Death from above

postato il 18 Ago 2012 in Main thread
da Vobby

Fantasticare sul tema dell’esclusione mi ha portato a riflettere sulla condizione esistenziale dei cetacei. La frase appena scritta è idiota, mi rendo conto, ma pensateci un attimo: come deve essere trascorrere la propria intera, lunga esistenza sulla superficie di un mondo, nel quale ci si può sì immergere, ma mai a lungo, se non al costo di una morte certa e preceduta da una dolorosa agonia? Il mare è un ambiente in cui i cetacei possono cacciare, ma non respirare; questo secondo me li mette in una situazione del tutto particolare, che può portare a conseguenze interessanti nell’evoluzione delle specie.
Piccola premessa: non siate scettici leggendo di condizioni mentali dei cetacei, i loro cervelli sono i più grandi del mondo animale. Sono molto più stupidi di noi, ovviamente, ma fanno progressi, specialmente alcuni di loro. Specialmente alcuni fra i più fichi di loro, in effetti, come ad esempio le orche. Questi magnifici predatori hanno sviluppato un linguaggio che non solo è complesso, ma è anche verbale, e leggermente differenziato a seconda dei pod (il nome dei loro gruppi) e delle diverse aree geografiche.
Queste tre caratteristiche del linguaggio delle orche sono importanti. La verbalità della comunicazione infatti è il presupposto fondamentale per lo sviluppo di qualcosa che assomigli a una cultura. Per intenderci, con un ferormone puoi dire “scopami”, ma solo con un suono puoi dire che è stato proprio bello, spiegare perché e raccontarlo agli amici. La possibilità di raccontarlo è cruciale: significa che a ogni generazione i membri del gruppo si comporteranno in modo diverso non semplicemente in base a come il loro corpo si adatta alle condizioni ambientali, ma anche a seconda delle esperienze accumulate dal gruppo stesso! E le orche, pare, sanno farlo. Sanno dire dove si trovano le prede, come cacciarle. E mentre lo fanno si chiamano per nome. Per nome! In un mondo in cui non puoi usare il naso per sentire gli odori, non puoi semplicemente affidarti all’aspetto per distinguare gli individui fra loro. Devi usare dei nomi. Notevole no?
Inoltre: vivere in acqua ed avere un bel po’ di grasso in corpo significa poter andare ovunque, e infatti le orche lo fanno, e l’accoppiamento più o meno costante fra membri di diversi pod e diverse “popolazioni” evita la fioritura di sottospecie. Ma permette il continuo scambio di informazioni e la continua evoluzione del linguaggio. Al momento, per esempio, è stata documentata una sola orca capace di cacciare gli elefanti marini in un certo modo, muovendosi fra gli scogli e nascondendosi fra le alghe. Quanto ci metterà a insegnarlo ai suoi figli? E i suoi figli a raccontarlo in giro?
Tutte queste cose qui, di nuovo, sono di cruciale importanza per la formazione di una cultura e per il futuro della specie, perché saper pronunciare un nome, ricordarlo, associarvi determinate azioni compiute in passato, saperlo raccontare, sono tutte capacità sulle quali l’uomo ha fondato la nascita della storia, il senso del trascorrere del tempo.
Il senso della storia è alla radice di quel tipo di esclusione che è del tutto umana, cioè quella dalla contingenza. Con il racconto della storia l’uomo ha creato una propria linea temporale, partendo per la tangente dell’eterno cerchio che è il trascorrere del tempo nella natura. Nessun altro animale, a parte l’uomo, sa che sono esistiti membri della propria specie che hanno preceduto quelli che lui stesso a conosciuto, perché solo l’uomo è capace di associare dei nomi a delle azioni, e di raccontare come è andata. A questa esclusione dalla contingenza stanno incredibilmente approdando anche le orche.
Il punto d’arrivo del discorso dovrebbe essere che secondo me fra le orche, o almeno fra gli odontoceti, potrebbe sorgere una nuova specie dominante. Linguaggio e cultura non bastano, direte voi, e tanti primati sono almeno un po’ più intelligenti, e alcuni felini quasi altrettanto promettenti. Vero, ma a favore della mia tesi interviene l’esclusione. A me sembra che la dominazione di una specie su tutte le altre implichi la postura della prima su un piano completamente diverso dalle seconde: quando la preda homo si è ribellata, costruendo le prime lance e organizzandosi per usarle, ha smesso di lasciarsi cacciare. Ha iniziato a prendere tutto dal suo ambiente, senza dargli nulla in cambio. Da scimmietta a leone. Poi ha iniziato a distruggere l’ambiente, in effetti, con la nascita delle civiltà storiche, piuttosto che a vivere al suo interno. Da preda a predatore, da predatore a solitario dominatore. Alzandosi su due gambe ha iniziato a guardare il mondo dall’alto e ha avuto le mani libere per modificarlo a suo piacimento.
Nulla esclude che i prossimi a farlo siano gorilla o leoni, ma nel loro ambiente le orche hanno un vantaggio non indifferente: il loro mondo lo hanno sempre visto solo dall’alto e non potrebbero fare altrimenti. Non solo: non potendo respirare sott’acqua, loro sono già su un piano completamente differente rispetto alle specie con cui abitualmente interagiscono. Esistenzialmente, come si diceva, loro sono già “altro” rispetto al mare. E stanno già, da sempre, al suo apice. Per l’ultimo dei calamari come per il grande squalo bianco, le orche sono stranieri minacciosi. Minacciosi, perché cacciano tutto ciò che riescono a toccare. Stranieri, perché non nuotano mai al loro fianco.
Fuori dal tempo della natura, all’apice del loro spazio. Date loro qualche centinania di migliaia di anni: appena le orche saranno appena un po’ più consapevoli il mondo potrebbe veder nascere una nuova stirpe di veri dominatori.

Escluso!

postato il 5 Ago 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

Allora, allora, allora. Ci sono stati un po’ di casini, da queste parti, recentemente. Perlopiù imputabili proprio al sottoscritto, reo di aver dimenticato il proprio turno come mastro argomentante. Sfortunellamente, le mie peripezie come aspirante dotto del diritto mi hanno reso dimentico del fatto che, in questo spazio digitale il mio nome inizia per D, ma sono ben conscio del fatto che né questo né il linguaggio improbabile che ho deciso di adottare per disorientarvi potrà cancellare la mia colpa. Ad ogni modo, alla mia distrazione è seguita un, forse ancora più colpevole, ritardo dovuto un po’ al fatto che ormai c’era un argomento interessante in ballo che, visto il periodaccio, faticava a imporsi, in parte a sana pigrizia. Oh, vi giuro, non era solo pigrizia! Ad ogni modo, mi riproponevo di ripropormi col mio argomento il giorno 1 di agosto. Senonchè, sono partito. Chè, non lo sapevo che partivo? Massì, massì, in fondo lo sapevo; infatti dicevo “babbè, magari lo metto prima di partire”, però poi mi dicevo “ma che giorno è il 27 per mettere l’argomento? Che figura ci faccio, a mettere l’argomento il 27, dopo tutto ‘sto bordello?” Gira e rigira, è il 27, io sono sul traghetto per Messina, e l’argomento dov’è?
Boh, dov’è?
Hai mica visto l’argomento, tu?
Niente vidi, niente seppi.
Adesso son qui, nella natìa Partenope, pronto a droppare sulle vostre capocce abbronzate (pfff) il suddetto argomento.
Ma che giorno è il 6 per mettere l’argomento? Che figura ci faccio, a mettere l’argomento il 6, dopo tutto ‘sto bordello?
Chiedetelo a Bob Dylan. Niente vidi, niente seppi.
Ad ogni modo, qual è l’argomento? L’argomento è che, sì, io mi sono scordato di metterlo (sempre l’argomento, dico), ma oh! Uno si gira un attimo, nessuno che gli dica niente, si rigira e si trova un altro argomento già postato! Dico, dove sono i tempi del “Guarda, mister, che ci hai l’argomento da mettere che se no son cazzi”? I tempi del “Vabbè, aspettiamo fino alla prossima luna piena e poi lo saltiamo”? Niente, senza rispetto! Confesso di essermi sentito escluso, come quando si giocava al gioco del pallone e io facevo la bandierina del corner.
Morale della favola, da questa storia fatta di colpe mie (99%) e brutali esclusioni (1%, e difatti è già partito Occupy Cos), almeno ci ho ricavato l’argomento. Parlatemi un po’ di esclusioni, di tristi storie come questa, o come quella della bandierina del corner, o come quella del buttafuori che vi nega l’accesso all’aperitivo del Circolo del punto croce perché non siete abbastanza cool. Oppure, parlatemi di qualunque amenità vi susciti questa parola, esclusione, derivante dal latino ex-cludere (alto livello), altrimenti diventa la rubrica del post-adolescente traumatizzato.

In un batter d’ali

postato il 10 Lug 2012 in Main thread
da Vobby

Buio.
Respiro. Spingi, buio, spingi, buio, luce, spingi, luce luce, apri le ali.
Sbatti le ali, vola, fame, vola vola, fiore, vola, fiore, cibo, mangia.
Vola, sazietà, desiderio, cerca, cerca, vola, cerca cerca.
Vespa, paura, scappa scappa scappa, vespa, paura, scappa, vespa, paura, scappa scappa, lontano, desiderio.
Cerca cerca cerca, trovata, vola vola vola, presa, desiderio desiderio, amore.
Stanchezza, vola, fame, vola vola, fiore, cibo, stanchezza, stanchezza, vespa, paura, vola, stanchezza, vespa.
Dolore, vespa, paura paura, dolore, ves…

Della morte, della fine e dell’eternità

postato il 6 Lug 2012 in Main thread
da ad.6

[La fine è un argomento troppo bello per essere ignorato e quindi non lo farò. Questo sarà un discorso probabilmente disomogeneo sulla morte, sulla mia morte e sulla fine più in generale]

Nella nostra vita la morte è il momento critico per eccellenza. L’atto della nascita è infatti un processo graduale della non-vita verso la vita, senza che in effetti si possa ben distinguere dove finisce l’una e comincia l’altra. Ma la morte no, perché un attimo prima tutto funzionava (abbastanza), il cuore batteva e l’organismo si nutriva e un attimo dopo non più. E qui è la drasticità.
Altro aspetto è il nulla. O anche il passaggio dall'”io” al “…”. Questa è una cosa che va oltre la paura dell’ignoto, della paura del buio, dell’horror vacui: sono tutti casi in cui non tutto è ignoto, non tutto è oscuro, non tutto è vuoto, visto che permane la certezza di essere comunque presenti; no, è la paura del nulla cognitivo Berkleyiano, del fatto che il mondo scompaia perché siamo scomparsi noi, del fatto che venga meno la percezione che abbiamo di noi stessi. Questa è costante negli anni e, nonostante la nostra “coscienza” nel rinnovsrsi muoia e rinasca continuamente ed impercettibilmente, non ne siamo mai sprovvisti tanto da chiamarla “io”.
E proprio di questo sono convinto (nel limite del ragionevole dubbio), ossia del fatto che questo nostro Io, questa nostra coscienza non sia altro che il “sentire di sentire”, la percezione di percepire o il senso dei sensi. Non solo siamo infatti in grado di vedere, ma possiamo anche sentire che gli occhi stanno vedendo, il che porta ad un livello di consapevolezza che altri animali non hanno. Tuttavia questo conduce all’identificazione di questo nostro senso dei sensi, del fascio di sensazioni che il singolo organismo prova, con qualcosa di indefinibile e pieno di arroganti pretese metafisiche che chiamiamo “Io”. Il linguaggio non aiuta, ma dico: Io non credo di esistere. Non credo che quello che da sempre chiamo “io” esista veramente come un’entità autonoma. Più che altro sarebbe “l’ente che scrive alla tastiera è un corpo che agisce in maniera causale e probabilistica secondo meccanismi che gli permettono di percepire il mondo e di percepire la proprie percezioni”.
Detto questo, viene sminuito il concetto di “Io” ed affossata la domanda “cosa rimarrà di me?”.
Gente mi ha chiesto: “Ma allora cosa sono io?”. E bene o male questa è stata la risposta che ho dato, il che ha se non altro il pregio (a mio parere) di eliminare quell’incertezza che porta alla formulazione di risposte metafisiche più o meno inaccettabili. “Chi pensi di essere in realtà non esiste, è un’illusione, la materializzazione di processi percettivi e cognitivi”. L’io, come l’anima, sono materializzazioni.
È chiaro, in quest’ottica, che nulla sopravvive al corpo, il che, certo, non porta alcun conforto.
Tuttavia, arrivando a me, sento particolarmente mio e particolarmente vero (fino a una disperata prova contraria) il concetto biblico di “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”, in chiave olistica. Devo morire e scomparire nel nulla, prima o dopo non fa una reale differenza, per ME. E se deve accadere prima i “perché” e i “se” non avranno senso. Davanti alla morte spererò, come spero, di continuare a vivere più a lungo possibile, perché così è fatto l’uomo e in tal senso agiscono gli animali in generale, ma mi aspetto di affrontare la cosa ragionevolmente. Molto. In un certo senso sono curioso di vedere come affronterò la morte, senza per questo essere impaziente. C’è tempo, quale che sia.

Concludo con qualche riflessione sulla fine.
Trovo la fine una cosa confortevole ed accogliente, orripilante e terribile. I miei incubi più ricorrenti erano esattamente questo: un continuo finire. Il contrasto, proprio degli incubi, mi dava un grande senso di angoscia e di terrore. Continuo a fare quei sogni, ma adesso li trovo solamente affascinanti e sgradevoli. La questione è che la fine è un suggerimento, un cenno, ma non fa parte del nostro mondo cognitivo. Nello spazio possiamo andare sempre oltre e quando non possiamo sappiamo di potere, oltre i limiti che riusciamo ad immaginare, se ci riusciamo; nel tempo conosciamo solo un inizio (il nostro primo ricordo, casomai) e in verità nemmeno quello, ma la fine non esiste, perché non la sperimenteremo mai. Tra le domande più frequenti dei bambini, oltre al classico “perché?” c’è l’ugualmente frequente “e poi?”. Non sappiamo bene cosa sia la fine, lo intuiamo, e la paura per ciò che termina è la stessa che abbiamo verso ciò che non conosciamo.
“E poi cosa ci sarà? C’è sempre qualcosa, dopo!”.
Però, passando al lato personale della questione, sono spaventato più dalla non-fine che dalla fine. Siamo esseri finiti e mortali e l’infinito (fattuale) ci è estraneo quasi quanto il nulla. L’unico modo di vivere una vita infinita credo sarebbe quella di viverla “finita a blocchi”, cioè vivendo cent’anni come cent’anni su cento e non come parte di un’eternità. Quello sarebbe veramente spaventoso, difficilmente sopportabile e in definitiva, dopo tantissimo tempo (che è sempre niente rispetto all’eternità), insostenibile.

Chi mi ha insegnato che Libertà è piccola e bionda

postato il 20 Giu 2012 in Main thread
da Vobby

Un secchione come me, appassionato di letteratura greca, che si tratti di quella arcaica come di quella classica, impegnato lettore di poemi epici e tragedie, appena ha appreso quale fosse il nuovo argomento del mese non ha potuto fare a meno di pensare al potente eroe Hercules, inquadrato durante le mitiche scene di allenamento con il satiro Filottete, suo maestro. Poi subito dopo a Mulan, nella parte altrettanto emozionante dell’allenamento, condotto dal giovane e aitante capitano Shang. Colpevolmente, devo ammettere di non aver pensato subito a Kung Fu Panda, nonostante fosse piuttosto ovvio (“vuoi tu apprendere il kung fu? Allora io sono il tuo Maestro!”).
Successivamente mi è venuto in mente Socrate, che rappresenta la figura ideale del maestro, immagine che ha attraversato tutta la storia occidentale, quella del sapiente, anziano e barbuto filosofo, coerente con i suoi insegnamenti fino alla morte, continuamente dedito al miglioramento e alla penetrazione dei suoi fortunati discepoli.
Da Socrate sono passato a pensare ad Eschilo, il primo dei tre grandi tragediografi, l’autore che i suoi concittadini, sopra tutti, ritenevano il migliore dei maestri, colui che aveva insegnato e diffuso le antiche virtù all’interno della polis.
L’età classica è maestra per chiunque decida di avvicinarvisi, inevitabilmente, e io stesso devo molto di quello che sono, e che so, alle sue tragedie. Ma non è Eschilo l’autore che preferisco.
Che cos’è l’età classica se non la sua tragedia? Che cos’è la tragedia se non il miglior mezzo di espressione e di insegnamento possibile, grazie al perfetto connubio fra gli spiriti e le potenzialità della lettera e dell’estetica? Con il dialogo e con la musica la tragedia insegnava, trasmettendo un messaggio che potesse toccare nel medesimo istante e con la stessa efficacia le corde della ragione e del cuore.
L’autore che preferisco è Charles Monroe Schultz, il quale era un tragediografo, non un poeta, sebbene quest’idea abbia avuto una certa eco. La poesia trasmette attraverso i versi, che possono descrivere immagini vivide, ma non possono rappresentarle. La tragedia mette in scena la vita con la sua plasticità. Il fumetto è eminentemente votato alla tragicità, perché rappresenta materialmente fatti e concetti, esattamente come farebbe un pittore, senza rinunciare al mezzo letterario.
I fumetti si leggono, eppure non sono dei libri più di quanto non siano dei quadri. Dovrebbe esistere un verbo apposito per descrivere la fruizione del tragico, che metta insieme l’osservazione dell’immagine e la lettura del testo. Mi chiedo ora se i greci dicessero di andare a vedere, o ad ascoltare, la rappresentazione teatrale.
I Peanuts sono incredibilmente tragici. Nel senso moderno, è evidente, ma anche in quello classico: cinquant’anni di pubblicazioni quotidiane hanno conferito agli episodi, continuamente ripetuti, seppur mai identici, la stessa potenza del mito, rappresentato nel rituale religioso e civico. Di sicuro, come sicuri sono l’estate e l’inverno, l’eroe subirà i suoi tormenti. Spesso dovrà morire. O almeno farà una gran bella caduta, quando Lucy gli sfilerà il pallone invece di tenerlo fermo. E perderà la prima, e l’ultima, e qualunque altra partita della stagione. E verrà abbattuto dal Barone Rosso, e subirà le minaccia di vedere la propria coperta gettata nella caldaia, e non riuscirà mai a conquistare l’affascinante pianista.
Il mito è racconto, talvolta allegorico, talvolta istruttivo, sempre ripetuto. Ha una funzione rituale, e a questa funzione assolvevano le tragedie antiche. Anche per questo Schultz è un grande tragediografo, perché la ritualità è una buona chiave di lettura per le sue strisce. Charlie Brown non vincerà MAI, perché il rituale catartico ed educativo richiede che lui perda. Può sembrare che lui abbia vinto, quanto effettivamente la sua squadra vincerà un paio di partite. La prima volta però la partita venne annullata, per vie di un affare di scommesse. Scommessa di Replica\Ripresa, l’ultimo Van Pelt, con Snoopy. 5 cent. Cosa ci compri oggi con 5 cent? Snoopy aveva scommesso contro, per inciso. La seconda volta il capitano della squadra avversaria, una bambina, gli confiderà di averlo lasciato vincere, per un misto di tenerezza e pietà.
La reiterazione della rappresentazione è una colonna dell’insegnamento, dal momento che infinite sono le sfaccettature dei sentimenti che è possibile provare. Charlie Brown, l’irragiungibile ragazzina con i capelli rossi, Patty che la vede e si dispera per la sua bellezza, con la quale non potrà mai competere, mi hanno insegnato molto su come ci si deve innamorare, e tutto su come ci si strugge.
Schultz è il miglior fumettista, fra quelli che conosco, ad interpretare il senso del tragico. Lo fa con inaspettata leggerezza, preferendo cullare l’anima guidandone dolcemente i movimenti, piuttosto che scuoterla. Eppure sa fare anche questo, e a volte lo fa.
Schultz è stato il maestro che ha dato una forma più vivida alle emozioni, ai sentimenti, al loro scorrere e al loro continuo riesplodere, diversi e uguali ogni volta. I suoi personaggi sono il micrococosmo interno di ognuno.
Altri insegnano altro, di altrettanto fondamentale. L’amicizia con una tigre, o com’è cattiva la gente.
La magia dei Caraibi, dell’Irlanda, del Sahara. La verità irriducibile che si trova ai margini dell’impero, e l’ottusità che regna al suo interno. Senza disdegnare un bel po’ di tette.
Fidatevi se vi dico che il fumetto dell’asino d’oro merita meno di quello di Apuleio solo perché non è l’originale. Nessuna parola non può essere migliorata venendo accompagnata da un disegno.
Se poi i disegni sono di Manara…

Et voilà!

postato il 4 Giu 2012 in Main thread
da freeronin

Ed eccovi servito, in ritardo e con un’introduzione di pessima fattura, l’argomento di questo mese

No, non il karate, bensì i maestri.
A volte ci imbattiamo in persone che, volontariamente o in maniera assolutamente casuale, ci danno insegnamenti che non dimentichiamo più, su piccole o grandi verità (ad esempio, il noto “non attraversare davanti ai pullman ché vengono fuori i motorini da dietro e non li vedi”, di mia nonna).
A volte non si tratta nemmeno di persone in cui ci imbattiamo, ma di persone che in un modo o nell’altro riusciamo a osservare e prendiamo a modello. Certo, è un’abitudine sempre meno diffusa, ma  credo non definitivamente tramontata: intimamente ispirarsi, almeno in qualche piccola cosa, a personalità più o meno folgoranti, nutrendo nei loro confronti quel particolarissimo tipo di affetto misto a timore reverenziale.
A volte nemmeno si tratta strettamente di persone, ma di personaggi, figure inventate. Sarebbe riduttivo dire che il maestro in questo caso sia creatore del personaggio, perché spesso, a partire da una frase che l’autore gli fa dire, o da un atteggiamento che gli fa tenere, il personaggio prende vita propria nella nostra immaginazione, e ha qualcosa da insegnarci.
Beh, se poi volete parlare del maestro di Karate Kid (o di Yoda, so che volete farlo) fate pure, sarà sicuramente costruttivo.

Compilation random: baffi.

postato il 26 Mag 2012 in Il rubricone musicone rotolone
da Deluded Wiseman

Baffi, sì.  Magari non ci pare, ma i baffi sono fondamentali.  Storia, filosofia, videogiochi, arte visuale e non:  sotto il segno del baffo si sono compiute le peggiori aberrazioni, sono nati i migliori capolavori dell’umanità, si sono pestate orde e orde di funghi e tartarughe. Volanti.

Ovviamente, come i più arguti di voi potrebbero aver già immaginato vedendo in che sezione del blog sono(per gli altri, un bon-bon di consolazione da ritirarsi all’uscita), ovviamentre andrò a parare sul fatto che anche nella musica il baffo è stato marchio di fabbrica di pezzacci e carriere intere non indifferenti, anzi, pure ragguardevoli.

Ciancio alle bande: ecco le 5 canzoni che me lo danno più a livello di baffo. Non riesco a incorporare i vidii/forse ora ho capito ma mi scoccio di riprovarci adesso. Se vi interessa vedere i baffi, cliccate sul link.  Se non vi interessa,  mi fate un baffo.

 

5) Red Hot Chili Peppers- Factory of Faith

Non si tratta di un baffo storico, qui. Diciamo che il proprietario dei baffi in questione è sempre stato celebre per altro (l’alternare la  semi-nudità e abiti raccattati alla fiera del creaturo sgargiante di Dos Palos, Nevada).  Ma  appunto per questo ho preferito inserire questi baffo nella compilation, preferendolo a baffi di portata storica più rilevante (tipo un qualsiasi gruppo rock americano a cavallo fra i ’70 e gli ’80),  perchè penso che si debba dare un po’ di rilievo al baffo che avanza, trattandosi, oltretutto,  di un baffo che ha scandalizzato molti, in quanto di totale rottura col ventennale look medio-sbarbato del buon Anthony Kiedis.

Inoltre, bisogna sfatare il mito che il nuovo dei RHCP è brutto, solo perchè hanno dato via un chitarro epico per uno un po’ gne. Quindi ciapàtevi sta canzone dall’ultimo e ineditamente baffuto dei californomaniaci

Ps: ne avrei volentieri messa un’altra, ma è un singolo in heavy rotation quasi ovunque, e invece io voglio farvi sentire questa che non è mainstream come l’altra, e la sentite solo qui, sul Rubrico Rotolone, only tonitght, sold out. Però se non avete mai sentito Monarchy of Roses,  youtubbate ora, stronzi.

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4)Santana- Gypsy Queen/Oye Como Va

Aahh, Carlos, Carlos.  Santana è uno di cui in linea  di massima non ascolto roba preso a caso dalla sua discografia così, a cuor leggero: è bella corposa, e c’è molto sfoggio di latinoamericanismo fatto un pò a caso, o collaborazioni con Joss Stone.  Però in certe cose è inarrivabile, nessuno come lui, e io gli voglio tanto tanto bene, uno zio baffone e tamarrozzo che è uno dei motivi, probabilmente, per cui suono. Ricordo che quando ancora mi ponevo ardue domande circa l’effettiva messa in atto di un rapporto sessuale(insomma, pensate che ancora non c’avevo l’internetto), fu il primo chitarrista ad impressionarmi davvero, per le palate di melodie cremose e calienti che tesseva con le sue dita dorate da mangiatore di burrito, palate che non riuscivo a riscontrare in tutti gli altri eroi della guitarra che stavo imparando a conoscere.

Senza contare il ritmo. Ragazzi, che ritmo. Quando farò la classifica “le 5 canzoni che mi fanno venire più voglia di ballare in preda ai fumi degli acidi, vestito solo di bandana e maglietta scolorita”, beh, Santana sarà anche lì,  proprio sotto Toto Cutugno. Ma questa, l’è un’altra storia.

Qui, in un esibizione recente, il buon Carlos e i suoi FANTASTICI musici accompagnatori, ci dilettano con un medley fra la celebre “Oye como va” e una parte strumentale tratta da “Black Magic Woman”, in cui l’orgasmico sound latino del Nostro risalta in tutto il suo splendore. E se leggendo “Black magic woman” NON avete pensato “perchè non ha scritto  “l’altrettanto famosa?’ “..di FILATO a sentire il capolavoro “Abraxas” (1970).

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3)Queen-Princes of the universe

Forse qualcuno si aspettava i virili baffi dell’iconico e compianto Freddie  in cima alla classifica. Beh, no, con tutto l’affetto per l’iconico perchè compianto Freddie.

Prima mi sono dilungato su Santana perchè molti credono sia un peone discretamente abile alla chitarra che elemosina in giro collaborazioni con cantanti vari, incapace di trovarne uno proprio. Invece penso che sui Queen, e sul livello di iconicità che dopo la morte del povero Freddie lui e i suoi baffi hanno raggiunto, sia inutile spendere molte parole.  Allo stesso modo, credo che tutti, dopo aver visto Freddie sbarbato e in tutina, sappiate quanto la presenza dei baffi sia servita a trasportare definitivamente i Queen nell’Olimpo del rock. Sappiate, ad ogni modo. che la canzone è tratta da “A Kind of Magic”(1986), colonna sonora di Ailander. Lo noterete, forse, dal zarrissimo video a base di capelloni in kilt  ed esplosioni assortite. Sì, l’ho messa apposta per uscire dal solito triangolo we will rock you/we are the champions/bohemian rhapsody. No, non amo i Queen al punto da metterne una davvero ignota. E poi questa è bellerrima, e mi ricorda i tempi lontanissimi in cui non avevo notato che “Princes”  aveva una sola “s”. In quel tempo, usavo spesso chiedermi se non bastasse fare della proprio omosessualità un manifesto tramite il video en travestì di “I want to break free”, e se ci fosse proprio bisogno di cantare “sono la principessa dell’universo”

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2)Frank Zappa-Muffin Man

Forse quelli che non si aspettavano il buon Freddie in cima alla classifica, si aspettavano che fosse l’eclettico guitarrista a dominare, in guisa di dittatore baffuto (nella miglior tradizione) questa classifica.  Certo che voi,  un Wembley Stadium di cazzi vostri mai, eh. Il fatto, vedete, è che io con Zappa ho un rapporto conflittuale, perchè non sono mai riuscito a conoscerlo e ad apprezzarlo fino in fondo, non so neanche bene perchè,  pur riconoscendone l’immensa genialità e apprezzandone diverse canzoni. Una di queste  è Muffin Man dall’album. Qui ho inserito la versione in studio, ma conisglio la visione di uno spettacolare video live che si trova facilmente  sul Tubo. Perchè non ho messo quella? Oh, ma voi proprio come gli sceriffi, eh. Sentitevi prima la canzone in studio, e poi vi vedete il live con gli assoloni eccetera, su.  Io, intanto, colgo l’occasione di ripropormi l’abbordaggio a qualche disco intero di Zappa.

 

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1)) Black Sabbath-Sweet Leaf

Eccolo qua. Magari sarà un baffo meno celebre come baffo, ma sti gran cazzi. Per me il re del moustache-rock è lui. Inarrestabile, marziale, imperturbabile mentre dalle sue mani martoriate profonde colate di metallo incandescente, per me Tony Iommi, chitarrista e fondatore dei BS e un pò dell’heavy metal tutto, è un tutt’uno con la sua Sg nera e con i suoi baffi.  Quando sento quel lento e implacabile incedere di accordi pesanti come macigni che è il marchio di fabbrica dei Black Sabbath, me lo vedo lì, vestito di nero, la croce appesa al collo, ondeggiare senza troppa foga quella massa nera che, fra capelli e baffi, e la sua testa.

Sono riff baffuti i suoi. Avanzano lenti ma implacabili verso di te, cupi e imperscrutabili come un uomo baffuto di cui riesci a percepire le intenzioni malevole, ma senza che la sua espressione, occultata dal baffo, ti possa dare le conferme che cerchi.

Qui per voi, tralasciando i soliti pezzacci immortali che tutti conoscerete,  in regalo una gustosissima e oltremodo badass Sweet Leaf.

 

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Visto che non sono stato in grado di trovare un video che esaltasse il baffo, eccolo a voi in tuta la sua maestosità.

 


Tutta quella città…

postato il 19 Mag 2012 in Main thread
da freeronin

La leggenda del pianista sull’oceano

Tutta quella città… non si riusciva a vederne la fine… La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? Era tutto molto bello su quella scaletta… e io ero grande, con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c’era problema. Non è quello che vidi che mi fermò, Max. È quello che non vidi. Puoi capirlo? Quello che non vidi… In tutta quella sterminata città c’era tutto tranne la fine. C’era tutto. Ma non c’era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo. Tu pensa a un pianoforte: i tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono ottantotto, e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro. Tu sei infinito, e dentro quegli ottantotto tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace. In questo posso vivere. Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai – e questa è la verità, che non finiscono mai – … Quella tastiera è infinita. Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche soltanto le strade, ce n’erano a migliaia! Ma dimmelo, come fate voialtri laggiù a sceglierne una? A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è. Ma non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quella enormità, solo a pensarla, a viverla? Io ci sono nato su questa nave. E, vedi, anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave, tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato a vivere in questo modo. La terra… è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Non scenderò dalla nave. Al massimo, posso scendere dalla mia vita.

E solo il silenzio…

postato il 18 Mag 2012 in Main thread
da Vobby

Devo ammettere che non conosco abbastanza queste due canzoni per commentarle seriamente, e che non conosco abbastanza la musica in generale per commentare alcunché. Però sono una buona scusa per postare finalmente anche su Alabama! Poi sulla fine conto di scrivere altro, restate sintonizzati.

La fine di Gaia

Povera Gaia
anche i Maya vogliono la tua taglia
pure la massaia lo sa, per la fifa tartaglia
decifra una sterpaglia di codici ma il 20-12
non incide se non nei cinematografi.
Uomini retti che sono uomini rettili
con pupille da serpenti
più spille da sergenti
vogliono la tua muta, Gaia
ti vogliono muta, Gaia
la bomba è venuta a galla adesso esploderà.

Reti di rettiliani, andirivieni d’ alieni
velivoli di veleni, tutti in cerca di ripari ma

La fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!

Anche E.T. è qui, mamma che condanna!
E’ un pervertito, ha rapito Gaia per fecondarla
con alieni adepti che scuoiano coniglietti
e li mostrano alle TV spacciandoli per feti extraterrestri.
C’è chi vuole farsi Gaia con fumi sparsi in aria
da un aereo che la ingabbia come all’Asinara.
Si narra che gaia sniffi,
abbaia anche Brian Griffin.
E’ Clyro come i Biffy che gaia Gaia non è.
Tra San Giovanni, Nostradamus e millennium bug
sulla sua bara chiunque metterebbe una tag.

Ma la fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!

Né con i passi di Godzilla né coi passi della Bibbia,
Gaia sopravviverà
a questi cazzo di asteroidi che non hanno mai schiacciato
neanche una farfalla.
Sei tu che tratti Gaia come una recluta a naja
ami il petrolio ma la baia non è una caldaia
la tua mannaia lima l’aria mica l’Himalaia!
Gaia si salverà, chi salverà il soldato Ryan?

Non i marziani ma te dovrò respingere
non i marziani ma te dovrò respingere e vedrai..

La fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!
2012: nemmeno un temporale!

Noi non ci saremo

Vedremo soltanto una sfera di fuoco,
più grande del sole, più vasta del mondo;
nemmeno un grido risuonerà e solo il silenzio come un sudario si stenderà
fra il cielo e la terra, per mille secoli almeno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

Poi per un anno la pioggia cadrà giù dal cielo
e i fiumi correranno la terra di nuovo
verso gli oceani scorreranno e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
e in alto nel cielo splenderà l’arcobaleno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E catene di monti coperte di nevi
saranno confine a foreste di abeti:
mai mano d’ uomo le toccherà, e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
e in alto, lontano, ritornerà il sereno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E il vento d’estate che viene dal mare
intonerà un canto fra mille rovine,
fra le macerie delle città, fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà,
fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E dai boschi e dal mare ritorna la vita,
e ancora la terra sarà popolata;
fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni e ancora il mondo percorrerà
gli spazi di sempre per mille secoli almeno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo,
ma noi non ci saremo…

Nemo turista in patria est

postato il 17 Mag 2012 in Main thread
da Lalla

L’altra mattina, assonnata e sfatta come al solito, trascinandomi una stracolma borsa e un giubbino ovviamente troppo caldo per la giornata di simil-agosto cittadino, salivo le scale dell’università. Guardavo a terra, verso i gradini, un po’ per controllare di non inciampare, un po’ perché lo sforzo di alzare la testa mi sarebbe stato fatale. Ma ecco. Quel momento. Il momento in cui perdi il conto delle rampe e che ti costringe a sollevare lo sguardo verso la targa del piano. A fatica compio l’erculeo sforzo, e nella mia visuale appare qualcosa di insolito: uomo e donna sui 40 anni e bambina sui 7. Una famiglia! In un università? Avrò sbagliato palazzo? (Non sottovalutate questo rischio solo perché il governo non ci ha fatto una campagna promozionale. Prevenire è meglio che curare.) Poi osservo meglio. Berretti, scarpe da tennis , cartina (non pensate a male!) e MACCHINE FOTOGRAFICHE. Turisti! Turisti sorridenti che ruotano il cranio a destra e sinistra lungo le scale che percorro ogni mattina. Fotografano le volte del soffitto, ammirano il panorama dalla finestra sul cortile, si lasciano estasiare dalle crepe, riflettono sulle influenze filosofiche che avranno portato l’architetto alla scelta di quel colore grigio topo e sulla possibilità che le macchie di umidità celino messaggi esoterici. Poi mi scorgono, mi guardano. E sorridono. Sembrano pensare :”Beata te che ogni giorno hai la fortuna di vedere un luogo del genere!” Ed hanno ragione. Quanti luoghi ogni giorno vediamo, percorriamo, abitiamo senza degnar loro della minima attenzione. Ormai ridotti a tappe mentali di un’automatica rotta. Palazzi storici, stazioni della metro, chiese e conventi e monumenti d’ogni tipo accompagnano il nostro percorso e la nostra giornata. Piazze e vicoli a volte meravigliosi, a volte un po’ meno, fanno da cornice ai nostri passi strascicati. Eppure ce ne rendiamo conto solo quando vediamo un giappotedespagnolandese puntarci contro un obiettivo.

Che cosa manca agli uomini affinché possano godere del piacere del tempo e del luogo?”

“Questo è quel che mi stupisce, fratello. Non sono forse dotati di mente e anima?”

(Nagib Mahfuz, Notti delle mille e una notte)

 

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