si sentì sciocco, lì in ginocchio a cercare non si sa bene cosa sotto i pezzi di un cadavere smembrato dichiarando ovvietà.

– Agente Frollone, chiami il medico legale e la scientifica, qui non c’è molto da fare per noi.

L’agente Andrea Frollone era un giovanotto baldanzoso, prestante ed eccezionalmente imbecille che, sia per le scarse prospettive che gli offriva la sua città natale sia, soprattutto, perché la sua fidanzata trovava che la divisa gli stesse molto bene, si era dato al mestiere di poliziotto, che svolgeva con solerte inadempienza da ben tre anni. In questo periodo aveva diviso il suo lavoro in due componenti principali: la prima, d’ufficio, volta al conseguimento di una condizione psico-fisica tale da poter raggiungere la perfetta orizzontalità combinando il dondolio della sedia con l’appoggio per i piedi fornito dalla scrivania; la seconda, più d’azione, consisteva nel girare per le strade di Castel di Sangro guardando con sufficienza i coetanei sfaccendati, baristi, fruttivendoli o macellai, dall’alto del suo muscoloso metro e cinquantasette in divisa blu. Visto il personaggio, potete immaginare che nulla fosse più lontano dalla sua mente della possibilità di dover chiamare un medico legale, un giorno, e meno che mai la polizia scientifica, le cui cartine geografiche probabilmente non contemplavano nemmeno l’esistenza della sua cittadina di montagna. Insomma, alla luce di tutte queste cose, era più che lecito aspettarsi che il bravo agente rispondesse, tra l’impettito e il risentito:

– Dotto’, è impossibbile

Lecito o non lecito, però, il nostro ispettore non sembrava soddifatto:

– Chiedo scusa?

– Dotto’, il medico legale non ce l’abbiamo e la scientifica non c’ho il numero

Brugherio non poté trattenere una smorfia, cogliendo l’ironia della situazione.

– Allora contatti la sede dell’Aquila, di Pescara, di Napoli o di chi le pare e si faccia mandare qualcuno, no?

E poi volle aggiungere, sapendo di prendere in giro più se stesso che il ragazzo:

– Di solito come fate in questi casi?

L’Agente, non sapendo bene cosa rispondere, annuì e si allontanò cercando il numero del commissariato di Pescara con l’iPhone (ma non prima di rispondere a un SMS della sua ragazza). Brugherio si alzò faticosamente e comunicò al ristoratore di non toccare niente e di non far entrare nessuno nel bagno, dopodiché andò verso la cassa dove chiese informazioni su quanti e quali fossero stati gli avventori quella sera, quindi cominciò a girare per i tavoli dove, dopo un paio di domande di rappresentanza, spiegava la situazione e chiedeva di mantenere la calma. Finito il giro dei tavoli esterni tornò dal proprietario del locale lasciato a guardia del cadavere e gli domandò, indicando il gabinetto:

– Lo conosce?

L’omaccione, di nome Franco Heiss, i cui genitori (padre tedesco, madre italiana) si erano trasferiti nel paesino d’origine della madre, Rocchetta, col figlioletto ancora in tenera età, aveva vissuto una vita del tutto inutile, cambiando mestiere periodicamente perché si annoiava facilmente e perché non era capace di fare praticamente niente, si era sposato né troppo giovane né troppo vecchio con Berta Barale, una donna dall’insulsaggine paragonabile solo all’inutilità del marito, e aveva prodotto un figlio, Alessio. Questo figlio, contrariamente alle aspettative, oltre ad essere un bel giovane alto e vispo, aveva una mente piuttosto vivace e una spiccata capacità imprenditoriale che fin dalla prima adolescenza mise a frutto sfruttando il misero patrimonio accumulato dal padre per gestire, usando quest’ultimo come uomo di facciata, una serie di attività più o meno redditizie, l’ultima delle quali era appunto la birreria di quella sera, aperta in franchising con una azienda bavarese produttrice di birra. Franco, quindi, visto il passaggio della gestione familiare a suo figlio, con quel grammo di cervello che possedeva si rese conto di non avere veramente più nulla da fare, per cui si dedicò completamente al mantenimento di uno stato di costante e placida ebbrezza, unica attività che gli fosse mai riuscita congeniale. E dopo una vita così non poté fare meglio che rispondere:

– Eh…

Brugherio, che era un uomo di infinita pazienza e spiccate capacità deduttive, inquadrò il personaggio e decise di non prendersela per l’inutilità della risposta.

– Dunque?

Il signor Heiss volle riflettere sulla domanda per una lunga decina di secondi, fissando il nulla coi suoi occhietti liquidi, prima di rispondere:

– Lo conoscevo quando era intero

– E come si chiamava?

– Allora si chiamava…

E fissò il nulla.

Brugherio, che era un uomo dalla profonda compassione, commosso forse dallo sforzo mnemonico di un uomo in quelle condizioni, lo volle incoraggiare:

– Si chiamava…?

Ma il suo sforzo, come spesso accade agli uomini troppo caritatevoli, non fu ricompensato.

– Eh!

– Non si ricorda?

– Certo che mi ricordo!

– E allora perché non me lo dice?

– Perché non lo so

– Scusi, si ricorda o non lo sa?

– Mi ricordo che non lo so

Brugherio, che era un uomo dalla grande astuzia, non volle affacciarsi oltre nello squallore della mente del suo interlocutore e si limitò a chiedere:

– Quindi non eravate intimi?

Ma il destino degli uomini meritevoli è spesso nefasto e ancora una volta ottenne la risposta sbagliata:

– Certo! L’ho visto crescere

Così, senza la benché minima presunzione di averci capito qualcosa, Brugherio cercò di riassumere:

– Insomma: l’ha visto crescere, non sa il suo nome e si ricorda benissimo di non saperlo?

– No, il nome lo so.

L’ispettore, che era un uomo di vasta esperienza, sapeva che in certi casi devi rinunciare a comprendere e limitarti a prendere. Così si rassegnò a continuare la conversazione come l’aveva impostata il suo amico:

– E qual è?

– Giacomo

– E sa anche il cognome?

– Certo

– E qual è?

– Viglietti

Brugherio non era uomo da penna e taccuino, ma quest’informazione gli era costata talmente tanta fatica che non voleva correre il rischio di dimenticarla, per cui estrasse un block notes dalla tasca interna della giacca e vi scrisse, bello grande, “GIACOMO VIGLIETTI”. Quindi si rivolse ottimista al suo amico:

– Scusi, ma allora perché ha detto di non sapere come si chiama?

– Perché non si chiamava così!

Pentendosi di aver sfidato la sorte in quel modo, deciso a non dare un senso a quest’ultima affermazione, la appuntò diligentemente con la promessa di ripensarci dopo una notte di sonno e senza un banco di gamberi che cercava disperatamente di evadere dal suo stomaco. Quindi scrisse subito sotto il nome della vittima “NON SI CHIAMAVA COSÌ” e congedò il signor Heiss, sapendo da un lato che non poteva essergli di alcun aiuto e dall’altro che non poteva nemmeno essere un sospettato, non tanto per i vestiti puliti o perché avesse un alibi, ma perché un uomo simile, ubriaco, non poteva essere in grado di compiere alcunché, figurarsi un delitto tanto efferato o, guardandola da un’altra prospettiva, un’operazione complicata come fare a pezzi un essere umano.

Riflettendo su queste cose Brugherio uscì dal locale e si appoggiò alla parete accanto alla porta d’ingresso, si accese una sigaretta e, guardando il goffo collega cercare di contrattare telefonicamente con la polizia di Pescara l’invio di un contingente, concluse fra sé e sé che sarebbe stata una lunga, lunga notte.

*   *   *

Cosa rende questo inizio traballante un giallo d’eccezione? Facile: voi. I lettori sono invitati a scrivermi (in privato, naturalmente, per evitare gli spoiler!) cosa vorrebbero che l’ispettore Brugherio facesse man mano che la storia va avanti e io continuerò la storia seguendo le indicazioni di uno di voi. Naturalmente sono ben accetti anche consigli sul proseguimento della storia, eventuali nuovi personaggi e, perché no, su chi si rivelerà essere il colpevole alla fine, purché si mantenga una generale coerenza, ma in generale il senso della cosa è che voi “impersonate” l’ispettore.

Per spiegare un po’ come funziona, al momento abbiamo tre personaggi più o meno caratterizzati (l’ispettore, il poliziotto, il proprietario della birreria) e tre di cui sappiamo il nome e poco altro (la moglie del proprietario, il figlio e il morto), un luogo (la birreria), una collocazione geografica (Castel di Sangro, che si trova in Abruzzo) e un omicidio. Queste sono cose che non potete cambiare, perché la storia mancherebbe di senso se il morto resuscitasse o se il poliziotto diventasse improvvisamente una donna. Per il resto potete scrivere qualsiasi cosa, da “Brugherio cerca nel cassonetto accanto al locale se ci sono abiti insanguinati” a “Brugherio prende la sua pistola e uccide tutti”. Se l’azione (o le azioni) che volete fargli compiere prevede l’interazione con cose che non sono state nominate nella parte precedente, fintantoché è ragionevole assumere che queste cose ci siano, potrò prendere in considerazione l’istruzione. Per capirci:

“Brugherio chiede i nomi di tutti i presenti e li scrive sul suo block notes” – è perfettamente possibile perché il block notes è stato esplicitamente nominato

“Brugherio estrae la pistola e intima al suo collega di alzare le mani” – è plausibile, perché ci aspettiamo che un ispettore di polizia porti una pistola sulla scena di un crimine

“Brugherio prende un’accetta e ammazza tutti” – tralasciando l’improbabilità della cosa, la presenza di un’accetta in una birreria di campagna può ancora essere giustificata, quindi se il resto dell’istruzione è abbastanza geniale da giustificare la fatica di inserire un’accetta nello scenario sarà preso in considerazione

“Brugherio colpisce il suo collega con il Chi” – è senza senso e non sarà considerato.

Chiarito questo, non voglio dire che la storia non possa prendere una svolta, entro certi limiti, mistica o fantascientifica (cosa che, anzi, mi divertirebbe e potrebbe accadere se mi sento ispirato), ma solo che se non c’è nulla, nella storia narrata finora, che giustifichi un elemento delle vostre istruzioni sarà troppo difficile seguirle con criterio e quindi non potrò usarle.

 

La cadenza dei capitoli sarà mensile e spero di finire entro 4-5 post per non fare una cosa tremendamente lunga, ma potrebbe essere di più o di meno (sia l’intervallo che la durata) a seconda della disponibilità mia e vostra. Ci tengo a finirla, però, quindi in mancanza d’altro lo farò da solo. In generale, comunque, ogni capitolo sarà accompagnato dalla citazione testuale delle istruzioni su cui è basato.

Ultima cosa: potete anche fare istruzioni più complesse di una semplice azione (esempio: “Brugherio accusa il suo collega, se lui si mostra indignato ritira l’accusa e blabla”) e in questo caso sarà deciso arbitrariamente da me se è troppo complicato per essere usato o meno.

Le istruzioni inviatele all’indirizzo dark@bananastyle.net, eventuali chiarimenti potete richiederli in privato o qui.

Una geniale invenzione

postato il 4 Lug 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Mi sono scontrato più volte con la dura realtà che, nella maggior parte dei casi, non ho niente da dire alla maggior parte delle persone a cui voglio bene ma che non frequento (ma in alcuni momenti anche a quelle che frequento), il che mi porta ad avere sempre lo stesso dubbio ogni volta che vedo una di queste persone connessa su Facebook: contattare, finendo in un silenzio imbarazzante dopo 5 minuti di conversazione stentata, o non contattare, compiendo così un giusto passo verso la totale perdita di qualsiasi rapporto?

Oggi ho partorito, più che altro dicendolo, una geniale idea per risolvere l’annosa questione, che si realizza più o meno completamente nel concetto di “Saluto gratuito”. In pratica funziona così: prendi una persona a caso tra quelle di cui sopra, la contatti dicendo: “Saluto gratuito!” e poi te ne vai. La conversazione può proseguire o meno, l’importante è il saluto e il fatto che sia gratuito.

Fate attenzione a non prendere il saluto gratuito per il verso sbagliato: non si tratta di un modo per comunicare esclusivamente con persone a voi lontane, ma di una piccola, dolce perla di affetto che potete dispensare senza impegno e senza imbarazzi! non lesinate sui saluti gratuiti, non frenate i vostri istinti e non scervellatevi a interpretarli quando ne ricevete uno, ma prendeteli per quello che sono: sinapsi di empatia, istanti di contatto semplice e sentito! Finché ci saranno l’impulso e la sincerità, il saluto gratuito sarà sempre la più squisita, elegante e pura forma di comunicazione di affetto! Per cui, occhio alla formalità: non trasformatelo in un’abitudine (tutt’al più in una tradizione!), privandolo così del suo valore più fondamentale.

Vi lascio riflettere sulla cosa, ma ricordate sempre: saluto gratuito. It’s a thing.

Elenco

postato il 24 Giu 2011 in Main thread
da Azazello

Delle cose a cui, pur considerandole in qualche modo rilevanti, ho deciso di negare in modo pressoché totale la mia attenzione, almeno finché non dovesse esserci una svolta di entità tale da farmi cambiare idea forzatamente:

  • La questione mediorientale
  • Lo strapotere (e il relativo boicottaggio) delle grandi multinazionali
  • Il fatto che non vincerò mai il premio nobel
  • La possibilità che un asteroide colpisca la terra uccidendoci tutti
  • Il riscaldamento globale
  • La camorra
  • La condizione editoriale di Excel Saga
  • La discografia dei Modena City Ramblers
  • La morte (sperando di riuscire a mantenere il proposito)
  • L’impatto della situazione giapponese sulla sanità mondiale
  • La continua comparsa di ceppi batterici cattivissimi resistenti a qualsiasi cosa
  • Il totale controllo che Facebook ha sui miei dati personali
  • La Cina
  • I Genesis
  • Qualsiasi cosa abbia a che fare con l’universo di .hack
  • La discriminazione sessuale
  • Anatomia II
  • Le 10 pagine sulle sinapsi del mio (indegno) libro di istologia
  • La pericolosa curvatura che assume la mia schiena ogni volta che uso il pc sul divano poggiandomi sul bracciolo destro
  • L’improbabilità che Guccini scriva altre canzoni prima di morire

La lista ovviamente è in continuo aggiornamento. Ma visto che ci sono voglio elencarvi anche una piccola frazione delle cose che prima erano sulla lista e che recentemente sono tornate tra le mie preoccupazioni grazie a/per colpa di una svolta nella loro (o nella mia) condizione:

  • Le condizioni fisiche del mio computer
  • L’imprescindibilità dello studio come mezzo per l’acquisizione di conoscenze atte al superamento di esami
  • La mia condizione atletica
  • I Green Day
  • Halo

Sperando di avervi ispirato, vi auguro una buona notte. Anche se doveste leggere questo post di mattina.

Colonnello, mio Colonnello

postato il 10 Mag 2011 in Main thread
da Azazello

Ho scritto questa roba in secondo liceo, ispirato da Parini. La dolce fanciulla ivi descritta è la mia (grazie a Dio) ex professoressa di filosofia, che NON MI AZZARDO A NOMINARE viste le tarantelle di cui qualcuno saprà, una donna forte ma gentile, perseguitata dalla sfortuna di essere se stessa e dalla curiosa caratteristica di rendere grigio e scuro qualunque ambiente la contenga. Nel complesso posso dire che ha contribuito molto alla mia formazione, soprattutto per quanto riguarda l’indispensabile componente di afflizione e rovina, per cui ho ritenuto giusto dedicarle questi settenari sghembi (sghembi perché hanno gli accenti totalmente a caso, sigh), i cui avvenimenti sono stati (de)scritti in tempo reale, forte delle emozioni che ci regalava ogni dì. L’opera, che ha avuto una ricezione piuttosto favorevole, è stata pubblicata solo un anno dopo la sua composizione, quando l’autore ha scoperto che i due professori che lo sopportavano non sarebbero stati in commissione, al contrario della protagonista che invece era proprio membro interno xD

Appropinquasi ‘l corvo:
scivolando entra in aula,
guarda il giovane, torvo,
che paventando gnàula,
il loco in aura nera
avvolge, e cala sera.

Ed ecco, or che s’è assisa
comincia ‘l tribolare:
il terror già s’avvisa,
virtù vedi oscillare
di chi al timor s’arrende
di chi la fine attende.

Il parlar turpe inizia
dell’osceno pennuto
e lercio l’aere avvizia.
Non v’è spème d’aiuto
ché l’essere malvagio
gode d’altrui disagio.

Per chi l’ha visto e per chi non c’era

postato il 2 Mag 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Classifica dei momenti più smaltenti dell’ultimo Comicon

  1. Comprare una serie completa a quasi metà del suo prezzo per una *ehm* fortunata e assolutamente lecita coincidenza
  2. Comprare una serie completa a un euro a volume
  3. Scoprire di aver comprato tutte le cose che avevi in programma, e che credevi non avresti trovato nemmeno dopo tre giorni di penosa ricerca, nei primi dieci minuti (e i primi due stand)
  4. Il prato con le fontanelle, che era così smaltente da meritare di essere menzionato pur non essendo un momento ma un luogo
  5. Avviarsi con la grinta del giaguaro verso l’ingresso grande e sentire i Rammstein a palla provenire dallo stand lì vicino
  6. Sentire in lontananza Last of the Wilds stando live @ smaltimento sul prato
  7. Definire l’unità di misura della smaltenza durante la stessa sui prati di cui sopra
  8. Assistere all’acquisto dell’intera serie di One Piece (con il 20% di sconto, peraltro)
  9. Infilare un FOTTUTO EURO nella FOTTUTA SCATOLA TRASPARENTE del FOTTUTO UNICEF
  10. Mokona! (2.0)

Se manca qualcosa avvisatemi.

Il segno della sconfitta

postato il 1 Mag 2011 in Main thread
da Azazello

[Vorrei fare presente ai lettori e agli autori che Bread finisce sempre per scegliere l’argomento in periodi vacanziferi, col risultato che le sue idee non vengono mai sviluppate come si deve. E che diamine!]

In questi giorni ho avuto tempo di pensare ad una maniera per onorare degnamente l’argomento propostoci dal buon Bread. Purtroppo, il tempo da solo non solo non è stato sufficiente a raggiungere lo scopo, ma addirittura mi ha lasciato la libertà di dimenticare quale fosse di preciso, così ho concepito un post per un argomento leggermente diverso da quello effettivo, non abbastanza da scartare il prodotto delle mie fatiche ma abbastanza da essere tristemente fuori traccia. Descriverò comunque qui il processo che mi ha portato a scegliere il personaggio che ho scelto, anche nella speranza di aiutarvi a capire la sua grandezza.

Volevo innanzi tutto scegliere un personaggio non troppo ovvio, possibilmebte qualcuno che fosse in qualche modo legato a me, alla mia storia personale, per poter trasmettere la mia partecipazione emotiva al meglio. Così mi sono trovato a scavare nella memoria, soprattutto quella del periodo infantile, cercando di capire se qualcuno avesse avuto un ruolo particolare nella mia formazione, se ci fosse un eroe (positivo o negativo) che più di altri mi aveva plasmato, qualcuno nella cui persona avevo potuto riconoscermi, e devo dire che l’ho trovato senza troppo sforzo. Anticipo che si tratta di un personaggio molto sfaccettato di cui sono state date diverse interpretazioni, soprattutto in base alle sue diverse caratteristiche salienti, e che io tendo a considerare determinati aspetti della sua personalità piuttosto che altri.

In particolare io mi riferisco alla lotta.

Stiamo parlando, infatti, di un personaggio in continua lotta con la condizione avversa che è un po’ tutta la sua vita, come Wile E. Coyote che tenta disperatamente di mangiare il Dio del suo mondo e perisce nel tentativo. Costui ha avuto TUTTO contro: la sorte, tanto per cominciare, i parenti e i conoscenti, perfino la sua stessa natura pigra e iraconda, eppure è stato talmente determinato da combattere, battaglia dopo battaglia, una guerra che non ha mai potuto vincere vincere, solo per il piacere di una serata in compagnia della donna che amava o per la soddisfazione di avere riconosciuto un merito. In quest’ottica non so se sia stato paradossale o naturale che la sua strada l’abbia portato verso la lotta al crimine, partita da un puro desiderio di vendetta contro una società corrotta e culminata in un vero e proprio sacrificio alla Batman (la versione che ne fornisce il film “Il cavaliere oscuro”), la rinuncia e l’abbandono conseguenti alla consacrazione della propria vita ad un ideale più alto, una missione più grande.

Eppure non è nell’eroe che mi ritrovavo, quando da piccolo sfogliavo la storia di questo orfano cresciuto da uno zio avido ed egoista: era proprio nei suoi stenti quotidiani che io vedevo me stesso, nella sua disperata ricerca del riconoscimento e della felicità, nella sua lotta strenua contro la sorte nemica e una società spietata; sì, proprio in quel piccolo, insignificante, svogliato e bistrattato Paperino io ho trovato le scuse per lamentarmi, la lucidità per comprendere il mondo che mi circondava e, soprattutto, la forza per andare avanti incurante delle avversità.

Restare indietro

postato il 28 Apr 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Non posso dire di essere scontento della mia vita. Faccio più o meno tutto quello che voglio, quando lo voglio, come lo voglio e quanto lo voglio, finché non mi scoccio e smetto, tutto questo senza che nessuno mi dica quasi niente; ho cibo in abbondanza, un comodo letto, ampi spazi e mezzi sufficienti a supportare le mie attività più assurde; ho delle cose da fare che non sono “sopravvivere”, e questo è già di per sé una grande fortuna.

Ciò nonostante, devo dire che qualcosa che mi turba c’è, e questo qualcosa si può riassumere in un vecchio detto: “I nodi vengono al pettine”. Non è che non sapessi cosa sarebbe successo di lì a qualche mese, quando mi sono reiscritto al secondo anno, così come non è che non sapessi dove sarei andato a finire durante i due semestri che ho passato senza fare nulla e negli altri due in cui ho dovuto appendere un esame per riuscire a fare l’altro. Lo sapevo bene, dove andavo a parare, ma vederlo succedere è comunque deprimente. D’altra parte non posso certo aspettarmi che il mondo stia lì, fermo, in attesa che io mi sbrighi a raggiungerlo, per cui eccoci qua: i miei coetanei, le persone con cui sono cresciuto e con cui ho iniziato la vita universitaria, vanno avanti con le loro vite, percorrono strade che non mi competono ancora, raggiungono gli obiettivi che ci eravamo posti insieme e che io non intravedo nemmeno all’orizzonte; e io sto qui, nella desolazione della mia inadempienza, a cercare di raggiungere chi è partito dopo di me.

Speriamo bene.

Cólto alla sprovvista

postato il 3 Apr 2011 in Main thread
da Azazello

[Questo post inizia con tre brutte notizie: la prima è, come avrete potuto notare, l’infausto annuncio di una cattiva notizia; la seconda è che uno dei nostri autori ha deciso di ritirarsi; la terza è che tocca a me scegliere un argomento e che, essendo stato colto alla sprovvista, mi toccherà sceglierlo in fretta traendo ispirazione da quello che capita, cosa che non ha sempre funzionato granché (come ricorderete)]

Eccoci qui, all’alba di un nuovo argomento. Vi farò innanzi tutto una confessione: mentre scrivo queste righe non sono ancora a conoscenza di quale sarà, ma spero proprio che l’ispirazione mi raggiunga prima della fine di questo post oppure prima della nozione che scrivere un post senza sapere di cosa parlare è fuor di dubbio un’attività poco saggia. Dedichiamoci, dunque, alla scoperta di questo brillante argomento partendo dalle cose che sappiamo per certe:

  1. Esso sarà, fuor di dubbio, un argomento non inerente al cibo. La cosa si è rivelata inadeguata e problematica in più di un’occasione, per cui non mi pare intelligente commettere per la terza volta lo stesso errore (già due…);
  2. Esso non richiederà attività o attenzione aggiuntiva, intensificata o esterna, per i nostri autori, al di là della mera scrittura del post. L’idea, infatti, si è rivelata sempre interessante, ma spesso di difficile realizzazione e difficilmente ha dato i risultati sperati, con grande disappunto mio e di altri, e insomma stiamo ancora tutti aspettando che qualcuno scriva il seguito delle vicende del nostro buon Andrea;
  3. Esso non sarà, a dispetto delle aspettative, un argomento dalle infinite possibilità. Infatti sappiamo che quando si può dire troppo di qualcosa, quella cosa è poco interessante. In realtà NON lo sappiamo, ma ho pensato bene di addurre una motivazione che potesse apparire in qualche modo intelligente a un occhio poco attento;
  4. Esso avrà a che fare con le “I”, quelle che hanno i puntini quando sono scritte minuscole. Io penso che la “I” sia una lettera maestosa e più che degna di nota, ma che sia sottovalutata in favore di altre più rozze e tristi vocali quali potrebbero essere la “A” o la “O”;

Siete liberi di cercare di indovinare in quale momento del post ho deciso che l’argomento sarebbe stato:

 

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