Death from above

postato il 18 Ago 2012 in Main thread
da Vobby

Fantasticare sul tema dell’esclusione mi ha portato a riflettere sulla condizione esistenziale dei cetacei. La frase appena scritta è idiota, mi rendo conto, ma pensateci un attimo: come deve essere trascorrere la propria intera, lunga esistenza sulla superficie di un mondo, nel quale ci si può sì immergere, ma mai a lungo, se non al costo di una morte certa e preceduta da una dolorosa agonia? Il mare è un ambiente in cui i cetacei possono cacciare, ma non respirare; questo secondo me li mette in una situazione del tutto particolare, che può portare a conseguenze interessanti nell’evoluzione delle specie.
Piccola premessa: non siate scettici leggendo di condizioni mentali dei cetacei, i loro cervelli sono i più grandi del mondo animale. Sono molto più stupidi di noi, ovviamente, ma fanno progressi, specialmente alcuni di loro. Specialmente alcuni fra i più fichi di loro, in effetti, come ad esempio le orche. Questi magnifici predatori hanno sviluppato un linguaggio che non solo è complesso, ma è anche verbale, e leggermente differenziato a seconda dei pod (il nome dei loro gruppi) e delle diverse aree geografiche.
Queste tre caratteristiche del linguaggio delle orche sono importanti. La verbalità della comunicazione infatti è il presupposto fondamentale per lo sviluppo di qualcosa che assomigli a una cultura. Per intenderci, con un ferormone puoi dire “scopami”, ma solo con un suono puoi dire che è stato proprio bello, spiegare perché e raccontarlo agli amici. La possibilità di raccontarlo è cruciale: significa che a ogni generazione i membri del gruppo si comporteranno in modo diverso non semplicemente in base a come il loro corpo si adatta alle condizioni ambientali, ma anche a seconda delle esperienze accumulate dal gruppo stesso! E le orche, pare, sanno farlo. Sanno dire dove si trovano le prede, come cacciarle. E mentre lo fanno si chiamano per nome. Per nome! In un mondo in cui non puoi usare il naso per sentire gli odori, non puoi semplicemente affidarti all’aspetto per distinguare gli individui fra loro. Devi usare dei nomi. Notevole no?
Inoltre: vivere in acqua ed avere un bel po’ di grasso in corpo significa poter andare ovunque, e infatti le orche lo fanno, e l’accoppiamento più o meno costante fra membri di diversi pod e diverse “popolazioni” evita la fioritura di sottospecie. Ma permette il continuo scambio di informazioni e la continua evoluzione del linguaggio. Al momento, per esempio, è stata documentata una sola orca capace di cacciare gli elefanti marini in un certo modo, muovendosi fra gli scogli e nascondendosi fra le alghe. Quanto ci metterà a insegnarlo ai suoi figli? E i suoi figli a raccontarlo in giro?
Tutte queste cose qui, di nuovo, sono di cruciale importanza per la formazione di una cultura e per il futuro della specie, perché saper pronunciare un nome, ricordarlo, associarvi determinate azioni compiute in passato, saperlo raccontare, sono tutte capacità sulle quali l’uomo ha fondato la nascita della storia, il senso del trascorrere del tempo.
Il senso della storia è alla radice di quel tipo di esclusione che è del tutto umana, cioè quella dalla contingenza. Con il racconto della storia l’uomo ha creato una propria linea temporale, partendo per la tangente dell’eterno cerchio che è il trascorrere del tempo nella natura. Nessun altro animale, a parte l’uomo, sa che sono esistiti membri della propria specie che hanno preceduto quelli che lui stesso a conosciuto, perché solo l’uomo è capace di associare dei nomi a delle azioni, e di raccontare come è andata. A questa esclusione dalla contingenza stanno incredibilmente approdando anche le orche.
Il punto d’arrivo del discorso dovrebbe essere che secondo me fra le orche, o almeno fra gli odontoceti, potrebbe sorgere una nuova specie dominante. Linguaggio e cultura non bastano, direte voi, e tanti primati sono almeno un po’ più intelligenti, e alcuni felini quasi altrettanto promettenti. Vero, ma a favore della mia tesi interviene l’esclusione. A me sembra che la dominazione di una specie su tutte le altre implichi la postura della prima su un piano completamente diverso dalle seconde: quando la preda homo si è ribellata, costruendo le prime lance e organizzandosi per usarle, ha smesso di lasciarsi cacciare. Ha iniziato a prendere tutto dal suo ambiente, senza dargli nulla in cambio. Da scimmietta a leone. Poi ha iniziato a distruggere l’ambiente, in effetti, con la nascita delle civiltà storiche, piuttosto che a vivere al suo interno. Da preda a predatore, da predatore a solitario dominatore. Alzandosi su due gambe ha iniziato a guardare il mondo dall’alto e ha avuto le mani libere per modificarlo a suo piacimento.
Nulla esclude che i prossimi a farlo siano gorilla o leoni, ma nel loro ambiente le orche hanno un vantaggio non indifferente: il loro mondo lo hanno sempre visto solo dall’alto e non potrebbero fare altrimenti. Non solo: non potendo respirare sott’acqua, loro sono già su un piano completamente differente rispetto alle specie con cui abitualmente interagiscono. Esistenzialmente, come si diceva, loro sono già “altro” rispetto al mare. E stanno già, da sempre, al suo apice. Per l’ultimo dei calamari come per il grande squalo bianco, le orche sono stranieri minacciosi. Minacciosi, perché cacciano tutto ciò che riescono a toccare. Stranieri, perché non nuotano mai al loro fianco.
Fuori dal tempo della natura, all’apice del loro spazio. Date loro qualche centinania di migliaia di anni: appena le orche saranno appena un po’ più consapevoli il mondo potrebbe veder nascere una nuova stirpe di veri dominatori.

Come andrà a finire?

postato il 10 Apr 2011 in Main thread
da freeronin

Ritornare dopo tanto tempo a un gesto prima consueto dà il senso di come dalla vita non possiamo aspettarci che scorra sempre allo stesso modo.

Casa al mare in Calabria dove vai tutti gli anni: scopri che i nonni stanno per venderla, ti rassegni e ti aspetti che magari un giorno tornerai e ritroverai le sensazioni dell’infanzia. Gara sui 300m di un evento in cui corri sempre quella distanza: ti trovi a non doverla più fare, ti rassegni e ti aspetti che prima o poi tornerai a farla e correrai più o meno la stessa gara, con un tempo, si spera, più basso.

Nel momento in cui i nonni vendono la casa, nel momento in cui scopri che probabilmente per parecchio tempo non farai più quella gara, ti trovi a chiederti come saranno le tue estati senza quel mare e quelle stradine assolate, come sarà gareggiare in quella manifestazione su altre specialità… In realtà non lo chiedi, ma, nel momento in cui realizzi che quella consuetudine si è completamente persa, senti un vuoto dentro che fa proprio le veci di quella domanda a cui non sai dare una risposta.

All’improvviso ti trovi davanti al fatto che ignoto è comunque il nostro futuro; anche se normalmente ci aspettiamo che una giornata scorrerà più o meno come quella precedente, in effetti non è che una finzione, perché non sappiamo davvero come andrà a finire.

Paradossalmente, l’ignoto va a insinuarsi molto di più proprio in quella stradina secca e piena di ciottoli percorsa ogni giorno per andare a mare, nella terrazza da cui ogni sera, con il nonno, guardavi il tramonto tra gli scogli, nella distanza di cui conoscevi ogni sensazione. La vertigine è tanto più forte quando, dopo qualche tempo, scopri che affacciarti a quella terrazza non ti restituisce nulla del modo in cui vedevi quel tramonto da bambino, che gareggiare dopo anni su quella distanza non è correre la stessa gara in un tempo più basso. Anche lì c’è tanto di ignoto, tanto da scoprire.

Consuetudini, riti e abitudini ci fanno in parte dimenticare di avere a che fare quotidianamente con l’ignoto. Quando all’improvviso ci viene sottratto qualcosa che per noi era consueto e abituale, ci viene sottratta una delle poche certezze che sentivamo di avere; ed ecco che dobbiamo cominciare a visitare posti nuovi e a prendere confidenza con altre specialità, trovandoci nella situazione un po’ inquietante, ma anche appassionante, di non sapere cosa accadrà, di non sapere in anticipo come quel vuoto sarà colmato.

Non siamo in condizione di fare troppi calcoli, ma, d’altra parte, ci è anche impossibile fare a meno di pensarci al di là del qui e dell’ora. Costretti a convivere con aspettative, scaramanzie, speranze, timori, scommesse, siamo spesso costretti a fare i conti, ogni giorno e nei modi più disparati, con l’ignoto.

La guardi, è già lontana

postato il 6 Apr 2011 in Main thread
da Vobby

“Bene, ora comincio a scrivere la tesina!” e invece no.

Raramente mi è capitato di pensare all’ignoto come a un’informazione. Certo, ci sono stati episodi in cui mi ha sfiorato un’interpretazione simile, ad esempio durante i compiti di chimica, ma in quei casi più che l’ignoto percepivo il vuoto pneumatico. L’ignoranza di un numero pressocchè infinito di nozioni fa parte della condizione umana. Tuttavia, in qualunque momento della nostra vita abbiamo la possibilità di apprendere qualcosa su alcune parti di questo infinito, basta interessarsi.
Questo vale per qualunque materia e campo di studio, se si è disposti a faticare. L’ignoranza di informazioni che vogliamo ottenere, insomma, è una condizione assolutamente temporanea (salvo morte improvvisa. Ma in quel caso non sei ignorante, non sei affatto).

Esiste invece un altro infinito, sul quale si potranno fare diverse congetture, ma di cui in fondo non si potrà mai, in nessun modo, scoprire niente: è l’universo delle esperienze non vissute.
Mi sono reso conto di essermi perso qualcosa dopo la maturità. Ero in ottimi rapporti non tutti i miei compagni di classe, con 4-5 di loro mi sento e vedo ancora, ogni tanto (una volta negli ultimi 5 mesi,se escludiamo incontri casuali di 5 minuti. Non odierò mai abbastanza Simona e Rossella), ma non li ho mai frequentati quando ero al liceo, non ho mai visto nei miei compagni il mio gruppo di amici. E la cosa mi ha intristito, quando ne ho compreso la portata. Alle ultime feste di compleanno mi rendevo conto che nonostante volessi bene a tutti, con pochi avevo davvero qualcosa da condividere, al di fuori dell’esperienza scolastica. La cosa si fece particolarmente palese alla festa che seguì la maturità. Mi divertii moltissimo, intendiamoci, ma anche allora ebbi momenti di lieve malinconia constatando che quasi tutti avevano in progetto, di lì a poco, di fare vacanze insieme, di provare le stesse facoltà, di prepararsi insieme per i test d’ingresso, di uscire insieme la sera dopo, di dormire uno a casa dell’altro quella notte stessa. Non era un caso che fossi sempre fra gli ultimi ad andar via dalle feste di classe. Volevo assorbire fino in fondo la vicinanza di persone che,lo sapevo, avrei visto poco fuori dall’aula. Per lo stesso motivo in fondo ho sempre preferito stare alternativamente con i miei compagni e con Mirb. Lei conosce alcuni miei compagni e compagne, e molta gente di classe sua era sempre presente alle feste di classe mia. Io non la invitavo a venire con me però, non credo di saper definire bene il motivo, in un certo senso desideravo respirare appieno un’atmosfera che sarebbe stata diversa con la sua presenza.
Perché non mi impegnavo a frequentarli fuori dalla scuola? Probabilmente perchè ho capito che avrei voluto farlo solo alla fine dei tre anni trascorsi al Genovesi. Credevo bastasse l’aula, per stringere legami con la classe. Sono davvero pochissimi i luoghi in cui mi sono sentito più a mio agio, più felice, più sereno che nella mia classe. Per stare bene lì non ho mai dovuto fare niente di meno nè di più nè di diverso da ciò che mi piaceva. Dopo un breve periodo di assestamento, ognuno acquista il suo ruolo in una classe, no? A quanto pareva, amare le materie umanistiche, essere indecente in quelle scientifiche(che poi è solo quasi vero), scroccare pizzette nell’intervallo, offrirne una una volta l’anno, sbattersi con la capoeira, la lotta e i bicipiti (lol), essere costantemente distratto, tanto da giocare a pokémon nelle ore di inglese, dimostrare cordialità e disponibilità con tutti, era più che sufficiente per farsi voler bene. Se sono stato sul cazzo a qualcuno, non me ne sono mai accorto*. Già ampliando l’area delle frequentazioni la cosa cambiava: per diversi motivi, come il mio ginnasio all’umberto, la mia abitudine a non restare molto tempo sotto scuola dopo le lezioni, la mia avversione alle occupazioni, la mia scarsa stima per alcuni personaggi piuttosto popolari, non ho conosciuto molte persone fuori di classe mia. C’è da dire poi che raramente sono stato granchè estroverso. E’ probabilmente a causa di tutto ciò che non sono quasi mai uscito con i miei compagni a Piazza del Gesù: sentivo di avere un posto e un ruolo nella classe, non sotto l’obelisco.
Basta come spiegazione?
No, perchè il mio atteggiamente era stato radicalmente diverso in passato. Nel Febbraio del 2007, quando ero in quinto ginnasio, andai alla festa di carnevale a casa di Elena, mia cugina. Lì conobbi in una sera un numero enorme di persone, e attraverso alcune di quelle ne conobbi tante altre nel giro di pochi mesi. Mi ero tuffato di testa in un nuovo mare, in niente simile a quello in cui ero abituato a nuotare, senza alcuna remora. Non ebbi alcun problema a tagliare i ponti, nel giro di settimane, con i miei amici delle medie, che ancora frequentavo, e con i miei amici dell’umberto e del mercalli. Tornando sul tema iniziale, nel febbraio del 2007 non ebbi nessuna difficoltà ad abbracciare ed esplorare l’ignoto, cioè quella che sarebbe stata la mia vita accanto a persone diverse da quelle a cui ero abituato. Per coronare il tutto, visto che da qualche tempo frequentavo altri miei compagni di classe delle medie e i loro amici genovesini, trovandomi assai bene, decisi definitivamente di cambiare scuola. In quei mesi iniziali del 2007 (fra gennaio, quando passai le mie prime serate a piazza del gesù, e marzo, quando ormai avevo iniziato a conoscere il gruppone del sannazzaro e il gruppo college) salutai con poche cerimonie anche tutto il buono che avevo avuto fino ad allora.
Come spiego questa diversità nel mio atteggiamento? Come spiego, e quindi come giustifico il fatto che, nonostante sapessi che buttandosi nell’ignoto si potesse trovare un’immensa felicità, non mi gettai fra le braccia di classe mia e del genovesi, riprendendo a frequentare la piazza come all’inizio dell’anno, ma con i miei nuovi compagni?
Semplice:in quinto ginnasio ero infelice. Avevo una sete infinita di cambiamento. Non mi sentivo a mio agio all’umberto, non ero mai stato davvero realizzato nel gruppo delle medie, non mi sentivo granchè apprezzato. Non piacevo alle ragazze, cazzo. Nell’ignoto di quel carnevale gettai la maschera e rovescai il mio mondo. Non cambiai la mia personalità, fui più profondamente, e con più sicurezza, me stesso. E questo Vobby così uguale a come era sempre stato, per qualche incredibile e meraviglioso motivo piaceva come non era mai piaciuto a nessuno. Per questo non mi dimostrai altrettando aperto all’ignoto di classe mia: ero felice nella mia ignoranza. Vivevo da poco una nuova vita, non volevo per nessun motivo abbandonarla, nè cambiarla in nessun modo.
E forse sbagliai. Perchè io non mi pentirò mai di nessun momento passato con roberta, con le pagine sparse, o a casa di luca, o di lalla, ma allo stesso tempo mi rendo conto che un piccolo sforzo in più, per fare un minimo di luce su quel mondo che non conoscevo, e per farmi illuminare da esso, potevo farlo. So che sono stato felice in questi anni, sono sicuro che non avrei potuto esserlo di più, ma non saprò mai se avrei potuto esserlo diversamente, conoscendo meglio altre persone pure tanto belle e generose, che si sono sempre dimostrate disposte a volermi bene.
Sono anche stato così imbecille da riuscire ad assentarmi alla rimpatriata che io stesso avevo proposto mesi fa, perchè controllai con un giorno di ritardo la mail di facebook, e per questo non ho scuse, mi sa.
Un mio compagno mi disse che io e lui non ci saremmo mai più visti, dopo quella festa di fine anno. Per ora ha ragione. Ma mi sono ripromesso di smentirlo, e la voglia di farlo non è diminuita.

*Eventuali lettori compagni di classe, non desidero essere smentito, grazie.

Tempo: futuro. Modo: pessimo (Post sul tempo fuori tempo massimo).

postato il 17 Feb 2011 in Main thread
da Deluded Wiseman

Oggi pensavo di suicidarmi. Non perchè provi particolare disgusto per la mia vita o cose così, no. Più che altro, mi attirava l’idea di fottere il Futuro, questo gufaccio appollaiato sulle nostre fragili e leopardiane spalle,  già provate dall studio e, meno leopardianamente, dall’ingobbimento videoludico. Intendo, pensate a quanti sfizi e desideri giovanili sacrifichiamo sull’altare del fetido Futuro:

-“Ho X soldi, e voglio spenderli tutti per comprare una maschera da Darth Vader, e poi andare, così conciato, a vedere gli Airon Meiden @Vladivostok.”
“Ma come e poi come fai senza più soldi?”

-“Vorrei passare i giorni a giocare con i Lego, interrompendo solo per fare sesso e giocare ad Halo.Insieme.”
“E non studi?Non pensi al tuo futuro?” (qua c’è tanta roba: pensate solo a tutto quello che sacrificate allo studio!)

-“Ho sempre desiderato confessarmi sotto effetto di Lsd.”
” Eh, quella roba non ti si leva più dalla testa, per tutta la vita!”

-“Vorrei recapitare, di persona, un campione omaggio di sterco al mio Presidente del consiglio.”
“E che avvenire puoi aspettarti poi, con la fedina penale sporca di merda?”

Oh, ma che palle! Questo peso del domani incombente, che pretende di essere accudito e di dettar legge prima ancora di presentarsi! Come  un creaturo, prima ancora di cacciare la testa dalla vagina della madre già ha culle, passegini e menate varie! Che poi manco c’è qualcosa di assicurato, dopo tutti sti sforzi..finisce che rimani pure appeso.E allora vaffanculo, il tempo è ora, non domani: spendi, spandi, fatti, fotti, recapita sterco, investi in coriandoli di ghisa e po dopo un pò, falla finita. Come? perchè il suicidio? Bè effettivamente certe cose proprio non te le puoi permettere. A meno che tu non decida di farla finita dopo un certo numero di  giorni da leone che, com’è noto, valgono cento volte tanto gli equivalenti ovini. E poi, quando sarai ricercato, povero,  scomunicato, deperito nel corpo e nella mente(più per Halo che per l’Lsd, in verità), insomma quando sarai un uomo senza futuro, e avrai esaurito il tuo presente, zacchete, un bel piatto di barbiturici e, oplà! Ecco che il tuo funesto futuro, ormai assicurato, è solo un ricordo, per altro non tuo, visto che sei morto. Bello eh? Uno scambio equo: un incerto domani per un tangibile e festoso presente. Scherzi a parte, anche avendo aspirazioni, passioni, stile di vita più cristiani, è difficile, a meno che la vostra unica ragione di vita sia ciò che studiate, che possiate vivere  felici e spensierati per molto tempo..vivendo di meno, paradossalmente, potreste essere, in quel breve intervallo fra la fessa e la fossa,  più gai di Signorini.

Bene, e si può dire che questa è la mia malata visione del tempo: il presente viene rosicchiato e deturpato in nome di questo sasiccio oscuro che incombe, peraltro senza che qualunque cosa io faccia mi dia una qualche minima assicurazione sull’effettiva soddisfazione che ricaverò dal suddetto  sasiccio . Sono sicuro che se tutti si stabilisse, con calma e serenità, la data della propria morte,  più o meno distante nel tempo a seconda di quanto ci si vuole assumere qualche seppur minima responsabilità, si sarebbe tutti più felici.  La domanda sorge, ora spontanea. Che ci faccio ancora qui, invece di pariarmela in giro in vista del mio decesso,  che dovrei già aver programmato per il 5 maggio(la classe non è acqua)? Ci sono vari motivi, e se anche solo per una volta avete desiderato darvi al cazzeggio full-time, lo sapete anche voi perchè alla fine non lo si fa..per esempio, si potrebbe argomentare che la vita non è solo svago al cubo e felicità a buon mercato, ma anche cercare di raggiungere, a costo di ingenti sforzi, qualche obiettivo per..boh, ambizione, senso di responsabilità verso dio sa cosa, alti ideali, cose così. Poi c’è sta cosa che, incomprensibilmente, per quanto “domani è un altro giorno” suoni più che altro come una minaccia, per quanto tutto indichi che i millemila giorni  che ci aspettano siano non solo da pecora, ma a pecora, tutti ci ostiniamo a riporre insensate speranze nell’avvenire,  sacrificando buona fetta della nostra serenità psicofisica augurandoci di essere, un giorno, ripagati (Più o meno quando saremo vecchi e penseremo che ci siamo fatti il mazzo a tarallo quando eravamo vigorosi per polleggiarcela nel deperimento! Ok, scusate, era arrivato il momento “moralechegiustificalatuasofferenza”, la smetto di essere disfattista). C’è sta cosa di dover tirare dritto invece di sbattersene e vivere al momento. Che forse è pure giusto.  O forse è solo che sappiamo di non poter vivere a lungo spassandocela, e visto che non abbiamo le palle di farla finita ci rassegniamo!Eh? Può essere(potevo mica finire con la morale, scusate).

PS:non sono in grado di capire se questo post è degno o no. Ma credo che, per quanto banali, scrivere gli ultimi righi mi sia servito a trovare la grinta per studiare mille ore al giorno perlomeno fino a marzo. Quindi siatene comunque felici, perchè buttare giù sta merda ha preservato la mia sanità mentale.

I don’t mind the weather..

postato il 15 Feb 2011 in Main thread
da VaMina

Il tempo oggi è bello. E sono felice.

No, non è vero. Sono abbastanza stressata. In realtà era un modo arguto per introdurre l’argomento, cioè le persone pseudo-meteoropatiche. Non voglio parlare della meteoropatia, che esiste, me lo ha detto Wikipedia, ma di tutta quella gente che in tono lamentoso dice “Sono di malumore, sai, oggi il cielo è grigio e io sono meteoropatico”. Va bene, nessuno direbbe proprio così, ma il concetto è quello.* Ammetto che anche io entravo nella categoria, poi nella mia stanza è entrato uno gnomo con una padella, mi ha picchiato e sono rinsavita. Ora sono depressa perché vedo gli gnomi. Se uno DECIDE da prima che quando il tempo fa schifo DEVE essere depresso, è evidente che il problema non è del sole che ha deciso di non farti un favore.
Uno si sveglia la mattina, vede che piove e pensa “Toh, ora la giornata deve andare male e io devo essere profondamente triste”.. ma che senso ha?
Un senso ce l’ha sicuramente, ma nella sua testa. Insomma, il problema è il suo (e Vamina ha fatto la scoperta dell’acqua che bolle a 100°). E’ la stessa cosa di quando mi sveglio, non studio per un’ora, e decido che tutta la giornata non studierò più,o meglio non “riuscirò” più a farlo. Non è una cosa reale.
Ci sono anche persone che si sentono felici quando piove e depresse quando c’è il sole, ma alla fine è uguale, forse sono collegate telepaticamente con gli orti e i campi, non lo so, non mi interessa. Il succo della faccenda è che è una questione psicologica. Ok, ma perché?
E’ una scusa per rintanarsi in casa e non affrontare l’esistenza?
E’ una buona occasione per rispondere male a tutti? (Questa è più improbabile, anche se divertente)
E’ una motivazione da addurre al tuo malumore e per sguazzarci dentro?
E’ una carenza di ombrelli in casa?

Questo post si limita ad una superficialità sconcertante, ma io sinceramente non posso addentrarmi nei meandri del problema, prima cosa perché mi rompo di mimare qui i meccanismi psicologici dei vari blocchi all’azione e tristezze e poi non ho tempo (ahah!) e anche perché non sono capace di analizzarli, posso solo dire prendete un ombrello e andatevi a fare un giro. O chiamatemi, io vi mando lo gnomo, ora vive nel mio armadio e mi sgrida quando dico che sono grassa.

Dato che ho risolto il problema del post sul tempo con questo simpatico escamotage, producendo uno scritto breve e stupidino, mi impegno comunque ad affrontare brevemente la questione del tempo cronologico.

Time

Ticking away the moments that make up a dull day
You fritter and waste the hours in an offhand way
Kicking around on a piece of ground in your home town
Waiting for someone or something to show you the way

Tired of lying in the sunshine
Staying home to watch the rain
And you are young and life is long
And there is time to kill today
And then one day you find
Ten years have got behind you
No one told you when to run
You missed the starting gun

And you run, and you run to catch up with the sun, but it’s sinking
Racing around to come up behind you again
The sun is the same in a relative way, but you’re older
Shorter of breath and one day closer to death

Every year is getting shorter
Never seem to find the time
Plans that either come to nought
Or half a page of scribbled lines
Hanging on in quiet desparation is the English way
The time is gone
The song is over
Thought I’d something more to say

Home, home again
I like to be here when I can
When I come home cold and tired
It’s good to warm my bones beside the fire
Far away across the field
The tolling of the iron bell
Calls the faithful to their knees
To hear the softly spoken magic spells

Dopotutto è sempre un punto di vista. Ed è bella.

*E’ normalissimo, certo, che uno possa preferire una certa situazione climatica, non parlo di questo, ma di depressioni a priori. Ah comunque è normale una preferenza, ma a meno che non ci sia il tuo matrimonio all’aperto deprimersi è abbastanza …sciocco?

Ed ora io domando tempo al Tempo…

postato il 14 Feb 2011 in Main thread
da Cerbs

…ed egli mi risponde: “Non ne ho!”

Ruota eterna ruota pesante

lenta nel tuo cigolio

stai schiacciando le mie ossa e la mia volontà 

Meccanismo fatto di croci

coi tuoi fantocci attaccati

che pendono dai tuoi raggi

e girano coi tuoi ingranaggi

va…

Va la ruota va

un colpo non lo perde mai

Cambia i volti non cambia niente

lo sperma vecchio dei padri

ho urlato forte la mia rabbia

ma agonizzo anch’io anch’io

Ah ruota gigante

perchè dunque mi fai pensare

se nel tuo girare

la mente poi mi frenerai

Va la ruota va

un colpo non lo perde mai

mai e va.

Questa canzone chiude uno dei più grandi dischi che l’umanità abbia mai saputo regalare a sè stessa, “Darwin” dei Banco del Mutuo Soccorso, 1972, coronando il percorso intellettuale che gli artisti compiono in quest’opera, affrontando i temi del tempo, del passato e dell’evoluzione. Io credo che questo brano sia molto suggestivo, e che sia una metafora sul tempo più esplicativa ed immaginifica di tante altre.

Questa è la copertina:

Morire per delle idee…

postato il 13 Feb 2011 in Main thread
da freeronin

[Metto le mani avanti perché mediamente ho una scarsissima sensibilità allo spoiler: non mi sento di dire che c’è uno spoiler di “Delitto e Castigo”, ma c’è un riferimento abbastanza chiaro a quella che credo essere una delle tematiche di fondo del romanzo, ma che, d’altra parte, compare all’inizio del libro]

“immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con un pugno, immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni?”

(Ivan Karamazov)

Il più delle volte non osiamo confrontarci con il fatto che la nostra vita, e quindi anche la nostra conoscenza, sia finita e circoscritta.

Non riusciamo a rassegnarci al fatto di essere destinati a perire, non tanto nel corpo, quanto nella cosiddetta anima, nella nostra individualità. Religioni, idee e valori, e la loro realizzazione nella storia umana, rappresentano per noi un modo di proiettarci in un tempo in cui non saremo più o non eravamo ancora, un surrogato dell’eternità che sentiamo esserci stata negata.

Qualcuno si sente pronto a sacrificare la propria vita  o quella degli altri, a qualcun altro non capita di uccidere o morire, ma di donare ugualmente la propria esistenza a un’idea, vivendo per essa.

Ugualmente, dal punto di vista concettuale, noi comuni mortali spesso iniziamo a parlare con una persona partendo già con l’intenzione, o addirittura con lo scopo, di convincerla della nostra idea, o, magari, più pragmaticamente, di trascinarla a una manifestazione perché faccia numero per la nostra causa. Dico ugualmente perché ugualmente in quel momento stiamo trattando l’altro, e noi stessi, come nulla più che uno strumento con cui possiamo realizzare quello che crediamo un mondo migliore.

In ognuno di questi casi, quando ci rifiutiamo di mettere in discussione in alcuna maniera la nostra idea le abbiamo offerto in sacrificio uno dei lati fondamentali del nostro essere uomini, ci siamo trovati a credere che la nostra idea valesse più dell’uomo, più della vita e della personalità umana.

Credo che se davvero in ogni momento tenessimo conto che una vita è tutto quello che abbiamo, nonché la nostra unica certezza, rifletteremmo un po’ di più prima di regalarla a un supposto valore, a un’idea creata dall’uomo che, in quanto tale, non dovrebbe poter valere più di un uomo.

Forse può valere tanti uomini, l’umanità…

[spoiler]Assumersi con piena consapevolezza la responsabilità di sacrificare anche solo una persona, ritenuta inutile o dannosa per la felicità e il benessere dell’umanità, ci farebbe vacillare, e il povero Rodion, che pure sembrava sicuro del suo ragionamento, ne sa qualcosa.[/spoiler] Noi quando anteponiamo un’idea a una persona non abbiamo nemmeno la certezza che un determinato sacrificio sia indifferente o utile al raggiungimento della felicità, della pace e dell’armonia universale.

Certo, sto portando alle estreme conseguenze un ragionamento che la maggior parte delle volte, come ho detto prima, ci porta solo ad essere spocchiosi e a non rispettare l’altro, piuttosto che ad ucciderlo davvero, ma credo anche che questo non sia del tutto privo di importanza, considerando che noi stessi e le persone che abbiamo intorno sono il riferimento etico più solido che abbiamo.

Se dio non esiste, ma è nella mente e nel cuore di chi vi crede, non possiamo solo per questo ignorare dio e vivere come se non esistesse, perché dio è costantemente presente nella nostra società, e siamo comunque quotidianamente costretti a confrontarci con questo dio. A che ci servirebbe, a quel punto, la nostra certezza matematica che dio è fisicamente e ontologicamente inesistente? A che ci servirebbe ostentare con fare irrisorio la verità che abbiamo in tasca, che dio non esiste?

Ci servirebbe solo sforzarci di trovare il modo di aprirci a questo dio e di dialogare con lui, perché, alla fine dei conti, non è in gioco una generica eternità, bensì la nostra vita e quella degli altri.

Molecologi

postato il 11 Feb 2011 in Main thread
da Azazello

[Questa volta l’argomento è il tempo e siamo stati invitati a parlarne in modo soggettivo. Io, un po’ per spirito di contraddizione e un po’ perché del mio soggetto non credo possa interessare granché a nessuno dei lettori, ho deciso di parlare del tempo di tutti]

[Il titolo di questo post si legge “Molecològi”]

[Questo post è lunghissimo. MI DISPIACE. Ho veramente cercato di scrivere solo lo stretto necessario, e ho comunque la sensazione di non aver detto molte cose essenziali. SCUSATEMI! Per accorciarlo ho messo sotto spoiler una parte (piuttosto lunga) che consiglio di leggere solo a chi non ha per niente idea del ruolo di DNA e proteine nel funzionamento delle cellule e del corpo umano]

[spoiler]Il DNA (Acido 2-DesossiriboNucleico) è una molecola che potete immaginare come un lungo filo sottile abbastanza da stare, avvolto, dentro il nucleo delle cellule, costituito da una sequenza di nucleotidi, che per l’appunto sono le unità di cui questo filo è costituito. Ai fini di quello di cui voglio parlare, dovete pensare al DNA come a una lunga riga di lettere (circa 3 miliardi nell’uomo) ognuna delle quali rappresenta un nucleotide; i nucleotidi possono essere di 4 tipi: A (Adenina), T (Timina), G (Guanina), C (Citosina), quindi tutta la riga sarà costituita da una ripetizione (all’apparenza) più o meno casuale di queste lettere, per esempio: …AGTCGATGATCGGATCGATCGATTAGCTAGA…, che potrebbe tranquillamente essere una sequenza di DNA. La funzione del DNA è quella di contenere, conservare, duplicare (durante la riproduzione) e rendere disponibile il cosiddetto patrimonio genetico, vale a dire tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo e il mantenimento in vita dell’organismo. Queste informazioni sono codificate attraverso il cosiddetto codice genetico e servono tutte per la costruzione di una grande raccolta di proteine, che fanno praticamente tutto ciò che c’è da fare, dal dare una forma alle cellule (e per estensione al corpo) a farle muovere, mangiare, digerire, crescere, riprodursi, morire; ogni proteina ha una funzione estremamente specifica. Le proteine sono composte di amminoacidi, 20 tipi in totale, che potete immaginare come tante palline con attaccato una protuberanza diversa per ciascun tipo; una catena di amminoacidi costituisce un peptide e quando questa catena si ripiega su se stessa raggiungendo una conformazione più o meno stabile in grado di svolgere una qualsiasi attività a livello molecolare, abbiamo una proteina funzionante (se queste proteine catalizzano, ovvero accelerano, una qualche reazione chimica, sono dette enzimi). Il passaggio dall’informazione codificata nella sequenza di nucleotidi del DNA alla catena di amminoacidi nelle proteine viene detto sintesi proteica ed è costituito dalla fase di trascrizione, in cui viene formata, grazie alla funzione della proteina RNA Polimerasi una molecola complementare alla sequenza di nucleotidi che viene trascritta da usare come stampo per la produzione delle proteine, e dalla fase di traduzione in cui questo stampo viene “letto” e quindi “tradotto” attraverso un sistema complicato in una proteina. Lo stampo di cui stiamo parlando si chiama mRNA (messenger RNA) e non credo che vi serva sapere granché su come è fatto, vi basti sapere che è simile al DNA nel senso che è fatto di nucleotidi, ma che al contrario del DNA i filamenti di mRNA sono corti e hanno lo scopo di trasportare solo le informazioni necessarie, ancora codificate, dal nucleo al citosol (il resto della cellula), dove vengono tradotte. Insomma, per semplificare (ulteriormente): ogni proteina è prodotta a partire da una sequenza di DNA, per cui esiste una correlazione diretta fra sequenza di DNA e funzione specifica che verrà svolta in seguito alla trascrizione e successiva traduzione della sequenza. L’ultima cosa che voglio dire è che la trascrizione delle sequenze di DNA è regolata attraverso diversi meccanismi, di cui ce ne interessa uno in particolare: esistono delle proteine chiamate fattori di trascrizione che sono capaci di legarsi ad una sequenza specifica di DNA (detta regolatoria) e in questo modo di influenzare se la sequenza adiacente deve essere trascritta o meno; ovviamente, per la ragione che ho scritto poco più su, se una certa sequenza di DNA a cui corrisponde una specifica proteina viene trascritta, la cellula potrà svolgere la funzione associata a quella proteina, se invece non verrà trascritta questa funzione mancherà. Le varie regioni di DNA che contengono una sequenza codificante per una proteina e sequenze regolatorie per questa regione sono dette geni; possiamo quindi immaginare il DNA come una lunga serie di lettere, raggruppate in geni, che codificano ciascuno a. informazioni per svolgere una specifica funzione attraverso la sintesi proteica e b. sequenze regolatrici per permettere di svolgere quella data funzione (stimolazione o attivazione) solo quando serve, tenendola bloccata (inibizione) se è inutile. ULTIMA COSA, prometto, tutte le proteine hanno un tempo limitato, unico per ogni proteina, per cui esistono e sono funzionali prima di essere degradate. Questo vuol dire che, a meno che la sintesi di una proteina non sia continua, quando viene inibita la sintesi, dopo un po’ di tempo la proteina già sintetizzata viene degradata e scompare dalla cellula.[/spoiler]

Qualcuno di voi si sarà chiesto, nel corso della propria vita, come mai determinate funzionalità del corpo umano siano associate a specifiche ore del giorno, con una periodicità più o meno precisa. Cose di questo tipo possono essere avere sonno la sera, essere più “svegli” e concentrati al mattino (la parola inglese è “alertness”, al momento mi sfugge una traduzione migliore – ammesso che ci sia), temperatura corporea più alta in determinati momenti del giorno etc. La prima domanda che ci si pone di fronte a un fenomeno periodico di cui vogliamo conoscere il meccanismo è: la periodicità è intrinseca o indotta? Nel caso del comportamento periodico più evidente dell’uomo, il sonno: abbiamo sonno di sera perché un fattore esterno (come potrebbe essere il buio) fa scattare qualche sistema per cui ci viene sonno o succede perché, indipendentemente dalle condizioni esterne, periodicamente dopo x ore di veglia siamo indotti ad avere sonno? Chiaramente sarebbe tutto molto comodo se il primo caso fosse vero (meno roba da studiare), ma a quanto pare non è il nostro caso. Chiunque di voi abbia percorso in aereo una sufficiente distanza lungo l’asse est-ovest avrà sperimentato il cosiddetto “Jet lag”, il cui sintomo più evidente è proprio l’alterato ciclo sonno-veglia, che non si spiegherebbe se quest’ultimo fosse regolato solo dal susseguirsi di ore di luce e ore di buio – ma ci torneremo.

È venuto fuori da studi sia sugli umani che sugli animali, in particolare la ben nota a chiunque abbia avuto a che fare con la biologia “Drosophila melanogaster”, anche detta in termini più scientifici “Moscerino della frutta”, che esistono dei meccanismi biologici per cui certe attività sono regolate periodicamente. Con grande fantasia questi ritmi sono stati definiti “Circadiani” e sono caratterizzati da tre caratteristiche fondamentali:

  1. Sono capaci di ripetersi in totale assenza di stimoli, ad esempio nel buio perpetuo (e, beh, direi che questo si spiega da sé)
  2. Sono indipendenti dalla temperatura¹
  3. Si possono resettare con determinati segnali esterni, detti “Zeitgebers” (parlando sempre del jet lag, dopo un po’ il disturbo va via da sé proprio per questa ragione)

Sia l’uomo che la Drosophila hanno cicli sonno-veglia che rispecchiano queste caratteristiche (ometto la spiegazione di come hanno capito che i moscerini della frutta dormono) e in entrambi i casi il ciclo dipende da un processo che avviene a livello della trascrizione di alcune proteine specifiche, meglio caratterizzate per Drosophila ma di cui sono stati trovati vari omologhi anche nel DNA dei mammiferi. Nel caso della Drosophila esiste almeno un centro di cellule che svolge questa funzione di orologio, anche se sembra che ci siano altri gruppi di cellule in grado di regolarsi indipendentemente dal primo gruppo, mentre nel caso dell’uomo esiste un pezzettino di cervello (che conosco solo di nome e collocazione, Cerbs saprà senz’altro dirvi di più! 28! vergogna!) chiamato SCN o Nucleo Soprachiasmatico, deputato appunto a svolgere questa funzione.

Il meccanismo molecolare che regola la periodicità dei ritmi circadiani non è dei più complicati che riesco a immaginare, ma non è nemmeno particolarmente ben studiato, quindi potrebbero esserci delle sorprese domani, dopodomani o fra tre giorni (metà delle cose che ho letto hanno già 10 anni), e coinvolge (nel caso di Drosophila) 2 geni (e le 2 proteine a loro associate) e 2 fattori di trascrizione. I geni sono tim (da timeless)² e per (period) (le proteine associate si chiamano TIM e PER, visto che è costume chiamare i geni con lettere minuscole e le proteine con le maiuscole) e i fattori di trascrizione sono dCLK (dCLOCK) e CYC (CYCLE), che formano un dimero (una proteina composta di due diverse catene di amminoacidi unite fra loro) e attivano la trascrizione di tim e per. Ora, la cosa curiosa di questo processo, che tra poco vi spiegherò sommariamente, è che in genere l’azione di proteine o enzimi si svolge in un lasso di tempo piuttosto breve, quando non si tratta di cose particolarmente complicate o su larga scala, mentre l’intero ciclo di trascrizione, funzionalità e degradazione di TIM e PER dura, in media, 24 ore e qualche minuto (11, dicono), per cui si rivela particolarmente adatto a svolgere la funzione di giornologio (bella parola, vero?). Il ciclo funziona pressappoco così:

  1. verso mezzogiorno dCLK e CYC dimerizzano e il complesso dCLK/CYC attiva la trascrizione di per e tim (nel nucleo, ovviamente) e i loro mRNA sono trasportati nel citosol
  2. in serata, soprattutto subito dopo il tramonto, gli mRNA di per e tim sono alla massima concentrazione (rispetto al ciclo) nel citosol e il gran numero di proteine PER e TIM tradotte da questi mRNA favorisce la formazione del complesso PER/TIM (le due proteine si uniscono), sempre nel citosol
  3. verso mezzanotte il complesso PER/TIM entra nel nucleo
  4. a questo punto TIM viene degradata (rotta, distrutta, insomma: non esiste più) e nel nucleo rimane solo PER che è in grado di inibire la trascrizione dei geni per e tim (per cui i livelli di PER e TIM nel citosol si abbassano)
  5. infine, dopo qualche ora (dopo l’alba) PER (nel nucleo) viene degradata e il ciclo riprende dalla trascrizione di tim e per, che non è più inibita e può ricominciare

Eccovi un pratico schema, preso dall’articolo che ho usato come referenza, che spiega la cosa:
Molecologio!

P = PER, T = TIM, DBT non vi interessa. I trattini col | alla fine significano “inibisce” (—|) e i trattini con la freccia indicano il movimento o la diretta conseguenza di qualcosa.

Ora, questo processo è ciclico, ovvero si ripete, ed è periodico, quindi lo fa a intervalli regolari, il che è quasi tutto quello che ci serve. Quello che manca, ora, è un modo per questo ciclo di interagire col resto del corpo per indurre i processi che ci interessano e un modo per essere resettato in caso il ciclo giorno/notte si desincronizzi rispetto al ciclo veglia/sonno (cambio di stagione, viaggi intercontinentali…). Nel caso dell’uomo l’SCN interagisce con altri organi attraverso il sistema nervoso, non so bene quali e onestamente indagare sarebbe fin troppo specifico per questo post, ma quello che mi interessa fare presente è che l’SCN invia il suo “segnale orario” al momento giusto, tra le altre cose, alla ghiandola pineale (yo Cartesio yo), che risponde secernendo un ormone (che per puro caso è anche un antiossidante) chiamato melatonina, che tra i suoi effetti ha di indurre sonnolenza. Chiarito come l’SCN influenzi il resto del corpo, possiamo passare ai simpatici Zeitgebers, ovvero “datori di tempo” (che orrore), il più importante dei quali è sicuramente la luce, che hanno la capacità di influenzare il ciclo di TIM e PER. L’SCN riceve un segnale dalla retina (occhi) che, sembra, induce la degradazione di TIM nel citosol, rendendo più lenta la tappa 2 del ciclo (formazione del dimero TIM/PER). Questo, e sto speculando perché non ho trovato informazioni precise, potrebbe essere un sistema per “allungare” il giorno, nel senso che la tappa 2 di per sé avviene di sera (quando fa buio) per cui, se al momento in cui dovrebbe avvenire c’è luce, la degradazione di TIM rallenta questa tappa impedendo che il ciclo proceda subito verso quello che per lui dovrebbe essere “notte” (ma che in realtà, essendoci luce, non è ancora notte).

Cose interessanti da dire sull’argomento ce ne sono a miliardi, ma vorrei concludere con due cose in particolare:

  1. A quanto pare la luce blu è uno Zeitgeber particolarmente efficace, per cui capita che alle persone che devono riprendere un normale ciclo sonno/veglia sia consigliato, di sera, di portare degli occhiali che schermino la luce blu. Naturalmente anche spegnere le luci e gli schermi retroilluminati è altrettanto (anche più, probabilmente) efficace;
  2. Sembra che tutto questo meccanismo si sia sviluppato, nell’evoluzione, molti (MOLTI) anni fa per proteggere i batteri dalla luce ultravioletta (che può creare danni) durante la duplicazione del DNA. A quanto pare ci sono dei lieviti che ancora oggi regolano questo processo in modo da farlo solo al buio;

¹Sembra che il punto 2 non sia vero. Ho trovato informazioni contrastanti in merito, ma il senso generale è questo: qualsiasi reazione chimica avviene più in fretta a temperature più alte, quindi anche il ciclo che regola i ritmi circadiani ne dovrebbe essere affetto. In passato si credeva che dovesse esserci un meccanismo per evitare questa cosa, ma, a quanto ho capito, non c’è e il ciclo cambia effettivamente periodicità a seconda della temperatura xD

²Per qualche tempo, e credo anche oggi in certi casi, tra i biologi c’è stata la moda di chiamare i geni con la condizione che si verifica se mancano, quindi potete capire che il gene tim(eless) si chiama così perché gli insetti in cui non funzionava per qualche motivo apparivano incapaci di gestire le cose inerenti al passare del tempo. Altri capolavori del genere sono hunchback, giant, bicoid, tailless

We’ll never be so young again

postato il 4 Feb 2011 in Main thread
da Vobby

Il tempo. Magnifico. Potrei sbizzarrirmi con il Benedetto Croce che ho riletto un po’ ultimamente, o divertirmi con il circolare tempo mitico, per non parlare di quanto il tema del tempo si sposi bene col determinismo!
Magari nei prossimi giorni.
Oggi, invece…:

Una mia compagna di scuola (di collegio, quel che è) mi ha raccontato un po’ della sua vacanza in Corsica (o era Croazia?) durante la quale lei e i suoi amici hanno preso alcune lezioni di surf.
Il maestro di surf, alle persone che non avevano voglia di provare, perchè impaurite dalla difficoltà, inibite dalla timidezza, o magari semplicemente perchè annoiate o pigre, usava ripetere questa frase: “com’on,try, we’ll never be so young again!”

We’ll never be so young again. La suddetta compagna ha anche fatto un album fotografico su fb in cui ci sono appunto le foto sue e dei suoi amici durante e dopo la vacanza. Mi ha fatto una strana impressione notare la somiglianza dei gesti e delle espressioni presenti in quelle foto, con quelle presenti sulla bacheca appesa qui in camera.

Non so bene quanta importanza lei dia a questa frase, che magari considera solo un divertente ricordo, a me però ha colpito abbastanza profondamente… per la sua verità. Non sarò mai più così giovane. Non ho un’adolescenza che mi aspetta, non più, c’è una maturità che mi si prepara. Ho ancora tanto tempo per essere giovane, per esprimere al massimo questa salute e questa velocità mentale che però, un giorno, magari tra tantissimo tempo, magari poco, e poco per volta, ma sicuramente, cominceranno a diminuire.

Questo non vuole essere un modo per denigrare maturità e vecchiaia: quelli sono tempi tutti da scoprire, con le loro gioie e i loro dolori. Dico però che comincio a sentire il peso di una responsabilità. La mia mente non sarà mai più così pronta ad apprendere, mai più il mio corpo sarà così malleabile dall’esercizio. Buona parte di quello che sarò nella mia vita, lo deciderò in questa giovinezza. Sono responsabile oggi, oggi più di ieri, quando stavo ancora crescendo, di chi sarò domani. Se voglio stimare la mia futura persona, se voglio che quella si guardi allo specchio con una certa fierezza,ebbene quella persona devo cominciare a costruirla oggi.
Dare forma a un uomo degno di questo nome sarà di certo stancante, ma tanta resistenza alla fatica non ce l’avrò mai più: meglio cominciare a darsi da fare, vi pare?

L’incombere del Tempo.

postato il 3 Feb 2011 in Main thread
da Bread

Rimuginando sull’argomento del mese ho avuto una strana sensazione, più di una strana sensazione. Ansia, inquietudine e tante altre brutte cose. A dirla tutta il tempo non mi è mai piaciuto troppo. Può essere un argomento interessante, affascinante se esaminato sotto un profilo specifico; sia esso filosofico o scientifico. Si poterbbe discutere ore, giorni, mesi, anni..secoli.. e così via.. sul concetto di Tempo e sul suo significato.E’ appunto di questo che eviterò di parlare (dato che non ho secoli da perdere).Voglio parlare, invece, della sensazione che mi dà il tempo, di come mi fa sentire, di come io mi pongo nei confronti di esso. Come vi dicevo.. non mi è mai piaciuto particolarmente pensare al tempo,mi ha sempre messo ansia pensare che gli eventi si susseguono incessantemente, e che un momento una volta trascorso, è andato per sempre. Non c’è modo di farlo tornare, se non con la memoria; ma questa non fa altro che rammentare che ciò che è passato è passato. Mi dà inquietudine pensare che il tempo scorre inesorabile. E avete voglia a contraddirmi voi tenaci sostenitori delle teorie di Alberto, perchè tanto per me questa cosa è vera.. e basta. Credo che quest’inquietudine mi venga soprattutto dal fatto che c’è una scadenza; a tutto, alle azioni, ai pensieri, alla vita. Una scadenza in data da destinarsi.. potrebbe essere tra molti anni(si spera), o tra un mese, o anche tra un’ora(Dio me ne scampi). Non è angoscia della morte la mia; certo non faccio i salti di gioia all’idea di dover morire, ma ciò che mi inquieta nel profondo è dover invecchiare, e ( ecco che si arriva al cuore della mia angoscia) vivo nel terrore di invecchiare senza aver combinato niente di buono nella mia vita. Perché rendersi conto di non aver raggiunto nessun obiettivo quando si è ormai troppo vecchi per fare alcunché, sarebbe, a mio modestissimo giudizio, la più triste delle sorti per un essere umano.

Chiedo venia se ho tediato voi lettori con uno sfogo personale così triste ed aggiungo un paio di appunti al post
1) Prima ho scritto che c’è una scadenza a tutto azioni,vita, pensieri.In realtà c’è da dire che il pensiero in molti casi è l’unica cosa che resiste nel tempo, se ve ne è testimonianza; e questa è una bellissima.
2) Quel Dio me ne scampi era solo un modo di dire.. non credo che Dio possa salvarmi dal morire tra un’ora, né che esista un dio.
3) Per chi non mi conosce personalmente: non passo le mie giornate a tormentarmi pensando all’incedere del tempo.E’ solo che quando penso al tempo penso alle cose di cui sopra. Ci tenevo a precisarlo :°°D
4) Con i(le?) tags ho esagerato di proposito perché lo trovavo divertente
5) Si, lo so che 5 sono più di “un paio”

 

Fatal error: Class 'AV\Telemetry\Error_Handler' not found in /membri/.dummy/apps/wordpress/wp-content/plugins/altervista/early.php on line 188