Death from above

postato il 18 Ago 2012 in Main thread
da Vobby

Fantasticare sul tema dell’esclusione mi ha portato a riflettere sulla condizione esistenziale dei cetacei. La frase appena scritta è idiota, mi rendo conto, ma pensateci un attimo: come deve essere trascorrere la propria intera, lunga esistenza sulla superficie di un mondo, nel quale ci si può sì immergere, ma mai a lungo, se non al costo di una morte certa e preceduta da una dolorosa agonia? Il mare è un ambiente in cui i cetacei possono cacciare, ma non respirare; questo secondo me li mette in una situazione del tutto particolare, che può portare a conseguenze interessanti nell’evoluzione delle specie.
Piccola premessa: non siate scettici leggendo di condizioni mentali dei cetacei, i loro cervelli sono i più grandi del mondo animale. Sono molto più stupidi di noi, ovviamente, ma fanno progressi, specialmente alcuni di loro. Specialmente alcuni fra i più fichi di loro, in effetti, come ad esempio le orche. Questi magnifici predatori hanno sviluppato un linguaggio che non solo è complesso, ma è anche verbale, e leggermente differenziato a seconda dei pod (il nome dei loro gruppi) e delle diverse aree geografiche.
Queste tre caratteristiche del linguaggio delle orche sono importanti. La verbalità della comunicazione infatti è il presupposto fondamentale per lo sviluppo di qualcosa che assomigli a una cultura. Per intenderci, con un ferormone puoi dire “scopami”, ma solo con un suono puoi dire che è stato proprio bello, spiegare perché e raccontarlo agli amici. La possibilità di raccontarlo è cruciale: significa che a ogni generazione i membri del gruppo si comporteranno in modo diverso non semplicemente in base a come il loro corpo si adatta alle condizioni ambientali, ma anche a seconda delle esperienze accumulate dal gruppo stesso! E le orche, pare, sanno farlo. Sanno dire dove si trovano le prede, come cacciarle. E mentre lo fanno si chiamano per nome. Per nome! In un mondo in cui non puoi usare il naso per sentire gli odori, non puoi semplicemente affidarti all’aspetto per distinguare gli individui fra loro. Devi usare dei nomi. Notevole no?
Inoltre: vivere in acqua ed avere un bel po’ di grasso in corpo significa poter andare ovunque, e infatti le orche lo fanno, e l’accoppiamento più o meno costante fra membri di diversi pod e diverse “popolazioni” evita la fioritura di sottospecie. Ma permette il continuo scambio di informazioni e la continua evoluzione del linguaggio. Al momento, per esempio, è stata documentata una sola orca capace di cacciare gli elefanti marini in un certo modo, muovendosi fra gli scogli e nascondendosi fra le alghe. Quanto ci metterà a insegnarlo ai suoi figli? E i suoi figli a raccontarlo in giro?
Tutte queste cose qui, di nuovo, sono di cruciale importanza per la formazione di una cultura e per il futuro della specie, perché saper pronunciare un nome, ricordarlo, associarvi determinate azioni compiute in passato, saperlo raccontare, sono tutte capacità sulle quali l’uomo ha fondato la nascita della storia, il senso del trascorrere del tempo.
Il senso della storia è alla radice di quel tipo di esclusione che è del tutto umana, cioè quella dalla contingenza. Con il racconto della storia l’uomo ha creato una propria linea temporale, partendo per la tangente dell’eterno cerchio che è il trascorrere del tempo nella natura. Nessun altro animale, a parte l’uomo, sa che sono esistiti membri della propria specie che hanno preceduto quelli che lui stesso a conosciuto, perché solo l’uomo è capace di associare dei nomi a delle azioni, e di raccontare come è andata. A questa esclusione dalla contingenza stanno incredibilmente approdando anche le orche.
Il punto d’arrivo del discorso dovrebbe essere che secondo me fra le orche, o almeno fra gli odontoceti, potrebbe sorgere una nuova specie dominante. Linguaggio e cultura non bastano, direte voi, e tanti primati sono almeno un po’ più intelligenti, e alcuni felini quasi altrettanto promettenti. Vero, ma a favore della mia tesi interviene l’esclusione. A me sembra che la dominazione di una specie su tutte le altre implichi la postura della prima su un piano completamente diverso dalle seconde: quando la preda homo si è ribellata, costruendo le prime lance e organizzandosi per usarle, ha smesso di lasciarsi cacciare. Ha iniziato a prendere tutto dal suo ambiente, senza dargli nulla in cambio. Da scimmietta a leone. Poi ha iniziato a distruggere l’ambiente, in effetti, con la nascita delle civiltà storiche, piuttosto che a vivere al suo interno. Da preda a predatore, da predatore a solitario dominatore. Alzandosi su due gambe ha iniziato a guardare il mondo dall’alto e ha avuto le mani libere per modificarlo a suo piacimento.
Nulla esclude che i prossimi a farlo siano gorilla o leoni, ma nel loro ambiente le orche hanno un vantaggio non indifferente: il loro mondo lo hanno sempre visto solo dall’alto e non potrebbero fare altrimenti. Non solo: non potendo respirare sott’acqua, loro sono già su un piano completamente differente rispetto alle specie con cui abitualmente interagiscono. Esistenzialmente, come si diceva, loro sono già “altro” rispetto al mare. E stanno già, da sempre, al suo apice. Per l’ultimo dei calamari come per il grande squalo bianco, le orche sono stranieri minacciosi. Minacciosi, perché cacciano tutto ciò che riescono a toccare. Stranieri, perché non nuotano mai al loro fianco.
Fuori dal tempo della natura, all’apice del loro spazio. Date loro qualche centinania di migliaia di anni: appena le orche saranno appena un po’ più consapevoli il mondo potrebbe veder nascere una nuova stirpe di veri dominatori.

La mensola.

postato il 18 Lug 2010 in Main thread
da Vobby

La mensola che sta sopra il mio letto collega fra loro i temi più disparati: essa indaga audacemente il mondo dell’incubo e dell’ignoto, affronta il problema dell’interpretazione della mitologia classica, racconta storie di paesini di campagna travolti dal progresso economico e tecnologico, ha una discreta formazione classica e  studia con la stessa attenzione le diverse posizioni del kamasutra come i sistemi politici succedutisi fra l’età moderna e quella contemporanea.

Un modo come un altro per dire che regge un fumetto di Dylan Dog, il libro di Marcél Detienne “il mito: guida storica e critica”, Pane e Tempesta di Stefano Benni, l’Antigone , Sesso e sentimenti- lui di Etienne e infine un libro di educazione civica, Questa Repubblica, di Gustavo Zagrebelsky.

(Per quanto riguarda le scienze sperimentali ha diverse lacune, ma almeno ha imparato qualcosa riguardo la genesi e l’evoluzione delle forme viventi (“La straordinaria storia della vita” di Piero e Alberto Angela))

Questi diversi elementi presi singolarmente hanno poco in comune.  Si può dire che Antigone ha a che fare sia con l’educazione civica che con il mito, in senso molto generico, ma a parte questo si scade nei CACCA (chi non sa di che sto parlando è pregato di leggere i post precedenti).

Di fatto il collegamento più solido che hanno questi autori e i loro libri è proprio la mia mensola, cioè la loro partecipazione alla mia esistenza, ai miei momenti di svago come alla mia formazione. Essi fanno parte di me più delle stesse dita che sto usando per scrivere, dal momento che le loro cellule  saranno sostituite da altre, mentre Benni , Zagrebelsky e Sofocle  (perfino Dylan) saranno sempre presenti,  nella mia cultura e nella mia memoria, (o quantomeno nel mio inconscio) e  quindi avranno un’inevitabile influenza sulle mie scelte e su tutta la mia vita.

Citando Azazello: “Cos’è, infatti, il pensiero razionale se non la capacità di formare collegamenti tra concetti conformemente ad un insieme di regole chiamato “Logica”? E spingendoci oltre: cos’è il pensiero stesso (razionale, irrazionale o burro che sia) se non la capacità di formare collegamenti tra concetti? Ma poi, che ragione d’essere avrebbero i concetti stessi, se non potessero essere collegati fra loro? La vita stessa, in tutte le sue forme, dipende da collegamenti sempre più elaborati tra cose diverse”.

Indipendentemente dalla volontà degli autori i racconti, le opinioni, i problemi e le soluzioni trattate nei loro libri sono ormai elementi organizzati di un unico sistema che è la mia mente. Ognuno di essi ha il proprio piccolo o grande posto nella mia identità, e sono perciò destinato ad agire seguendo i loro consigli.

L’insieme delle informazioni assimilate e delle esperienze vissute ( la lettura si colloca in posizione equidistante da questi due insiemi, e allo stesso tempo li lega) definiscono il bagaglio culturale di un individuo, ed è esattamente questo che sto cercando di definire.

La mia opinione è che sapere e ricordare dei fatti o comprendere dei concetti è cosa diversa dall’assorbirli, renderli propri e , come dicevo prima, partecipi della propria esistenza.

Per concludere: accumulare concetti non rende una persona colta, saggia o altro ma solo erudita. La cultura invece è tale nella misura in cui induce all’azione.

 

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