Cosmogonia

postato il 2 Ago 2011 in Main thread
da ad.6

E prima che sul mondo fosse calata la prima notte tutto era già finito.

 

Erano soli, in due, da sempre, per sempre, e si sarebbero amati se assieme a loro fosse stato anche Amore, il quale però aveva ancora da nascere. Certo sarebbe accaduto, perché essi erano uguali, da sempre e per sempre, nel corpo e nello spirito, nel cuore e nella mente, nel tempo e nello spazio, benché tutto ciò non abbia alcun senso, visto che nessuna di queste cose essi avevano ancora creato.

Ecco tuttavia entrare in scena, non richiesto, il primo attore, increato perché esplicito solo in ciò che non è: l’infinito. Immenso, il suo potere permise che i due fossero infinitamente uguali e per nulla diversi, non immemore, quegli, che rapportata a lui ogni cosa è nulla. In tale primo, ilare momento di gloria (ne avrà altri, ma pallide ombre di ciò che fu), poté trovare luogo il secondo, indesiderato ed essenziale attore di questa breve commedia, colui che va sotto il nome di Caso o l’Indiscernibile. Questi fece sì che uno di quei due, né a noi né tanto meno a loro è dato sapere quale, nacque dal primo, inconsapevole respiro dell’altro e che i due fossero consapevoli di tale, indiscernibile differenza.

Differenza tangibile vi fu invece in ciò che seguì, nel non-tempo dell’indistinto susseguirsi delle cause: accadde infatti che l’uno, sentendo il peso della primogenitura (o forse per sopperire allo smacco subito nell’esser secondogenito) volle distinguersi dall’altro, il quale, a sua volta, per gli stessi motivi, sentì di essere profondamente differente dall’uno.

Rispetterò allora il loro volere ed uno sarà uomo e l’altra donna, benché ciò non abbia alcun senso per delle divinità.

Le cause primordiali erano tutte pronte e già effetti quando lui creò la materia e il mondo, che vengono prima del contenitore vuoto che crediamo essere lo spazio e lo plasmano d’intorno a loro stessi.

– Sia che le cause possano avere tangibili effetti, in luoghi e cose e che tutto sia mentre e perché io sono.

Lei, allora, tranquilla e indispettita, diede al mondo il movimento e fu un immane ed eterno conflagrare di fuoco*.

Lui la guardò, con stupore, complicità e fastidio, e vide in lei le eterne ceneri della sua opera in fiamme. Sicuramente non l’avrebbe avuta vinta.

Lui si dedicò allora all’idea del mondo che sarebbe stato, del mondo della materia, del mondo.

– Siano il vuoto e il freddo a separare l’incendio che divora l’anima del mondo.

E lei piegava il proprio volere e quello di lui di modo che quel vuoto e quel freddo avessero un senso intrinseco nel mondo e nel movimento.

– Sia il fuoco la luce e questa si avvolga su di sé, per mezzo della mia parola, affinché diventi stella e terra.

E lei, dolce ed imperiosa, toglieva alla parola di lui per dare al mondo, costringendolo nella rete delle leggi che al mondo spiegano il mondo, nel mondo.

E, dove la mano divina di lui scendeva a modellare, quella divina e finissima di lei scendeva nel mondo perché questo avesse senso anche senza la mano di lui.

Questa era la prima e più grande competizione, sebbene lui non ne avesse coscienza, vedendola maggiormente come conflitto. Era lei, come da principio, ad aver compreso che la loro guerra creatrice volgeva in verità il proprio duplice volto nella stessa direzione, nonostante lo facesse per vie opposte.

Così, irritato e calmissimo, quasi che già esistessero quelli ed altri sentimenti, quasi che siano in effetti mai esistiti, quasi felice, lui sentenziava, creava ed imponeva tutto il possibile, mentre lei voleva e col suo volere dava senso e compimento a ciò che lui vedeva invece completarsi in sé.

Fu allora con l’aiuto del primo attore che lui poté coprire con la propria voce tutte le diramazioni del possibile e in quel frangente non gli restò che dar vita a quella sua, sua creazione, dall’indiscernibile e materiale fuoco dei primordi.

Lui Parlò, come per la prima volta, e la miriade di possibili disposizioni, di possibili configurazioni dell’universo da lui immaginate iniziarono a mescolarsi e a prendere ordine, il quale, lui non riuscì ad avvedersene, doveva la propria esistenza solo all’opera di lei, vera vincitrice sull’Indiscernibile. Ecco allora che, per gestire l’innumerabile quantità dell’essere, a parola lui faceva seguire parola e tra le due ne diceva altre ed altre ancora, senza fine, senza requie, senza mai scioglierne la continuità. Ecco che si china, si prostra dinnanzi al trono che egli stesso ha eretto al primo attore e sta per esserne sopraffatto, perché il suo desiderio è il mondo e il mondo, adesso, necessita delle infinite parole di lui, ma, d’altronde, com’è risaputo le divinità sono gli esseri che si generano e si completano all’interno dei propri aneliti e che con essi finiscono (o iniziano) per coincidere. Lui quasi dipendeva, quasi scopriva di essere stato creato dal primo attore e già aveva poggiato il primo ginocchio al suolo, vassallo, quando lei si espresse per la prima e l’ultima volta.

– Parli troppo. È tutto così semplice – fece lei sorridendogli come mai aveva fatto. Gli pose un dito sulle labbra e creò il tempo, l’ultima, ineffabile barriera contro l’infinito.

Si sorrisero, imperituri ed allegri, e videro quanto avevano creato, restarono sereni a guardare come fosse bello il primo istante del mondo e già questo, il primo giorno, passava senza permanere né per il tempo degli istanti né per quello dell’eternità.

 

– Dai, adesso facciamo qualcosa di serio- disse lei.

E prima che sul mondo fosse calata la prima notte tutto era già finito.

 

 

 

*L’ingenuo chiederà -Ma forse che con il movimento ella non creò anche il tempo?- e a questi rispondo che il movimento, quando sia, come qui è, totalmente immerso nell’Indiscernibile, resta avulso dal tempo.

 

 

 

[Dedicato a chi parla troppo (e a chi, con i fatti, cerca di porre rimedio alle sciocche parole dei primi). Sarebbe certo scortese dedicarlo solo ai primi]

 

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