In un batter d’ali

postato il 10 Lug 2012 in Main thread
da Vobby

Buio.
Respiro. Spingi, buio, spingi, buio, luce, spingi, luce luce, apri le ali.
Sbatti le ali, vola, fame, vola vola, fiore, vola, fiore, cibo, mangia.
Vola, sazietà, desiderio, cerca, cerca, vola, cerca cerca.
Vespa, paura, scappa scappa scappa, vespa, paura, scappa, vespa, paura, scappa scappa, lontano, desiderio.
Cerca cerca cerca, trovata, vola vola vola, presa, desiderio desiderio, amore.
Stanchezza, vola, fame, vola vola, fiore, cibo, stanchezza, stanchezza, vespa, paura, vola, stanchezza, vespa.
Dolore, vespa, paura paura, dolore, ves…

Ancora sui luoghi comuni

postato il 8 Mag 2012 in Main thread
da Vobby

Questo post è un commento al post di Deluded Wiseman sui luoghi comuni, del quale si consiglia un’attenta lettura. Era diventato un po’ troppo lungo perché venisse letto come commento e si era parzialmente discostato dal tema originale proposto dal collega Autore

Non so se è svolgere la nostra personalità che ci rende umani. E’ una bella immagine quella dell’uomo considerato come unica creatura vivente capace di volta in volta di decidere dove, come, quando, perché e cosa fare. Questo ritratto può essere un ideale a cui tendere, e forse è anche questo il senso del post di Deluded Wiseman, che però non descrive la realtà dell’essere umano. Restando sui luoghi, così come le anatre migrano a sud durante l’inverno, così come i gatti defecano lontano da dove mangiano, così come le foche (sì, le foche, hasta siempre) devono stare a terra per trombare e rotolare e in acqua per cacciare, dimostrando la loro natura di implacabili predatori, così gli uomini di ogni epoca hanno diviso gli spazi fra i luoghi di lavoro, di allevamente dei figli, svago e tutto il resto. Possiamo vederla come una tendenza fisiologica all’irregimentarsi, non necessaria oggi che non siamo costretti a seguire le migrazioni dei mammuth per poterci nutrire, però c’è sempre stata, e, quindi, direi che è una cosa molto umana.
La cosa che condivido, è che questo forse non ci rende vivi. Perché, sì, la vita naturale, meramente fisiologica dell’uomo, è inscindibile (o almeno non è mai stata scissa) da una più o meno rigida separazione degli spazi. Tuttavia esiste una vita diversa, una vita caratterizzata, che è propria dell’uomo soltanto, che diverse epoche e luoghi non hanno mai conosciuto, che è la vita comunitaria, l’aspetto… politico della nostra esistenza. Perché io posso anche indossare un kilt e suonare la cornamusa sotto il pesco di quattro giornate, ma la piazza resterà la stessa, servirà sempre a far ubriacare i turpi e far passare le macchine, e, diciamocelo, ogni civiltà ha conosciuto i suoi scemi del villaggio, in fondo anche loro hanno sempre avuto il loro “spazio”.
Comunitariamente, però, io posso decidere che fare della piazza, decidere il paesaggio. E’ vero che tutte le creature viventi contribuiscono a modificare il paesaggio in cui si trovano, però la maniera in cui l’uomo è capace di farlo assume proporzioni troppo diverse per non essere definite uniche. Il paesaggio urbano ( o anche rurale, perché no) che si modifica in base alle scelte collettive di una comunità è la dimostrazione di una vita veramente viva e veramente umana al suo interno.
Non affiderei il cambiamento delle funzioni del luoghi alle nostre singolarità, perché io avrò sempre bisogno di mangiare e sempre voglia di trombare, e dovrò comunque dividere gli spazi di queste due nobili attività, perché non tutti potrebbero apprezzare che si scopasse a mensa, e poche fanciulle apprezzerebbero che si mangiassero polpette durante l’amplesso. Ciò che crea e modifica il paesaggio e la sua divisione sono le necessità e le volontà collettive, ed è la collettività che rende l’uomo umano.
Naturalmente collettivi, naturalmente comunitari. Forse non così tanto naturalmente, perché, ripeto, in fondo solo una piccola minoranza di civiltà ha deciso di dedicare spazi a un’agorà che decidesse come modificarli. Però se vogliamo cercare qualcosa di diverso dalla vita da schiavi addomesticati che svolgiamo per la maggior parte del nostro tempo, nella maggior parte dei luoghi in cui ci troviamo, chiusi nella nostra affollata solitudine, allora dobbiamo per forza riferirci alla nostra vita da uomini liberi, che invece esiste solo in una dimensione pubblica.
D’altra parte l’articolo 2 è chiaro, per non parlare dell’articolo 3: è nelle formazioni sociali che si deve svolgere liberamente la nostra personalità, e il pieno sviluppo della persona umana sarebbe impensabile senza “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, dei luoghi che siamo chiamati a condividere.

Morire per delle idee…

postato il 13 Feb 2011 in Main thread
da freeronin

[Metto le mani avanti perché mediamente ho una scarsissima sensibilità allo spoiler: non mi sento di dire che c’è uno spoiler di “Delitto e Castigo”, ma c’è un riferimento abbastanza chiaro a quella che credo essere una delle tematiche di fondo del romanzo, ma che, d’altra parte, compare all’inizio del libro]

“immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con un pugno, immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni?”

(Ivan Karamazov)

Il più delle volte non osiamo confrontarci con il fatto che la nostra vita, e quindi anche la nostra conoscenza, sia finita e circoscritta.

Non riusciamo a rassegnarci al fatto di essere destinati a perire, non tanto nel corpo, quanto nella cosiddetta anima, nella nostra individualità. Religioni, idee e valori, e la loro realizzazione nella storia umana, rappresentano per noi un modo di proiettarci in un tempo in cui non saremo più o non eravamo ancora, un surrogato dell’eternità che sentiamo esserci stata negata.

Qualcuno si sente pronto a sacrificare la propria vita  o quella degli altri, a qualcun altro non capita di uccidere o morire, ma di donare ugualmente la propria esistenza a un’idea, vivendo per essa.

Ugualmente, dal punto di vista concettuale, noi comuni mortali spesso iniziamo a parlare con una persona partendo già con l’intenzione, o addirittura con lo scopo, di convincerla della nostra idea, o, magari, più pragmaticamente, di trascinarla a una manifestazione perché faccia numero per la nostra causa. Dico ugualmente perché ugualmente in quel momento stiamo trattando l’altro, e noi stessi, come nulla più che uno strumento con cui possiamo realizzare quello che crediamo un mondo migliore.

In ognuno di questi casi, quando ci rifiutiamo di mettere in discussione in alcuna maniera la nostra idea le abbiamo offerto in sacrificio uno dei lati fondamentali del nostro essere uomini, ci siamo trovati a credere che la nostra idea valesse più dell’uomo, più della vita e della personalità umana.

Credo che se davvero in ogni momento tenessimo conto che una vita è tutto quello che abbiamo, nonché la nostra unica certezza, rifletteremmo un po’ di più prima di regalarla a un supposto valore, a un’idea creata dall’uomo che, in quanto tale, non dovrebbe poter valere più di un uomo.

Forse può valere tanti uomini, l’umanità…

[spoiler]Assumersi con piena consapevolezza la responsabilità di sacrificare anche solo una persona, ritenuta inutile o dannosa per la felicità e il benessere dell’umanità, ci farebbe vacillare, e il povero Rodion, che pure sembrava sicuro del suo ragionamento, ne sa qualcosa.[/spoiler] Noi quando anteponiamo un’idea a una persona non abbiamo nemmeno la certezza che un determinato sacrificio sia indifferente o utile al raggiungimento della felicità, della pace e dell’armonia universale.

Certo, sto portando alle estreme conseguenze un ragionamento che la maggior parte delle volte, come ho detto prima, ci porta solo ad essere spocchiosi e a non rispettare l’altro, piuttosto che ad ucciderlo davvero, ma credo anche che questo non sia del tutto privo di importanza, considerando che noi stessi e le persone che abbiamo intorno sono il riferimento etico più solido che abbiamo.

Se dio non esiste, ma è nella mente e nel cuore di chi vi crede, non possiamo solo per questo ignorare dio e vivere come se non esistesse, perché dio è costantemente presente nella nostra società, e siamo comunque quotidianamente costretti a confrontarci con questo dio. A che ci servirebbe, a quel punto, la nostra certezza matematica che dio è fisicamente e ontologicamente inesistente? A che ci servirebbe ostentare con fare irrisorio la verità che abbiamo in tasca, che dio non esiste?

Ci servirebbe solo sforzarci di trovare il modo di aprirci a questo dio e di dialogare con lui, perché, alla fine dei conti, non è in gioco una generica eternità, bensì la nostra vita e quella degli altri.

 

Fatal error: Class 'AV\Telemetry\Error_Handler' not found in /membri/.dummy/apps/wordpress/wp-content/plugins/altervista/early.php on line 188