Perché?
postato il 1 Set 2011 in Cazzi e mazzi personalida Azazello
D’improvviso, tutte le cose intorno a lui furono ferme. Non se ne accorse subito, ma un passo alla volta, cominciando dal silenzio. Dapprima non sentì più la ventola del computer, il ronzio del neon, l’aspiratore dell’asciugatrice. Poi non vide più il lampeggiare del LED della batteria sul cellulare, il tremolio della luce nell’appartamento di fronte, il continuo ricambio di foto, parole e immagini sul suo schermo. Uscì dalla sua stanza e pur trovando il padre addormentato sul divano del salotto non ne udì il russare, né vide il ventre alzarsi e abbassarsi al passo col respiro sommesso di un uomo addormentato, non sentì il gocciolio del rubinetto in cucina né il gorgoglio dello scarico. Si guardò intorno, fermo al centro del salotto, e capì che quell’istante sarebbe durato in eterno.
Quindi, pensò.
Pensò alle cose passate che l’avevano portato a quel momento, agli errori cui non avrebbe posto rimedio, alle cose non dette e a quelle dette troppo presto, troppo tardi o troppo e basta, pensò alle persone che l’avevano accompagnato e a quelle che lo avevano abbandonato. Pensò alle gioie, alle delusioni, pensò alle speranze e al futuro, ormai sepolto tra i ricordi per cui non trovava più posto, e al presente, che durava da troppo tempo e, in effetti, non aveva mai accennato a finire. Capì che non sarebbe potuta andare altrimenti.
Si sedette e tornò ai volti dei suoi amori più appassionati, persone ormai perdute nei cunicoli delle cose mai accadute, dimenticate innanzi tutto da loro stesse, accantonate per fare spazio ad altri sé che, col tempo, di spazio non ne avevano trovato per lui. Di ciascuno si innamorò ancora, ancora sentì lacerarsi il petto per la tragedia del rifiuto e ancora li vide sbiadire, sparire, cambiarsi e cambiarlo.
Si alzò, camminando deciso verso la propria stanza, disseminata degli oggetti che l’avevano plasmato. Piega su piega e callo su callo, ognuno l’aveva segnato in qualche modo ed ognuno, complementare al suo marchio, era stato un insostituibile manovale nella sua costruzione. Odiò tutti quegli oggetti, ora così irrimediabilmente fermi, che nonostante i pomeriggi spesi insieme non avevano potuto portarlo altrove che lì, nell’assoluta immobilità, di fronte a se stesso e ai suoi rimpianti.
Si stese sul letto e osservò a lungo il soffitto, l’intonaco che non ne sarebbe mai caduto, le varie tonalità di grigio che gli conferivano la polvere e il gioco di luci e ombre creato dalla sua irregolarità. Fu inquieto. Lo sconforto si alternava alla rabbia ogni volta che si rigirava sulle coperte, preso da un’inspiegabile smania di essere, di tornare indietro, di correggere. Era di fronte al sempre, tormentato dal vuoto irrisolto dei mai.
Poi chiuse gli occhi.
Si chiese se in fondo non avrebbe rifatto tutto allo stesso modo.
E si addormentò.