La storia, intima e breve, di una partenza

postato il 6 Set 2011 in Main thread
da VaMina

Soppesò il phon in una mano e il pentolino della ceretta nell’altra. Non sarebbero mai entrati entrambi e, in fondo, la ceretta è una cosa diabolica. Eccolo, il vincitore. Gettò con malagrazia il phon sulla pila di vestiti, chiuse la valigia e la fissò. Era di quelle che si usano come bagaglio a mano: compatta, ultraleggera, tante cose belle nella pubblicità, insomma. Non c’entrava nulla lì dentro. D’altronde, proprio quella volta, inutile lamentarsi, una valigia migliore non avrebbe aiutato, dato che non aveva idea di cosa le potesse servire. Stava iniziando a considerare l’idea di prendere uno zaino, infilarci un cambio di biancheria e basta, ma un suono persistente bloccò il pensiero disfattista sul nascere. Mentre si dirigeva verso il telefono che squillava già da un po’, afferrò il libro che stava leggendo. “ Mamma? Sì, sono quasi pronta. No mamma, non mi porto un panino. No, non penso che serva. Anche io vi voglio bene. Ciao.” Sospirò. La quinta maledetta telefonata della giornata. Non mancava molto, doveva sbrigarsi. I documenti li aveva già in borsa. La ossessionava quella sensazione strisciante, che penetra la mente, la carne, le ossa. Non la sensazione di aver dimenticato qualcosa. No, era la certezza che appena avesse varcato la soglia di casa, avrebbe sentito quel bisogno che domina le partenze. Il bisogno irrefrenabile di portare quel vestito che non hai messo in valigia, di sentire quel disco che non hai mai comprato, di vedere quell’amico senza il quale hai vissuto benissimo per tre anni, di stare nella cucina che detesti, sulla sedia che odi, a bere un caffè che bruci sempre. La sensazione che l’aveva sempre spinta a tornare in casa, le innumerevoli volte che aveva cercato di scappare. Uscita dalla porta, le era sempre mancato il coraggio di chiamare l’ascensore, di trascinarsi per le scale. Passò in rassegna le finestre, per la terza, quarta volta. Chiuse i cassetti e le ante degli armadi rimasti aperti. Non avrebbe dovuto chiamarlo, quella mattina. Gli altri li aveva sentiti tutti la sera prima, li aveva salutati, aveva augurato belle cose, ripromettendosi, niente telefonate, quel giorno. Ma non aveva resistito. Aveva fatto le cose con calma, aveva scritto un foglio pieno di parole e cancellature. Si era seduta a gambe incrociate, per terra, con le spalle al termosifone, come quando era ragazzina. Aveva alzato la cornetta con circospezione, fatto il numero, aspettato. Un bel respiro. Poi aveva accartocciato la pagina piena di inchiostro sensato e piuttosto ragionevole. Aveva urlato, pianto, insultato, tutto nei trenta secondi concessi dalla segreteria telefonica. Lo squallore dei gesti rituali, infantili, l’assaliva. Si spazzolò i capelli, spense le luci, chiuse l’acqua, il gas. Controllò il gas. Spinse i bagagli davanti alla porta. Chiuse gli occhi, fece mente locale. Era tutto pronto. Uscì tirando la valigia e chiuse a chiave.
Quando scese nell’atrio quasi tutti gli altri inquilini erano già all’esterno, sulle scale. Li raggiunse.
“Buongiorno a tutti”.
“Buongiorno, cara, si sente pronta?” Il suo vicino le fece cenno di avvicinarsi. Sistemò la roba con quella degli altri, accatastata in un angolo dell’ingresso, e si sedette accanto a lui. Si sentiva pronta? Sì. No. Forse. Cercava di non pensarci. Si sforzò di rispondere:
“E’ una bella giornata, vero?”
“Vero, vero. Ottima, per un avvenimento simile. Ha visto la signora del terzo piano?”
“No, perché?”
“Credo non l’abbia presa bene. L’ho sentita urlare.”
“E’ successo a molti.” Diede un’occhiata all’orologio. “Sta iniziando.”
I borbottii di tutti cessarono. Guardavano attenti davanti a sé.
Il loro palazzo non fu il primo ad essere colpito. Cominciò come una frustata, come una decisione presa all’improvviso, come un’idea lancinante. Il cielo si copriva di rosso, di blu, di colori sconosciuti, vorticavano, brillavano intensi. Venti opposti lottavano, strappavano i vetri alle finestre, le antenne ai tetti. Scoppi purpurei ribollivano in lontananza, le fiamme guizzanti che lambivano le stelle e il sole. L’asfalto si fendeva, crepe si aprivano scure e minacciose nel terreno, sputando fumi neri e violacei, simili al respiro di un drago che si annida sotto la terra da tempi lontani, impaziente, ora che vede la speranza di levarsi ancora una volta in volo. La più completa gamma dei suoni e dei rumori squarciava l’aria, rombi, sinfonie, grida, frastuoni. I palazzi tremavano squassati da spasmi irregolari e crollavano. Gli alberi si innalzavano come per un profondo sospiro e ricadevano gemendo nelle fosse, nelle nuove valli urbane. Le automobili si accartocciavano e si scioglievano, i lampioni si tuffavano nel fuoco. Una pioggia insistente cominciò a battere sulle fiamme, che annegavano, naufragavano, morivano, risorgevano. Schiere di nubi nere marciarono dagli angoli del cielo e, dopo essersi mischiate nel mezzo della volta celeste come armate nemiche che si scontrano furiosamente in battaglia, si saldarono ai fumi oscuri che sorgevano dalla terra, oscurando la vista. E poi, tutto finì.

Un giallo d’eccezione

postato il 16 Ago 2011 in Main thread
da Azazello

Saranno state le undici e mezza quando l’ispettore Brugherio arrivò sul posto. “C’è un cadavere”, gli avevano detto, “nel bagno di una birreria locale”. L’ispettore sapeva bene che a Castel di Sangro, l’insipida località dove si era fatto trasferire per non avere più niente a che fare con i truculenti crimini metropolitani, c’erano solo due tipi di cadaveri: vecchietti, morti per conto loro nella solitudine delle proprie casette, e ragazzini dall’acceleratore facile; per il resto, la cosa più morta nell’arco di un centinaio di chilometri erano i gamberi surgelati che gli avevano propinato per cena – e la cosa, sia ben chiaro, era assolutamente di suo gradimento. Riluttante, quindi, l’ispettore entrò nella birreria salutando con un cenno le (molte) persone che conosceva tra gli avventori e si diresse verso la toilette. Lì, in una frazione di secondo, ebbe modo di pentirsi della sua riluttanza, del suo trasferimento e, soprattutto, dei gamberi surgelati: nel gabinetto, pieno di sangue fino all’orlo, si potevano distinguere con difficoltà una mano, un gomito e i lineamenti di un volto, mentre il resto di quello che costituiva a buon diritto il terzo tipo di cadavere di Castel di Sangro si poteva trovare sparpagliato a casaccio intorno al vaso. Dopo qualche istante di contemplazione l’ispettore si sentì di dichiarare con sicurezza:

– Beh, è morto.

Dopodiché, con la rassegnazione propria di un gesto compiuto tante volte da essere naturale, estrasse un paio di guanti in lattice dalla tasca della giacca e li infilò prima di cominciare l’esplorazione della scena del delitto.

– Intanto direi che non è un suicidio.

Forse perché era un po’ arrugginito, forse perché il giovane poliziotto locale e il grasso, ubriaco proprietario del locale che assistevano alla scena non sembravano troppo impressionati dalle sue deduzioni, per un attimo Brugherio si sentì sciocco, lì in ginocchio a cercare non si sa bene cosa sotto i pezzi di un cadavere smembrato dichiarando ovvietà.

– Agente Frollone, chiami il medico legale e la scientifica, qui non c’è molto da fare per noi.

L’agente Andrea Frollone era un giovanotto baldanzoso, prestante ed eccezionalmente imbecille che, sia per le scarse prospettive che gli offriva la sua città natale sia, soprattutto, perché la sua fidanzata trovava che la divisa gli stesse molto bene, si era dato al mestiere di poliziotto, che svolgeva con solerte inadempienza da ben tre anni. In questo periodo aveva diviso il suo lavoro in due componenti principali: la prima, d’ufficio, volta al conseguimento di una condizione psico-fisica tale da poter raggiungere la perfetta orizzontalità combinando il dondolio della sedia con l’appoggio per i piedi fornito dalla scrivania; la seconda, più d’azione, consisteva nel girare per le strade di Castel di Sangro guardando con sufficienza i coetanei sfaccendati, baristi, fruttivendoli o macellai, dall’alto del suo muscoloso metro e cinquantasette in divisa blu. Visto il personaggio, potete immaginare che nulla fosse più lontano dalla sua mente della possibilità di dover chiamare un medico legale, un giorno, e meno che mai la polizia scientifica, le cui cartine geografiche probabilmente non contemplavano nemmeno l’esistenza della sua cittadina di montagna. Insomma, alla luce di tutte queste cose, era più che lecito aspettarsi che il bravo agente rispondesse, tra l’impettito e il risentito:

– Dotto’, è impossibbile

Lecito o non lecito, però, il nostro ispettore non sembrava soddifatto:

– Chiedo scusa?

– Dotto’, il medico legale non ce l’abbiamo e la scientifica non c’ho il numero

Brugherio non poté trattenere una smorfia, cogliendo l’ironia della situazione.

– Allora contatti la sede dell’Aquila, di Pescara, di Napoli o di chi le pare e si faccia mandare qualcuno, no?

E poi volle aggiungere, sapendo di prendere in giro più se stesso che il ragazzo:

– Di solito come fate in questi casi?

L’Agente, non sapendo bene cosa rispondere, annuì e si allontanò cercando il numero del commissariato di Pescara con l’iPhone (ma non prima di rispondere a un SMS della sua ragazza). Brugherio si alzò faticosamente e comunicò al ristoratore di non toccare niente e di non far entrare nessuno nel bagno, dopodiché andò verso la cassa dove chiese informazioni su quanti e quali fossero stati gli avventori quella sera, quindi cominciò a girare per i tavoli dove, dopo un paio di domande di rappresentanza, spiegava la situazione e chiedeva di mantenere la calma. Finito il giro dei tavoli esterni tornò dal proprietario del locale lasciato a guardia del cadavere e gli domandò, indicando il gabinetto:

– Lo conosce?

L’omaccione, di nome Franco Heiss, i cui genitori (padre tedesco, madre italiana) si erano trasferiti nel paesino d’origine della madre, Rocchetta, col figlioletto ancora in tenera età, aveva vissuto una vita del tutto inutile, cambiando mestiere periodicamente perché si annoiava facilmente e perché non era capace di fare praticamente niente, si era sposato né troppo giovane né troppo vecchio con Berta Barale, una donna dall’insulsaggine paragonabile solo all’inutilità del marito, e aveva prodotto un figlio, Alessio. Questo figlio, contrariamente alle aspettative, oltre ad essere un bel giovane alto e vispo, aveva una mente piuttosto vivace e una spiccata capacità imprenditoriale che fin dalla prima adolescenza mise a frutto sfruttando il misero patrimonio accumulato dal padre per gestire, usando quest’ultimo come uomo di facciata, una serie di attività più o meno redditizie, l’ultima delle quali era appunto la birreria di quella sera, aperta in franchising con una azienda bavarese produttrice di birra. Franco, quindi, visto il passaggio della gestione familiare a suo figlio, con quel grammo di cervello che possedeva si rese conto di non avere veramente più nulla da fare, per cui si dedicò completamente al mantenimento di uno stato di costante e placida ebbrezza, unica attività che gli fosse mai riuscita congeniale. E dopo una vita così non poté fare meglio che rispondere:

– Eh…

Brugherio, che era un uomo di infinita pazienza e spiccate capacità deduttive, inquadrò il personaggio e decise di non prendersela per l’inutilità della risposta.

– Dunque?

Il signor Heiss volle riflettere sulla domanda per una lunga decina di secondi, fissando il nulla coi suoi occhietti liquidi, prima di rispondere:

– Lo conoscevo quando era intero

– E come si chiamava?

– Allora si chiamava…

E fissò il nulla.

Brugherio, che era un uomo dalla profonda compassione, commosso forse dallo sforzo mnemonico di un uomo in quelle condizioni, lo volle incoraggiare:

– Si chiamava…?

Ma il suo sforzo, come spesso accade agli uomini troppo caritatevoli, non fu ricompensato.

– Eh!

– Non si ricorda?

– Certo che mi ricordo!

– E allora perché non me lo dice?

– Perché non lo so

– Scusi, si ricorda o non lo sa?

– Mi ricordo che non lo so

Brugherio, che era un uomo dalla grande astuzia, non volle affacciarsi oltre nello squallore della mente del suo interlocutore e si limitò a chiedere:

– Quindi non eravate intimi?

Ma il destino degli uomini meritevoli è spesso nefasto e ancora una volta ottenne la risposta sbagliata:

– Certo! L’ho visto crescere

Così, senza la benché minima presunzione di averci capito qualcosa, Brugherio cercò di riassumere:

– Insomma: l’ha visto crescere, non sa il suo nome e si ricorda benissimo di non saperlo?

– No, il nome lo so.

L’ispettore, che era un uomo di vasta esperienza, sapeva che in certi casi devi rinunciare a comprendere e limitarti a prendere. Così si rassegnò a continuare la conversazione come l’aveva impostata il suo amico:

– E qual è?

– Giacomo

– E sa anche il cognome?

– Certo

– E qual è?

– Viglietti

Brugherio non era uomo da penna e taccuino, ma quest’informazione gli era costata talmente tanta fatica che non voleva correre il rischio di dimenticarla, per cui estrasse un block notes dalla tasca interna della giacca e vi scrisse, bello grande, “GIACOMO VIGLIETTI”. Quindi si rivolse ottimista al suo amico:

– Scusi, ma allora perché ha detto di non sapere come si chiama?

– Perché non si chiamava così!

Pentendosi di aver sfidato la sorte in quel modo, deciso a non dare un senso a quest’ultima affermazione, la appuntò diligentemente con la promessa di ripensarci dopo una notte di sonno e senza un banco di gamberi che cercava disperatamente di evadere dal suo stomaco. Quindi scrisse subito sotto il nome della vittima “NON SI CHIAMAVA COSÌ” e congedò il signor Heiss, sapendo da un lato che non poteva essergli di alcun aiuto e dall’altro che non poteva nemmeno essere un sospettato, non tanto per i vestiti puliti o perché avesse un alibi, ma perché un uomo simile, ubriaco, non poteva essere in grado di compiere alcunché, figurarsi un delitto tanto efferato o, guardandola da un’altra prospettiva, un’operazione complicata come fare a pezzi un essere umano.

Riflettendo su queste cose Brugherio uscì dal locale e si appoggiò alla parete accanto alla porta d’ingresso, si accese una sigaretta e, guardando il goffo collega cercare di contrattare telefonicamente con la polizia di Pescara l’invio di un contingente, concluse fra sé e sé che sarebbe stata una lunga, lunga notte.

*   *   *

Cosa rende questo inizio traballante un giallo d’eccezione? Facile: voi. I lettori sono invitati a scrivermi (in privato, naturalmente, per evitare gli spoiler!) cosa vorrebbero che l’ispettore Brugherio facesse man mano che la storia va avanti e io continuerò la storia seguendo le indicazioni di uno di voi. Naturalmente sono ben accetti anche consigli sul proseguimento della storia, eventuali nuovi personaggi e, perché no, su chi si rivelerà essere il colpevole alla fine, purché si mantenga una generale coerenza, ma in generale il senso della cosa è che voi “impersonate” l’ispettore.

Per spiegare un po’ come funziona, al momento abbiamo tre personaggi più o meno caratterizzati (l’ispettore, il poliziotto, il proprietario della birreria) e tre di cui sappiamo il nome e poco altro (la moglie del proprietario, il figlio e il morto), un luogo (la birreria), una collocazione geografica (Castel di Sangro, che si trova in Abruzzo) e un omicidio. Queste sono cose che non potete cambiare, perché la storia mancherebbe di senso se il morto resuscitasse o se il poliziotto diventasse improvvisamente una donna. Per il resto potete scrivere qualsiasi cosa, da “Brugherio cerca nel cassonetto accanto al locale se ci sono abiti insanguinati” a “Brugherio prende la sua pistola e uccide tutti”. Se l’azione (o le azioni) che volete fargli compiere prevede l’interazione con cose che non sono state nominate nella parte precedente, fintantoché è ragionevole assumere che queste cose ci siano, potrò prendere in considerazione l’istruzione. Per capirci:

“Brugherio chiede i nomi di tutti i presenti e li scrive sul suo block notes” – è perfettamente possibile perché il block notes è stato esplicitamente nominato

“Brugherio estrae la pistola e intima al suo collega di alzare le mani” – è plausibile, perché ci aspettiamo che un ispettore di polizia porti una pistola sulla scena di un crimine

“Brugherio prende un’accetta e ammazza tutti” – tralasciando l’improbabilità della cosa, la presenza di un’accetta in una birreria di campagna può ancora essere giustificata, quindi se il resto dell’istruzione è abbastanza geniale da giustificare la fatica di inserire un’accetta nello scenario sarà preso in considerazione

“Brugherio colpisce il suo collega con il Chi” – è senza senso e non sarà considerato.

Chiarito questo, non voglio dire che la storia non possa prendere una svolta, entro certi limiti, mistica o fantascientifica (cosa che, anzi, mi divertirebbe e potrebbe accadere se mi sento ispirato), ma solo che se non c’è nulla, nella storia narrata finora, che giustifichi un elemento delle vostre istruzioni sarà troppo difficile seguirle con criterio e quindi non potrò usarle.

 

La cadenza dei capitoli sarà mensile e spero di finire entro 4-5 post per non fare una cosa tremendamente lunga, ma potrebbe essere di più o di meno (sia l’intervallo che la durata) a seconda della disponibilità mia e vostra. Ci tengo a finirla, però, quindi in mancanza d’altro lo farò da solo. In generale, comunque, ogni capitolo sarà accompagnato dalla citazione testuale delle istruzioni su cui è basato.

Ultima cosa: potete anche fare istruzioni più complesse di una semplice azione (esempio: “Brugherio accusa il suo collega, se lui si mostra indignato ritira l’accusa e blabla”) e in questo caso sarà deciso arbitrariamente da me se è troppo complicato per essere usato o meno.

Le istruzioni inviatele all’indirizzo dark@bananastyle.net, eventuali chiarimenti potete richiederli in privato o qui.

L’eccezione che comincia la regola

postato il 7 Ago 2011 in Main thread
da cupnudeln

Vista l’insopportabile assenza di autori del blog che possano decidere l’argomento di questo mese, abbiamo (ho) arbitrariamente deciso di mettere un argomento a caso (scelto dal Caso appunto, con le dovute limitazioni, tramite l’ottimo random word generator) per il mese di agosto, allo scopo di non penalizzare lo sfortunato autore estivo, da un lato, né gli sfortunati lettori estivi quando l’autore di cui sopra dovesse venire a mancare. E quale migliore argomento poteva scegliere il caso, con tutte le sue limitazioni, se non l’eccezione? A presto con numerose improbabilità!

 

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