Una geniale invenzione

postato il 4 Lug 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Mi sono scontrato più volte con la dura realtà che, nella maggior parte dei casi, non ho niente da dire alla maggior parte delle persone a cui voglio bene ma che non frequento (ma in alcuni momenti anche a quelle che frequento), il che mi porta ad avere sempre lo stesso dubbio ogni volta che vedo una di queste persone connessa su Facebook: contattare, finendo in un silenzio imbarazzante dopo 5 minuti di conversazione stentata, o non contattare, compiendo così un giusto passo verso la totale perdita di qualsiasi rapporto?

Oggi ho partorito, più che altro dicendolo, una geniale idea per risolvere l’annosa questione, che si realizza più o meno completamente nel concetto di “Saluto gratuito”. In pratica funziona così: prendi una persona a caso tra quelle di cui sopra, la contatti dicendo: “Saluto gratuito!” e poi te ne vai. La conversazione può proseguire o meno, l’importante è il saluto e il fatto che sia gratuito.

Fate attenzione a non prendere il saluto gratuito per il verso sbagliato: non si tratta di un modo per comunicare esclusivamente con persone a voi lontane, ma di una piccola, dolce perla di affetto che potete dispensare senza impegno e senza imbarazzi! non lesinate sui saluti gratuiti, non frenate i vostri istinti e non scervellatevi a interpretarli quando ne ricevete uno, ma prendeteli per quello che sono: sinapsi di empatia, istanti di contatto semplice e sentito! Finché ci saranno l’impulso e la sincerità, il saluto gratuito sarà sempre la più squisita, elegante e pura forma di comunicazione di affetto! Per cui, occhio alla formalità: non trasformatelo in un’abitudine (tutt’al più in una tradizione!), privandolo così del suo valore più fondamentale.

Vi lascio riflettere sulla cosa, ma ricordate sempre: saluto gratuito. It’s a thing.

La guardi, è già lontana

postato il 6 Apr 2011 in Main thread
da Vobby

“Bene, ora comincio a scrivere la tesina!” e invece no.

Raramente mi è capitato di pensare all’ignoto come a un’informazione. Certo, ci sono stati episodi in cui mi ha sfiorato un’interpretazione simile, ad esempio durante i compiti di chimica, ma in quei casi più che l’ignoto percepivo il vuoto pneumatico. L’ignoranza di un numero pressocchè infinito di nozioni fa parte della condizione umana. Tuttavia, in qualunque momento della nostra vita abbiamo la possibilità di apprendere qualcosa su alcune parti di questo infinito, basta interessarsi.
Questo vale per qualunque materia e campo di studio, se si è disposti a faticare. L’ignoranza di informazioni che vogliamo ottenere, insomma, è una condizione assolutamente temporanea (salvo morte improvvisa. Ma in quel caso non sei ignorante, non sei affatto).

Esiste invece un altro infinito, sul quale si potranno fare diverse congetture, ma di cui in fondo non si potrà mai, in nessun modo, scoprire niente: è l’universo delle esperienze non vissute.
Mi sono reso conto di essermi perso qualcosa dopo la maturità. Ero in ottimi rapporti non tutti i miei compagni di classe, con 4-5 di loro mi sento e vedo ancora, ogni tanto (una volta negli ultimi 5 mesi,se escludiamo incontri casuali di 5 minuti. Non odierò mai abbastanza Simona e Rossella), ma non li ho mai frequentati quando ero al liceo, non ho mai visto nei miei compagni il mio gruppo di amici. E la cosa mi ha intristito, quando ne ho compreso la portata. Alle ultime feste di compleanno mi rendevo conto che nonostante volessi bene a tutti, con pochi avevo davvero qualcosa da condividere, al di fuori dell’esperienza scolastica. La cosa si fece particolarmente palese alla festa che seguì la maturità. Mi divertii moltissimo, intendiamoci, ma anche allora ebbi momenti di lieve malinconia constatando che quasi tutti avevano in progetto, di lì a poco, di fare vacanze insieme, di provare le stesse facoltà, di prepararsi insieme per i test d’ingresso, di uscire insieme la sera dopo, di dormire uno a casa dell’altro quella notte stessa. Non era un caso che fossi sempre fra gli ultimi ad andar via dalle feste di classe. Volevo assorbire fino in fondo la vicinanza di persone che,lo sapevo, avrei visto poco fuori dall’aula. Per lo stesso motivo in fondo ho sempre preferito stare alternativamente con i miei compagni e con Mirb. Lei conosce alcuni miei compagni e compagne, e molta gente di classe sua era sempre presente alle feste di classe mia. Io non la invitavo a venire con me però, non credo di saper definire bene il motivo, in un certo senso desideravo respirare appieno un’atmosfera che sarebbe stata diversa con la sua presenza.
Perché non mi impegnavo a frequentarli fuori dalla scuola? Probabilmente perchè ho capito che avrei voluto farlo solo alla fine dei tre anni trascorsi al Genovesi. Credevo bastasse l’aula, per stringere legami con la classe. Sono davvero pochissimi i luoghi in cui mi sono sentito più a mio agio, più felice, più sereno che nella mia classe. Per stare bene lì non ho mai dovuto fare niente di meno nè di più nè di diverso da ciò che mi piaceva. Dopo un breve periodo di assestamento, ognuno acquista il suo ruolo in una classe, no? A quanto pareva, amare le materie umanistiche, essere indecente in quelle scientifiche(che poi è solo quasi vero), scroccare pizzette nell’intervallo, offrirne una una volta l’anno, sbattersi con la capoeira, la lotta e i bicipiti (lol), essere costantemente distratto, tanto da giocare a pokémon nelle ore di inglese, dimostrare cordialità e disponibilità con tutti, era più che sufficiente per farsi voler bene. Se sono stato sul cazzo a qualcuno, non me ne sono mai accorto*. Già ampliando l’area delle frequentazioni la cosa cambiava: per diversi motivi, come il mio ginnasio all’umberto, la mia abitudine a non restare molto tempo sotto scuola dopo le lezioni, la mia avversione alle occupazioni, la mia scarsa stima per alcuni personaggi piuttosto popolari, non ho conosciuto molte persone fuori di classe mia. C’è da dire poi che raramente sono stato granchè estroverso. E’ probabilmente a causa di tutto ciò che non sono quasi mai uscito con i miei compagni a Piazza del Gesù: sentivo di avere un posto e un ruolo nella classe, non sotto l’obelisco.
Basta come spiegazione?
No, perchè il mio atteggiamente era stato radicalmente diverso in passato. Nel Febbraio del 2007, quando ero in quinto ginnasio, andai alla festa di carnevale a casa di Elena, mia cugina. Lì conobbi in una sera un numero enorme di persone, e attraverso alcune di quelle ne conobbi tante altre nel giro di pochi mesi. Mi ero tuffato di testa in un nuovo mare, in niente simile a quello in cui ero abituato a nuotare, senza alcuna remora. Non ebbi alcun problema a tagliare i ponti, nel giro di settimane, con i miei amici delle medie, che ancora frequentavo, e con i miei amici dell’umberto e del mercalli. Tornando sul tema iniziale, nel febbraio del 2007 non ebbi nessuna difficoltà ad abbracciare ed esplorare l’ignoto, cioè quella che sarebbe stata la mia vita accanto a persone diverse da quelle a cui ero abituato. Per coronare il tutto, visto che da qualche tempo frequentavo altri miei compagni di classe delle medie e i loro amici genovesini, trovandomi assai bene, decisi definitivamente di cambiare scuola. In quei mesi iniziali del 2007 (fra gennaio, quando passai le mie prime serate a piazza del gesù, e marzo, quando ormai avevo iniziato a conoscere il gruppone del sannazzaro e il gruppo college) salutai con poche cerimonie anche tutto il buono che avevo avuto fino ad allora.
Come spiego questa diversità nel mio atteggiamento? Come spiego, e quindi come giustifico il fatto che, nonostante sapessi che buttandosi nell’ignoto si potesse trovare un’immensa felicità, non mi gettai fra le braccia di classe mia e del genovesi, riprendendo a frequentare la piazza come all’inizio dell’anno, ma con i miei nuovi compagni?
Semplice:in quinto ginnasio ero infelice. Avevo una sete infinita di cambiamento. Non mi sentivo a mio agio all’umberto, non ero mai stato davvero realizzato nel gruppo delle medie, non mi sentivo granchè apprezzato. Non piacevo alle ragazze, cazzo. Nell’ignoto di quel carnevale gettai la maschera e rovescai il mio mondo. Non cambiai la mia personalità, fui più profondamente, e con più sicurezza, me stesso. E questo Vobby così uguale a come era sempre stato, per qualche incredibile e meraviglioso motivo piaceva come non era mai piaciuto a nessuno. Per questo non mi dimostrai altrettando aperto all’ignoto di classe mia: ero felice nella mia ignoranza. Vivevo da poco una nuova vita, non volevo per nessun motivo abbandonarla, nè cambiarla in nessun modo.
E forse sbagliai. Perchè io non mi pentirò mai di nessun momento passato con roberta, con le pagine sparse, o a casa di luca, o di lalla, ma allo stesso tempo mi rendo conto che un piccolo sforzo in più, per fare un minimo di luce su quel mondo che non conoscevo, e per farmi illuminare da esso, potevo farlo. So che sono stato felice in questi anni, sono sicuro che non avrei potuto esserlo di più, ma non saprò mai se avrei potuto esserlo diversamente, conoscendo meglio altre persone pure tanto belle e generose, che si sono sempre dimostrate disposte a volermi bene.
Sono anche stato così imbecille da riuscire ad assentarmi alla rimpatriata che io stesso avevo proposto mesi fa, perchè controllai con un giorno di ritardo la mail di facebook, e per questo non ho scuse, mi sa.
Un mio compagno mi disse che io e lui non ci saremmo mai più visti, dopo quella festa di fine anno. Per ora ha ragione. Ma mi sono ripromesso di smentirlo, e la voglia di farlo non è diminuita.

*Eventuali lettori compagni di classe, non desidero essere smentito, grazie.

We’ll never be so young again

postato il 4 Feb 2011 in Main thread
da Vobby

Il tempo. Magnifico. Potrei sbizzarrirmi con il Benedetto Croce che ho riletto un po’ ultimamente, o divertirmi con il circolare tempo mitico, per non parlare di quanto il tema del tempo si sposi bene col determinismo!
Magari nei prossimi giorni.
Oggi, invece…:

Una mia compagna di scuola (di collegio, quel che è) mi ha raccontato un po’ della sua vacanza in Corsica (o era Croazia?) durante la quale lei e i suoi amici hanno preso alcune lezioni di surf.
Il maestro di surf, alle persone che non avevano voglia di provare, perchè impaurite dalla difficoltà, inibite dalla timidezza, o magari semplicemente perchè annoiate o pigre, usava ripetere questa frase: “com’on,try, we’ll never be so young again!”

We’ll never be so young again. La suddetta compagna ha anche fatto un album fotografico su fb in cui ci sono appunto le foto sue e dei suoi amici durante e dopo la vacanza. Mi ha fatto una strana impressione notare la somiglianza dei gesti e delle espressioni presenti in quelle foto, con quelle presenti sulla bacheca appesa qui in camera.

Non so bene quanta importanza lei dia a questa frase, che magari considera solo un divertente ricordo, a me però ha colpito abbastanza profondamente… per la sua verità. Non sarò mai più così giovane. Non ho un’adolescenza che mi aspetta, non più, c’è una maturità che mi si prepara. Ho ancora tanto tempo per essere giovane, per esprimere al massimo questa salute e questa velocità mentale che però, un giorno, magari tra tantissimo tempo, magari poco, e poco per volta, ma sicuramente, cominceranno a diminuire.

Questo non vuole essere un modo per denigrare maturità e vecchiaia: quelli sono tempi tutti da scoprire, con le loro gioie e i loro dolori. Dico però che comincio a sentire il peso di una responsabilità. La mia mente non sarà mai più così pronta ad apprendere, mai più il mio corpo sarà così malleabile dall’esercizio. Buona parte di quello che sarò nella mia vita, lo deciderò in questa giovinezza. Sono responsabile oggi, oggi più di ieri, quando stavo ancora crescendo, di chi sarò domani. Se voglio stimare la mia futura persona, se voglio che quella si guardi allo specchio con una certa fierezza,ebbene quella persona devo cominciare a costruirla oggi.
Dare forma a un uomo degno di questo nome sarà di certo stancante, ma tanta resistenza alla fatica non ce l’avrò mai più: meglio cominciare a darsi da fare, vi pare?

 

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