Assurdo!

postato il 30 Set 2010 in Main thread
da Nigredo

Per me una delle definizoni più singolari di “assurdo”, nonché una delle più suggestive, rimane quella di “concetto che era ritenuto fantastico e impossibile fino a poco tempo prima e a cui si è fatta l’abitudine”, definizione questa che inquadra abbondantemente quasi tutte le scoperte del nostro secolo. Se ci fermiamo un secondo a riflettere infatti, noteremo che è quantomeno assurdo pensare che stiamo scrivendo e immettendo dati (al fine di una fruizione collettiva) in un posto che fino a prova contraria non si sa nemmeno bene dove sia, e che è pieno di parole che neanche esistono in termini reali, materiali. Ciò che vediamo, tocchiamo, esiste frammentato, in una forma pseudosimbolica incomprensibile a noi umani e che nulla porta seco della natura con cui noi la immaginiamo. Una persona che fosse vissuta diciamo 40 anni fa (e non esagero) vedendo un computer probabilmente si sarebbe chiesta, del tutto lecitamente “dove va a finire” tutto quello che digito, abituata al fatto che la sua macchina da scrivere, sebbene automatizzi una procedura lenta come la grafia manuale, comunque rende immediatamente “tangibile” ciò che si elabora. Spiegare che ogni tasto premuto scatena reazioni indicibili che si concludono in uno stream di dati frammentato e spedito in posti diversi del mondo, a cui però ognuno può miracolosamente “riaccedere” per mezzo di parole chiave che riescono in pochi decimi di secondo a recuperare tutto quanto, a ricomporlo e a visualizzarlo sullo schermo (che è un aggregato denso di milioni di lampadine) può risultare quantomeno controintuitivo. Ma la cosa che ritengo più assurda non è la (naturale) reazione di stupore che un uomo del passato potrebbe avere per tutto questo, quanto la (altrettanto naturale) reazione di scontatezza che tutti noi ci riserviamo di avere al cospetto di queste cose. Obiettivamente, credo infatti che nessun uomo sul pianeta allo stato attuale delle cose abbia la conoscenza completa per descrivere nei minimi dettagli cosa accade dal momento in cui premerò il prossimo tasto al momento in cui tutto questo sarà accessibile dalla rete, da tutti voi, da ogni posto del pianeta. Un informatico potrebbe descrivermi nel dettaglio i protocolli che si occupano di spezzare tutti questi dati, di comunicarli da un computer all’altro e il modo in cui detti computer trattano i dati e li interpretano, ma il come tutti i suoi flussi di dati possano passare poi attraverso un cavo gli sembrerebbe in definitiva una magia. Allo stesso modo, un elettronico potrebbe descrivermi in maniera accurata come degli stati logici e delle cifre possano essere trasformati in segnali elettrici e trasportati a grande distanza, senza però avere la minima idea di come questi, passando per una serie di trasformazioni incredibili, possano diventare immagine, testo. Un bravo ing. delle TLC probabilmente saprebbe dirmi come far passare un segnale in pochi millesimi di secondo da casa mia a una deteriorata centralina telefonica di Bangkok, senza avere la minima idea di cosa quel segnale trasporti. Eppure, tutti noi diamo per scontato che questa magia – sostantivo che incarna bene tutta una serie di processi che non hanno spiegazione – possa avvenire. Ci accontentiamo di dire che “è ovvio che succede, perché c’è una tecnologia che provvede a questo”, senza renderci conto che questa affermazione è intrinsecamente vuota, una sorta di religione con la certezza dell’esistenza di Dio.

E infatti, la cosa più assurda delle religioni, secondo me, non è il supporre senza alcuna prova l’esistenza di qualcuno o qualcosa, quanto l’idea che, qualora questo qualcosa esiste, esso costituisca una spiegazione soddisfacente al perché dei fenomeni. “Il mondo esiste perché l’ha creato Dio”, e allora? Il problema non è il “chi”, quanto il “come”! Una spiegazione non può essere ritenuta tale se non da indicazioni esaustive sulle meccaniche che regolano le trasformazioni, gli eventi, lo svolgersi dei fenomeni studiati. Allo stesso modo è assurdo che un fisico possa ritenere di aver capito come funziona l’universo basandosi sulla validità di formule che tuttavia non può capire, nel senso più immaginatorio del termine. Egli prevede l’andamento degli esiti di vari esperimenti, alla perfezione, senza riuscire minimamente ad immaginare come quei dati possano coerentemente fondersi con l’idea che ha in testa di “particella” vista come una pallina di gomma, che dovrebbe scomparire e ricomparire qui e là. L’assurdo, l’assurdo vero, è che ogni giorno che passa è un giorno di progresso, di conquista, che altro non fa che portarci più vicino all’inconcepibile, ad una trama di conoscenze imbrigliate talmente complicata che mai avremo la capacità di spiegarci completamente il perché qualcosa accada, eppure questa convivenza forzata con l’inconcepibile fa sì che della sua presenza non ce ne accorgiamo nemmeno. Anche solo guardando il pavimento e chiedendomi “come faccio a camminare?” potrei dare adito ad una serie di dissertazioni che mi porterebbero dall’anatomia alla scienza dei materiali, alla statica, alla quantistica, alla neurologia. Noi letteralmente VIVIAMO nell’assurdo, e non riusciamo a farci caso. In termini filosofici, la grande conquista che il nostro tempo e la nostra esperienza odierna ci hanno dato è secondo me che la conoscenza intesa in senso classico, come “comprensione della natura di un fenomeno” non vuol dir nulla, perché è una condizione irrealizzabile: conoscere la natura di un ente qualunque che non sia ideale è impossibile. Ovvero, la conoscenza è necessariamente conoscenza sommaria. L’atto di conoscere in se presuppone un’approssimazione, un dare per scontato una quantità così strabordante di cose che alla fine, della natura intrinseca del nostro ente sappiamo ben poco. È come vedere un lago in lontananza, piccolo eppure ben delineato, e accorgersi che, mano a mano che ci si avvicina ad esso, ci si ritrova avvolti in uno strato di nebbia sempre più fitto, invalicabile. Più approfondiamo la conoscenza di qualcosa più la nostra idea di conoscenza diventa vaga, senza senso. Paradossalmente, più conosciamo più non conosciamo, guadagnando dati oggettivi al prezzo della capacità di interpretarli. Questo, per me, è davvero assurdo.

…E ora scriverò “a” 16 volte per arrivare a mille parole di post.

a a a a a a a a a a a a a a a a.

La rivoluzione dell’eguaglianza. Così magari mf ci degna di un commento.

postato il 29 Set 2010 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

La rivoluzione dell’eguaglianza

L’intervento di Stefano Rodotà al terzo Festival del diritto di Piacenza.

di Stefano Rodotà, la Repubblica, 22 settembre 2010

Quando, alla fine del Settecento, sulle due sponde del Lago Atlantico le dichiarazioni dei diritti pronunciano le parole «tutti gli uomini nascono liberi e eguali», si manifesta pubblicamente la fondazione di un’altra società e d’un altro diritto, e “la rivoluzione dell’eguaglianza” diviene un tratto caratteristico della modernità. Per l’eguaglianza comincia una nuova storia, nella quale si riconoscono riflessioni millenarie e diffidenze mai sopite, con una ritornante contrapposizione della libertà all’eguaglianza. È una vicenda che attraversa due secoli, non è conclusa, nel Novecento ha conosciuto tragedie, ma ha pure generato una promessa che ancora ci sfida e attende d’essere adempiuta.

Con questi dilemmi si misurano, nel momento fondativo della Repubblica, i costituenti italiani. Riconciliare libertà e eguaglianza è tra i loro obiettivi. E nasce un capolavoro istituzionale, l’art. 3 della Costituzione, frutto di un incontro tra consapevolezza politica e maturità culturale oggi impensabile. Muovendo da qui, si possono indicare sinteticamente alcuni itinerari da seguire perché davvero si possa essere liberi e eguali.

1) Un esercizio di memoria, anzitutto. La triade rivoluzionaria «libertà, eguaglianza, fraternità» vede precocemente dissolto il legame tra libertà e eguaglianza dal ruolo attribuito alla proprietà (Napoleone, nel proclama del 18 Brumaio, parlerà di «libertà, eguaglianza, proprietà»). La proprietà si presenta come presidio della libertà: solo il proprietario è davvero libero, e così torna il germe della diseguaglianza che sarà all’origine delle tensioni dei decenni successivi.

2) Proprio il tema delle diseguaglianze economiche, e più in generale “di fatto”, caratterizza l’art. 3 della Costituzione, dove si prevede che compito della Repubblica sia quello di rimuoverle. In questo riconoscimento dell’eguaglianza sostanziale, che segue quello dell’eguaglianza formale, si sono visti «due modelli contrapposti di struttura socio-economica e socio-istituzionale», «l’uno per rifiutarlo, l’altro per instaurarlo». Ma non possiamo più dire che si tratta di una norma a due facce, l’una volta verso la conservazione dell’eredità, l’eguaglianza formale; l’altra rivolta alla costruzione del futuro, l’eguaglianza sostanziale. Già l’inizio dell’art. 3, che parla di dignità sociale, dà evidenza a un sistema di relazioni, al contesto in cui si trovano i soggetti dell’eguaglianza, poi esplicitamente considerato dalla seconda parte della norma. Questa lettura unitaria dell’articolo non ne depotenzia la forza “eversiva”, ma dice che la stessa ricostruzione dell’eguaglianza formale non può essere condotta nell’indifferenza per la materialità della vita delle persone. E la concretezza dell’eguaglianza ha trovato riconoscimento nella versione finale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dove il riferimento astratto “tutti” è stato sostituito da “ogni persona”.

3) Il riferimento alla dignità dà ulteriori indicazioni. Descrivendo il tragitto che ha portato all’emersione dell’eguaglianza come principio costituzionale, si è parlato di un passaggio dall’homo hierarchicus a quello aequalis. Ora quel tragitto si è allungato, ci ha portato all’homo dignus e la rilevanza assunta dalla dignità induce a proporne una lettura che la vede come sintesi di libertà e eguaglianza, rafforzate nel loro essere fondamento della democrazia. L’antica contrapposizione tra libertà e eguaglianza è respinta sullo sfondo dalla loro esplicita associazione nell’art. 3. A questo si deve aggiungere l’«esistenza libera e dignitosa» di cui parla l’art. 36. Dobbiamo concludere che l’ineliminabile associazione con la libertà è la via che immunizza dagli eccessi dell’eguaglianza e dalle ambiguità della dignità, che tanto avevano inquietato nel secolo passato e che proiettano ancora un’ombra sulle discussioni di oggi?

4) L’eguaglianza oggi è alla prova delle diversità, e più radicalmente della differenza di genere. La Carta dei diritti fondamentali «rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica» e stila l’elenco fino a oggi più completo dei divieti di discriminazione. Il rispetto delle diversità diventa così fondamento dell’eguaglianza, in palese connessione con il libero sviluppo della personalità, dunque con una rinnovata affermazione del nesso tra eguaglianza e libertà. E l’eguaglianza si dirama in due direzioni. Da una parte, si presenta come rimozione delle cause che producono diseguaglianza; dall’altra, come accettazione/legittimazione delle differenze, rendendo esplicita la sua vocazione dinamica, “inclusiva”.

5) Si distingue tra eguaglianza delle opportunità o dei punti di partenza e eguaglianza dei punti di arrivo. Negli ultimi tempi, ponendo l’accento sulla difficoltà delle politiche redistributive, si è quasi cancellato il momento dei risultati con un riduzionismo improponibile. Un solo esempio: per la tutela della salute si può prescindere dall’effettiva disponibilità dei farmaci? Altrimenti si rischia di consegnare al cittadino “eguale” una chiave che apre solo una stanza vuota.

6) L’eguaglianza riguarda l’accesso ai beni della vita. Alla conoscenza, superando ogni “divario”, e non solo quello digitale. Alla salute e al cibo, che non possono essere affidati alle disponibilità finanziarie. Al lavoro, che non può subire le esigenze della globalizzazione fino a cancellare la dignità della persona. Altrimenti, il peso delle diseguaglianze, associato alla pura logica di mercato, fa rinascere la cittadinanza censitaria. E la disponibilità crescente di opportunità tecnologiche, l’avvento del post-umano, impongono una attenzione forte per eguaglianza e dignità, insieme a una libertà declinata come autodeterminazione.

7) L’associazione di eguaglianza, libertà e dignità può metterci al riparo dal rischio dell’eguaglianza assoluta o estrema, che dissolve la società e attenta ai diritti delle persone. Ma le difficoltà antiche e nuove delle politiche egualitarie, la pressione delle identità possono indurre ad un pericoloso realismo che accantoni l’eguaglianza come inservibile. Errore politico e culturale clamoroso. La costruzione infinita della persona eguale rimane tema ineludibile. L’eguaglianza non significa solo divieto di leggi ad personam, ma garanzia del legame sociale. Proprio quando è negata, è lì ad ammonirci, a inquietare le coscienze. Rimane un potente strumento di azione culturale e lotta politica, “eversivo” rispetto a ogni tentativo di restaurare gerarchie sociali e di distorcere la democrazia.

La ristrettezza mentale della scienza ufficiale

postato il 28 Set 2010 in Main thread
da Azazello

La scienza, si sa, si accompagna storicamente ad un certo grado di chiusura mentale. Possiamo prendere ad esempio una qualunque delle classiche verità ampiamente comprovate dall’esperienza e dalla tradizione ma mai riconosciute dalla scienza cosiddetta “ufficiale”: l’energia vitale e il suo uso, la medicina omeopatica, i poteri E.S.P., la fallacia dell’evoluzione …(la lista sarebbe ancora lunga, ma ci fermiamo per arrivare al punto)

Mi sono imbattuto di recente in una pratica che, a mio avviso, è scandaloso non sia riconosciuta in modo ufficiale e che anzi, è riguardata come sciocca e finanche truffaldina dagli ignoranti in materia. Sto parlando della divinazione, in particolare quella tramite i tarocchi, tradizione antichissima e molto potente che meriterebbe molto più spazio nella nostra cultura moderna e tecno-dipendente. Non sto a spiegarvi tutto il significato dei singoli tarocchi né a raccontarvi come essi rappresentino l’universo stesso e possano costituire il Tutto dallo Zero, né starò a spiegare nel dettaglio il rito della divinazione perché è complesso e richiede una dedizione che pochi dei lettori potrebbero dedicarvi.

Mi limiterò a dire che il rito prevede molteplici fasi, di cui la prima consiste nell’identificare la Carta che rappresenta l’Interrogatore, quindi varie divisioni successive delle Carte in diversi mazzetti, ciascuno dei quali rappresenta una possibile sfera di attinenza della domanda. La domanda che l’Interrogatore vuole rivolgere al praticante è definita dal mazzetto in cui si trova la carta corrispondente allo stesso, ovviamente, e capirete bene che se non vi è coincidenza fra la domanda che l’Interrogatore pone e la sfera di attinenza definita dalla posizione della sua Carta all’interno dei mazzetti, la divinazione fallisce e va ripetuta. Una volta definita la corrispondenza tra la sfera di attinenza definita dalle Carte e la domanda effettiva, il mazzetto viene usato per delineare, carta per carta, una storia dell’Interrogatore. Chiaramente questa storia può non essere certa al 100%, ma deve essere raccontata in modo plausibile affinché si avvicini alla realtà. Se la storia si rivelasse troppo lontana da quella effettiva, la divinazione sarebbe evidentemente fallita e andrebbe ripetuta. Seguono fasi analoghe di mescolamento e divisione in cui viene man mano raggiunta la maggiore specificità della domanda che l’Interrogatore vuole porre (chiaramente la divinazione fallisce se la domanda reale non coincide con ciò che le carte indicano e va ripetuta) e infine si definisce la risposta tramite una pratica complessa (che non sto a spiegarvi) consistente nell’interpretazione del praticante, alla luce della domanda a questo punto rivelata, di una serie di Carte.

Ora, il punto è che questa pratica funziona. Basterebbe osservare come sia stata in uso per tanti anni senza mai essere abbandonata per averne la prova, ma ho voluto usare un metodo scientifico per dimostrarlo, visto che gli scienziati “ufficiali” sono così riluttanti ad ammetterne la validità. Naturalmente io sono un praticante inesperto ed è a questo che vanno attribuiti i numerosi fallimenti, ma il fatto che perfino io sia riuscito, tramite una pratica così complessa, a ottenere risultati credibili è sorprendente di per sé.

Ho preso 10 persone di mia conoscenza e ho provato a fornire loro una divinazione. A ciascuno dei soggetti è stato preventivamente chiesto di porre una domanda il cui esito fosse verificabile entro poco tempo, al fine di poter raccogliere rapidamente i risultati. Ebbene, con tutti e dieci le Carte hanno, dopo un po’ di tempo e di prove, identificato (con quel tanto di precisione sufficiente  a rispondere, ovviamente, non parola per parola) la domanda che volevano pormi, a tutti loro è stata fornita una risposta soddisfacente e ben sette su dieci si sono rivelate esatte. Vi riporto i dati:

  • Soggetto 1: 6 divinazioni fallite, la domanda era “Supererò l’esame per cui studio con tanto impegno da sei mesi?” e la risposta (corretta) era positiva, evidenziava grande soddisfazione ed allontanamento dalla disgrazia
  • Soggetto 2: 5 divinazioni fallite, la domanda era “La mia fidanzata intende lasciarmi?” e la risposta (corretta) era ancora una volta di connotazione positiva, indicava sicurezza e assenza di cambiamenti
  • Soggetto 3: 2 divinazioni fallite, la domanda era “Vincerò al superenalotto?” e la risposta (corretta) indicava delusione, illusione e crollo delle ambizioni
  • Soggetto 4: 13 divinazioni fallite (è stata dura, per un praticante inesperto come me), la domanda era “Mia nonna (in ospedale da qualche mese, ndr) morirà a breve?” e la risposta (per fortuna, errata) indicava sofferenza, morte e cambiamento
  • Soggetto 5: 8 divinazioni fallite, la domanda era “Stanotte andrò a letto con una donna?” (il soggetto avrebbe partecipato a una festa quel giorno, ndr) e la risposta (corretta) indicava fallimento, disillusione, crollo
  • Soggetto 6: 3 divinazioni fallite, la domanda era “Domani sarà bel tempo?” (il soggetto era stato invitato ad andare al mare, ndr) e la risposta (corretta) indicava sicurezza, giustizia e realizzazione
  • Soggetto 7: 6 divinazioni fallite, la domanda era, genericamente, “Come sarà la giornata di domani, per me?” e la risposta (errata) indicava cambiamento, positività, gioia
  • Soggetto 8: 10 divinazioni fallite, la domanda era “Oggi arriverà il pacco che aspetto da due settimane?” e la risposta (corretta) indicava positività, cambiamento, successo
  • Soggetto 9: 5 divinazioni fallite, la domanda era “Oggi avrò delusioni a scuola?” e la risposta (errata) indicava morte, sofferenza, crollo delle ambizioni
  • Soggetto 10: 6 divinazioni fallite, la domanda era “Il risultato di questa divinazione sarà esatto?” e la risposta (corretta) indicava successo, ambizione

Come interpretare questi dati? beh, considerando che per me è una pratica nuova, è chiaramente un successo e dimostra inequivocabilmente la sua validità (7/10 per un inesperto è tantissimo). Non resta che domandarsi: com’è possibile? Io non lo so. Secondo il testo a cui ho fatto riferimento per imparare, tutto sta nella natura delle Carte stesse, entità potenti e mistiche; secondo altri tutto sta nella mente dell’Uomo, che deve solo usare appieno le sue potenzialità latenti e può, in un certo senso, sbloccarle tramite le Carte; secondo altri ancora le carte fungono da tramite tra l’Uomo ed altri Enti onniscienti che permeano l’emotività del praticante e ne dirigono l’interpretazione verso la via esatta. So solo dire che la divinazione è chiaramente un rituale molto potente, di cui ho percepito la pressione per tutta la durata dell’esecuzione e ho ritenuto opportuno condividere con voi questo mio lavoro, sperando di dissipare almeno un po’ l’alone di squallore e di cecità che la scienza ufficiale ha gettato sulle menti di noi tutti.

postato il 27 Set 2010 in Main thread
da ad.6

INIZIO
Il fatto che questo post non inizi parlandovi di se stesso potrà in principio sembrarvi strano, singolare, ma vi assicuro che non è come credete. L’autoreferenzialità è stata infatti da me più volte bollata come assolutamente coerente con se stessa e col mondo, cosa per cui mi risulterebbe come minimo svantaggioso il parlarne ed ancora maggiormente il non parlarne, per cui:
INIZIO
che a sua volta non inizierà come inizia, sono costretto a dire. Inizierà quindi col dire, parliamo sempre dell’Inizio, cosa ne pensa del concetto che dà gaiezza a questo mese! (D’altra parte non credo sia giusto o coerente far parlare altri al mio posto, ma tante sono state le richieste dei lettori che visto il post e trovatolo bello mi hanno scongiurato di scriverlo per come essi lo avevano letto, che davvero non me la sono sentita di deluderli! Questo certamente tralasciando il fatto che si sarebbero di sicuro seccati di non aver letto ciò che avevano letto, rovinando così la loro preziosa giornata.
INIZIO
link-reale-dall-inizio-del-post-fino-esattamente-alla-i-di-questo-qui-qui-qui¹.
Adesso, una volta letto per intero l’Inizio di questo post, nota acclusa, possiamo finalmente dare la parola all’Inizio come in esso ci prefiggevamo.
Inizio: “Eccomi! Essendo io l’inizio del post è inequivocabile che qui il post abbia
INIZIO
quindi potete agevolmente leggerlo partendo da qui, cosa che io stesso ho fatto, compiacendomene. Diciamo che, giusto a titolo informativo, mi è venuta presto l’idea di non scrivere un post informativo sull’assurdo, ma di entrarci dentro quanto potevo, benché abbia spesso scambiato l’assurdo per congruenza ed affermazione. In questo modo ho terminato adesso il succitato post, in onore alla coerenza che mi sono imposto quando l’ho iniziato. D’altra parte ho subito affrontato il grave dilemma, ossia il fatto che per scrivere cose assurde bisogna pur sempre accennare alle cose non assurde, vanificando l’assurdità generale”.
Inizio: “Infatti è in questa maniera che ad.6 ha provato, pubblicando il post e fallendo”.
ad.6: “Non confermo quello che dici. Lo nego, anzi”.
Inizio: “Banale. Credo invece che il modo, forse l’unico modo per parlare di Assurdo, sia quello di ristabilire in maniera fittizia e palesemente reale, in un racconto, l’assiomatica del mondo fingendo e credendo profondamente, dal nostro punto di vista, che sia reale. Insomma, un po’ quello che fece Dio quando creò il mondo! Così, vedete, Inizio ha cominciato a creare se stesso, il suo mondo con tutte le sue ragionevoli regole (circonferenza/diametro = 3), con se stesso e le sue infinitesime particelle (realmente) elementari che si muovono e possono star ferme, come tutto il resto delle cose. Ha quindi di seguito voluto tener fede a quanto detto e così ha creato un mondo impossibile con regole assolutamente fantastiche (circonferenza/diametro = pi), con me (ad.6), che ne scriverò quando arriverà il momento, con voi che adesso leggete e con tutte le infinitesime particelle che si comportano in modo abbastanza incredibile (per il nostro Inizio, così creativo). Quello che ha creato, essendo di fantasia tanto fervida, è un mondo dove l’errore è assiomatico, l’incompletezza un dato di fatto, il paradosso una possibilità espressiva. Non un granché di mondo, evidentemente. Ha quindi passato il resto della sua vita a rendere più plausibile il proprio mondo, perché, per contrasto, ne risultasse veramente assurdo il solo dei due ad essere stato inventato, benché lo fossero entrambi. Nacque come sappiamo e come indubbiamente fu, visse e pensò che rispetto al suo mondo la cosa più assurda di tutte, quella che senza sosta continua a negare se stessa, era proprio il Nulla! Così, per non dar spazio a quell’immenso Nulla fuori dal suo mondo, l’Inizio visse e visse molto, molto di più di quanto non fece in realtà, col solo scopo di non lasciare che il mondo da lui creato sostituisse il suo stesso creatore col Nulla, che l’assurdo vincesse, che parlasse al suo posto quando lui ormai non c’era più! Decise così di vivere anche prima della propria nascita, perché al Nulla va concesso solo se stesso e neanche quello, ed in tal modo visse a ritroso senza che il tempo avesse realmente un verso e poi visse in avanti, con un prima e con un dopo che egli stesso giudicherebbe sensati, se mai fosse vissuto come lo fu Inizio. Arrivò dunque alla fine del tempo, che egli stesso aveva creato assieme a sé perché il mondo fosse meno assurdo possibile, quindi limitato. Oltre la fine, finalmente nel Nulla (ne era mai uscito?), si chinò verso il basso e poco lontano c’era il nostro universo, incredibile ai suoi occhi. Vide di come si era sviluppato e di come anche i suoi abitanti si fossero accorti delle assurdità intrinseche alla natura (scusatemi se in questo punto vi presento un innocuo ossimoro logico, ma questa è la realtà), di come molti se ne preoccupassero e di come moltissimi altri non se ne curassero per niente; di come, tra chi se ne curava, ci fosse il suo creatore e di come stesse lì a pensare seriamente cosa poter scrivere sull’argomento di fine settembre 2010. Pensò così di aiutarlo per dare senso e sensata fine alla propria esistenza”.
ad.6: “Si, ma questa non è la tua storia!”
Inizio: “Certo che non lo è! L’ho inventata io, dall’inizio alla fine, comprendendo in ciò me e te, autori reali ed attori ancora più reali!”
ad.6: “Ancora una volta, spudoratamente, menti”.
Inizio: “Credo che in un post sull’assurdo sia abbastanza assurdo dire cose sensate, non trovi?”
ad.6: “Sciocchezze!”
Inizio: “Bravo, hai capito il concetto”.
ad.6: “Chiaro. Si accettano sempre le idee dall’esterno”.
Inizio: “Vedo che trovi che la forma del dialogo si confaccia bene all’argomento de mese. Antico e banale.”
ad.6: “E comunque sai che, a ben vedere, non c’è assurdità logica nella finzione”.
Inizio: “Ed io ti faccio presente che Inizio ed ad.6 coincidono”.
Inizio: “Infatti”.
Inizio: “Siamo d’accordo”.

Inizio: “Ah! E, sinceramente, se questo post vi sembra come gli altri che ho scritto, allora ci dev’essere un grave problema, in voi o in me!”
Inizio: “Quali altri?”
Inizio: “Più che altro mi chiederei quale me”.
Inizio: “Alla quarta risposta a partire da questa il post finirà.”
Inizio: “E su questo, per concludere, temo di doverti ancora una volta contraddire”.
Inizio: “Falso. Ed irrimediabilmente banale.”

¹purtroppo i “qui” da qui¹ in poi si ripetono indefinitamente.

[Cose interne al post che ho messo alla fine per un ovvio motivo:
– Premetto dicendo, per chi non l’avesse notato, che ad.6, vista la bruttura dell’argomento precedente, ha deciso di non rovinarsi la reputazione scrivendoci un post, pur tuttavia facendolo, avendo così come fine e come causa l’aver ottenuto un considerevole “colpo gobbo”!!

– In questo post dirò solo ed esclusivamente cose vere e conclamate ed anzi vi invito ad intervenire per correggermi. Grazie mille.]

Giggino ‘o bello

postato il 26 Set 2010 in Senza categoria
da Nigredo

Credo sia la cosa più brutta che abbia MAI visto. Punto.

Un post leggero, che spera di essere in tema con l’assurdo

postato il 26 Set 2010 in Main thread
da VaMina

Anche le persone completamente disinteressate alla moda, e i profani, si accorgono che sulle passerelle e nelle boutique di alta moda ABBONDANO vestiti e accessori al limite del  buonsenso, a volte anche al limite della moralità, e che sì, sfiorano l’assurdo. E hanno anche l’aria di essere scomodi, e se li vedeste indosso a qualcuno per la strada pensereste che la persona in questione possa essere solo una drag queen, o al massimo un imitatore di Lady Gaga, (ciarlare dei vestiti delle star e in particolare di  Lady Gaga sarebbe proprio in tema, vi ricordo il vestito di carne cruda -ARGH!-). Ma io non solo non parlerò di questo, non parlerò quasi per nulla, perchè vi mostrerò una serie di scarpe che meritano decisamente l’aggettivo di “assurde”.

N.B. la selezione non è stata facile, non immaginate nemmeno quante ce ne siano XD

..  Cominciamo!

Queste sono le Chanel Miami Vice… in realtà io le trovo carine, le metterei!

Anche queste sono Chanel (no, queste non le metterei); se non vi è chiaro, quella è proprio una lampadina, e si accende quando posi il piede a terra, come le scarpe dei bambini insomma :|

Queste sono state fatte da Raymond Massaro per Alaïa..sarà pure alto artigianato ma credo di trovarle indecenti e basta (neanche assurde, solo orrende)

Passiamo alle scarpe origami! Nella prima foto le EIN/TRITT della designer Catherine Meuter, cioè le scarpe che vogliono eliminare la manodopera: ve le dovete piegare da soli.

Nella seconda foto i decollete in carta proposti da Make a Paper World… non credo siano realmente indossabili, però sono divertenti!

Queste sono tutte di Alexander McQueen..diciamo che meriterebbero un post tutto loro.

L’evoluzione delle scarpe di Cenerentola: le glass slippers della linea Q by Pasquale Fabrizio, ovviamente completamente in vetro.

Chiariamoci: queste scarpe non hanno un tacco che non si riesce a vedere, non hanno un tacco e basta.

Il designer Yarel Yair ha ideato questi “wooden sandal” : sono fatti di una sola sfoglia di legno ripiegata e modellata a vapore, con lacci in caucciù.

E per finire..

Questa è la Mojito Shoe!! Creata dall’architetto londinese Julian Hakes,  la Mojito Shoe è fatta di un’unica striscia in fibra di carbonio, rivestita di gomma sulla parte a contatto con il suolo, e di pelle sulla parte a contatto con il piede.  Dato che a me è proprio servita, vi farò vedere una foto in cui la scarpa è ripresa dall’alto (è più esplicativa).

Con questa perla si conclude l’escursione in un mondo di scarpe poco pratiche..VaMina vi saluta !

Non assurdità ma orrore.

postato il 19 Set 2010 in Main thread
da Vobby

“Ma davvero questa donna è ministro delle pari opportunità? Ma è ASSURDO!”

Mentre per tanta altra gente potrebbe essere normale, o addirittura giusto. Questo succede perchè quando io giudico un fatto, un avvenimento, un’opinione “assurdi” sto assumendo di possedere una conoscenza adeguata della realtà, quando la mia potrebbe essere una delle infinite possibili interpretazioni, un punto di vista, mentre magari chi per intuizione, genio o studio conosce davvero il reale, è giudicato imbecille o folle da chi lo circonda, popolo prigioniero di opinioni errate. Tuttavia chiedersi se questo computer esiste davvero, se è veramente nero, se emette davvero certi suoni, se è ancora presente quando smetto di guardarlo, non è davvero importante.
Fra l’altro, dubito che molti di voi dissentiranno da me se affermo che la seguente storia ha insieme qualcosa di assurdo e inquietante.

Ho avuto modo di ascoltare questo racconto da parte  di un medico di un ospedale di  napoli, che narrava della visita al suddetto ospedale da parte di un certo ministro che chiameremo, uhm, Maria Castagna, che era impegnata a fare la campagna elettorale a un presidente della regione a caso, che qui chiameremo Castoro, con tanti saluti all’imparzialità delle istituzioni.
Si racconta che la Castagna entrò, fece una breve conferenza in cui recitava banalità sull’importanza dei medici e del loro lavoro,e poi, come da programma, girò un po’ per i reparti, portandosi dietro cameraman e giornalisti, con tanti saluti alle norme igieniche dell’ospedale.
Accadde un piccolo avvenimento fuori programma: pensando , immagino (ammesso che pensi), all’opportunità di farsi filmare in mezzo a una piccola folla di bambini festanti e contenti, il ministro volle entrare nel reparto di cardiologia infantile.
E qui successe, per lei, dal momento che la realtà è tale nella mente dell’osservatore, un fatto veramente assurdo: si trovò davanti lo spettacolo della verità, una verità fatta di neonati e bambini nati con malformazioni congenite, vittime di incidenti,magari tenuti in vita da macchine, e restò per alcuni secondi con la bocca così aperta che neanche ci avesse avuto dentro i cazzi di tutto il governo, e dire che dovrebbe essere allenata. Sbigottita  com’era, e imbecille com’è, riuscì solo a balbettare: “guariranno?”
Alcuni medici che stavano assistendo alla scena colsero l’occasione di fare un po’ di pubblicità ai loro reparti (naturalmente, in questa realtà assurda, spesse volte privi dei finanziamenti necessari), e quindi invitarono il ministro a visitarli, motivando la richiesta affermando che ai malati avrebbe fatto di certo piacere la visita di una personalità così eminente. La Castagna,sentendosi investita di un sacro dovere,  al suo seguito di lacchè e manager e agenti d’immagine che le consigliavano di andarsene, rispose: “No! io vado!”
Quindi, armata di indomito coraggio, fece questo giro turistico degli orrori, e scoprì che le persone possono ammalarsi e ferirsi, e che fanno la fila per essere curate. Alla fine del tour, chiaramente turbata e con gli occhi lucidi, pronunciò ancora le banalità recitate alla conferenza, ma con sincerità: “Voi medici siete bravissimi! Fate un lavoro fondamentale! Siete degli eroi! EROI!” ripeteva, quasi urlando.
Il medico che mi ha raccontato tutto questo si chiedeva allora in che mondo fosse possibile che una persona così cretina e ignorante diventasse ministro di uno Stato democratico.
“Ma tu sai cosa faceva Maria Castagna prima di diventare ministro?” “No..” “L’hai mai cercata su google immagini?” “No, perchè?”
Il che ci riporta alla prima frase del post.

L’assurdo: discorso sul contesto e sull’attività critica

postato il 18 Set 2010 in Main thread
da Viandante Solitario

Partiamo da una nota personale. Da quando Bulbasaur è entrato nella mia e nelle vostre vita, mi è venuta una gran voglia di giocare a Pokèmon, cosa che per me è assurda. Tra poco sentirete domande assurde del tipo: “Esiste un emulatore per pc? Ho un Game Boy Color, qualcuno ha un gioco che non usa?” Non mi sarei mai aspettato che, con l’entrata nel vostro gruppo, mi sarei imbattuto in un altro mondo, un mondo dove vai da un tizio che ti da un non-so-cosa per picchiare altri non-so-cosa per saziare la tua voglia di sangue e potere. Per me questi sono fatti assurdi.

Ma torniamo a parlare dell’argomento corrente in modo ordinato. Etimologicamente “assurdo” deriva da ab, che indica un allontanamento, e sardus, da cui deriva il verbo surdare che significa “parlar saviamente”. In italiano “assurdo”, secondo il dizionario, ha due significati; 1) contrario al buon senso, alla ragione; 2) ciò che contravviene alle regole della logica. Il primo senso ha un carattere etico-sociale, il secondo di tipo logico, ma entrambi alludono ad un comportamento disarmonico con un contesto, con una legge, con un modo d’essere. Il criterio che ci spinge a giudicare assurdi un’affermazione o un comportamento sono più o meno relativi, poiché non bisogna dimenticare che l’assurdità dipende da un contesto. In un contesto assurdo l’assurdità non esiste, poiché non c’è dissonanza, ma armonia. Bisogna anche tener presente cos’è l’assurdo per noi, e forse qua le cose si complicano. In questo caso la legge contro cui si scontra l’assurdo è noi stessi, con il nostro bagaglio di esperienze, idee e sensazioni.

Come si pone il contesto nei confronti dell’assurdo? Solitamente ci si pone in modo negativo, come se l’assurdo fosse una minaccia, qualcosa che mira a infrangere l’equilibrio, a volte è visto come secondo me andrebbe visto, ovvero come un diverso modo di porsi rispetto a.

Anche le affermazioni assurde hanno la loro ragion d’essere. Chi di noi non ha mai detto cose assurde, un po’ per ridere un po’ perché convinti della non esattezza di un determinato contesto? A volte il porsi in modo assurdo, critico o anticonformista permette l’entrata nel contesto. Un esempio? Rileggete l’introduzione a questo post.

E con la parola “critico”, magico termine che non ho volontariamente usato fino ad ora, arrivo al punto cruciale del mio post, oltre che alla conclusione. Dietro all’assurdità di un comportamento o di un avvenimento vi è una doppia attività critica; sia chi giudica assurdo, contesto o singolo, sia chi agisce o parla in modo assurdo, svolgono la stessa attività critica, anche se in direzioni opposte. L’attività critica, in questo modo, diventa il ponte tra due mondi diversi e ciò che permette la nascita di un contesto più grande, una categoria più ampia, quella dell’uomo.

Si potrebbe parlare all’infinito del mondo dell’assurdo, poiché apre a temi molto vari. Io mi fermo qui, aspettando di leggere i vostri post.

Così parlò il viandante solitario

Der Herr der Ringe – 10 Orks

postato il 17 Set 2010 in Senza categoria
da Viandante Solitario

Questa canzone è epica!

Se non ne avete abbastanza…

postato il 16 Set 2010 in Senza categoria
da Adrio

Se non ne avete ancora abbastanza di Capitan Pronin, ecco che vi regalo una perla proveniente fresca fresca dai mitici anni ’60. Strane capigliature, amori fugaci, eroi ammaliatori, macchine d’epoca e, soprattutto, stronzaggine a palate, sfornate con quella candida ingenuità tipica dell’italiano medio di 50 anni fa. Ecco a voi:

Malgrado immagino che l’aver visto interamente questo video vi abbia portato verso atti autolesionistici tali da impedirvi di poter battere ancora i polpastrelli su una tastiera, vi consiglio di adoperare anche il naso o la lingua per non perdervi la seguente perla, giunta sino a noi dalle lontane terre d’oriente, per sollazzare i nostri fanciulleschi desideri di avventura, solo grazie al buon amico youtube:

http://www.youtube.com/watch?v=f5Pjo0WjBcs&feature=fvw

Purtroppo chi postò questo video sul sito, resosi conto del grave danno arrecato all’umanità si è risparmiato di mettere un codice da incorporare…pazienza, sono sicuro che ne gusterete appieno l’essenza. Quando lo avrete fatto, spiegatemelo…

P.S. Sprono Luca a postare qualche spezzone di Italian Spiderman, cosa che avrei fatto volentieri io, ma non volevo prendermi il merito della scoperta. Non so se hai vinto la scommessa…non so…

 

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