Autore: ad.6


Biografia

ad.6 è un'entità straordinaria! Esso rappresenta la vittoria del Reale sul Caos. Molti anni fa ad.6 nacque e lo fece sfidando ogni probabilità: perché doveva nascere proprio lui tra infiniti? Eppure nacque. Da allora la sua vita è stata costellata da stranezze e particolarità. ad.6 agisce, cammina, prende le cose senza mai toccare niente, vede le cose dopo che accadano, sempre, ed anzi non vede queste, ma solamente la luce che rimbalza su di esse! Posso dire inoltre che preferisce occupare nel mondo una sola posizione per volta, vuoi per modestia, vuoi per necessità e, nonostante questo, continua incessantemente a cambiare posizione, senza aver mai smesso. Le informazioni biografiche sarebbero tante, data una vita tanto movimentata ed interessante, ma vi basti sapere che esso può spostarsi continuamente nel tempo (anche se ormai si sa che il tempo è discreto) e che, come disse qualcuno, ha viaggiato nel tempo fino ad oggi per scrivere in questo blog. Allora che più? Aspettiamo soltanto di vedere quali altre meraviglie gli riserverà il futuro (che, purtroppo, dobbiamo dire, al momento non possiede)!


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Della morte, della fine e dell’eternità

postato il 6 Lug 2012 in Main thread
da ad.6

[La fine è un argomento troppo bello per essere ignorato e quindi non lo farò. Questo sarà un discorso probabilmente disomogeneo sulla morte, sulla mia morte e sulla fine più in generale]

Nella nostra vita la morte è il momento critico per eccellenza. L’atto della nascita è infatti un processo graduale della non-vita verso la vita, senza che in effetti si possa ben distinguere dove finisce l’una e comincia l’altra. Ma la morte no, perché un attimo prima tutto funzionava (abbastanza), il cuore batteva e l’organismo si nutriva e un attimo dopo non più. E qui è la drasticità.
Altro aspetto è il nulla. O anche il passaggio dall'”io” al “…”. Questa è una cosa che va oltre la paura dell’ignoto, della paura del buio, dell’horror vacui: sono tutti casi in cui non tutto è ignoto, non tutto è oscuro, non tutto è vuoto, visto che permane la certezza di essere comunque presenti; no, è la paura del nulla cognitivo Berkleyiano, del fatto che il mondo scompaia perché siamo scomparsi noi, del fatto che venga meno la percezione che abbiamo di noi stessi. Questa è costante negli anni e, nonostante la nostra “coscienza” nel rinnovsrsi muoia e rinasca continuamente ed impercettibilmente, non ne siamo mai sprovvisti tanto da chiamarla “io”.
E proprio di questo sono convinto (nel limite del ragionevole dubbio), ossia del fatto che questo nostro Io, questa nostra coscienza non sia altro che il “sentire di sentire”, la percezione di percepire o il senso dei sensi. Non solo siamo infatti in grado di vedere, ma possiamo anche sentire che gli occhi stanno vedendo, il che porta ad un livello di consapevolezza che altri animali non hanno. Tuttavia questo conduce all’identificazione di questo nostro senso dei sensi, del fascio di sensazioni che il singolo organismo prova, con qualcosa di indefinibile e pieno di arroganti pretese metafisiche che chiamiamo “Io”. Il linguaggio non aiuta, ma dico: Io non credo di esistere. Non credo che quello che da sempre chiamo “io” esista veramente come un’entità autonoma. Più che altro sarebbe “l’ente che scrive alla tastiera è un corpo che agisce in maniera causale e probabilistica secondo meccanismi che gli permettono di percepire il mondo e di percepire la proprie percezioni”.
Detto questo, viene sminuito il concetto di “Io” ed affossata la domanda “cosa rimarrà di me?”.
Gente mi ha chiesto: “Ma allora cosa sono io?”. E bene o male questa è stata la risposta che ho dato, il che ha se non altro il pregio (a mio parere) di eliminare quell’incertezza che porta alla formulazione di risposte metafisiche più o meno inaccettabili. “Chi pensi di essere in realtà non esiste, è un’illusione, la materializzazione di processi percettivi e cognitivi”. L’io, come l’anima, sono materializzazioni.
È chiaro, in quest’ottica, che nulla sopravvive al corpo, il che, certo, non porta alcun conforto.
Tuttavia, arrivando a me, sento particolarmente mio e particolarmente vero (fino a una disperata prova contraria) il concetto biblico di “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”, in chiave olistica. Devo morire e scomparire nel nulla, prima o dopo non fa una reale differenza, per ME. E se deve accadere prima i “perché” e i “se” non avranno senso. Davanti alla morte spererò, come spero, di continuare a vivere più a lungo possibile, perché così è fatto l’uomo e in tal senso agiscono gli animali in generale, ma mi aspetto di affrontare la cosa ragionevolmente. Molto. In un certo senso sono curioso di vedere come affronterò la morte, senza per questo essere impaziente. C’è tempo, quale che sia.

Concludo con qualche riflessione sulla fine.
Trovo la fine una cosa confortevole ed accogliente, orripilante e terribile. I miei incubi più ricorrenti erano esattamente questo: un continuo finire. Il contrasto, proprio degli incubi, mi dava un grande senso di angoscia e di terrore. Continuo a fare quei sogni, ma adesso li trovo solamente affascinanti e sgradevoli. La questione è che la fine è un suggerimento, un cenno, ma non fa parte del nostro mondo cognitivo. Nello spazio possiamo andare sempre oltre e quando non possiamo sappiamo di potere, oltre i limiti che riusciamo ad immaginare, se ci riusciamo; nel tempo conosciamo solo un inizio (il nostro primo ricordo, casomai) e in verità nemmeno quello, ma la fine non esiste, perché non la sperimenteremo mai. Tra le domande più frequenti dei bambini, oltre al classico “perché?” c’è l’ugualmente frequente “e poi?”. Non sappiamo bene cosa sia la fine, lo intuiamo, e la paura per ciò che termina è la stessa che abbiamo verso ciò che non conosciamo.
“E poi cosa ci sarà? C’è sempre qualcosa, dopo!”.
Però, passando al lato personale della questione, sono spaventato più dalla non-fine che dalla fine. Siamo esseri finiti e mortali e l’infinito (fattuale) ci è estraneo quasi quanto il nulla. L’unico modo di vivere una vita infinita credo sarebbe quella di viverla “finita a blocchi”, cioè vivendo cent’anni come cent’anni su cento e non come parte di un’eternità. Quello sarebbe veramente spaventoso, difficilmente sopportabile e in definitiva, dopo tantissimo tempo (che è sempre niente rispetto all’eternità), insostenibile.

Post poco connesso e senza sforzi di un uomo molto assonnato

postato il 1 Apr 2012 in Main thread
da ad.6

Ore 5:18. Una cosa è certa: ho molto sonno. Direi che è uno status di vita, ma ora ne ho un po’ di più. Certo, me ne è venuto anche oggi, in auto, mentre andavamo con una tale onorevole parlamentare di sinistra a mangiare una pizza a Torre del Greco (credo) assieme ad un giovane prete che ha, fondamentalmente, sposato una prostituta (avventura positiva e commovente che non si può ridurre a questo), ma non potevo dormire. In effetti è brutto quando hai sonno e non puoi dormire, perché inizi a sconnettere, a vedere cose che si muovono, lampi qui e lì, esseri, essenzialmente a fallire tanto in più campi. La cosa dev’essere anche associata al fatto che di solito quando non dormo per tanto, tanto tempo succede che sto sveglio stancandomi in modi disparati, che spesso implicano me che giro su me stesso, più o meno vorticosamente. Davvero. Poi dicono “Nec in sommo quies” (citazioni dal dipartimento) ed è chiaro cosa vogliono dire (tanto più che l’immagine è corredata di una testa cubista o forse futurista con pensieri e ingranaggi e cose che le volano fuori, almeno credo), ma è proprio la quiete che cerchiamo nel sonno. Tanta quiete. Ma, ecco, cosa cerchiamo nel sonno? O, anche, cosa cerchiamo col sonno? Wikipedia darà una risposta concreta a questa domanda che nulla ha a che vedere con i nostri bisogni di risposte ai “perché” e ai “per come”.
Quindi metto qui qualche simpatica lista.

Italiano:
Bruxismo
Clinofobia
Sonnambulismo
Dissonnie
Insonnia
malattia del sonno o Tripanosomiasi africana
Sonnofilia parafilia sessuale riguardante il sonno
Polisonnografia
Shift work sleep disorder
Narcolessia

Inglese:
Cortisol awakening response
Microsleep
Morvan’s syndrome
National Sleep Foundation
Polyphasic sleep
Power nap
Sleep architecture
Sleep disorder
Sleep medicine
Somnology
Sudden infant death syndrome
Sudden unexpected death syndrome

Tedesco:
La pagina web non è disponibile

Ok. Mi è saltata la linea (ho provato, ma non risponde più niente). Peccato, perché stavo per entrare nel vivo, tra giapponese e islandese! Però questa è un’occasione ottima, che non posso perdere. Infatti questo è l’insegnamento migliore di oggi: anche questo è il sonno, ovvero perdere la voglia di vivere. La connessione ad internet (ma proprio la connessione generalizzata al sistema di input output biologico) è la vita ed io ho talmente tanto sonno che mi sto lasciando andare verso la non-vita, la non connessione. E non importa più niente. Sì, casomai lo faccio perché per vivere bisogna anche dormire e lo so (e, soprattutto, lo so a livello primordiale, “rettile” – immagino che la suddivisione tra rettile, mammifero e corteccia, inculcatami forse da Esplorando il Corpo Umano™, sia ormai superata, negata, denigrata, sempre che non lo fosse già al tempo -), ma però è anche un lasciarsi scivolare. Viene un po’ in mente, insomma, il “Resta sveglio! Resta sveglio! Manca poco! Non addormentarti!” degli scalatori agli amici morenti chi sa per quali dolorose ragioni tra le nevi eterne. I morituri (perché, sì, moriranno) hanno poche forze, sono stanchi e un po’ vorrebbero non pensare e non soffrire, un altro po’ vorrebbero usare quella panacea che è il sonno, lodassimo da chiunque. Credo che lo dicesse anche Rose a Leonardo Wilhelm DiCaprio (sì, certo, a lui, non a Jack).
Il che, d’altronde, fa pensare ad una curiosa analogia. Il sonno come gemello della morte, il sonno come cura e la morte come cura… Ok, detto così non sembra un’analogia molto solida, ma fino ad un attimo fa avevo in mente una cosa migliore, che in una serie di passaggi simpatici arrivava alla domanda “e allora la morte può essere una cura alla vita?”, che poi è un concetto che ha le sue radici nella concezione della vita come breve passaggio tra la morte e la morte, qualunque cosa sia (che poi, ancora una volta, è un modo per fantasticare sul nulla). Ma è tutto lasciato qui, tutto di getto, niente viene pensato due volte, perché altrimenti verrebbe sofisticata l’azione del sonno.
Compresa nella suddetta azione è anche l’improvvisa decisione che niente ha più importanza del mio sonno adesso, per cui, visto che il mondo continua ad essere disconnesso da me, credo che risponderò a tono disconnettendomi anch’io per un po’. Domani (ovvero almeno tra tre o quattro ore) copierò e incollerò il tutto as it is.
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Diario di una caduta

postato il 5 Mar 2012 in Main thread
da ad.6

TEMPO PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 0 Minuto 0 Secondo 0 Millesimo 000

TEMPO REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 0 Minuto 0 Secondo 0 Millesimo 000

 

No!

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 0 Minuto 0 Secondo 1 Millesimo 000

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 0 Minuto 0 Secondo 0 Millesimo 749

 

Madre, oggi sono caduto. Ecco su di me l’ira senza tempo di Themis, mia sorella, che è lì con le gambe aperte sulle nude rocce, fiera di essere nuovamente violentata dall’oltracotante Zeus. Gli arrise Nike fin da principio ed ora è a lui, non ad altri, che diede in pasto la tutt’altro che vergine Giustizia.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 0 Minuto 0 Secondo 30 Millesimo 000

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 0 Minuto 0 Secondo 22 Millesimo 499

 

Qui ed ora li maledico dall’alto delle mie divine origini (cosa sono quelle del caprino Signore, al confronto?), qui ed ora dal basso del pozzo senza fondo nel quale vengo schiantato che non mi è né madre né padre, ma solamente oscuro osservatore di quanto Ananke dispone. Fu dunque disposto che mio fratello Kronos, l’incrollabile dio che il Cielo sottomise alla Terra, una volta al suolo fosse toccato dalle affusolate mani di Bia, di Kratos e di Zelos l’effeminato e che fosse condotto dall’indegno figlio al suo destino. Ora, qui, abbattuto che fui dalle soverchie forze dell’olimpio tradimento, fui tratto lontano da Gaia, in alto, per la potente mano di Nike stessa con salda stretta sui miei capelli, sporchi di sangue e di terra. Mi ha guardato con gli occhi cerulei pieni di disprezzo, lei che un tempo mi sorrideva, e con scherno mi ha deriso. Quel ghigno di sdegno che aveva quando mi lasciò cadere nel baratro, che le era dipinto sul volto ancora e per sempre macchiato del limpido icore degli dei, il mio odio non lo dimenticherà mai.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 0 Minuto 2 Secondo 53 Millesimo 000

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 0 Minuto 2 Secondo 9 Millesimo 728

 

Vinto, fui trascinato alle radici del mondo, verso l’orrida voragine che porta a Tartaros, fin dall’inizio delle cose. Mi si è presentato come un’immane orizzonte oscuro, il profilo della lama di una falce (tale mi parve) troppo grande per essere distinto da una linea, un urlo del vuoto verso il vuoto udito da nessuno. Lì, non davanti alla miserabile furia di Zeus, non di fronte all’evirazione di mio padre, non di fronte allo sconforto di mia madre, ho provato paura. Ed ora è così poco il tempo trascorso dalla mia caduta e già quel cielo luminoso sopra di me è diventato un cerchio, poi, brevemente, un punto ed ora non più. Questa è Nyx, che compenetra Tartaros come lui compenetra lei, perché alcuno resti saldo dinnanzi ad un tale dispiegamento di nulla. E perché si ricordi che non da sempre e non per sempre è il Cosmo.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 3 Minuto 27 Secondo 15 Millesimo 212

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 2 Minuto 33 Secondo 35 Millesimo 875

Sono qui che fluttuo nel vuoto, senza aria, senza riferimenti nello spazio attorno. Cosa ne è stato della mia nobiltà di stirpe? Cosa più mi accomuna ai Pilastri del Mondo? Io, potente oltre misura, capace di odio quanto di intelletto senza limiti e di violenza, io che reggevo assieme ai miei fratelli le Assi del Cielo. I miei fratelli… Hyperion!

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 18 Minuto 11 Secondo 41 Millesimo 946

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 0 Ora 12 Minuto 50 Secondo 7 Millesimo 224

 

Illimitata è la conoscenza degli dei antichi, uguale e pari solamente alla loro sete di vendetta, senza argini il loro furore ed incrollabile la resistenza. Tuttavia in questa oscurità ogni ricerca è vana. Sono immerso nella stasi totale, ove solo la percezione del tempo rimane intatta, perché ancora maggiormente se ne possa soffrire. Non vi è un sopra né un sotto, né più un io o un mondo.

Eppure precipito.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 1 Ora 13 Minuto 53 Secondo 10 Millesimo 009

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 1 Ora 1 Minuto 6 Secondo 40 Millesimo 421

 

Conoscerò dunque Tartaros l’innominabile, in cui Uranos, disgustato dall’abominio nato da Gaia, relegò i figli Centimani dalle braccia possenti perché il mondo più non li vedesse. Mostruosi esseri che levati furono dall’Abisso e dalle Tenebre per combattere la guerra dei figli contro i padri, dei fratelli contro i fratelli, degli dei contro gli dei. E Kronos stesso quivi relegò i Ciclopi e certo non diede la libertà a Briareos il vigoroso, per cui adesso ben ricorderà i trecento massi che scagliava assieme a Kottos e a Gyges che sempre ha fame di battaglia. Costoro poterono ribaltare le sorti della guerra che fece tremare il cielo stesso e Tartaros (quanto è tremendo il solo nominarlo!), come Nyx che tre e tre volte l’avvolge, non ne fu minimamente sfiorato.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 4 Ora 9 Minuto 58 Secondo 52 Millesimo 308

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 2 Ora 10 Minuto 6 Secondo 14 Millesimo 902

 

È come volare rinchiusi in un’armatura di freddo metallo che isola tutti i sensi, volare precipitando al fondo, alle radici del Cosmo. Il ripugnante Tartaros è lì e non attende, perché tutto vi torna, in ultimo; è lì, lontano dalla terra quanto la volta celeste lo è da questa ed è noto e vero che un’incudine di bronzo che cada giù dalla terra solo dopo nove giorni e nove notti arrivi a Tartaros. Quivi colui che precipitò verrà squassato dall’immane procella che costantemente percuote le sue tetre ed inospitali rive ed entrato che sia nell’inospitale landa, più non potrebbe uscire dal luogo dove Tenebra alberga e che direttamente a Kaos attinge le sue incommensurabili forze. Questa, ora, è l’attesa del peggio che arriverà; quello è il puro cambiar forma senza costanza né ragione, il Disordine primigenio, il luogo di ciò che non è, orrore, per questo, di tutto ciò che è. Questo immane spettacolo mi si presenterà ed io, assieme a chi dei miei fratelli vi rimane, come figlio del Padre Uranos e della Madre Gaia, resisterò.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 8 Ora 6 Minuto 32 Secondo 2 Millesimo 093

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 3 Ora 16 Minuto 8 Secondo 25 Millesimo 674

 

Giovane Eos dalle braccia color dell’oro, così saluti l’ultimo giorno dei tuoi fratelli nel nostro mondo? Non vedo la tua chioma fluente sparsa su tutto il limitare ultimo di Okeanos né le tue dita rosate spalancare le porte del Cielo perché Helios possa entrare e regnarvi, nuovamente.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 8 Ora 23 Minuto 58 Secondo 12 Millesimo 628

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 3 Ora 20 Minuto 33 Secondo 50 Millesimo 846

 

Prossimo allo schianto, l’animo del dio vacilla. A breve tutto muterà ed anzi l’impatto terribile che mi abbatterà nel fisico già mi falcia l’animo, che per la prima volta è preda di folli pensieri (forse addirittura di pensieri) e non già del puro ardore che da Ananke è mosso ad essere e a fare. Ora è in me il dubbio e il solo immaginare ciò che verrà mi fa fantasticare sull’assurda idea che il mio Daimon, Io, possa spegnersi per non accendersi più, in alcun luogo. E ciò mi fa conoscere la paura e ancora meglio il dubbio. Tuttavia è quanto deve accadere ed accadrà.

Eppure un senso di inquietudine mi assale, senza fondamento. È breve, perché subito viene sostituito dall’odio, dall’ira violenta che provo, che definisce tutto il mio essere, che coverò in me fino al giorno in cui tornerò al mondo per gridar vendetta contro gli usurpatori, contro l’Olimpo, che crollerà così come sorse, non per il volere di Zeus, infido uccisore della propria nutrice.

Ed ecco, forte per quando mi sarà dato l’appoggio di Nyx e della spaventosa figlia, l’inevitabile Nemesis, cosa avrò negli occhi quando mi schianterò: il riso beffardo di Nike.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 0 Giorno 9 Ora 0 Minuto 0 Secondo 1 Millesimo 000

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 3 Ora 20 Minuto 34 Secondo 17 Millesimo 387

 

La conoscenza che un dio ha del mondo è infallibile, io sono figlio del Cielo e della Terra e in nove giorni l’Abisso viene raggiunto. La spaventosa conclusione è una: questa non è la via per Tartaros. È uno sterminato corridoio che non ha fiaccole alle pareti perché non ha pareti, ma solo un’oscurità più opprimente di mille muri e più densa della fanghiglia trascinata tra le paludi di Eridanos. Per la prima volta mi trovo veramente all’oscuro.

Non posso far altro che attendere saldamente che arrivi dove è necessario. Questo l’inevitabile, questo il fluire degli eventi.

Madre, non sono mai stato tanto lontano da te.

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PERCEPITO

Anno 0 Mese 3 Giorno 23 Ora 4 Minuto 30 Secondo 17 Millesimo 839

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 8 Ora 3 Minuto 17 Secondo 17 Millesimo 512

 

La mia è un’ipotesi, una tremenda ipotesi. Quando fui gettato in ciò che pareva essere l’orrida voragine di Tartaros Nike sorrise perché in atto metteva la sua più grande rappresentazione, conscia che l’Abisso di Tenebra non l’avrebbe appieno soddisfatta. Così, mossa dalla smania di grandezza e in primo luogo da Zeus vorace di potere, ordì per i titani un fato che solo ad essere pensato scosse nel profondo le radici di Gaia, per cui ne soffrì indicibilmente. Essi sarebbero sprofondati in eterno nell’oscuro, sarebbero stati condannati alla pena definitiva, ovvero al non cambiamento, ad essere infine fuori dall’ordito del Destino. Quale l’essere mortale il cui filo venga sì preparato da Clotho, ma che, una volta arrivato nelle mani di Lachesis, le sfugga dalle dita scomparendo e che così non arrivi più alle ineluttabili cesoie di Atropos; tali ora noi siamo (forte è il mio timore in questo senso), senza più un destino, un fine, una speranza, devoti al non mutare oltre, che vuol dire, per gli immortali, ciò che mai ad alcuno accadde.

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PERCEPITO

Anno 1 Mese 11 Giorno 20 Ora 19 Minuto 3 Secondo 55 Millesimo 230

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 8 Ora 20 Minuto 26 Secondo 18 Millesimo 796

 

Ora capisco. Tante e tante volte ho ripercorso, sprofondati nell’insanabile odio, gli eventi che mi portarono al declino e solo ora ho rivisto nel ricordo l’orlo di ciò che mi parve l’ingresso all’Abisso dei puniti. L’ho visto, ancora una volta, e quale fuggevole ombra abitante i tetidi fiumi mi è apparsa la figura di un lunghissimo falcetto.  Ora dunque capisco la crudeltà di Zeus Tiranno, di Zeus Traditore. Sul capo di Kronos, suo padre, precipitò una duplice pena: la primordiale di sprofondare in Tartaros e il contrappasso di ingurgitare tutti i titani che gli lottarono al fianco. Egli, infatti, deve, perché così proclamò Ananke, cadere fino al fondo di Tartaros, ma a noi fu prescritto di sprofondare infinitamente dentro di lui, così che lui, gonfio e dolente per la colpa commessa e per la quale viene punito, e noi, persi in lui come si ritenne (parzialità indegna di Themis) che fossero i nostri giudizi nel suo al tempo della Guerra, affoghiamo in Kronos, in Tartaros e in Chronos per sempre.

Questa è la consapevolezza dell’eterno, questa è la stasi e questa è la fine di tutte le speranze e la ripugnante coscienza di ciò. Prima era un futuro, ora non più. E vi fu in passato chi poté essere tratto da Tartaros e che ricolmo dell’astio giustamente covato in sé per ere indicibili esplodesse contro il Cosmo e gli dei; ma come può finanche un dio essere salvato dal Baratro se al Baratro non è mai giunto e mai giungerà?

Questa consapevolezza e l’ira di vendetta e del Daimon che è in me ed è me sono la base della mia divina resistenza.

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PERCEPITO

Anno 1513 Mese 1 Giorno 17 Ora 1 Minuto 29 Secondo 5 Millesimo 745

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 8 Ora 23 Minuto 59 Secondo 43 Millesimo 104

 

Oggi la mia divina resistenza ha vacillato. Perché?

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PERCEPITO

Anno 21968 Mese 7 Giorno 21 Ora 14 Minuto 43 Secondo 0 Millesimo 192

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 8 Ora 23 Minuto 59 Secondo 58 Millesimo 836

 

I ricordi si fanno ricordi di ricordi.

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PERCEPITO

Anno 20953104 Mese 2 Giorno 4 Ora 0 Minuto 1 Secondo 0 Millesimo 117

REALE

Anno 0 Mese 0 Giorno 8 Ora 23 Minuto 59 Secondo 59 Millesimo 998

 

Ricordo che per un tempo sterminato ricordai di essere disperato. So di essere intrappolato e tutto si fa lentamente indistinto e sbiadito. Tutto. Il dubbio si insinua e suggerisce che tutto quanto era il passato sia stato un sogno ed anzi così è. Dopo un tempo così sconfinato tutto diventa grigio e grigi diventano anche i personaggi dei miei sogni: Kronos diventa uguale ad Hades, il burattinaio al burattino, il dio all’animale. Ed io? Chi ero nel mio sogno? Il vincitore o il vinto? Il dio o la fiera? Come quando ci si sveglia dal torpore del sonno, ormai non ricordo più e resto, uguale a me stesso, per sempre, nell’oscuro lido che mi generò.

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Il corpo di Kronos, alla fine della nona sera, dopo il nono giorno, si schiantò contro il duro suolo di Tartaros col fragore del tuono che ve lo aveva gettato.

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La forza di tornare indietro

postato il 3 Feb 2012 in Main thread
da ad.6

La forza. Anzi, la forza! Vi siete mai chiesti quanta forza ci voglia per scrivere un post? O, ancora, vi siete mai chiesti quanta forza ci voglia per non scrivere un post pur volendolo fare a (quasi) ogni costo? Ebbene, questo è ciò che principalmente mi muove o mi lascia fermo ogni mese, nel conflitto delle priorità della vita. Ma mi (ci) muove anche l’egoismo e tralascio i vari commenti più o meno scontati sul tema. Ho in effetti pensato a me e più volte mi sono avvicinato allo scrivere, al prendere appunti, mi sono avvicinato all’avvicinarmi. Il tempo forse l’avrei trovato, ma non il coraggio, non la forza di abbandonare tutto (anche il relax) per scrivere un post. La cosa può anche essere vista come responsabilità, va! Questo mi dà un conforto discreto, quando non del tutto soddisfacente.
Ok, la cosa che non mi piace dei libri è che non sono a prova di spoiler, mi spiego: non parlo del fatto che si possano leggere le pagine finali o sciocchezze del genere, ma parlo dell’inevitabile coscienza che la fine sta arrivando, cosa per cui sai che non ci sarà spazio per altro, che non accadrà più niente di tanto notevole. Il che è un fastidioso per quanto leggero spoiler. Tutto ciò è nato per la semplice considerazione che questo mio post sulla forza, che è anche un post introduttivo per l’argomento del mese, è breve e sta in una sola schermata. Ciò, assieme alla visione che da qui avete della fine del post, vi induce giustamente a pensare che ben poche cose sensate verranno dette. E, soprattutto, ben poche cose e basta. (A proposito di forza, questo sproloquio su spoiler&Co sembra tanto una forzatura, quanto la stessa “forzatura” lo è per il termine “forza”! Su qualcosa del genere sarebbe potuto uscire un buon post sulla forza).
Eh, “sarebbe potuto”! Ma allora, miei ottimi, visto il di cui sopra egoismo, vista la quantità di argomenti passati, vista la quantità di argomenti mancati (!), visto che mi era anche passato per la mente di usare la forza per fare una “scelta coraggiosa” parlando di tutt’altro, sarebbe bello se l’argomento di questo mese fosse il recupero di argomenti passati. Semplicemente lo scrivere un post su qualche argomento su cui avevate qualcosa da dire e non l’avete fatto. Chiaramente il mio argomento capita di febbraio, che è il mese della morte universitaria finale, ma il mio potere solo una volta ogni morte di papa ce l’ho. Quindi che sia!

The Postal Service – Suddenly Everything Has Changed

postato il 27 Dic 2011 in Senza categoria
da ad.6

Putting all the vegetables away
that you bought at the grocery store today
and it goes fast, you think of the past

Suddenly everything has changed

Driving home the sky accelerates
and the coulds are forming geometric shapes
and it goes fast, you think of the past

Suddenly everything has changed

Putting all the clothes you washed away
as you’re folding up the shirts you hesitate
then it goes fast, you think of the past

Suddenly everything has changed

Cronistoria di un risveglio

postato il 15 Nov 2011 in Senza categoria
da ad.6

Stamattina, prima di tutto, dormivo ed ero lì, nella pace dei sensi. Ad un certo punto non meglio definito ecco che suona la prima sveglia, ma, sapete com’è, sono giovane, pieno di speranze e di buoni propositi: non l’ho neppure sentita ed ho continuato il mio sonno beato. Quattro minuti più in là la trama si infittisce perché sono lì, la sera prima, a programmare la mia stessa distruzione! Infatti ecco che il cellulare mi propone la seconda sveglia, un fastidiosissimo squillo di telefono vecchio stile accompagnato dal rullo della vibrazione sul legno. Lo sento, stavolta, mi sveglio, le coperte sono troppo calde per essere lasciate, so che devo, ma, no, sono un giovane virgulto di Zeus e non voglio! Allora aspetto tra il conscio e l’inconscio che il cellulare smetta (ricordo vagamente che nel mondo reale le cose finiscono sempre, anche se sembra che questa maledetta sveglia dovrà suonare in eterno) e così è. Scivolo così in una dolce e minimamente turbata inconsapevolezza… quando ecco, sedici minuti dopo, che è come dire un istante di sonno dopo, il mio piano di me contro me stesso giunge a conclusione. Avevo sperato, avevo creduto nel fatto che ogni cosa sia passeggera ed ora, lì, brusca come (e con) una breve rullata di tamburi nel silenzio, inizia l’odiata melodia che mi riporta alla realtà.
This is the end of all hope (“O_O”)

No will to wake for this morn (“Eh”)
To see another black rose born
Deathbed is slowly covered with snow (“Esagerato, non fa tanto freddo”)

Ed è proprio in questa maniera che vengo risvegliato in triplice modo. Il mio udito è scosso dal frastuono e non mi è permesso di riaddormentarmi, da una parte, e questo è il risveglio fisico. Il risveglio simbolico, perché il testo della canzone mi fa tornare alla mente che ogni speranza di rimanere inerti a letto è ormai vana ed è così che comincia la consapevolezza di una mente sveglia. E per ultimo il risveglio allegorico, che mi suggerisce con forza inoppugnabile che è finzione della mente e della notte una speranza senza fine e senza limiti, benché motore della felicità. E ciò sancisce, solo dopo il risveglio fisico, la mia programmata e dolorosa uscita dal mondo dei sogni.

Un bel post

postato il 1 Ott 2011 in Main thread
da ad.6

Un bel post sulla carta

 

Sì, è una sciocchezza, ma qualcuno doveva farlo! E visto che nessun ardito si è fatto avanti, eccomi qui.

Non c’è niente da dire, se non che è proprio un bel post ed è pure sulla carta. Non voglio star qui a far notare come il post non sia effettivamente sulla carta, perché altrimenti non potreste vederlo sui vostri pc, né insisterò sul fatto che proprio questa pubblicazione e questo argomento rappresentano in qualche modo una piccola finestra di supremazia del mondo odierno sul cartaceo. Che storia effimera, che storia transeunte (!). La carta (e si parla di carta scritta e da scrivere) è una storia di utilità e di affetto, la Storia, una storia auto-celebrativa di carta che scrive di storia e di carta, una storia che ironicamente trova un miglior cantore di se stessa, al contempo suo più grande distruttore.

Canta di me che canto, tu che sai farlo, e cantando così sopprimi il mio cantare, che è basso, e con esso la ragione stessa del tuo canto. Ingrato.

 

 

 

 

 

 

L’ultimo racconto

postato il 6 Set 2011 in Main thread
da ad.6

L’immenso sole era rosso e nero il cielo senza stelle. I piedi dell’uomo calcavano con incedere lento e pesante il suolo polveroso e lo stesso facevano i sandali della donna e le scarpe del bambino e le gocce di una pioggia in un mondo senza nubi. E senza concedere alla terra il riposo e il conforto dovuti a una madre malata, il capo reclino ma vigile sulle lenzuola del tempo passato, l’uomo e i mille e mille come lui, con i loro leggeri passi sconfitti ma forti della propria rassegnazione, percuotevano la sabbia che, sollevata dal costone della collina, riempiva la vallata sottostante e il fiume, i cuori degli uomini e con essi il mondo intero, mutando tutto in sabbia.

Lì, circondata dai bruni colli da lontano giunti per adorarla, si ergeva immane e sconfinata la Roccaforte Celeste, ultima e più grande espressione dell’umano attaccamento alla terra, nelle ere che furono, alla quale lo straordinario castello, assieme alle aride colline, cingeva il capo, comico diadema per la decrepita reginella del cosmo.

<<Avanti, figliolo. Pochi passi, poche ore e saremo alla Celeste, tutti assieme come all’inizio dei tempi>> sospirò il padre rivolto al figlio mai avuto mentre arrancava assieme a tutti gli altri in incommensurabile carovana. “E allora l’Ultimo Re chiamò a raccolta le genti da ogni luogo e la terra rispose a lui unita e compatta preparando il carro verso i sentieri del sole”* si ripeteva la litania, quasi un inno sacro, ben più che un rituale magico, figlia di un mondo in cui finalmente la scienza era tornata a chiamarsi magia e in cui la religione non era più che un’ombra di ciò che fu, ormai rimasta senza speranza, che è l’unico Dio dell’uomo.

Così, sotto la magica calotta di piombo fuso che oscurava il cielo e preservava la terra, da ogni parte del mondo sulle cineree cime attorno alla Roccaforte Celeste confluivano i fiumi ultimi della vita che, curvi e vorticosi in perfetta simmetria, formavano con i loro plotoni di uomini un nuovo sole pulsante, a sfregio del suo ormai immobile fratello, e calmo e vivo le spire di questo avvolgendosi in maniera fluida ed incolore attorno alle antichissime pietre della Rocca “ch’è fine e fulcro per cui ruotano il tempo e la storia”**.

La Roccaforte Celeste, cuore e culla dell’uomo e degli dei, era loro rifugio nei periodi di maggior travaglio: narrano i testi di come vi si ripararono i secondi allorché furono primariamente sconvolti dalla nascita della vita (Quale vita? Nascere? Morire?) e del giorno in cui lo faranno i primi, parimenti sconvolti di fronte alla chiave dell’immortalità, che è il nulla. Ecco quindi il dono e il pegno, la promessa e l’imposizione dell’ultima cattedrale del cosmo: sarai dato alla luce, luce sei e nella luce svanirai come le ombre; l’essere dei non è un’aggiunta ma una privazione e dovrai dare in pegno una sola, effimera cosa: l’esistenza.
Così eccolo il baluardo della vita che non è più (né forse è mai stata) speranza accogliere in sé le ultime lacrime dell’uomo e rifulgere di queste. Ogni uomo è lì lacrima dei propri occhi perché gli occhi ormai non potendo piangere sono sostenuti dai monti e dalle nubi che, non potendo confortarli, soffrono e piangono per loro.

La polvere in prossimità del centro del sole viene calpestata da passi di donna. La donna cammina portando in braccio la figlioletta, la quale non emette suono né può (né vorrebbe) spostare la polvere che fa da silenziosa cappa al mondo: non esiste.

<<Rimira l’alta dimora dell’Ultimo Re, figlia mia>> fu la frase che disse, gli occhi al suolo di ruggine, la donna rivolta alla figlia che non aveva. E la donna stessa, in altri tempi, sarebbe stata chiamata duchessa se non fosse stata uguale, nell’estremo frangente, a tutte le altre donne. E sarebbe stata detta donna se in quegli ultimi attimi, alla fine del mondo, tutti gli uomini non fossero uguali, in cammino nella polvere. Fu così che il magro profilo, senza ricevere risposta alla domanda che non aveva fatto, entrò.

Ma, voi, guardate l’edificio celeste le cui fondamenta furono poste dalle immortali braccia degli dei antichi! Voi che potete, prostratevi dinnanzi alla gloria della magia che ancora tiene assieme la terra con la terra e l’uomo con l’uomo! Le mura svettano dal suolo tanto massicce e tanto estese da parere non meno di un altro suolo e di un’altra tutt’altro che indifferente tessera del cosmo; tuttavia sono così leggere e così fini da sfidare l’aria ed il vento ad attraversarle senza che nessuno dei contendenti ne risenta minimamente. Costole e braccia e ossa del pianeta, erano inizio e fine e pura luce. Ma quale meraviglia nell’occhio indagatore nel vedere che, quale ultima effige del mondo in rovina, anche la Celeste rovinava! Quale sgomento nel notare le crepe nei muri, gli intonaci scrostati, gli arazzi in polvere, i gradini scheggiati, le torri senza camminamenti né guardie, le guglie spezzate! Quale indicibile dolore e malinconia nel trovare l’atrio freddo e muto dove una volta erano calore e gradevole musica, la luce debole e soffusa, gli scaloni principali divenuti ormai un’unica salita verso il primo salone attraverso la sola anta rimasta ad una porta ch’era d’oro e diamante! Quale parola potrà dire come le sale siano diventati corridoi, una volta crollate le divisioni tra queste, come le porte assi di legno e i soffitti pavimenti? Questo rende la Città del Cielo impareggiabile tra le creature concepite! “Specchio e immagine immortale dell’universo”, riassume in sé le fratture e i tormenti e gli spasmi ultimi del mondo ed è in questo che compie veramente se stessa e si completa, perché le fessure e le crepe e le mancanze sono tante e tanto aerei e fini i muri e le costruzioni che più non è dato, nella sabbia che vortica come un tempo vorticavano i pianeti attorno al sole, distinguere la parete dalla finestra o il vetro dalla luce, la luce dal vetro. Impossibile ormai per lo sguardo disattento, umano, discernere il dentro dal fuori, questa la prima vittoria della Roccaforte Celeste, la quale ingloba in sé il nulla e il tutto, insieme come ai primordi. La prima, lo sguardo dell’uomo. La verità, ancora visibile, in quegli istanti, solo agli occhi degli dei, era il permanere, intatto, di un unico, invisibile muro grazie al quale, ai loro stanchi occhi, pareva ancora esistesse una Rocca distinta dal Mondo. All’interno, dunque, ecco il compassionevole sorriso quando, dopo gli atrii e gli scaloni e i corridoi e i soffitti, si giunge alla sala reale dell’Ultimo Re, dell’uomo e del cosmo. Era lì che vestiva una corona spezzata e, quale estrema gemma, con la Celeste, vestiva da corona al mondo. Quasi più che figura, egli sedeva sul trono che fu dei suoi padri, di grandezza spropositata lo faceva sembrare un bambino, ramoscello in mano e sterpaglia sul capo da poco immerso tra i fiori del campo erboso, giocando a fare il re. Quale spettacolo, allora, sul suo trono senza schienale e senza braccioli, senza tessuti e velluti, vedere una tale schiera di piccole formiche tornare in una casa ormai per loro indistinguibile dal mondo, tornare da lui, tornare sotto lo sguardo degli dei ormai da troppo tempo silenti nel loro rifugiarsi dalla vita! “A mirar siffatta, composta turba non sarà tuttavia spettacolo alcuno, ché spenti saranno gli occhi dell’uomo e gli occhi di dio, gli uni per sempre, gli altri da sempre e per sempre***”.

Entrati che furono tutti, nei mesi, nella sala del trono, l’Ultimo Re sollevò il pesante braccio ricoperto di stracci così smuovendo la cenere accumulata dallo scorrere inarrestabile dei secondi, aperse la bocca e da questa uscirono parole di polvere che lentamente si adagiò al suolo. Uno solo poté udire quello che l’uomo non poteva aver detto coi suoni. Fece il suo ingresso.

Chiamato dal Re, entrò nella sala vestito di compatta polvere che appariva come luce una persona come quelle di un tempo, come gli dei ancora prima, con le iridi del colore del cielo profondo. E lo sguardo calmo e comprensivo, esile l’alta figura ma solida come i monti. Sorrise e le tenebre, benché inesorabilmente attanagliate attorno al morente cuore del mondo, abbandonarono per un istante gli occhi degli uomini che finalmente lo videro.

<<Eccomi a voi>> e le parole, normalissime ma belle come le cose che svaniscono nel tempo e nello spazio senza lasciare traccia di sé, riscossero i loro cuori dagli abissi, un’ultima volta.

<<Siamo qui per narrarvi una breve storia ciclica, la vostra e la nostra storia, di come nacque il mondo che conosciamo e di come non finirà, delle leggi che lo regolano e dell’eccezione, che è legge e speranza dei vivi e degli immortali. Ascoltatemi e guardate ciò che dico, di modo che il mio verbo sia per voi la luce, perché ormai è il tempo delle tenebre.>>

Con tali parole cominciò lui e loro iniziavano ad ascoltarlo con la noncuranza del vento. Li guardò, allora, illuminandoli della propria inspiegata forza e narrò del principio dell’universo, della fiamma, del tremendo rumore, dei colori, della vita, dell’uomo, della magia, della scienza, della magia, nuovamente. Ad ogni parola, ad ogni sillaba, risuonava di più il cristallo dei cuori degli astanti, dell’umanità, e di più questi abbandonavano il tramonto per poter immaginare l’alba.

<<Ed ecco che l’uomo, casuale inabitante del giardino di dio, colse l’ultimo barlume di ragione in una mente ormai allo stremo e comprese che il mondo andava morendo: spente sarebbero diventate le stelle e freddo tutto ciò che è, l’erba polvere e le piante e i viventi e tutto sempre e solo indistinguibili e radissimi granelli di polvere. Aveva inoltre compreso che, sebbene il mondo fosse stato in costante declino fin dalla nascita, tuttavia il sapere umano era non dissimile dal sole nel suo corso, il quale prima sorge e già esulta per la propria vittoria sul mondo quand’ecco che ormai declina e si spegne, e allo stesso tempo compresero che inevitabile sarebbe stato il tramonto della scienza. Allora, sfruttando di questa l’attimo di massimo fulgore, si adoperarono affinché, quand’anche il sole e le stelle fossero morte, il pianeta potesse continuare il suo viaggio disperato nel vuoto, sfruttando le ultime, esigue energie dell’universo. Poi che il sole ebbe posato finalmente il capo tra le eque braccia del nulla e con esso, già da ere, la creatività degli uomini e l’anima della scienza, si mise in atto il grandioso programma degli antenati, senza che ormai nessuno potesse comprenderlo, e fu costruita, o forse rivelata, la Roccaforte del Cielo e innalzata dall’antico sapere la magica e plumbea coperta che è culla e capezzale alla terra e all’uomo. Fu subito il momento di inviare, secondo quanto ultimamente disposto, una persona come quelle di un tempo, come gli dei ancora prima, perché, altro e diverso figlio degli astri, andasse tra le stelle, ormai piccoli sassi scuri dispersi nell’oscuro vuoto, alla ricerca di una verità nella vita, alla ricerca del sogno e del mito. E costui, mentre guardava nel nero del proprio cuore più che nel nero del cosmo alla fine dei suoi giorni, proiettandosi nel mare di ciò che viene immaginato, verso altri Zeus e altri Ade, capitò lì, navigatore allo stremo, oltre i limiti della propria mortalità, dove dio, l’intuizione o la fantasia più irreale ti rivelano la realtà. Brandendo allora la verità quale spada, trafisse le tenebre dello spazio e del suo futuro e tornò ai verdi campi e alle distese azzurre che lo avevano generato.

<<Ed ora sono qui, perché l’eccezione è alle porte, lo strappo alle regole che è regola essa stessa ed è la porta per il vostro futuro, che è il presente.

<<Arrivò un bardo dalle stelle, tornando tra mari e valli e trovando valli di grigio sale e mari di oblio, si guardò attorno e se ne dispiacque. Si diresse dall’uomo e gli parlò con parole dolci, parlandogli del suo passato e del suo presente e donandogli la speranza, che è la realtà.

<<E lì, al cielo! Su! guardate! Il bardo ha appena finito di parlare di sé che la sfera di piombo comincia a ruotare e a brillare di azzurro splendore e piove acqua. Acqua. Siete allibiti, lo vedo, voi ridete! Quanto tempo, quanto tempo che gli uomini non sono più uomini! Perché voi lo vedete, fuori e dentro, che il mondo piove, che il corso si inverte. Torna il vapore fuggito nei millenni via dalla terra e vi si ricondensa in gocce, la sabbia torna pietra e la pietra torna roccia e monte, la polvere torna, placida ma inesorabilmente, erba e alberi e vita! L’uomo torna uomo perché è il cosmo che torna sui suoi passi, senza che lo stesso faccia il tempo. Quanto avevano sbagliato i nostri avi quando, dalle vette dei monti osservando il cielo e l’animo nostro, avevano predetto il destino e la fine dell’universo, nel vuoto e nell’oscurità! Vedete ciò che dico e piangete di gioia, come è scritto ed è giusto e le vostre prime lacrime, mai si vide cosa simile, spegneranno le fiamme di questo sole fasullo e riaccenderanno, nell’imponente ineluttabilità degli eventi, il vero sole attorno al quale già la terra si appresta a danzare in festa, per sempre e poi per sempre e per sempre. E danzate, danziamo assieme alla terra, nell’erba che sta nascendo, sotto la pioggia che laverà finalmente ogni sconforto dai nostri volti, ingiustamente cupi e vuoti per troppo tempo sotto l’ingannevole scure della morte!>>

Fu allora la danza dell’umanità, la più bella che mai si sia vista e che mai si vedrà. Persino gli dei, che mai si curarono delle faccende umane, scesero tra di loro e, assieme nel comune destino e nel comune tripudio, ballarono danze celesti, mano per mano con gli altri. Uno è da sempre l’invincibile nemico delle divinità, ovvero l’Ineluttabile, ed ora essi vedevano che era stato sconfitto.
Tutti guardavano e tutti vedevano, tra i coloratissimi voli degli immortali e le armoniose danze dei mortali, il mondo che rinasceva e con esso le speranze, che sono gli dei, e gli dei e il sapere, che è vita, e la vita.

Sola, al centro dei volteggi, dei cerchi in musica, del cosmo, della Roccaforte Celeste, era la Morte che non danzava, ma sorrideva solamente. E vedeva. Il suo sorriso aveva un che di materno e un qualcosa di malinconico nel rimirare tutta quella festa universale attorno a sé.

<<Certo che mi hai piacevolmente stupita, sai? Non ti facevo così romantico>> disse lei al Nulla lì fermo a contemplare il tutto quasi compiaciuto, quasi felice ed in qualche modo pensieroso, se mai fosse stato possibile al Nulla, appoggiato su un grumo di calce invisibile ai mortali, una persona come quelle di un tempo, come gli dei ancora prima.

E allora il mondo fece l’ultimo passo che gli era stato concesso: quell’intangibile e misera costruzione, nel silenzio totale, crollò e divenne invisibile anche agli occhi degli dei e la Roccaforte fu il mondo e il mondo fu la Roccaforte per un unico, lunghissimo, addirittura piacevole istante. E, quasi in risposta, egli si volto verso di lei e le sorrise per un’ultima volta, alzò le spalle e disse:

<<Che ci vuoi fare? Siamo fatti così.>>

E fu il nulla.

 

 

*Libro della Scienza, Cap. XXVII
**Libro della Fede, Cap IX
***Libro della Scienza, Cap. XXIV detto “Apologetico”

Cosmogonia

postato il 2 Ago 2011 in Main thread
da ad.6

E prima che sul mondo fosse calata la prima notte tutto era già finito.

 

Erano soli, in due, da sempre, per sempre, e si sarebbero amati se assieme a loro fosse stato anche Amore, il quale però aveva ancora da nascere. Certo sarebbe accaduto, perché essi erano uguali, da sempre e per sempre, nel corpo e nello spirito, nel cuore e nella mente, nel tempo e nello spazio, benché tutto ciò non abbia alcun senso, visto che nessuna di queste cose essi avevano ancora creato.

Ecco tuttavia entrare in scena, non richiesto, il primo attore, increato perché esplicito solo in ciò che non è: l’infinito. Immenso, il suo potere permise che i due fossero infinitamente uguali e per nulla diversi, non immemore, quegli, che rapportata a lui ogni cosa è nulla. In tale primo, ilare momento di gloria (ne avrà altri, ma pallide ombre di ciò che fu), poté trovare luogo il secondo, indesiderato ed essenziale attore di questa breve commedia, colui che va sotto il nome di Caso o l’Indiscernibile. Questi fece sì che uno di quei due, né a noi né tanto meno a loro è dato sapere quale, nacque dal primo, inconsapevole respiro dell’altro e che i due fossero consapevoli di tale, indiscernibile differenza.

Differenza tangibile vi fu invece in ciò che seguì, nel non-tempo dell’indistinto susseguirsi delle cause: accadde infatti che l’uno, sentendo il peso della primogenitura (o forse per sopperire allo smacco subito nell’esser secondogenito) volle distinguersi dall’altro, il quale, a sua volta, per gli stessi motivi, sentì di essere profondamente differente dall’uno.

Rispetterò allora il loro volere ed uno sarà uomo e l’altra donna, benché ciò non abbia alcun senso per delle divinità.

Le cause primordiali erano tutte pronte e già effetti quando lui creò la materia e il mondo, che vengono prima del contenitore vuoto che crediamo essere lo spazio e lo plasmano d’intorno a loro stessi.

– Sia che le cause possano avere tangibili effetti, in luoghi e cose e che tutto sia mentre e perché io sono.

Lei, allora, tranquilla e indispettita, diede al mondo il movimento e fu un immane ed eterno conflagrare di fuoco*.

Lui la guardò, con stupore, complicità e fastidio, e vide in lei le eterne ceneri della sua opera in fiamme. Sicuramente non l’avrebbe avuta vinta.

Lui si dedicò allora all’idea del mondo che sarebbe stato, del mondo della materia, del mondo.

– Siano il vuoto e il freddo a separare l’incendio che divora l’anima del mondo.

E lei piegava il proprio volere e quello di lui di modo che quel vuoto e quel freddo avessero un senso intrinseco nel mondo e nel movimento.

– Sia il fuoco la luce e questa si avvolga su di sé, per mezzo della mia parola, affinché diventi stella e terra.

E lei, dolce ed imperiosa, toglieva alla parola di lui per dare al mondo, costringendolo nella rete delle leggi che al mondo spiegano il mondo, nel mondo.

E, dove la mano divina di lui scendeva a modellare, quella divina e finissima di lei scendeva nel mondo perché questo avesse senso anche senza la mano di lui.

Questa era la prima e più grande competizione, sebbene lui non ne avesse coscienza, vedendola maggiormente come conflitto. Era lei, come da principio, ad aver compreso che la loro guerra creatrice volgeva in verità il proprio duplice volto nella stessa direzione, nonostante lo facesse per vie opposte.

Così, irritato e calmissimo, quasi che già esistessero quelli ed altri sentimenti, quasi che siano in effetti mai esistiti, quasi felice, lui sentenziava, creava ed imponeva tutto il possibile, mentre lei voleva e col suo volere dava senso e compimento a ciò che lui vedeva invece completarsi in sé.

Fu allora con l’aiuto del primo attore che lui poté coprire con la propria voce tutte le diramazioni del possibile e in quel frangente non gli restò che dar vita a quella sua, sua creazione, dall’indiscernibile e materiale fuoco dei primordi.

Lui Parlò, come per la prima volta, e la miriade di possibili disposizioni, di possibili configurazioni dell’universo da lui immaginate iniziarono a mescolarsi e a prendere ordine, il quale, lui non riuscì ad avvedersene, doveva la propria esistenza solo all’opera di lei, vera vincitrice sull’Indiscernibile. Ecco allora che, per gestire l’innumerabile quantità dell’essere, a parola lui faceva seguire parola e tra le due ne diceva altre ed altre ancora, senza fine, senza requie, senza mai scioglierne la continuità. Ecco che si china, si prostra dinnanzi al trono che egli stesso ha eretto al primo attore e sta per esserne sopraffatto, perché il suo desiderio è il mondo e il mondo, adesso, necessita delle infinite parole di lui, ma, d’altronde, com’è risaputo le divinità sono gli esseri che si generano e si completano all’interno dei propri aneliti e che con essi finiscono (o iniziano) per coincidere. Lui quasi dipendeva, quasi scopriva di essere stato creato dal primo attore e già aveva poggiato il primo ginocchio al suolo, vassallo, quando lei si espresse per la prima e l’ultima volta.

– Parli troppo. È tutto così semplice – fece lei sorridendogli come mai aveva fatto. Gli pose un dito sulle labbra e creò il tempo, l’ultima, ineffabile barriera contro l’infinito.

Si sorrisero, imperituri ed allegri, e videro quanto avevano creato, restarono sereni a guardare come fosse bello il primo istante del mondo e già questo, il primo giorno, passava senza permanere né per il tempo degli istanti né per quello dell’eternità.

 

– Dai, adesso facciamo qualcosa di serio- disse lei.

E prima che sul mondo fosse calata la prima notte tutto era già finito.

 

 

 

*L’ingenuo chiederà -Ma forse che con il movimento ella non creò anche il tempo?- e a questi rispondo che il movimento, quando sia, come qui è, totalmente immerso nell’Indiscernibile, resta avulso dal tempo.

 

 

 

[Dedicato a chi parla troppo (e a chi, con i fatti, cerca di porre rimedio alle sciocche parole dei primi). Sarebbe certo scortese dedicarlo solo ai primi]

Scrittori in competizione

postato il 26 Lug 2011 in Main thread
da ad.6

Qui di seguito riporterò uno scritto singolare prodotto da me e da mia sorella quasi due anni fa. Le avevo proposto di scrivere una storia insieme e ci eravamo accordati sul farlo in un determinato modo: dieci righi a testa, interrompendo dovunque fossimo arrivati con la frase. Ha iniziato lei, ha terminato lei, questo per motivi di impegni (miei) e di mia frustrazione! Concetto chiave di tutto ciò è il fatto che la spartizione dello scritto è stata scelta in modo tale da creare (senza che in effetti lo volessimo) un prodotto che non fosse né dell’una né dell’altro ed, anzi, da mettere in competizione le due menti (termine che sembra altezzoso…), con le conseguenze che vedrete.

(Lui è stato usato in luogo del nome che gli avremmo dato. Mai.)

 

 

Era sicuro di aver visto qualcuno muoversi dietro l’albero. – Ehi, Fred! Sei tu? Dai ragazzi, non fate scherzi!- era ormai da più di mezz’ora che non aveva più notizie dei suoi cinque amici. Eppure l’appuntamento era proprio lì dove la notte prima avevano acceso il falò. Poiché si era ripromesso di andarsene una volta e per tutte da quel luogo, nel caso in cui i suoi amici non si fossero fatti vivi, decise che era giunto il momento di lasciar perdere quella buffonata. “Se ne saranno fuggiti tutti a casa!”  pensò sarcasticamente. Fuggiti… nemmeno lui pensava che quella fosse la parola appropriata. Dopotutto non aveva mai creduto all’esistenza di certe storie così assurde e misteriose. Mentre rifletteva sulla strada che avrebbe dovuto prendere per tornare al paese sentì un forte botto e, alzando la testa verso l’alto, scorse, dietro le folte chiome degli alberi, dei fuochi d’artificio. Si pentì di trovarsi chiuso in quello scuro labirinto ed ora più che mai avrebbe voluto trovarsi all’aria aperta per poter assistere a quell


o strano gioco di colori che si smorzavano nella calda luce di mezzogiorno. Iniziò così ad avviarsi per quella che credeva essere la via del ritorno pensando all’inutile scherzo che gli avevano tirato quelli che ormai tutti al villaggio chiamavano “i ragazzi del pomello”, per motivi ancora poco chiari sia alla gente del villaggio che ai ragazzi stessi, i quali, però, traevano grande gioia da tale soprannome. Ma lui sapeva. “Che stupidi!”. Così, mentre i suoi passi si avvicendavano senza troppa foga per la via, si levava dal sottobosco un flebile fruscio che veniva totalmente sovrastato dalle esplosioni multicolori che ingombravano piacevolmente il cielo ed in questo modo qualunque passo, per determinato che fosse, restava inascoltato e alle foglie, come natura vuole, e al viandante che l’avesse prodotto. E nella calda atmosfera di inizio pomeriggio lui si muoveva nell’ombra senza sentire i propri passi, senza che d’altra parte desse attenzione alla cosa, e per nulla consapevole di sé e del mondo, come quando

osservava ammirato lo spettacolo che la natura ogni sera gli regalava, quel caldo tramonto che quasi gli accarezzava il viso, consigliandogli di prendere sonno e di fuggire dal suo mondo, per poter raggiungere il luogo prediletto, così sfuggente, che mai potrà raggiungere e che solo nel profondo sonno si lascerà sfiorare. Ma questo accadeva molto tempo addietro, quando non era stato ancora costruito quell’enorme palazzo di fronte alla sua modesta casa. Ogni sera, accanto al balcone, sentiva delle urla indistinte quasi inumane provenire dalla finestra di fronte. Ma la cosa più strana in assoluto e che gli faceva rimpiangere la sua vecchia e magica visuale era che quegli strani individui, quasi ogni giorno, al tramonto, si affacciavano alla finestra osservandolo con sguardo perso esclamando: – Guardate che bel tramonto!- o – Non ho mai visto nulla del genere!- Spesso era tentato quasi di bussargli alla porta e di urlargli che sarebbe bastato affacciarsi dal lato opposto del palazzo, e

ntrando così nel mondo del crepuscolo, la Porta dei Sogni. Ma, tu, qual è il vero tramonto puoi mai dirlo? L’incessante tramonto del Sole, una fine senza inizio, o il definitivo declino di un popolo, di una civiltà, di una razza? E chi non vede più il solo tramonto del Sole, ma dinnanzi a sé scorge solamente l’inizio della fine della propria miseranda famiglia è un uomo senza più speranze, non ha più sogni, non più un futuro! Il tramonto gli è precluso perché vi sarà notte senza giorno e chiusa per lui è la Porta dei Sogni. E può ancora dirsi umano costui? O chi più lo chiamerà tale? Lui, c’è chi vede in te il tramonto: la gente che abita in quel misterioso ed imponente palazzo e non solo loro. Un mondo intero. E beato chi può ancora vedere la luce in te, chi può vedere oltre la rovina del mondo, chi è restato un essere umano. Tuttavia sono pochi, ormai: forse, adesso, anche i ragazzi del pomello ne fanno parte e quei fuochi sparati in un cielo troppo luminoso sarebbero stati neri e non colorati se aves
se perso anche lui ogni speranza. D’altronde i poveri ragazzi del pomello erano da poco deceduti. E lui, nel bosco, era ignaro di quello che era accaduto a tutti loro. Che fortuna averli persi di vista! La sua tristezza sarebbe ancora aumentata se avesse scoperto in che modo brutale erano morti tutti. Ma questo non lo scoprì ne allora nè in futuro. Mentre camminava verso l’uscita del bosco pensò che fosse giunto il momento di cambiare città, cambiare paese, cambiare vita. Avrebbe trovato un luogo in cui la gente lo avrebbe apprezzato per le sue capacità e avrebbe smesso di allontanarlo perchè considerato alla stegua di un “Vecchio derelitto.” E non importava loro il fatto che in fondo lui era solo un ragazzo. I fuochi d’artificio erano ormai terminati da tempo e lui si stava avviando verso la strada principale che lo avrebbe condotto a casa quando qualcosa, dentro di sè, lo costrinse a fermarsi. Perchè ritornare lì dove nessuno lo aspettava? Si sarebbe coricato per dormire in pieno giorno, senza nemmeno aver mangiato e dopo avrebbe sbrigato un paio di faccende di casa non troppo impegnative. Sempre la stessa routine, non c’era nulla da fare. Lui si era quasi convinto che il tempo non scorresse più ormai da anni e fu per questo che accettò “l’eccitante e pericolosa avventura nel bosco” così come l’avevano chiamata i ragazzi del pomello. Forse riteneva che qualcosa sarebbe potuto cambiare e che la noia che lo perseguitava

 

 

La competizione è stata breve, implicita ed anomala, ma principalmente mi ha visto soccombere una volta privato dei miei ragazzi del pomello! Chi sa se una scrittura di coppia del genere continuerà mai e se così si possa avere un risultato veramente condiviso. Altre sono le vie e diversi i risultati pregevoli ottenuti dalla scrittura in coppia, ma chi sa.

 

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