Autore: Deluded Wiseman


Biografia

Deluded Wiseman nasce a Napoli nel1992 d.C, arrecando immensa felicità e giubilo ai suoi onesti genitori. Sfortunatamente, per fuggire alla mafia russa, alle calcagna del padre di DW per un affare di spaccio di coriandoli di ghisa, la famiglia Wiseman(?) è costretta a trasferirsi in un degradato ghetto, situato dove nessun uomo è mai giunto prima, chiamato "Villaggio Coppola". Qui, nonostante l'affetto dei suoi familiari e dei suoi amici(leggi "del suo vicino di casa e di un altro paio di derelitti"), DW conduce una vita difficile e violenta, imparando presto la cruda arte della sopravvivenza nelle strade di Villaggio Coppola. Poco tempo dopo, grazie ai cd della madre, conosce i Led Zeppelin, che, malauguratamente, si riufiuteranno di portarlo con sè in tournè. Il rifiuto segnerà la mente del povero DW, provocandogli una violenta ed astiosa passione per il ruochenruol. Forgiato nel fuoco di mille battaglie, e guadagnatosi il rispetto delle gang della zona villaggiocoppolana (in particolare pescando telline e imparando ad andare in bici senza rotelle), DW, all'eta di anni 6, si trasferisce nella metropoli partenopea. Qui incontra una serie di loschi individui, dei quali è meglio non fare nomi, e che, nei modi più tragici, faranno parte a lungo della sua esistenza. Diviso fra una carriera di rispettabile studente e la tossicodipendenza da fumetti(alla quale si aggiungerà quella da carte magic, per fortuna presto debellata), DW si trascina stancamente fino all'estate dei suoi 13 anni, estate in cui scoprirà, in una settimana di fuoco, l'esistenza delle ragazze(quelle vere, non quelle dei video, di cui era già un medio conoscitore) e dell'heavy metal, nella figura degli AironMeiden. Il nostro comprese subito quale delle due cose lo avrebbe abbandonato e lo avrebbe fatto soffrire, e quale, invece, gli sarebbe stata sempre affianco, notando, con dispiacere, come quest'ultima fosse proprio la cosa con meno seni. Ad ogni modo, DW giunge al liceo, dove per un pò(due anni) vaga in preda allo sconforto, in compagnia di altri, nuovi, derelitti, iniziando, per depressione, a suonare la chitarra, come palliativo per un'attività masturbatoria che ormai non è più così giovane da praticare. In primo liceo conosce un fottio di persone orrende e poco interessanti, alle quali rimane, però, legato, visto che l'incontro con loro si accompagna a quello con l'alcol e i bobz. I successivi due anni trascorrono segnati da spensieratezza e gaiezza, nonchè dalla sorpendente scoperta che il sesso esiste anche fuori dal pc. Unica nota negativa, i continui attacchi di diabete provocatigli da un'eccessivamente melassosa relazione con una bagascia conosciuta in una locanda ad ore. Nell estate del 2010, dopo aver brillantemente superato i Salami di Stato, non senza l'aiuto di truffe di varia natura, intraprende un viaggio d'affari a Parigi. Lì, sfortunatamente, muore per un overdose di birra e KFC. Esalato l'ultimo respiro, viene assunto(a tempo determinato) in cielo. Ributtato giù dopo 3 giorni(da ciò l'abitudine dei tamarri per starda a chiamarlo Gesù), in preda allo shock per l'esperienza, decide di iscriversi al girone giurisprudenziale dell' univeristà di napoli, dove ancora oggi caracolla mestamente


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Brevissimi pensieri poco componenti a livello di studio.

postato il 3 Ott 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Voyager mi ha dato da pensare, oggi, e sono giunto a 3 conclusioni.
1)Il tipo che voleva uccidere Giovanni Paolo II era un fico. Che capata storta è dire che sei Gesù mentre ti processano per aver sparato al Papa?
2)GP2 era un fico. Che capata stile narcos mexicani pseudoreligiosi è incastonare il proiettile che ti hanno estratto dal corpo in una statua della Madonna di Fatima?
3)Giacobbo è un fesso. Che cacata è imbastire una solfa su GP2  e la sua missione al servizio dell’umanità,  la sua grandezza spirituale e la provvidenza lo guidava, quando tu campi dicendo che credi a dei Maya alieni che profetizzano la fine del mondo, egizi spaziali scesi sulla terra per creare l’uomo in provetta e fantasmi, reincarnazioni, eresie new age e zombi-vampirismi di ogni sorta?

Positivi e componenti: storia di una Formula Magica.

postato il 16 Set 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Onde evitare che Voyager, Mistero, l’Albero azzurro e altri programmi della stessa risma si lancino in elucubrazioni e strampalate teori sul significato recondito dell’arcana formula alla quale il titolo del mio ultimo post sembra fare riferimento, mi vedo costretto a giuocare di anticipo, illustrando rapidamente, non solo come venni a conoscenza della suddetta fomula, ma anche, e soprattutto, quali siano le sue origini. Appresi dell’esistenza dei magici versi da un marinaio orbo di Katmandu, che, in seguito ad una sconfitta ad Halo, si è visto costretto a consegnarmi in pagamento un lercio manoscritto che diceva di aver a sua volta ottenuto da un monaco trappista di Canicattì.

Dubbioso, accettai il manoscritto, capendo che il povero diavolo non aveva altro da darmi, se non il suo occhio di vetro scheggiato. Una volta lettolo, al caldo del mio letto nella locanda, appresi del segreto destinato a rivoluzionare il mondo dei giochi di carte.  Ma basta dilungarsi; molto meglio delle mie parole sapranno fare quelle dell’anonimo autore del manoscritto:

Barcellona, 1711

A quel punto del gioco, ero già ubriaco. Ero ancora in relativo  possesso delle mie facoltà mentali, solo una buffa ridarella, un bruciore allo stomaco e una generica incapacità di comprendere ed  elaborare le connessioni fra gli eventi del gioco, palesavano la penosa ed ebbra condizione nella quale versavo ormai da giorni.  Ero approdato al porto di Barcellona solo quattro lunghissimi giorni prima, pronto ad avviare una reddititizia attività commeciale, sfruttando il gruzzolo che ero riuscito a tirare su vendendo giaguari ai ricchi  Maraja del Sud-est asiatico.  Allora, non potevo certo immaginare come la febbre del gioco mi avrebbe rubato, in brevissimo tempo, non solo i soldi duramente guadagnati, ma anche la salute. E dire che non sono mai stato un gran giocatore; eppure, il gioco che in quegli anni imperversava in Catalogna aveva qualcosa di magnetico, un fascino infernale al quale era impossibile sfuggire. Non aveva un nome ufficiale; ma i più, nelle bettole, lo chiamavano “Arkamon”.  Era un empia fusione fra due giochi celebrei già da tempo, due giochi che si erano portati nel baratro i fegati di mezza Europa: “Uno alcolico”, e “King’s”.  Semplicemente, “Arkamon” univa l’esagerata propensione al bere e l’impietosità verso le distrazioni dell “Uno alcolico”, alla follia normativa del “King’s”. E provate voi a tenere il conto dei turni e a ricordarvi di chiamare i vostri compagni di gioco con appellativi ridicoli, dopo giri e giri passati a subire quei dannati “+4” e a bere i relativi, dannati anch’essi, sorsi. Io, personalmente, non ci riuscivo. E così, da quattro giorni ormai, mi trascinavo di balera in balera, nutrendomi di baguettine catalane e zumi di frutta per risparmiare, e passavo le nottate a sbronzarmi e perdere soldi a quel diabolico gioco. Anche quella sera, non era diverso: non vi riuscirà, dunque, difficile capire perchè, giunti ad uno stato avanzato della partita e della mia ubricatura, io non volessi arrendermi alla mancanza di carte blu dalla mia mano, e al sorso di birra calda che ne sarebbe stata la conseguenza. Così, poggiata la mano sul mazzo, preparandomi a pescare, iniziai a pensare, a sperare, a pregare, per Dio, che ci fosse qualcosa dietro al Gioco, una mente, un pensiero, un Cuore delle Carte! Perchè come poteva mai essere che fosse solo il Caso a regolare tutto, come potevano le umane sventure e le umane fortune dipendere solo dal casuale ordine dei turni e dalle ancora più casuali posizioni delle carte del mazzo? Poteva non esserci alcuna misteriosa forza, ma solo l’impietosa fatalità? Io, in quel momento, mi rifiutavo di crederlo. E proprio allo Spirito che si celava, doveva celarsi, dietro a quel mazzo e ad ogni altro mazzo di carte nel mondo, io fortissimamente mi appellai in quei drammatici momenti, la mano ancora poggiata sopra alla pila di carte. Fu solo la poco cortese esortazione di uno dei miei compagni, non saprei dire chi, che mi scosse dal mio assorto sperare. Ed a quel punto, alzati gli occhi, le parole vennero fuori da sole: “Carta..tu che sei positiva e componente, color del cobalto..!” Gli altri giocatori mi guardavano nella tipica maniera in cui un ubriaco guarda un ubriaco credendonosi meno ubriaco di lui; io, da bravo ubriaco, me ne fregai: girai la carta, e rimasi così, la mano rivolta al cielo e la carta bene in vista. Con un ghigno serafico fissai i miei avversari negli occhi, uno ad uno, osservando compiaciuto nei loro occhi la variopinta gamma di emozioni che va dall’incredulo all’irato;  Eduardo, l’alchimista italiano, sembrava aver visto un empio miracolo con quei suoi occhi ebbri che dovevano aver osservato qualche intruglio non prettamente alchemico di troppo; Lukas  emise un rutto di disappunto dalla sua un tempo pregiata ugola, famosa in tutti i regni alemanni per la squisitezza dello yodel che sapeva partorire, prima di essere devastate dal fumo e dall’alcol; Matja, invece, quella specie di saltimbanco russo, sembrava covare il risentimento più vivo per ciò che era accaduto; dal canto suo, Il-al-rhia, l’ ispano-marocchina che nella vita di tutti i  giorni guidava con pugno di ferro una feroce banda di briganti mori, sembrava pronta a mozzarmi la testa da un secondo all’altro. Senza smettere di sorrdiere poggiai la carta, un 7 di un glorioso e scintillante blu cobalto, sul mazzo, e assaporai le imprecazioni che in quattro idiomi differenti, dei quali neanche uno mi era comprensibile, si levavano dal tavolo; e il gioco continuò.

Ormai tenere il conto dei turni era diventato davvero difficile, ad ogni momento l’un l’altro ci si accusava impietosamente di distrazione, e non a torto; e poi era quella fase del gioco in cui tutti hanno poche carte, ed è difficile che passi un giro senza che qualcuno debba pescare. Ma è proprio qui che io mostrai il mio asso nella manica: la formula continuava, incredibilmente, ma forse non tanto, a funzionare.

“Carta tu che sei positiva e componente, color dell’amaranto..”; “Carta tu che sei positiva e componente, color dello zaffiro;  “Carta tu che sei positiva e componente, color dello smeraldo..”; mi bastava semplicemente recitare questa semplice formula al momento di pescare, e mai, mai una solo volta in quella partita, fui costretto a passare il turno. Magia? Fede? Fortuna non di certo. Nè trucchi o inganni di alcun tipo, lo posso giurare sul mio onore, se questa parola ha ancora un qualche valore da quando spreco le mie ore nelle bettole. Lo posso giurare sulle Carte e sull Azzardo, su questo di certo nessuno mi accuserà di giurare alla leggera. Eppure, non tutti sembravano convinti della mia onestà, e ci mancò poco che non mi trovassi la gola aperta da un orecchio all’altro per mezzo di un arruginito pugnale ricurvo ornato di opale e madreperla. Solo grazie all’italiano, il cui senso scientifico, ancorchè offuscato,  gli aveva reso evidente l’impossibilità di truccare il mazzo con tale finezza, si riuscì a placare la barbara furia dell’islamica, e a convincerla che non ero un abile baro. E così, salvata la testa, conclusi in pochi turni la partita, poggiando sul mazzo anche la mia ultima carta, un bel 3 blu.  Mi aggiudicai non solo un gruzzolo che mi avrebbe permesso di continuar a giocare e, insieme, sostentarmi, ma anche una gloriosa vittoria sulla concezione che dietro un gioco di carte non ci sia che il caso. Io ormai ero convinto del contrario, e forse anche Lukas  e Matja iniziavano a comprenderlo, almeno a giudicare dall’atteggiamento rispettoso che mostrarono nel pagarmi, in ruolo della scorbutica riluttanza che mi sarei aspettato. Perfino quella pazza cagna infedele, perfino lo scienziato, sembravano aver capito che non solo non si trattava di una truffa, ma che poteva esserci qualcosa di più del mero gioco. 

E poi? E poi, finita una delle due partite più importanti della la mia vita, continuai a giocare e a viaggiare, fiducioso nel potere che mi aveva aiutato. Venezia, Marrakesch, Istanbul, Samarcanda, Katmandu, Parigi; poker, blackjack, arkamon, ramino; le sale da gioco di mezzo mondo conosciuto, e  i tavoli di tutti i giochi in cui ci fosse da pescar carte, conobbero me e la mia formula. Ovunque destai stupore, incredulità, a volte rabbia, altre volteil più puro entusiasmo; e ovunque riuscii a riempirmi le sacche d’oro. Ma non abbandonai il gioco d’azzardo:  dentro di me ben sapevo, c’era una voce che me lo diceva chiaramente,  che se avessi smesso di sguazzare nel lordume delle balere e arricchirmi a danno dei miei malcapitati avversari, sarei riuscito a tenere stretto il gruzzolo per ben poco.

E così,  un giorno come un altro, decisi di testare la mia abilità, o comunque si voglia chiamarla, nelle sale da gioco al di là dell’oceano.  Pensvo che la giovane terra delle opportunità molto avrebbe potuto offrire ad un giocatore affamato di vittoria.  E probabilmente, molto avrebbe avuto da offrire a qualcuo il cui stile non fosse stato così duramente osteggiato dai coloni. Invece, i frequentatori dell’ Jack in the Box Saloon di Newark, New Jersey non accettarono di buon grado la mia formula segreta. Non saprei dire, a onor del vero, il perchè. Forse troppo bigotti per accettare un potere che chiaramente non veniva dal loro messia, troppo bifolchi per comprendere la magia delle carte, gli abitanti di quella terra tanto puritana quanto dimenticata da Dio mi bollarono come baro, e stavolta nessun arguto erudito(quale erudito avrei potuto trovare nel continente dei mandriani?) era lì per aprire gli occhi ai miei avversari. E così, conclusa con una scarica di piombo nel mio addome la seconda partita più importante della mia vita, affido a questo foglio il segreto della mia ormai antica fortuna.  Spero che qualcuno lo trovi, che qualcuno apprenda la lezione e impedisca che siffatto segreto si perda per sempre. Se così non dovesse accadere, vorrà dire che qualcuno di più grande e saggio di me ha deciso che l’uomo non è pronto per tali rivelazioni. Ma chiunque tu sia, se stai leggendo, ricorda queste parole: positivo e componente. Positivo. E componente.”

E questo, è il manoscritto grazie al quale oggi sono vittorioso vincitore di vari giochi di carte&affini. Avevo deciso di tenere il segreto per me, ma adesso che le cose stanno venendo allo scoperto, mi sono visto costretto a rivelare al mondo la verità.

Che Dio ci aiuti.

Carta, tu che sei giallastra e componente, color dell’ocra.

postato il 11 Set 2011 in Main thread
da Deluded Wiseman

Sto per scrivere una cosa molto nerd. E un po’ creepy. Insomma, una cosa che non mi rende molto cool, ma non fa niente(Dante, ti prego aiutami o fammi fuori). Si tratta di carta, ovviamente, un tipo di carta specifica con la quale ho un rapporto particolare. No, non è la carta igienica, o comunque non è quella ciò di cui voglio parlare. Si tratta, e lo dico con un grasso e unticcio orgoglio nerd, della carta dei fumetti vecchi, mi riferisco in particolare a quella che, negli anni ’70 aveva il privilegio di ospitare le colorate e innocentemente fighissime avventure dei supereroi Marvel, per gentile(?) concessione dell’Editore Corno, il primo editore italico a portare nello Stivale le suddette colorate vicende(non voglio sminuire i rispettabilissimi fumetti d’altro genere, dal cowboy al porno, che pure, appartenendo a quell’epoca, odorano similmente. Però non li ho mai letti molto, o comunque non li ho mai annusati con particolare zelo, quindi sticazzi). Anche la carta dei libri vecchi è bella, ha quell’odore penetrante e quel giallino cultura austera che anche il manuale dei panzarotti ha l’aria di un trattato di filologia sumera. Però a me la carta dei fumetti prende di più, ci sono più legato per vari motivi e soprattutto per uno in particolare: le parole del libro le leggi sulla pagina, ok, ma l’azione poi, a meno che tu non abbia la fantasia di un cardo, si svolge nella tua mente, la pagine col testo è solo l’imput. Nel fumetto invece no, è tutto lì sulla  carta: la descrizione, il dialogo e l’azione stessa, si stampano nella testa esattamente come sono nell’albo, e non c’è nessuna operazione di immaginazione(il che è tanto un pregio, quanto un difetto). Il libro puoi anche ascoltarlo, il supporto fisico serve solo ad avere un’esperienza di lettura più intima e vicina al testo, il fumetto se non stringi la pagina fra le mani non è nulla. E’così legato al suo supporto fisico, che per quanto mi riguarda molte delle storie vecchie, ristampate in edizioni nuove perdono metà del loro fascino: sembrano solo delle avventure fuori dal tempo, troppo semplici e variopinte per sopravvivere al fianco delle loro discendenti, più serie e mature, almeno quelle fatte bene. Però se l’edizione è originale il discorso cambia; certo, niente trasformerà “I Fantastici 4 contro l’Uomo Impossibile” in  ”Watchmen”, ma per quanto mi riguarda bastano quella colorazione zingara e imprecisa resa ancora più ignorante dall’alternanza pagine colorate-pagine bianco e nero (poi soppiantata, con profondere di annunci tamarri “Tutto a colori”) e quell’odore inimitabile a conferire a quelle vetuste vignette un senso di ingenua e immaginifica epicità, come quella di pitture e incisioni antiche che ci affascinano ancorché rozze e rudimentali, e rendere godibile qualunque baggianata anni ‘60. Ma poi l’odore, devo ripeterlo. Mi sa che questo è il punto nerd&creep: a me il profumo delle ingiallite pagine dei fumettazzi anni ’70 piace proprio, è inimitabile. Non lo so perché è diverso dal generico (e comunque esaltante) odore di pagine vecchie. Boh. Saranno i colori zingari, le manine unticce di tre generazioni di nerd che le tocchicciano e le accarezzano, sarà che sono stampate su fogli di carta igienica riciclata. Non lo so, però trasuda storia, e storie. Miste: odore delle storie dei supertizi in calzamaglia, della storia di dell’intrattenimento leggero, degli epici viaggi di quell’albo fra cantine e scaffali, e delle storie di tutti i gonzi che lo hanno posseduto, lasciandoci un segno, una macchia di caffè, un nome, una macchia di caffè che non ci pare tanto, ma una macchia marrone SICURAMENTE altro non può essere, e facendoti chiedere cosa cazzo spinga un uomo a spendere L.200 per fare i baffi a Capitan America, o per colorare il costume dell’Uomo Ragno di lillà e azzurro. Chiuderò in bellezza, raccontandovi di quando mia madre mi aveva comprato il glorioso “Fantastici 4 n.56” per natale, impacchettandolo solo dopo averlo inscatolato per non farsi sgamare subito, fallendo perché io già in macchina esaminando i regali come tutti i bravi bambini fanno avevo percepito l’odorazzo di fumetti vecchi. Lo so, è un incesto fra un aneddoto e uno spoiler, ma non avevo il cuore di narrarlo cristianamente.

No amici, non ve ne andate! È un feticismo socialmente accettato, chiedete pure a tutti gli appassionati in quelle le fiere del fumetto che non ho MAI frequentato!

C’è a chi piacciono i piedi, a chi le scarpe, a chi le carrozzerie cromate, a chi le tette. Bè, a me piacciono le tette i fumetti vecchi, carta compresa, sì.

 

 

PS:servirà un post per spiegare il titolo.

 

FASE NO.

postato il 29 Giu 2011 in Main thread
da Deluded Wiseman

Esiste questo filmato di repertorio nel quale è possibile osservare la mia versione primigenia, quella dell’annata 1994, tipo, dare prova di grande sfacciataggine e ribalderia. La sequenza vede un Me intento a rovesciare con cura un cestello di mollette sul pavimento del terrazzo del mio appartamento di Villaggio Coppola, all’epoca mia base operativa. Alla gentile ma  retorica domanda di mia madre (tra l’altro regista del corto) “Dopo le raccogliamo, vero?”, il Me del ’94 risponde, con la sfacciataggine e la ribalderia di cui sopra, alle quali aggiungiamo della giulività,  “No.”

Devo dire che la mi pigrizia mi spingerebbe a fermarmi qui. Del resto, quale post migliore, sul “No”, di uno il cui unico contenuto consiste in me che dico “no”? Autobiografico, intimo, conciso, sul tema..eppure, no, non basta. Vedete, come i più svegli, qualora ve ne siano, avranno notato, il mio comportamento è da ascrivere, più che alla mia ribalderia, ad un fenomeno tipico dei poppanti di quell’età: la cosiddetta  FASE DEL NO.

Si tratta, indovinate un po’, di quella fase in cui i bambini, avendo imparato a dire “no”, fanno largo uso del magico monosillabo, rifiutando  a spron battuto ogni tipo di proposta, da quelle storicamente invise ai mocciosi(bagno, pannolino, cos), a quelle che teoricamente dovrebbero stimolare i loro teneri cervelletti sottosviluppati(giochi, cartoni Disney, cos).  A prima vista è un po’ come la Fase Caccapupù, quella in cui i bambini iniziano a dire cacca e puzza, e non fanno altro che parlare di cacca e puzza(anche qui, c’è un filmato di repertorio sul tema , ma questa è un’altra storia). O la Fase Culotettefiga, quella in cui i ragazzini imparano i veri significati di queste parole, e non fanno che parlarne. E pensarvi. Molto intensamente. In bagno, spesso.

Ad ogni modo, no. Anche questa sarebbe una buona conclusione per il post. E invece stavo iniziando una frase: no, non è proprio come la Fase Caccapupù o la Fase Culotettefiga. La Fase del No, infatti, è un momento importante nello sviluppo dello scassaballe, in quanto è in quel periodo che per  la prima volta che inizia a manifestarsi un rigurgito di coscienza, dopo una sequela infinita di rigurgiti di vomito post-omogeneizzato. Certo, è troppo presto per dire che si comincia a intravedere un bozzolo di personalità, perché se è vero che dire “no” a qualcosa  definisce e delinea il tuo carattere e, è anche vero che i rifiuti del poppante sono distribuiti abbastanza a caso e, permettetemelo, dire no a Dumbo e Biancaneve , ai Bitols e ai Rolin Stons, alla pappa e alla nanna,  non delinea un granchè. Però è vero che, come dicevo, compare sulla scena un abbozzo di volontà: il coso si accorge che la propria “opinione” sulle faccende della sua vita può essere espressa in una maniera più intellegibile di una sequela di pianti e scorregge, in una maniera che, e immagino che il nano se ne accorga con gusto, riesce ad essere compresa dai Generalissimi Mamma e Papà, provocando evidenti reazioni nel loro contegno.  Anche se, ovviamente, non ottiene grandi risultati pratici(a uno che non vuole vedere Dumbo non lo si caga più di tanto), inconsciamente il mangiaplasmon realizza di esistere come entità autonoma, realizza di potersi esprimere sugli avvenimenti del mondo circostante, di potersi affermare nei confronti di quelle scelte che prima subiva passivamente essendo anche, se non esaudito, almeno considerato.  Solo dicendo no, inoltre, il cucciolo d’uomo può sviluppare la fondamentale concezione, tanto invisa ad alcuni, del”mio” e del tuo”. Visto che è tardi, e voglio finire, per dirvi sta cosa ricorrerò, un po’ come fa il Nostro Signore Sky, ad una parabola(perdonatemi, davvero, è tardi e ho sonno): tanto per cambiare, parla di me. Del resto che volete, sono figlio unico ed inimitabile, e non ho altre esperienza in fatto di creaturi. Ma farò finta che sia una vera parabola. Ordunque, c’era un bambino di poco più di un anno in quel di Villaggio Coppola, che chiameremo Sergio. Di fianco alla dimora di Sergio abitava un altro infante, che, con la madre e la sorella, soleva recarsi a trovarlo, per poi brutalizzare la sua proprietà giocando con i suoi balocchi, in particolare con una BELLISSIMA Ferrari a pedali che, incapace di difendersi, in quel periodo il padrone avrà usato un due volte.  Ebbene, per farla breve, anni dopo il pargolo della casa adiacente diventò il migliore amico di Sergio, eppure la prima frase che egli gli rivolse fu probabilmente “No, macchina no”, per diffidarlo dall’utilizzare quella cazzo di macchina a pedali che, in un vitale atto di riconoscimento del proprio ego(!!), Sergio aveva imparato a considerare sua e NON di altri.

Che momento glorioso, quindi! Quando morirò(grattatio pallorum) e mi scorrerà la vita davanti agli occhi, spero proprio di rivedere il momento in cui per la prima volta ho detto no a qualcosa. Dev’essere andato tipo così:

IL GIORNO PRIMA:

Mamma:”Allora, a questi Stati Generali la facciamo per ordini, mica per teste la votazione.”

Io: “Ughghu.”(Mia madre fa votare gli Stati per ordini, la situazione politica rimane invariata).

IL GIORNO STESSO(CHE COMUNQUE RISPETTO A QUELLO PRIMA E’ DOPO):

Mamma: “Bene, da oggi anche le colonie pagheranno un bollo aggiuntivo per  la carta stampata!”

Io: “Gno!”

M:”…evabè, vorrà dire che lo pagheranno sul tè..”

Io:”No!”(Col tempo le 13 colonie otterranno l’indipendenza dalla Gran Bretagna.)

Dev’essere stata una cosa così. Che soddisfazione.  Certo, però, che è importante anche la reazione dei vecchi, eh.

Io, se fossi un padre, penso che alla vista di mio figlio che, da un giorno all’altro, accoglie il pigiamino con un “no”, piuttosto che con il solito rutto o sbrodolamento,  potrei reagire in 3 modi:

LA UNO: “Il grintoso”

“Colbacco(ci sono dei bambini, NdS) che non ti metti il fottuto pigiamino!”,questa più o meno è la frase. Col passare del tempo, continui rifiuti e sgridate minano profondamente la psiche del giovane virgulto, il quale, orfano in seguito al suicidio dei genitori per eccessivi pianti, cresce senza personalità. A 30 anni pubblica sul Tubo video dove inveisce contro le donne, celando goffamente la sua inettitudine esistenziale dietro una patina di misantropo/oginia.

LA DUE: “Il genitore yeah che ha letto troppi articoli sul rispetto del bambino nei giornali che tiene di fianco al cesso”

Il genitore yeah accontenta senza meno il pargolo, più è più volte. Il pargolo cresce sporco, viziato, insonne, e, privo del fondamentale apporto dei film Disney, senza personalità. A 30 anni pubblica sul Tubo video dove inveisce contro le donne, celando goffamente la sua inettitudine esistenziale dietro una patina di  misantropo/oginia.

LA TRE: “La via del Buashido”

Eh, qua tarantelle. La “via del Bushido” è il traballante equilibrio fra il si e il no, fra la Forza e il suo Lato Oscuro. Essa la via giusta è, e solo il saggio conoscerla può. Quindi sinceramente non so che dirvi, è difficile decidere quando è il momento di far frignare il pupo a costo di uccidersi l’anima, e quando accontentarlo, a costo di trovarvelo viziato dieci anni dopo, e di certo non lo so io.

Adesso dovrei fare una considerazione generale del tutto, ma dovrei finire di studiare, quindi vi lascerò con un’utilissima pagina dove potrete apprendere massime del tipo “se il vostro bambino fa i capricci, fategli tagliare un piede dai chiodi, così poi impara a non mettersi le scarpe.”. http://quimamme.leiweb.it/bambino/news/articoli-2010/sfinente-epoca-no-20538633853.shtml

 

No.

postato il 3 Giu 2011 in Main thread
da Deluded Wiseman

A dispetto di come sarebbe facile pensare, dato che sono in ignominioso ritardo nel cambiare thread, l’argomento di questo mese NON è la prima cagata che mi è venuta in mente all’ultimo all’ultimo. Magari è una cagata, sicuramente è vago(infatti se preferite c’è l’argomento di riserva, altrettanto stimolante: “Stocazzo”), ma non mi è esattamente venuta in mente a me medesimo, e non è tirata fuori all’ultimo, anzi, posso dire che sono vari giorni che rifletto sull’opportunità del droppare o meno questo argomento, che trovo interessante, ma come dicevo prima, forse un pò difficile da inquadrare. Ovviamente, nella mia riflessione è andato perso del tempo, e quindi, diciamo, che non avevo proprio deciso, però s’è fatto tardi e tant’è.

Allora, non avete capito? No, niet, nein, non, insomma, negazioni assortite. Concetto tanto rudimentale, eppure non semplice, mi pare; pensate, per fare un esempio d’attualità, alle tarantelle sul valore del no in un referendum, o cose del genere.

Vi piace? No? Ecco, bravi, è già un buon inizio.

“Elezioni”. Avevo avuto solo un’altra idea per il titolo, ma NON volete saperla, quindi beccatevi la scontatezza e siate felici.

postato il 31 Mag 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Ragazzi, votare è proprio bello. Ok, il mio è un parere falsato, perché è la prima volta che voto, e, dopo una lunga e sofferta sequela di elezioni perdute dalla fazione giusta(non sbagliata, và), ero abbastanza convinto che anche la mia prima volta col voto sarebbe stata un po’ come altre proverbiali prime volte, del tipo che tu ti appresenti tutto gasato e preparato, e poi finisce che devi scontrarti con la dura realtà, e scoprire che, a dispetto di quanto speravi, le cose non vanno sempre come vuoi tu, e ti senti terribilmente impotente(ogni riferimento alle vostre prime scopate è assolutamente voluto). E invece, stavolta, sorpresa delle sorprese, cambia qualcosa. All’improvviso, uno schieramento che va dai 99 Posse a mio nonno (berluschino deluso prima e poi astenuto adottato dopo), passando per Comunisti, moderati, scettici e forse pure qualche ex-fascio, compie il miracolo e ridà vita a un sentimento di sana sinistra che pare resuscitato all’improvviso, dopo essere stato brutalmente ucciso dalla buffa gestione Iervolino. Io spero che non sia resuscitato come l’Araba fenice, che pare non capire mai i suoi errori e continua a morire con cadenza regolare, né come Goku &friends, che continuano a combattere sempre uno alla volta mentre gli altri si fanno le seghe mentali nella capa loro, ma piuttosto come gli zombie, che una volta che sono rinati gli devi solamente sparare nel cranio, o sono cazzi amari per tutti. Ed è bello sapere, sono sicuro che lo proviate tutti, ma forse lo noto ancora di più io che sono ero un verginello elettorale(!), che in quell’65% di cosacchi che, anche se senza cervello, hanno lo stesso capito che la disastrosa sinistra napoletana, quatta quatta, era diventata subito destra, ci sei anche tu. Anche se l’avversario è sotto del 30%, anche se sapete che voi e tutte le persone che conoscete avreste potuto benissimo votare Mastella e nulla sarebbe cambiato, è sapere che la cartuscella che avete messo nello scatolone, insieme a altre millemila forse ha scritto il futuro di questa città, o comunque ne ha cancellato uno che sembrava già scritto con parole di fuoco, sebbene sgrammaticate e prive di condizionali corretti.

Il rito della voto ha il suo fascino. Qui, alla faccia della pappetta insipida che non si sa come,  diventa il corpo del Cristo onnipotente; qui veramente c’è una trasformazione che ha del sacro. Tu entri in una scuola, un posto mediamente squallido, mediamente asettico e spartano, ma disseminato dei segni del vano tentativo di renderlo confortevole e familiare(vedi alla voce:”tristissimi cartelloni sulla pace nel mondo”); ti rechi in una stanza, accolto da persone totalmente random, che ti identificano, e ti mandano in una cabina, con la tua matita e il tuo foglietiello; a quel punto, fai un paio di X belle calcate e storte, per affermare con decisione il tuo voto contro ogni possibile scrutatore fantasioso; scarabocchi un paio di nomi, vergognandoti per quando un eventuale scrutatore burlone, si farà beffe della tua grafia, e passi 30 secondi imbambolato, riflettendo se il cognome era con De, o con Di; decidi di votare Esposito, che uno sicuro ce ne sta; esci dalla cabina, meni il foglietiello in uno scatolo di volgarissimo cartone, saluti le persone random, esci dalla scuola, torni a casa. Niente di così epico, a ben vedere. E invece, questo rito ha qualcosa di portentoso: ogni X, e non devo dirvelo io(ma lo faccio)sta per “io vivo qui, pago le tasse e dico che si deve fare  così, e voglio potermi lamentare; voglio potermi lamentare se perdo, voglio potermi lamentare se vinco e le cose non vanno come credevo.” Un  foglietiello non è niente, manco una scatolone pieno lo è, ma mille fogliettielli, in mille scatoloni di cartone, in mille classi di mille squallide scuole sono, transformèscion che manco Gesuccristo col vino, la volontà di un popolo.  E magari  è inutile perché sono tutti comprati, magari comunque non serve a niente perché a volte sono davvero tutti uguali, magari non lo sono ma i fra poteri forti, la crisi, Pisapia, tarantell, cos, niente cambia lo stesso; però perlomeno è la volontà di un popolo che si muove, parla, e vuole che, in modo o nell’altro, le cose si facciano rendendogli conto. E scusate se è poco! E infatti, in pieno fomentodavoto-mode, quello che vedevo all’interno del seggio non era il semplice rito di cui sopra, ma più o meno questo: un lungo corridoio, di marmo bianco, costeggiato da file di eburnee colonne neoclassiche. I busti dei grandi della democrazia, da Rousseau a Calamandrei,  che mi fanno l’occhiolino mentre avanzo fra le colonne, ignorando speranzoso i busti di coloro che compravendono voti, o comunque votano alla cazzo di cane, i quali mi trolleggiano dalla seconda fila. Alla fine, giungo in questo sontuoso salotto, dove, fra l’approvazione composta e rispettosa delle persone morte perché io fossi lì, un tizio che somiglia a Sean Connery da vecchio mi consegna cerimoniosamente una lastra di basalto con i simboli delle liste sopra; entrato nella cabina, che è una specie di confessionale in mogano con ghirigori dorati a forma di Abramo Lincoln, marchio a fuoco la mia fiera X sulla lastra(ok,ok, sulle lastre si incide, ma mi piaceva l’immagine della marchiatura a fuoco, e non potevo certo fantasticare su un scheda elettorale in pelle di vacca). Ripongo la scheda in questa sorta di Arca dell’Alleanza, con tanto di musica epica sotto(quel coretto celestiale che fanno nei film quando trovano il tesoro/luogo segreto ed esoterico), e torno a casa, fiero, ma non tanto speranzoso. E invece, guarda un po’, ti accorgi che il giorno dopo si è avverato un altro miracolo della democrazia: la gente, un po’ in tutta Italia, pare tornata a vedere, e finalmente tornano i conti, si colma quel curioso gap fra l’odio e il disprezzo che, dalle persone intelligenti, dal mondo della cultura seria e dall’estero investono il sistema Berlusco-centrico, e la vergognosa sequela di vittorie che continuava a riportare, a colpi di mazzette ma non solo, da anni. Certo, non dobbiamo ringraziare che lui, e la maniera in cui ha gargantuescamente iniziato, di recente, a cagare fuori dal vaso, portando al limite della vergogna e oltre tutte le pratiche politiche e propagandistiche che da sempre lo contraddistinguono; al punto che, fra un Tg che non può più nascondere i fatti, una satira intelligente e incessante(alla quale do una certa importanza), sparate e mosse che si commentano da sole e la miseria che incombe, scoprendo gli altarini, forse è tornata il bene della vista anche  a coloro che davanti agli occhi portavano nongià fette di prosciutto, ma interi suini parmensi.

Almeno credo, può anche darsi che mi stia ingannando del tutto. “Lo scopriremo soolo vivendoo” (in falsetto). Per esempio il 12 e 13 giugno c’è l’atto secondo, vediamo se gli italiani si scetano solo quando il rischio è di vedersi cacare nel giardino di casa, o se riusciamo a vedere le cose in prospettiva. Speriamo.

Che tristezza, quando ho iniziato il post ero molto più gasato.

Peppeide (Peppobaccaromakìa)

postato il 5 Mag 2011 in Main thread
da Deluded Wiseman

Anche io voglio fa sta cosa che ha fatto Cerbs.  E’ il caso a volerlo! Stavo per parlarvi, brevemente e in ritardo, di un uomo che ha reso gioiose le mie giornate liceali, rendendo ogni pisciata uno spasso e un’avventura sempre nuova. Brevemente, perchè volevo lasciare poi spazio a un poemetto in 200 versi, composto da me e Bread durante ore inutili quali Fisica, Matematica, Italiano.  Essendo questo coso B.B (before blog), mi vale per tutti e due gli argomenti.  Ah!

Ordunque. L’uomo in questione è Peppe. Peppe è nato chissà quando, è cresciuto e mi chiedo veramente come, per poi affermarsi, all’età di boh anni, come bidello del  rinomato “Liceo Classico Gei San Nazzaro”, scuola prediletta della gioventù scic del Vomevo.  Perchè Peppe è così importante per me? Bè, in seconda e terza liceo io e i miei ribaldi compagni di classe scoprimmo che lo stress scolastico(a esser sinceri uno  stress pressappoco scarso, ma fa lo stesso) poteva essere tollerato solo con frequenti e zelanti trasferte al cesso. Quattro, cinque almeno, in gruppo, rapide ma efficaci. E lì,  a officiare il nostro giornaliero rito nel nostro luogo sacro, c’era lui, l’addetto al bagno dei maschi del primo piano, Peppe.  Profondamente insicuro, e privo di qualsiasi capacità organizzativa, Peppe era una di quelle persone che se non ti ispira simpatia e tenerezza, vuol dire che c’hai il Pinguino Delonghi al posto del cuore. Per questo ricordiamo tutti con affetto le nostre vicissitudini insieme, nonostante spesso il destino ci abbia visto su lati diversi della barricata, soprattutto quando alcuni di noi presero ad andare in bagno principalmente per fumare. E lui, ligio al dovere,  riprendeva i trasgressori  adducendo anche scuse dubbie, tipo “i bambini si lamentano”, oppure, quando si sentiva in colpa nel rompere il cazzo, “non è per me, è a’presid che sta girando per il piano”. E non aveva paura, no, neanche di cantare i fumatori davanti ai professori, seguendoli fino in classe. Va detto, come vedrà chi avrà voglia di menarsi nella lettura, che i proffi, spesso anche loro accaniti fumatori, si dimostrarono di sovente omertosi nei confronti degli sgozzoni da gabinetto.  Un compagno, un dignitoso avversario,  il custode di un sancta sanctorum, ecco il ruolo che ha ricoperto Peppe nelle nostre vite.  Però ora lascerò che a parlare siano i 200 esaltanti versi della Peppeide, tratta da episodi veri (tutti, tranne il finale), sperando che siano gustosi anche per chi è estraneo alle epiche vicende del bagno dei maschi del primo piano del San Nazzaro. Un breve glossario prima di iniziare:  Vaccaro: cognome di Tiziano, uno dei personaggi della storia.  Luise: cognome di Luca, anche lui protagonista. Tarallaro:  leggendario venditore di cocaina del Rione Traiano. Rione Traiano:un brutto posto dove vendono tante cose. Svuotino: spinello in incognito, consinste in una sigaretta svuotata di tabacco e rimepita di gusto.  Magnacca: personaggio del Sannazaro, le cui abitudini vi saranno chiare intorno al verso 134. D’Allocco:augusta e nana preside del San Nazzaro, dai capelli sgargianti e dai dubbi gusti in fatto di vestiario. Sgozzare:fumare, eddai.


Peppeide (Peppebakkaromakia”)
Versi settenani. Schema metrico ABBA ABAB ABCB

Nel canto ardimentoso
assistimi, o Diva,
e lascia che io scriva
di Peppe il valoroso.
Ei giunse a questa scuola
per controllare il bagno
cercando quel guadagno
che il core a lui consola.
Del Fato il rigirare
l’affidò al gabinetto,
stimandolo perfetto
per lì non far fumare.
Indomito bidello,
guardian della toeletta,
non sa che poi l’aspetta
Tiziano e lo spinello!
Era costui un nasone
di quella classe ebrea
così penosa e rea
ch’è degna del forcone.
Fu membro componente
d’una penosa banda,
di certo un pò smaltente,
ma ria ed esecranda.
Di varia umanitade
vi sono personaggi,
attenti a ciò che accade
se sono nei paraggi!
ricorderòvvi nomi
dei peggio tra costoro:
dai numerosi comi,
Sergio, Tiziano e Toro.
E ancor Dodò e Giordano
vagavan per di lì.
Venivan da lontano,
dalla classe Terzacì.
Il camerata Toro,
indomito fascista,
Tiziano e Luca in coro
si fan più d’una pista.
Sergio il lingualunga
ed il ricciolin Dodò
scrivavano boiate
che peggio non si può.
Andavano costoro
al bagno ogni momento
cercando di smaltire
un tedio truculento;
volsi, gran sventura,
quand’erano nel cesso,
che l’Vacca per natura
sgozzasse sulla tazza.
Due o tre sigarette,
via a piè sospinto,
di fumo e cenere
il cesso fu dipinto;
“Ragazzi”, dicea Peppe
“cercate di non fumar,
ci sono dei bambini,
si potrebber lamentar.
Codesto gabinetto
non è una fumeria,
se Preside passasse
vedremmo la sua ira!”
“Pepp, nun scass’ o’cazz,
nuie ccà avimma sgozzà”
proferirono poi i bruti,
con piglio fraudolento
e dopo una risata
fuggiron come il vento.
“Ma come non capire”,
chiedea il Peppe oneste,
“il retto comando della
mia Preside celeste?”
Abito sgargiante ed
indomita saggezza
sintassi, sì, stentata
e piccola d’altezza
la ricordava Peppe,
Maria Carla d’Allocco
alta un metro e mezzo,
in testa un rosa fiocco.
Forse un pò fascista,
ma certamente giusta,
e la sua presidenza
austera ed augusta;
il suo volere è legge
e nel vederlo infranto
il Peppe sconfortato
scoppiava in un gran pianto;
decise che l’oltraggio
andava ripagato,
il turpe fumatore
di subito punito.
Intraprese il viaggio,
così, il buon Peppone,
cercando la fortezza
del fetido squadrone.
Trovata la lor sede
bussò poi con scioltezza
“Scusi l’interruzione,
messagger n’porta pena,
ma se seguono a fumar
D’Allocco sarà nera.
Costoro sempre vegnon
e fuman come turchi;
e mai che sian sprovvisti,
di Camel non son parchi.
Li prego, li scongiuro,
ma non c’è niente da far:
han ruota sconfinata,
continuano a fumar.”
Sì dipartì l’Peppone,
dopo la proffa tacque;
un’omertosa socia
e fece calmar l’acque
capendo la lor rota.
Ma nonostante questo
fu subito sconforto
nell’esecranda banda:
il Vacca si lamenta
un pò sogghigna Sciambra.
Fu lì che il buon Luise
vinse sopra l’destino
e disse con vigore:
“Si faccia uno svuotino!”
“Parommi ben rischioso”
esclamò il Dodò
“il Peppe è già furioso
ed in bagno non si può!”
“Facciamolo in palestra”
tuonò convinto ‘l Vacca.
“Invero è un’idea buona:
lo fa sempre Magnacca.”.
Con gioia fu plaudita
cotanta genialata:
la furtiva masnada
discese giù in palestra
celando la cannetta,
guardinga e circospetta.
In una vuota sala
si chiusero i ragazzi
terror d’esser sgamati:
“se ci prendon sono cazzi.”
Così, dietro una porta,
con minima creanza
sgozzarono di pressa
mancanti di pazienza.
La sala s’inondava
di erba profumata,
la rota sconfinata
adesso si placava.
In meno di un minuto
sgozzato lo svuotino,
ma ricco di disagio
poscia fu il cammino:
procedevan adagio
i quattro birbantoni
cadevan per le scale
avanzavano a tentoni.
Al fine ritornarono
al loro angusto antro;
ma c’ora li abbandoni
il nostro aulico canto.
Intanto, Peppe andava,
per caso, giù in palestra
ed aguzzando il naso
sentì quel verde olezzo;
non sopportando l’onta,
in nostro eroe Peppone
con poca esitazione
scelse l’impiccagione.
“Fallita mia missione,
fallito sono io:
di ciò pago lo scotto,
l’anima rendo a Dio;
col cuore ho combattuto,
nemico del tabacco,
ma quattro ragazzacci
mi misero nel sacco.
Non ho salvato il bagno,
nè i loro polmoni:
fuggirono in palestra
diabolici sgozzoni!
Anatema su di te,
nasone d’un Vaccaro!
Possa tu affondarti
a livell’e Tarallaro!
Dannati anche voi
Luise, Schiavo e Sciambra
vi vada di traverso
questa dannata canna!
Possiate voi bruciare
tra fuoco e fiamme come
le vostre sigarette;
dal canto mio, m’appendo.”
E il cappio si stringette.
Un pensiero alla Carla,
agli aranciò capelli
e volò nel Paradiso,
dorato, dei bidelli.

FINE                 Sergio&Dodò di Sergio&Dodò.

Binario 2

postato il 25 Apr 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Non c’è posto più desolato e desolante di una stazione vuota. Solitamente, una stazione ferroviaria è un luogo che brulica di vita, di movimento. Anche in una stazione piccola di un piccolo paesino, basta guardarsi intorno, guardare qualche faccia, e sfido chiunque a non mettersi a pensare a come le vite di quelle persone siano diverse fra loro e dalle vostre, o come possano essere insospettabilmente simili, e come tutte, curiosamente, si intreccino per un attimo su quella banchina, per poi andare chissà dove e a fare cosa e non rincontrarsi mai più, o forse sì. Si ha la sensazione della vita, del movimento. Non è detto che sia sempre una cosa bella, magari guardi una persona negli occhi, per un attimo, e ti accorgi che è uno che scappa, che fugge, o uno che va, va, e non sa dove cazzo andare. Però, ad ogni modo, i binari sono le arterie e le vene di un paese, e per quanto ora ce ne siano altre forse migliori, per quanti possano essere care e scomode, guardare le persone che si muovono nei loro capillari è guardare la vita che scorre al suo interno. Quando ti ritrovi in una stazione deserta, per contrasto, hai l’impressione che il mondo sia fermo, un corpo morto e senza sangue; che tutto sia arenato su una banchina di cemento, che non ci sia nessun posto dove andare, e nessun modo per farlo e che forse in realtà nessuno ci vuole nemmeno provare. Come spiegare, altrimenti, quell’assurda assenza di vita? Dove sono le vite che fluiscono, le persone che scorrono? La risposta ce l’hai quando l’unico treno che passa è un enorme treno-merci, un verme di ruggine senza occhi che ti sfreccia accanto e ti ruggisce “Qui non c’è nessuno”. Tutto è fermo nella stazione, e ovunque guardi, la vita sembra essere d’accordo: anche il paesaggio, il mare e gli alberi, il rudere sulla collina, sembrano congelati, immobili nell’alba di un mattino di festa in cui è lecito dormire un po’ in più, e rifiutano di svegliarsi. Persino il tuo unico compagno, un cane nero e sonnacchioso che non riesce a scendere a patti con la luce del sole, rifiuta di svegliarsi. Pure io, quella mattina in stazione, rifiutavo di svegliarmi. L’ultima Chesterfield nel pacchetto sapeva di levataccia mattutina, e con lei  bruciava anche il breve intermezzo vacanziero che mi stavo lasciando alle spalle quella mattina. Si trattava di prendere un treno, e tornare alla routine, sulla strada mediamente ardua e un po’ ripetitiva che conduce in un posto che non si conosce, ma che comunque si deve, e si deve voler, raggiungere. E io, come si può fare solo dopo una pausa rigenerante, sapevo di dover tornare e di dover riprendere a camminare, e avevo la forza per farlo. Ma la stazione deserta sembrava dirmi che non potevo, che non c’era alcuna possibilità di andare per nessuno, che prendere quel treno e andare avanti non era cosa, e solo io al mondo, da solo davanti al binario in un mondo che sembrava felicemente statico, sembravo non averlo capito. Il cane fra il sonno e la veglia, il paesaggio fra la notte e l’alba, l’orizzonte nebbioso fra il mare e il cielo , io fra il piacere e il dovere; sembrava tutto fermo, congelato in un limbo,e se la vita non fluisce intorno a te, non puoi andare avanti da solo.

Poi pian piano la vita torna: dalle nebbie emerge il tuo amico con i biglietti in pugno, la casa dietro di te da segni di vita con rumori di sciacquoni e ciabatte. Alla  fine arriva anche il treno, e scopri che, incredibilmente, la gente che va e che viene c’è, che per fortuna il limbo e la solitudine erano solo lì e in quel momento, e ti basta la compagnia di qualche passeggero sconosciuto, di un calabrese che urla nel telefono e di una polacca che legge Moravia ma non spiccica una parola di italiano, per riprendere ad andare.

L’Ignobile Ignoto!

postato il 15 Apr 2011 in Main thread
da Deluded Wiseman

Attualmente per me l’ignoto ha un nome. E un cognome. E una forma fisica. E un numero di pagine. E anche una copertina. Avrete capito che parlo di un….libro, sì! Dieci punti a Grifondoro! Non giudicatemi come un azzeccato, abbiate pietade. E’ che ero seduto qua a confrontarmi con la mia innioranza sul da scriversi sull’innioto, quando ho visto con la coda dell’occhio fare bella mostra di sé, nella sua vocabolarietà, il mio libro di Diritto Privato, Albertone Trabucchi, anche detto “O’bambiniell”. Automaticamente mi è sovvenuta la drammatica cifra della mia esistenza, che forse qualcuno di voi poveri studenti riconoscerà come essere anche propria: con tutte le belle cose ignote che ci sono nel mondo, e di cui si potrebbe parlare, e di cui si potrebbe voler conoscere la natura, attualmente il mio maggior problema riguardo l’ignoranza e l’ignoto è costituito dal fatto che di quelle milleduecento pagine delle quali io dovrei conoscere il contenuto, ho provato a conoscerne solo un terzo, e forse manco un terzo di questo terzo(un nono del totale!) mi è effettivamente noto. Come forse avrete intuito, vivo la cosa con una certa drammaticità,  che magari per ora somatizzo ridendoci e guasconandoci su, ma presto potrei arrivare ad esser fonte d’ispirazione per il miglior Sofocle. Già ora sono preoccupanti le somiglianze che ravviso fra il mio libro di cotale materia e l’idea stessa di Ignoto. Ecco, se dovessi immaginare proprio l’idea di Ignoto, ma proprio Plato-style, capite, sarebbe una palla nera, di un nero becero, impenetrabile; in mezzo a tutte le simpatiche idee fluttuanti(ricordo che nel mio sistema filosofico le idee delle cose sono delle palle con l’immagine più scontata della cosa in questione dentro. Es:l’idea della sedia è una palla con una sedia dell’Ikea, color fòrmica, dentro), c’è questa sfera nera come la pece. Impenetrabile, sì, ma non troppo: nel senso che, fondamentalmente, l’uomo nella sua storia non fa altro che cercare di guardarci dentro, spronato dai più vari motivi(necessità biologica, curiosità, ruota di femmine), e ogni tanto effettivamente riesce a illuminarne un pezzo e butta qualche occhiata dentro. Però per quante occhiatone anche ragguardevoli vi siano state buttate, c’è sempre il nucleo dell’Ignoto, il gustoso cuore di tenebra che rimarrà sempre, appunto, Ignoto, per quanto l’uomo gli rosicchi intorno. Per esempio, dopo anni abbiamo finalmente scoperto che è stato Obi-Wan a sfregiare mortalmente Anakin Skywalker, ma non potremo mai sapere cosa ha spinto il maestro Jedi a prendere i voti e diventare Padre Pio! Per dirne una. Scusate. Ed ecco, allo stesso modo, guardandomi intorno vedo un sacco di cose che, suppergiù, posso dire di conoscere: i miei fumetti, le mie casse, il mio accordatore, la home di Youporn, quei demo che girano su Fb, sempre loro, da quindici anni, e poi lui: questo parallelepipedo blu che, invece, ignoro nel profondo. Posso provare a gettarci occhiate dentro, sì. Un po’ l’ho fatto. Ma esso è sostanzialmente impenetrabile: se provo ad aprirlo, così, in una pagina a caso, sarà un po’ come gettare lo sguardo nell’abisso di pece dell’Ignoto stesso! Esso mi respinge, mi spaventa, e allo stesso tempo mi attrae, mi cattura, come l’Ignoto ha fatto per millenni con l’uomo, perché è proprio lì che c’è la conoscenza che ci serve! La devo pur pigliare sta laurea, mannaggia bìmbùmbàm. E potrò anche conoscerne un po’, per carità. Ma un po’. Per esempio, sicuramente potrò imparare che il matrimonio si può intendere in due sensi, come atto giuridico(matrimonium in fieri) e come rapporto giuridico “matrimonium in facto”. Ma potrò mai sapere chi cazzo se ne frega? Ignoto, ragazzi, ignoto.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      Però alla fine lo so, lo dicevo anche prima, che è un peccato che con tutto quel ben di dio che c’è nella suddetta palla nera, la mia attenzione, almeno mentre scrivo questo coso, sia focalizzata sulla quarantesima quarta(sic) edizione di “Istituzioni di Diritto Civile”. E dire che ci sono sicuramente molte cose di gran lunga più attraenti, che pure siano ascrivibili all’insieme delle cose “ignote”. La verità sull’origine dell’universo, su Dio e la vita dopo la morte e tutto,  il codice della carta di credito del nostro Premier, le fattezze ignude di Robin di How i met blabla, l’ubicazione del Graal, il vero trucco di Superman per non farsi riconoscere(il ricciolo non basta, dai), la cura per il cancro, la vera identità del Milite Ignoto, e via dicendo, per fare qualche esempio.                                                                                                                                                                       Magari fra dieci minuti mi passa, ma ora è così. Me ne dispiace, eh, altro che no, potrei perdere delle occasioni importanti; pensate se fossi stato Adamo, anzi Eva. Sarebbe potuta andare in questa squallida maniera:                                                                                                                                                                                                                                         Serpente: “Yo, Eva. Se mangi il frutto proibito, conoscerai il Bene e il Male.”                                                                                                                                                                                             Io: “Ah.”                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       S.: “Conoscerai la verità sull’Universo che ti circonda, sulla vita, sulla morale, sul giusto e sullo sbagliato, sul Disegno di Dio, sul finale di Lost  e altre meraviglie sconosciute!”(ai tempi dell’Eden non era ancora finito, sapete)                                                                                                                                                                                                                        Io: “Ho capito.  E il Diritto Privato?”                                                                                                                                                                                                                                                                               S.: “Non lo so..penso si possa ricomprendere in “Male”, ma sinceramente non saprei..”                                                                                                                                                                       Io: “Vabbè, allora non so.”                                                                                                                                                                                                                                                                                                     S :”Però sarai padrona della tua vita, e della conoscenza! Non più cieca marionetta a spasso lungo il sentiero che Dio ha disegnato per te, ti ergerai, torreggiante, sull’Universo che ti circonda, travalicando gli angusti confini per te predisposti dal tuo tirannico Creatore!”                                                                                                                            Io: “E pensi che potrebbe fare buona impressione sul Professore?”

E tipo così. Tipo che se ero Socrate, che sapevo di non sapere,  se guardavo il Trabucchi mi facevo pigliare per pazzo e piangevo per giorni, che manco le ragazzine emo di Piazza Dante(che mo invece sono indie con la reflex. Mah. Ignoto.)Non son cose belle, no.                                                                                                                                                                Ma devo dire che ci sono cose peggiori…potrebbe piovere. Oppure potrei pensare al futuro, che è un po’ l’ignoto jolly, quello con la IGN maiuscola. Quello sul quale forse varrebbe la pena postare, e disquisire, dico io! Però mi sa che non è arte mia. Vi dico solo che se dovessi fare un post su quello che mi passa per la testa quando penso al mio futuro, le tag sarebbero “guerra e povertà globali”, “sventure letali e imprevedibili” “disoccupazione/insoddisfazione” ,“muoio solo”, “muoio in compagnia ma povero e un po’ troppo presto”, “forse era meglio morire subito dopo aver perso la verginità”, “vergogna”. Se, invece, tanto per rimanere in tema di grandi interrogativi, facessi un post sulle scelte della mia vita e su ciò che si cela dietro quelle proverbiali porte che non ho aperto, le tag sarebbero “era sicuramente meglio colì”, “ma chi me lo ha fatto fare” , “rimorso”, “vergogna”, “almeno non pioveva”. Ehi, e mo che ci penso, lo avevo davvero rimosso, un post sul futuro l’ho fatto! Chi lo ha letto ricorderà l’immagine di totale sconforto e pesantezza che trapelava da quello scritto! Ohohoh, pare proprio che non mi leggerà più nessuno!

No, non fatelo, è solo che certe volte mi deprimo. Se fate i bravi , sotto vi linko una barzelletta. La verità, ve ne sarete pur resi conto è che io ho una fottuta paura di sta roba. Probabilmente perché la conoscenza è potere, l’ignoranza è totale mancanza di controllo. E il sapere di essere totalmente impotente sulla cosa più importante, il mio stramaledettissimo futuro, mi riesce difficile da accettare. Mi è sempre riuscito difficile accettare le cose sulle quali sono impotente, come dicevo l’altra sera, fra le lacrime, mentre si parlava di sesso. Alla fine il problema di quella grossa palla nera è che ci viviamo dentro, immersi fino al collo nella pece e cosparsi, per sfregio, di piume. E io ho qualche problema con questo.                                                                                                                                                                                                                                                             A questo punto, che vado trovando, ci potrebbe chiedere? Di sapere dov’è che vado a parare con la vita, cosa mi aspetta dietro a ogni curva, e di cacciare l’ignobile ignoto dalla mia vita? No(al massimo vado trovando di sapere dove vado a parare con questo post), che sfizio ci sarebbe se no? Ci sono un tot di cose, un bel tot, che han da rimanere sconosciute, in primis il futuro. Altrimenti, ci pioverebbe addosso un esplosivo mix di perdita di voglia di vivere, di possibilità di trarre piacere da quei rari momenti felici,  e soprattutto una vagonata di ansia tremenda per i momenti brutti. Non c’è bisogno che ve lo dica io: li abbiamo visti quei film dove, per esempio, il tizio sa che la sbarba morirà cadendo dallo sgabello della cucina mentre cucina i Teneroni Rovagnati, e allora mette i pavimenti morbidosi e i puff ovunque, e lei si affoga proprio col Tenerone Rovagnati. Non dico che è il destino, ma sappiamo tutti che conoscere il futuro potrebbe provocare più problemi che altro. Va da sé che anche la conoscenza totale del presente non avrebbe giovato all’uomo come specie. Ma se qualcuno potesse fare qualcosa per il Diritto Privato, io non mi formalizzerei. Questi ultimi righi di ovvietà per dire? Che non so di cosa mi sto lamentando. Non ho niente da obiettare alla sana ed efficiente divisione dello spazio e del tempo in Noto/Ignoto. Fondamentale e sacrosanta. Però, io provo davvero un senso di sgomento la maggior parte delle volte che cerco di pensare a quello che sta al di la del patetico cerchio di luce che ho intorno, quello che sembra fatto da un Geomag fosforescente che non piglia sole da tre giorni. Alla fine, penso sia un problema comune un po’ a tutti, chi più chi meno.  Bè, mi congratulo coi “meno!”. C’è chi si preoccupa poco, e si guarda intorno con speranza e fiducia, e chi è come me, che si guarda intorno con speranza e fiducia(non è che passo il a piangere nell’oscurità!). Mi guardo intorno con fiducia, e dico :”Cazzo, và quante bellle cose che mi può riservare il domani! Và quante belle cose da conoscere ed imparare!” Vi giuro che lo faccio. Poi però penso: “Oh cazzo, potrebbe andare tutto a puttane! Oh cazzo, non so praticamente nulla di quello che mi gira intorno! Non so nemmeno cosa mi gira dentro!”. Da qui le vagonate di ansia che riverso su di voi allorquando un post me ne offre l’occasione.                                                 E lo sapete qual è un’altra grande cosa che veramente ignoravo quando ho iniziato a scrivere questo post? E’ che alla fine avrei concluso decidendo che il mio libro di Diritto Privato, come attuale raffigurazione e simbolo di quello che è per me l’Ignoto, è davvero la meno shockante fra le varie alternative papabili!

PS: La barzelletta di cui sopra.

Superumano!

postato il 16 Mar 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Deluded Wiseman

Non capisco quest’avversione verso il nucleare.  Radiazioni qui, radiazioni là, scorie, cernobbill, bla bla.  Mah. Quello che vi sfugge è il quadro d’insieme. Lo riassumerò molto semplicemente: sì al nucleare=>più centrali nucleari. Più centrali=>più incidenti. Più incidenti=>più esplosioni. Più esplosioni=>più radiazioni. Più radiazioni=>più ragni radioattivi. Più ragni radioattivi=>più Uomo Ragno per tutti. Ok, magari con l’Uomo Ragno sono andato troppo in là. Ho puntato troppo in alto. I ragni che mordono, a questi climi sono pochini, si sa.  Però, il discorso resta validissimo in via generale. Più radiazioni nell’aria, più esplosioni, comportano, è la scienza a dircelo, più fantastiche origini di superumani. Pensateci. Più poteri per tutti. Potrebbe essere la nostra ultima chance di essere Hulk, l’ultima speranza di donare all’Italia i suoi Fantastici 4.  Di permettere che, con il tempo, una nuova specie di Homo superior mutanti, dotata di incredibili poteri, salvi il Paese dallo squallore in cui versa. Niente più auto e inquinamento; tutti fra le nuvole a svolazzare. Niente criminalità e spese per la sanità, che tanto con artigli e fattore rigenerante si risolve tutto. Il capo ti fa incazzare? Eualà, “Hulk spacca”, e tutto si risolve. Senza manco preoccuparti di fargli troppo male, che tanto lui ha i poteri della Cosa. E niente più problemi di stampa faziosa e sediziosa: informazione pura e corretta per tutti, tramite telepatia. Dai, ci pensate? Non è quello che avete sempre sognato, spaccare i culi con i vostri superpoteri badass, e indossare con fierezza le mutande sopra le braghe, che tanto se avete il potere di mille soli che esplodono ve lo potete permettere. Una nuova età dell’oro, l’età del Superumano, si profila davanti a noi, e il suo avvento passa per il nucleare. E’ vicino il giorno in cui tutti potremo dire, salvando qualche sfigato senza poteri da morte certa per defenestrazione: “Non si preoccupi, la tengo io.” Ed alla domanda: “Davvero, e chi tiene lei?*”, potremo fieramente rispondere: “Il nucleare*”. E  voi, rifiutate questo giorno perchè  “i nostri figli non devono crescere vicino a una centrale nucleare”, perchè “le scorie non si smaltiscono”, perchè “i tumori”, perchè “le pecore a tre teste”.  Definireste l’Uomo Ragno un tumore? I mutanti una scoria? Ma sapete che per ogni pecora a tre teste c’è un figlio dell’Atomo, superforte e che spara raggi dalle mani, pronto a traghettare il mondo verso l’utopia? Sapete che il futuro è radioattivo? Il 12 giugno vota “NO” al referendum sul nucleare. No a chi vuole il mondo relegato nella mediocrità.  Sì al Superumano(e a Valsoia).

*Corri a vedere la prima scena con Superman in Superman I con Christopher Reeves, ‘gnurant!

 

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