[Metto le mani avanti perché mediamente ho una scarsissima sensibilità allo spoiler: non mi sento di dire che c’è uno spoiler di “Delitto e Castigo”, ma c’è un riferimento abbastanza chiaro a quella che credo essere una delle tematiche di fondo del romanzo, ma che, d’altra parte, compare all’inizio del libro]
“immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con un pugno, immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni?”
(Ivan Karamazov)
Il più delle volte non osiamo confrontarci con il fatto che la nostra vita, e quindi anche la nostra conoscenza, sia finita e circoscritta.
Non riusciamo a rassegnarci al fatto di essere destinati a perire, non tanto nel corpo, quanto nella cosiddetta anima, nella nostra individualità. Religioni, idee e valori, e la loro realizzazione nella storia umana, rappresentano per noi un modo di proiettarci in un tempo in cui non saremo più o non eravamo ancora, un surrogato dell’eternità che sentiamo esserci stata negata.
Qualcuno si sente pronto a sacrificare la propria vita o quella degli altri, a qualcun altro non capita di uccidere o morire, ma di donare ugualmente la propria esistenza a un’idea, vivendo per essa.
Ugualmente, dal punto di vista concettuale, noi comuni mortali spesso iniziamo a parlare con una persona partendo già con l’intenzione, o addirittura con lo scopo, di convincerla della nostra idea, o, magari, più pragmaticamente, di trascinarla a una manifestazione perché faccia numero per la nostra causa. Dico ugualmente perché ugualmente in quel momento stiamo trattando l’altro, e noi stessi, come nulla più che uno strumento con cui possiamo realizzare quello che crediamo un mondo migliore.
In ognuno di questi casi, quando ci rifiutiamo di mettere in discussione in alcuna maniera la nostra idea le abbiamo offerto in sacrificio uno dei lati fondamentali del nostro essere uomini, ci siamo trovati a credere che la nostra idea valesse più dell’uomo, più della vita e della personalità umana.
Credo che se davvero in ogni momento tenessimo conto che una vita è tutto quello che abbiamo, nonché la nostra unica certezza, rifletteremmo un po’ di più prima di regalarla a un supposto valore, a un’idea creata dall’uomo che, in quanto tale, non dovrebbe poter valere più di un uomo.
Forse può valere tanti uomini, l’umanità…
[spoiler]Assumersi con piena consapevolezza la responsabilità di sacrificare anche solo una persona, ritenuta inutile o dannosa per la felicità e il benessere dell’umanità, ci farebbe vacillare, e il povero Rodion, che pure sembrava sicuro del suo ragionamento, ne sa qualcosa.[/spoiler] Noi quando anteponiamo un’idea a una persona non abbiamo nemmeno la certezza che un determinato sacrificio sia indifferente o utile al raggiungimento della felicità, della pace e dell’armonia universale.
Certo, sto portando alle estreme conseguenze un ragionamento che la maggior parte delle volte, come ho detto prima, ci porta solo ad essere spocchiosi e a non rispettare l’altro, piuttosto che ad ucciderlo davvero, ma credo anche che questo non sia del tutto privo di importanza, considerando che noi stessi e le persone che abbiamo intorno sono il riferimento etico più solido che abbiamo.
Se dio non esiste, ma è nella mente e nel cuore di chi vi crede, non possiamo solo per questo ignorare dio e vivere come se non esistesse, perché dio è costantemente presente nella nostra società, e siamo comunque quotidianamente costretti a confrontarci con questo dio. A che ci servirebbe, a quel punto, la nostra certezza matematica che dio è fisicamente e ontologicamente inesistente? A che ci servirebbe ostentare con fare irrisorio la verità che abbiamo in tasca, che dio non esiste?
Ci servirebbe solo sforzarci di trovare il modo di aprirci a questo dio e di dialogare con lui, perché, alla fine dei conti, non è in gioco una generica eternità, bensì la nostra vita e quella degli altri.