Capitolo VI: Non accettare caramelle dagli sconosciuti

postato il 2 Set 2011 in Giocoaperitivo
da Banshee

Andrea non avrebbe mai potuto neanche sognare, nella sua mite vita di tutti i giorni, di doversi ritrovare a fare i conti con gli errori del più temerario dei suoi avi. Per giunta in una situazione così macabra e paradossale, nella quale era giunto persino a rinnegare e dubitare del primo fondamento dell’approccio con il diverso: la coscienza del proprio essere.
Così, in quel momento, avrebbe potuto asserire solo di trovarsi in una sorta di studio insufficientemente illuminato da un’abat-jour e da una finestrella dal vetro opaco, circondato da una decina di volti sconosciuti di uomini tanto anziani quanto apparentemente eruditi ed intenti ad osservarlo. Aderbale era riuscito ad estorcergli la verità intorno al luogo dove si trovasse l’agognata collana, ma a chi avrebbe giovato quest’informazione? Andrea fin ora non ne era neanche lucidamente a conoscenza, dal momento che la verità era sepolta nel suo inconscio corrispondente all’anima del nonno misteriosamente defunto. Come avrebbe dovuto muoversi? Aveva appena consegnato un prezioso tesoro nelle mani di inaffidabili sconosciuti? Se fino a quel momento aveva deciso di fidarsi del “Capo della confraternita degli Astrologi”, ora iniziavano a sorgergli innumerevoli dubbi.
Mentre il nostro protagonista si tormentava con quesiti di questo genere, entrò nello studio una donna dagli arruffati capelli bianchi ed il volto segnato da profonde rughe, che prese a fissarlo con sguardo spiritato, incuriosito eppur serissimo. Senza dire una parola si avvicinò lentamente a lui e, sorridendogli garbatamente, gli afferrò saldamente il polso per poi stendergli il braccio ed iniettargli in una vena, con una piccola siringa che teneva nascosta nell’altra mano, un dosaggio sub anestetico di quel che si può definire “siero della verità”. Andrea entrò subito in uno stato di para ipnosi, sudando freddo e avvertendo lievi e incostanti palpitazioni dettate dalla paura. “Se questi uomini fossero stati davvero interessati a sapere solo dove si trovasse la collana per nobili fini, non avrebbero indugiato oltre … ” : questo fu l’ultimo pensiero che gli stava scivolando nella mente prima di mettere a tacere la coscienza.
Aderbale aspettò pochi minuti per poi iniziare ad estorcere, a quella mente ricca di aneddoti e conoscenze del passato miste a quelle del presente, le vicende del passaggio della collana dell’immortalità dalle mani di Muzio (tale era il vero nome del nonno di Andrea) alla cassaforte del Palazzo Centrale dello Stato.

Così, sfruttando la propria persuasiva capacità dialettica, disse con il più pacato dei toni: “In questo momento tu sei vulnerabile e pronto a rivelarmi ogni dettaglio di cui ti domanderò. Neppur più un corpo possiedi, Muzio, ed ingannare il tuo giovane ed ingenuo nipotino è stato tanto semplice quanto la sua reazione scontata e puerile, e tutti l’avevamo già previsto. Non sono qui per parlarti di come io e le altre menti eccelse che mi circondano adopereremo quel che era il tuo prezioso gioiello, ma sappi solo che il possesso del suddetto coronerà centinaia di anni di ipotesi, studi ed infiniti calcoli. Risponderai a tutto ciò che ti chiederò pur andando contro i tuoi princìpi, è così?”

La voce di Andrea rispose: “Certo, sì.”

Compiaciuto, Aderbale continuò: “Ottimo, non mi sarei capacitato di una risposta contraria. Dal momento che tra un’ora e quarantotto minuti ti risveglierai e cesserò di avere il totale controllo della tua mente, mi affretto a chiederti quanto più. Bene, dunque, come entrasti in possesso della collana? Illustrami le dinamiche dell’evento, immagino fu un giorno speciale per te, di certo ricorderai molto.”
Fissando il vuoto davanti a se, l’ipnotizzato Andrea asserì: “Era il 25 aprile del 1893. Mia sorella Teresa, costretta a farsi monaca di clausura all’età di 18 anni, per merito, devozione e sacrificio era diventata la madre superiora del monastero. La precedente direttrice le lasciò in eredità la collana dell’immortalità -non ritenendo di poterla usare per scopi personali poiché aveva fretta di raggiungere il Signore e la beatitudine eterna- che custodì per soli due mesi poiché le minacce di morte ed i ricatti anonimi che riceveva quasi quotidianamente tramite missive portate da colombe notturne erano troppe. Sull’orlo della depressione mia sorella m’inviò una lettera nella quale mi disse che avrei dovuto farle il favore più grande della sua vita: custodire la collana al posto suo, anche dal momento che non considerava nessun’altra monaca all’altezza dell’incarico. All’alba di tre giorni successivi l’avrebbe gettata dalla finestra ed io sarei dovuto trovarmi lì per raccoglierla. Così feci. Tornato a casa la misi del baule dei gioielli di mia moglie, che conservavamo sotto il mucchio di vecchi manuali nel solaio, il punto più alto e inaccessibile della casa …


mi gira molto la testa … il solaio … l’almanacco di botanica, sul cofanetto … mi sento mancare … le chiavi … il letto …”

Andrea sembrava star fissando un ricordo con gli occhi sgranati, le labbra improvvisamente serrate in una smorfia di inquietudine, un braccio tremante ed il respiro affannoso tipico di un matto sull’orlo di una convulsione nervosa.
Aderbale, per niente scosso dalla reazione del giovane, cercò di mitigare la situazione in modo diplomatico: “Ecco, qui arriva la parte interessante. Su, da bravo, raccontaci della sparizione della collana e tra poco sarà tutto finito, ti lasceremo tornare alla tua vita e di aver fatto la nostra piacevole conoscenza ti parrà solo un sogno. Lo facciamo perché la scienza senza questo campione non avrebbe più possibilità di uscire dalla fase di stallo in cui si trova. E sai perché ci preme tanto ottenere proprio quella collana? Perché un tempo era nostra, e contiene l’unico esemplare di perla classificata da noi, nel ‘400, “Lambit S+”. Ci fermammo a capire che fosse introvabile in natura ed attribuimmo a combinazioni astrali il suo potere, quando oggi con il progresso scientifico potremmo razionalizzare il suo processo di conservazione della vita e analizzarne la composizione con precisione impeccabile. Ora ci dirai cosa ricordi fino alla sua perdita”.
Superato il panico, dopo una leggerissima iniezione di pochi millilitri di estratto di Valeriana in soluzione, Andrea proseguì con la sua estrema confessione in stato ipnotico: “M-m-mi svegliai di soprassalto alle 5 del mattino, bussavano insistentemente alla porta e così andai ad aprire. Ricordo che avevano dei volti così scuri … entrarono d-dicendo di essere della polizia e di dover fare un’urgente p-perquisizione . Io chiesi chi fosse stato a denunciarmi e dissi che ero un uomo pulito, che non avevo nulla da nascondere. Senza darmi retta proseguirono inoltrandosi nella mia dimora, e più sicuri di quanto non lo sarei stato io stesso se avessi voluto dare un’occhiata al mio patrimonio, si fiondarono su per la rampa di scale di marmo e raggiunsero il s-solaio. Aprirono il baule di mia moglie, che ignara di tutto dormiva come una lattante al pianterreno, rubarono la preziosissima collana che avevo in affidamento dal monastero e, dicendo che l’avrebbero dovuta custodire loro, la portarono via in fretta e furia.”
Aderbale annotava su un quaderno rilegato ogni singola parola che usciva dalla bocca della vittima di quella manipolazione. Sperando che la caducità dell’effetto del siero fosse simile alla ripresa dei sensi e la vividezza delle immagini oniriche verso il risveglio, esordì: “Non può finire così. Come sei venuto a conoscenza dell’attuale posizione del nostro gioiello? Com’è finita nello scrigno dello Stato? Presto andiamo, che l’effetto sta per svanire e di ulteriori sieri siamo a corto”
Andrea, che stava già riprendendo il controllo motorio di qualche articolazione, rispose: “In sogno. Dormii molto profondamente quella notte, perché tutto il giorno avevo ricercato informazioni sulla fonte principale del saccheggio in giro per la città, e mi ero dannato l’anima senza trarne alcuna conclusione. Avevo sognato il Palazzo Centrale dello Stato, ed una ragazzina che vendeva succo di limone in un piccolo chiosco proprio lì, quasi annesso alla porta principale. Vidi me nel sogno, dall’esterno come se mi trovassi in un quadro, mentre intingevo una stilo in un bicchierino di quell’aspro succo … allora ai primi chiarori dell’alba mi destai e corsi verso quel Palazzo, e lì dove nel mio sogno c’era il chiosco trovai una parete liscia e linda. Accesi un fiammifero per illuminare meglio quel che avevo intorno poiché a quell’ora del mattino di luce ce n’era ben poca. Notai subito che su quella parete all’avvicinarsi del mio fiammifero si scuriva qualcosa in modo discontinuo, non come quando bruci dell’intonaco, ma ecco si formavano dei simboli. Allora intuì che fosse inchiostro simpatico. Qualcuno aveva scritto un codice su quella parete, e si era servito solo di succo di limone per non attirare l’attenzione dei passanti all’indomani. Doveva essere un piano ben calibrato, ad ogni modo entrai e … sì, ricordo, salii le scale verso le sale private contenenti gli archivi. Avrei voluto tentare di arrivare alla cassaforte … fu temerario da parte mia, che sono un uomo così abitudinario … ma sragionavo per quel gioiello, per il suo luccichio, per la responsabilità del suo possesso. Spinto dalla fiducia che avevo nel vivido sogno di quella notte, stavo per consegnare il codice che avevo letto sul muro ai due funzionari di guardia per le porte del tesoro, quando qualcuno mi sparò alle tempie, alle mie spalle.”
Queste furono le ultime parole che Muzio pronunciò attraverso suo nipote, al che il suo corpo di quest’ultimo si svegliò e riprese coscienza, ora ignaro del vero carattere di quell’incontro e delle intenzioni di Aderbale. Quest’ultimo continuò a persuaderlo del fatto che il gioiello servisse a lui e agli altri per combattere la corruzione dello Stato e le scorribande dei pirati, persistendo nell’inganno. Quando il portavoce del gruppo degli eruditi si alzò, seguito dagli altri, si congedò dicendo: “Andrea, dobbiamo consultarci intorno le misure da prendere per affrontare la faccenda alla luce di queste nuove informazioni. Spero tu possa capire e attendere qui fino al nostro ritorno, che sarà al massimo tra una mezz’ora. Fuori c’è un mondo pericoloso, lo facciamo per te, qui sei al sicuro”.

La porta si chiuse alle spalle dell’ultimo uomo barbuto, e Andrea ci mise qualche ora a rendersi conto di esser stato ingannato e abbandonato in uno stanzino con scarso ossigeno e la porta blindata.

* * *

Salve! Non rispolveravate questo racconto da un po’ di tempo, eh? Spero vi piaccia questa mia versione dell’avventura o che almeno abbiate apprezzato il mio tentativo di continuarla! Gli altri capitoli mi sono piaciuti moltissimo, quindi mi sono proprio divertita a scriverne il VI.

Per i prossimi autori, gli argomenti saranno:
La malattia
La rivalsa
La solidarietà

Per veri arditi – parole e digressioni:
Psicolabile
Acme
Etilico
Placido
Strudel
Marino

Proprio per chi non ha altro da fare nelle sue giornate e vuole dimostrarsi eroico:
Far sì che il titolo sia un palindromo molto personalizzato. Nel senso che dev’essere un neologismo coniato da voi!
Scrivere tutto il post adoperando solo parole contenenti un massimo di tre vocali

Capitolo V: Il terzo polo (no, niente Rutelli&co)

postato il 26 Dic 2010 in Giocoaperitivo
da Deluded Wiseman

Ci sono certe giornate in cui il mondo è davvero ingiusto. Decine e decine di volte Andrea si era svegliato triste, deluso dallo scoprire che i suoi sogni si erano frantumati con il suono della sveglia; decine di volte aveva iniziato la giornata col peggiore e più sbagliato di tutti i piedi, scoprendo che i giochi, i tesori,o le ragazze, o i superpoteri, che aveva trovato in sogno  erano rimasti nella dimensione onirica, lasciandolo andare da solo nel mondo della veglia. E proprio quando, una volta tanto, era contento di tornare alla realtà, una volta tanto che era felice di essere sveglio, sveglio in un mondo magari triste, magari grigio, ma privo di piratesse malvagie e gioielli dell’immortalità… ecco che si ritrovava una flotta di navi volanti sopra la testa.

E doveva anche pensare a un piano d’azione, rapidamente: di gente per strada ce n’era poca, ma dalle case vicine già si sentivano le urla di terrore, e già qualche schizzato iniziava a scattare foto esaltato, gridando all’apocalisse.

Che fare?

Che fare..?! Gli sembrava uno scherzo. “Che fare con le decine di navi volanti che fluttuano sul quartiere?”

“Aah!Oddio!!Andrea!!” Le urla della madre, come una speronata nel fianco, lo spinsero a scrollarsi di dosso lo sconforto e a scendere di corsa le scale, non prima di aver considerato rapidamente le possibili strategie da adottare e di aver scelto, con cura, la più folle. Doveva muoversi. Se si fosse fermato solo un attimo, la ragione lo avrebbe raggiunto, e visto ciò che pensava di fare, non era il caso. Si concesse solo un attimo di riflessione, proprio sull’uscio della porta, e dopo averlo liquidato con un “fanculo”, lo fece.

Era come in quei videogiochi in prima persona, quelli dove vedi solo le mani del personaggio. Teoricamente, aumenta l’immedesimazione del giocatore, ma in realtà non ti identifichi mai per davvero. Allo stesso modo, Andrea vedeva le sue braccia agitarsi verso il cielo, sentiva la sua voce urlare cose tipo “Ehi!Oh! Sono qui! Su, so che è me che volete!”, ma non si identificava davvero con le azioni che vedeva svolgersi, quasi al rallentatore, davanti ai suoi occhi. E funzionò: dopo poco fu individuato, e una nave si stacco dal gruppo, per scendere verso terra. Gli sembrava che la flotta non volasse molto alto, vedeva le navi a non più di cinquanta metri sopra i tetti delle palazzine e le loro selve di paraboliche. Fu solo quando, dopo qualche secondo, una nave fu davvero vicina che si rese conto di quanto prima fossero distanti, e di quanto fossero DAVVERO grandi le navi volanti. Adesso che poteva guardare il velivolo da sotto, dalla coltre ombrosa che aveva gettato sulla strada, adesso che vedeva quell’immenso scafo bombato incombergli addosso come una cupola di S.Pietro rovesciata(Andrea non dimenticò mai la questo lisergico  paragone, sintomo della follia che fu costretto a vivere in quei giorni), iniziava a rendersi conto che consegnarsi ad un mostro levitante di quelle dimensioni poteva dimostrarsi una scelta più spettacolare che utile. La gente per strada, con la sua improvvisa fuga, sembrava condividere le paure di Andrea, lo stesso dicasi per la volante della polizia, che, ferma ad un centinaio di metri da lui, non dimostrava di volersi avvicinare.  Solo la madre del temerario ragazzo sembrava aver avuto il coraggio di spingersi fino all’uscio, e lo guardava, fra le altre cose,(disperata, impauria, sul punto di convincersi della propria pazzia, ecc.) incredula. Probabilmente avrebbe voluto dire qualcosa, ma il suo cervello, poco kafkianamente, le impediva di reagire normalmente ad una situazione del genere. Quindi stava in ginocchio e fissava la scena a occhi sbarrati. Il figlio, mentre si avvicinava alla scala di corda che era stata calata dal ponte della nave(lui manco sapeva salirci, su una cazzo di scala di orda), le rivolse un sorriso rassicurante, che dovette apparire, più o meno, come una smorfia di pura follia. Poi si inerpicò, trepidante, e  giunse sul parapetto della nave, aiutato da qualcuno che tirava su la scala, solo dopo qualche minuto di vertigini e sofferenza, che è meglio non riportare per rispetto di Andrea, che non ne uscirebbe proprio da spavaldo, e dei grandi nomi della religione cristiana e non, che uscirono piuttosto malconci e feriti nel profondo da quella goffa ascesa.

Frattanto, in un altro luogo, in un altro tempo, Zeugma era scontenta. Scontenta perchè la sua nave era uscita a pezzidallo scontro con l’esercito; scontenta perchè aveva perso la via più semplice per l’immortalità; scontenta perchè questa se ne era scappata insieme alla Pietra del Ritorno; scontenta perchè, se non si sbrigava a ritrovare il moccioso, era sicura che sarebbe finito in mano di qualcun altro. In mano dei soldati o, peggio. Questa corsa aveva già abbastanza contendenti.  Per fortuna, sapeva dove andare a pescarlo:la Pietra del Ritorno, in situazioni di pericolo, poteva condurre chi la possedeva nel suo mondo d’origine; lei lo sapeva bene, ed era sicura che la paura del piccolo codardo avesse attivato l’incanto. Per sfortuna, la sua nave era troppo danneggiata per inseguirlo con tutta la ciurma. Fu per questo che ordinò a Maria e Anja di saltare in un portale e  seguire la scia del piccolo mollusco, fino al suo mondo e, se fossero arrivati tardi, oltre. Del resto, a Zeugma non interessava che Andrea la conducesse al gioiello, in caso di necessità si sarebbe accontentata di seguire lui e chiunque se lo fosse accaparrato e di impadronirsi delmanufatto al momento giusto. Che sarà mai un giorno in più quando lotti per la vita eterna?,

Un volta ripresosi, Andrea si guardò intorno. Qualcosa non andava. Niente nerboruti e selvaggi bucanieri; niente soldati in quella che aveva capito essere la divisa dello Stato; niente Zeugma; niente ufficiali; solo un gruppo di persone, sì, in tenuta da battaglia, ma non prive di un certo..boh, chiamatelo contegno, chiamatelo civiltà, chiamatelo no-urla-no-animalivaganti-no-sbronziaspassoperilponte, comunque quelli non erano pirati, e Andrea ne fu ancora più sicuro quando si sentì rivolgere da una voce cortese ma decisa le seguenti, stupefacenti, parole: “Salve”    “Salve..?!”   Praticamente scioccato, il ragazzo si girò a guardare chi lo aveva salutato così gentilmente. Era un uomo dalla pelle olivastra, vestito di nero e di bianco; indossava dei pantaloni, ricoperti fino al ginocchio da un paio di robusti stivali, e una casacca con mantello e cappuccio. Appesa al cinturone, una spada, e sul petto un medaglione con uno strano simbolo argentato. Dalla faccia, gli ricordava un pò quegli eroi malinconici, alla Verne o Salgari: aveva una lunga barba brizzolata che gli dava un aria un pò da professore d’altri tempi, e una fronte alta, segnata dal tempo, che sovrastava due folte sopracciglia. Al di sotto di esse erano incastonati due profondissimi occhi neri. Andrea era convinto che, se mai avesse avuto modo di gettare lo sguardo giù da una di quelle navi, in una notte senza luna, non sarebbe stato nulla in confronto allo sguardo di quell’uomo. Dall’aria che aveva sembrava, più che un guerriero, un uomo di cultura, un erudito o qualcosa del genere.  A conclusione di questo rapido(in mente sua lo era, ve lo assicuro) momento analitico, iniziò a suonargli un campanello in testa: la faccia di quell’uomo.. sì, la barba era ben curata, era pulito, ma..aggiungi un pò di lordume..vestiti da straccione..fiato mefitico..”L’uomo del porto! Il pazzo! Sei tu!” L’uomo annuì.” Ebbene sì. E’ un pò che ti stiamo cercando, e ho provato a contattarti in incognito, con scarso successo..ad ogni modo, ti sarà tutto spiegato, ora, però, non è il momento.”  Il ragazzo provò a protestare, a dire che, no, lui voleva sapere subito, ma poi dovette fermarsi, perchè il mondo iniziò a ripiegarsi su se stesso, e ad attorcigliarsi come lo stomaco di un tredicenne alla sua prima uscita con una ragazza. Per la seconda volta in  pochi giorni,Andrea si trovò immerso in un caleidoscopio di visioni e mondi, un insostenibilmente maestoso frappè di spazio-tempo. Si riprese solo dopo un pò, ritrovandosi, finalmente, fermo e con i piedi piantati per terra, in posizione privilegiata con vista su di una pozza di vomito che era magicamente apparsa sotto di lui.  Mentre cercava, sputando, di togliersi dalla bocca quel sapore di fogna, seguì l’uomo nella sua cabina.

Era qualcosa di assurdo, non pensava che in una nave potesse starci una roba del genere, sembrava qualcosa a metà fra un museo e una di quelle capsule del tempo, dove mettono le cose che qualcuno giudica importanti, in modo arrivino ai posteri; c’erano, stipati ed ammassati, ma non senza criterio, quadri, arazzi, armature, spade, menhir, statue, busti, gioielli, scrigni, ed una notevole quantità di strani marchignegni e ammenicoli che Andrea catalogò come Oggetti Misteriosi. Poi c’era una enorme scrivania di mogano, dietro alla quale si sedette l’uomo barbuto, facendo cenno al suo ospite di sedersi di fronte a lui. “Ora  che siamo tornati a casa,  è tempo di parlare. Chiedimi pure qualunque cosa.” “Pensavo che solo Zeugma potesse viaggiare fra i mondi..” , esordì Andrea   “E’ ben difficile che, in questo mondo, una magia o una tecnologia arrivi a qualsivoglia persona senza che parta da noi, fidati..anzi, i pirati dovrebbero sicuramente ringraziarci, se sono in grado di razziare il tempo.” Fu a quel punto che, scordandosi di voler chiedere come diamine era tornato a casa, il giovane ospite chiese: “Ecco, appunto, voi. Voi, chi cazzo siete, mi scusi?”

Quando iniziò a parlare, era evidente che l’uomo barbuto non aspettava che questa domanda.”Bene, mio giovane amico..hai incontrato Zeugma  la piratessa, l’hai vista combattere contro i difensori dello Stato, i “tutori dell’ordine”. Devi sapere che non hai visto che le due facce di una stessa, sconfortante moneta.” Anrea fu stupito da come il tono dell’uomo fosse calmo e pacato, ma allo stesso tempo deciso e, soprattutto, profondamente triste. “I vertici dello Stato, i nostri governanti, sono marci, marci di corruzione, e non hanno mai esitato a stringere accordi con i pirati. Li lasciano liberi di compiere le loro scorribande dove non possono nuocere realmente, in cambio di una percentuale sui bottini delle loro razzie..”  “Un secondo” lo interruppe in ragazzo “io li ho visti farsi a pezzi, Zeugma e quei soldati!” “Lei e quell’ ammiraglio, come tanti altri pirati e soldati, non sono che pedine, pedine di un gioco immondo e letale! Quelle scaramucce non sono che polvere, polvere gettata negli occhi delle persone innocenti di questo mondo, affinchè l’inganno possa continuare! Credi che il loro sordido patto potrebbe persistere, se la gente non li credesse in guerra? Come credi che il governo potrebbe stringere il suo cappio al collo del popolo, se non approfittando della sua paura, dello stato di emergenza costante che provocano queste finte battaglie? Il governo si presenta come difensore della società, combatte i pirati, e così facendo ottiene il consenso necessario per tenere a bada il popolo, in nome della “sicurezza”, certo, sfruttandolo ed opprimendolo almeno quanto fanno i pirati, capisci adesso?” Mentre parlava, andava inverforandosi sempre di più, e ormai era in piedi, che agitava il pugno tremante di fronte al viso di Andrea. “Addirittura noi, i filosofi, gli scienziati, i sacerdoti, ci siamo dovuti risvegliare e uscire dai monasteri e dalle biblioteche, per  mettere su con i nostri averi un esercito, noi che avevamo votato la nostra vita allo studio, per salvare questa civiltà! Io stesso, Aderbale, capo della Confraternita defli Astrologi, ho dovuto prendere il comando dei miei fratelli eruditi, e condurli in armi alla guerra; abbiamo dovuto caricare i nostri cimeli e i nostri libri su queste navi per salpare combattere il cancro che divora il mondo!” Poi, improvvisamente, si placò, ma si vedeva la rabbia continuare a fremere negli occhi neri: “Ma siamo pochi, troppo pochi per vincere questa guerra. A meno che, non troviamo qualcosa che ci permetta di rovesciare la situazione, un colpo vincente..questo qualcosa sei tu, il segreto che porti nella testa..quella collana, con i nostri mezzi magici e scientifici, potrebbe diventare un arma terribile, abbastanza da permetterci di vincere questa guerra..ci aiuterai a salvare il nostro mondo?” concluse, quasi implorante. Andrea ci pensò un pò, probabilmente meno di quanto avrebbe dovuto; il fatto è che era stato davvero catturato dalla forza e dalla passione di Aderbale e, inoltre, il fatto che gli avesse chiesto un aiuto, invece che estorcerglielo, come sicuramente era in grado di fare, lo aveva convinto della bontà e dell’onestà della causa. Sicchè, dopo pochi secondi di riflessione, accetto, e chiese cosa poteva fare. In tutta risposta, fu portato in uno stanzino scuro, illuminato solo da due altissime candele, e messo a sedere su una comodosissima poltrona. Lì, gli disse Aderbale, sarebbe stato sottoposto ad un rito di lettura mentale, ad opera di un confratello telepate di cui non poteva conoscere nome e volto; non ci sarebbe stato bisogno di rivivere i ricordi del suo antenato, il confratello telepate avrebbe estratto il dato dalla mente di Andrea. Stranamente, il ragazzo si sentiva tranquillo, e, mente sprofondava nella poltrona, pregustando il momento in cui, aiutati ‘sti simpatici tizi, sarebbe tornato a casa, nemmeno si accorse dell’uomo mascherato che entrava nello stanzino, e gli poggiava la mani sulle tempie, facendolo cadere in un sonno profondo. Quando si risveglio, nello studio di Aderbale, vide lui e alcuni suoi compagni, eruditissimi e barbutissimi anche loro, confabulare con aria preoccupata. “Mi dispiace, giovane amico, ma dovrai sottoporti al siero della verità, abbiamo bisogno di conoscere la storia del tuo antenato. Per capire come è possibile che ciò che il Confratello Telepate ha estratto dalla tua mente sia vero.” gli fu detto. “..ovvero?”  “Che la collana è in una cassaforte all’interno del Palazzo Centrale dello Stato. ”

Perdonate l’imperdonabile(wut?) ritardo, ma fra word che mi cancella il file quando ero a metà, studio, regali, coglionaggine, cos, è stata una gestazione travagliata. Ad ogni modem:

Argomenti:

il tradimento

il ricatto

l’infiltrazione

Per veri arditi – parole e digressioni:

Limone

clausura

Caducità

Dialettica

Solo per veri eroi(blabla, non necessario blabla):

Fate in modo che la seconda, la ventinovesima, la centesima, la duecentesima, la seicentosessantaseiesima lettera  compongano le parole “yo bro”

Costruire un  periodo di almeno 20 parole, delle quali almeno la metà abbia più di 5 sillabe

Capitolo IV: Strambi ricordi

postato il 28 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da Cerbs

Fu allora che Andrea iniziò a ricordare non poche cose.

Giacarta, 1619

«Boom!»
«I cannoni! Sono gli olandesi! Presto, dobbiamo muoverci!»
Il bisnonno di Andrea si era trovato in una situazione così scottante ben poche volte nella sua vita: forse l’unico momento peggiore era stato quella volta che aveva perso a «dadi pirata» tutto, comprese le mutande, nella bettola locale. Egli era per l’appunto un affermato pirata, di quelli con le spade e le bende sull’occhio: pertanto, quando la Compagnia delle Indie aveva ben pensato di espandere i suoi interessi nella sua zona preferita di scorribande, la sua presenza era diventata, diciamo, mal tollerata.
Seguì la sua banda di manigoldi in una fuga precipitosa per le strade della città, mentre tutt’intorno crollavano edifici e si sollevavano nel cielo i fumi delle distruzioni.
«Forza, per di qui!» gridò uno dei tagliagole. Si infilarono in un angusta viuzza lastricata, per poi svoltare in una ben più fangosa discesa.
«Da qui potremo arrivare alla nave, e fuggire!» continuò quello, con il classico tono speranzoso che taluni cacciano fuori nelle difficoltà.
Purtroppo, la vita non è un film, e le cose possono andare male: fu infatti in quel momento che la nostra amata ciurma fu sorpresa da un manipolo di soldati armati, intenti a dare fuoco agli edifici circostanti: «Non deve rimanere vivo nemmeno il più piccolo fiore, nemmeno il più orrendo scarafaggio! Bruciate questi schifosi!»
«Oh no! Cristo, dobbiamo darcela a gambe!» urlò il bisnonno.
«Ehi! Un branco di quegli stronzi! Pestiamoli!» fu la frase che sancì l’inizio di un aspro e violento combattimento.
Il nonno di Andrea, che in fondo alla pellaccia ci teneva, appena si disfece del suo avversario colse l’occasione per tagliare la corda: si lanciò verso un muretto lì vicino, lo scavalcò, attraversò una piazza (o quel che ne rimaneva) facendosi strada fra la gente che fuggiva e che urlava, salì una scala e si lanciò dalle mura della città, atterrando in un cespuglio.
«Devo lasciare subito questa zona…ma cosa faccio? Il mare è impraticabile, la nave è quasi sicuramente perduta….forse la cosa migliore da fare è cercare un luogo sicuro nei dintorni, e fuggire col favore dell’oscurità!» pensò, cosicchè iniziò a correre lontano e si diresse verso una infossatura del terreno, una sorta di caverna, che aveva intravisto. Vi entrò, si fece strada pian piano a tastoni, finchè non scivolò lungo un tunnel.
«Accident…ma cosa???»
Si trovava in una specie di grandissima sala, scavata all’interno della roccia, sulla cui parete più grande si ergeva un immenso portale dorato. Siccome l’insegnamento «non toccare», il primo che si fa ai bambini, è anche il primo che viene rimosso dai ragazzi e dagli adulti, il malconcio pirata vi si appropinquò e…..

«Non mi interessa cosa è successo prima che quel fetente del tuo bisnonno giungesse qui! Voglio sapere cosa è accaduto dopo!»  sbraitò irritatissima Zeugma.
«Quindi anche lui… è stato qui?»
«Sono io che faccio le domande!» urlò, mollandogli uno sganassone.
«Ahia!»
«Anzichè facilitare le cose con il siero della verità, avremmo potuto torturarti, solo per il nostro divertimento! Medita sulla mia clemenza, e sbrigati a dirmi ciò che voglio sapere!»

In effetti, il bello doveva ancora venire. A quanto sembrava dalle successive visioni, il bisnonno di Andrea aveva conosciuto, dopo essere stato proiettato nel suo mondo, una giovane e stupenda Zeugma, che, manco a farlo apposta, militava con degli altri lestofanti in una banda di corsari contrabbandieri. Poteva egli mai ripudiare la sua natura? Certo che no! Ritenendo infatti che fosse troppo pericoloso, ed anche inutile, tornare indietro nel suo mondo, decise di unirsi a loro. A quest’altra ciurma una mano in più non poteva che fare bene,e le sue referenze erano d’altronde buone (bandana piratesca, benda, segni di ferite, spada), quindi fu bene accetto.
Col tempo, iniziò sempre più ad essere affascinato da quel personaggio femminile, così bello e dolce nei lineamenti, eppure così forte e risoluto. Notò altresì che indossava una particolarissima collana, da cui non si separava mai, in cui era incastonato nel corpo centrale uno strano sigillo, una sorta di pietra rossa.

«Da quanto ricordo, mi sembra che mio nonno si fosse interessato a te parecchio!»
«Quell’infame mi sedusse, e quando gli parve più opportuno, se ne scappò rubando la mia collana! Magari pensava fosse solo preziosa…»
«E invece?» ribattè Andrea, cercando di indurre Zeugma a parlare, rivelando la verità, puntando sulla sua ira.
«E invece….??? Ancora non hai capito nulla, razza di idiota? Quella collana dona l’immortalità!»
«Ma cosa…?»
«Quell’imbroglione me l’ha rubata tempo fa, ed è per questo che ora sono una vecchia decrepita! Ha rubato la mia giovinezza e la mia vita stessa!»
«Continuo a non capire cosa c’entro io, e perchè sto vivendo i ricordi di mio nonno. Peraltro, se lui ha davvero rubato la collana, perchè è morto?»
«La collana dona l’immortalità dell’anima, l’eterna giovinezza, ma non l’invulnerabilità. Il tuo dannato bisnonno è morto in un incidente quando è tornato al tuo mondo, senza rivelare a nessuno dove avesse nascosto la collana! Noi l’abbiamo cercata per molto tempo, ma non siamo riusciti a cavare un ragno dal buco…»
«E perchè io vedo i suoi ricordi?»
«Perchè la collana può anche non riuscire ad impedire una tua morte accidentale, ma ti rende pur sempre immortale. Tu sei la reincarnazione di tuo nonno! La tua anima ed i suoi ricordi sono come impiantati in te!»
«Wow, proprio come in Assassin’s Creed!» pensò Andrea, ricordando uno dei suoi giochi preferiti.
«Motivo per cui tu adesso ci dirai dove è quel gioiello; dopodichè, io vi incastonerò sopra il Sigillo….»
«Sigillo…?»
«Una piccola aggiunta che il bastardo non è riuscito a rubarmi. E’ un manufatto che conferisce qualche potere in più, abbinato ad essa, ma non sono fatti tuoi! Io la rivoglio indietro, reimpossessarmi del suo potere, ed eliminarti per il mio gusto personale!»
«Cazzo!» pensò stavolta il nostro giovane (?) eroe. Ma la sorte ha voluto che questa storia non finisse in modo così miserevole qui.

«Crash!»
«Cosa è stato?»
«Ahahah! Guarda chi si vede! La piratessa Zeugma, l’impavida!» esclamò un uomo in alta uniforme, appena passato attraverso un buco causato da una esplosione.
«Tu? Che ci fai qua?»
«Che domande…faccio a pezzi la tua ridicola nave, arresto te e la tua misera ciurmaglia e mi prendo il ragazzo!»
«Mai! Uomini, alla riscossa!»
La confusione che ne seguì fu paragonabile solo a quella geniale rissa visibile alla fine del film «Lo chiamavano Trinità». La necessità aguzza l’ingegno, anche quello di una persona solitamente poco sveglia come Andrea, il quale afferrò una bottiglia da un tavolo e la fracassò sulla testa della vecchia, mentre tutt’intorno volavano pugnali, cazzotti, sedie e persone. Il valoroso fracassatore si rintanò sotto al suddetto tavolo, quando si accorse  di una particolare pietruzza rossa appesa al collo di Zeugma.
«Potrebbe servirmi per contrattare, in futuro!» pensò, per cui gliela tirò via, se la nascose nella scarpa (chissà come mai, tutti ritengono che sia l’ultimo posto dove i cattivi vadano a controllare qualora tu abbia qualcosa da celare) e cercò un modo per cavarsela.
«Prendetelo!» urlò il tizio in uniforme.
«Oh-oh!»
Non c’era più tempo per riflettere. Andrea si lanciò nel bel mezzo della confusione, sperando di seminare i suoi inseguitori; tuttavia, essi si dimostrarono più tenaci del previsto e non lo persero di vista. Accortosene, egli prese un corridoio, si lanciò nella prima porta che trovò e cercò di bloccarla alla bell’e meglio. Aprì dunque l’oblò, e, facendosi non poco coraggio, uscì in coperta: una volta lì, esaminò le varie opzioni:
1) Nascondersi. Equivaleva a ritardare la cattura.
2) Farsi strada combattendo. Sì, e con cosa?
3) Saltare!!!

Prese una bella rincorsa, e…via! Si lanciò dal Granchio sul «molo» a cui era attaccato, riuscendo ad aggrapparvisi per poco; si tirò su, e prese a scappare nel Mercato.
Ma, all’improvviso, fu tutto nero.

Andrea si risvegliò nel letto di casa sua, in pigiama. Si alzò con non poca fatica, andò in bagno, si recò in cucina a prendere dell’acqua, e poi fece per tornarsene a pisolare.
«Ma che sogno del menga!»
Stava già pregustando la morbidezza del suo piumone, quando udì, d’improvviso, un clamore impetuoso provenire dalla strada: corse quindi ad affacciarsi alla finestra. Era difficile descrivere che momento della giornata fosse, perchè c’era quella sorta di maltempo che rende le sette del mattino uguale alle 10 di sera; ma tutto questo entra in secondo piano nel momento in cui ti accorgi di una flotta di almeno 50 navi alate che veleggia sopra la tua città.
«Oh no, no, no!» gemette Andrea, prima di correre a controllare una cosa nelle sue scarpe.

*             *             *

Chiedo scusa sia per il mio ritardo nel postare sia per le eccessive fesserie che mi sono dovuto inventare, ma purtroppo ero in una situazione senza via di scampo :P Ad ogni modo, ecco gli argomenti per i prossimi eroi che si cimenteranno nel raccontare le gloriose gesta del nostro Andrea:

La corruzione

Le sbadatezze

Le alleanze

Per veri arditi – parole e digressioni:

Consenso

Fogna

Gelato

Menhir

Ritorno

Per coloro che vogliono eccedere in eroicità:

– Inserire almeno tre delle parole fornite nello stesso periodo

– Scrivere il post facendo sì che le lettere iniziali delle parole con cui farete iniziare ogni capoverso (o dialogo) compongano a loro volta, prese in ordine, una parola di senso compiuto (se lunga e buffa, come “turpiloquio”, è meglio.

Al solito, se ciò dovesse costituire una forzatura troppo eccessiva per il vostro racconto, fa niente, sarà per un’altra volta.

Capitolo III: Non fare troppe domande se sai che non ti piaceranno le risposte

postato il 22 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da VaMina

Andrea udì a stento le  parole pronunciate dalla vecchia: il dolore si era fatto insostenibile, e lo costrinse in ginocchio. L’ultima cosa che sentì prima di svenire fu una risata disumana, sdentata, e poi fu nel mondo dell’incoscienza. Smetteremo quindi per un attimo di occuparci di lui e osserveremo la scena circostante. I marinai reclutati da poco, abbastanza scossi, fissavano il buco al centro del ponte, che di nuovo vorticò, e videro sostituirsi alle navi altre immagini, altri cieli, altre persone, finché non si dovettero allontanare, spinti dall’impulso a vomitare. I lupi di mare, fedeli alla vecchia, evidentemente abituati a uno spettacolo simile, si erano voltati a guardare il cielo, che anziché rossastro come in precedenza era pallido, e sgombro, come invece non si poteva dire fosse prima. Rassicurati da questa visione, berciando e intonando canzoni piratesche, tornarono alle loro precedenti occupazioni. La vecchia, dopo aver cessato la sua sguaiata risata, aveva ordinato a Maria di trascinare senza troppi complimenti Andrea nella sala grande della nave, ed era tornata al timone. Maria aveva punto eseguito gli ordini, e aveva gettato Andrea su una branda che si trovava nell’enorme sala rivestita di legno. Ed è qui che ritroviamo il nostro eroe, poco tempo dopo. Lo svegliò un odore penetrante, che la sua vista appannata associò a dei sali alla lavanda, racchiusi in un sacchetto cencioso. Questa fu la prima cosa che vide, e non ci stupisce, perchè il sacchetto era proprio davanti alla sua faccia. Aldilà dei sali vide l’energumeno Maria, intento ad allacciargli una cintura dalla quale penzolavano coltelli, pistole e diverse armi che sembravano difficili da maneggiare. Oltre il suo corpo spesso, vide la giovane accompagnatrice della vecchia mentre cercava qualcosa in un baule dall’aspetto in tutto e per tutto simile ai forzieri dei film pirateschi per bambini. Avendo sentito la voce di Andrea biascicare qualcosa del tipo

«Cosa succede buco perchè armi non mi toccare»

Lei si girò, e avvicinandosi alla branda sorrise in modo incerto, porgendo una bottiglia lunga e stretta al nostro malcapitato, il quale, giustamente spaventato da bevande e cibo, afflitto da un gran mal di testa e con gli arti diventati più pesanti di parecchio, riuscì a mormorare:

«Cos’è? Non voglio altre schifezze pellicano vomitare riso dolore»

La ragazza rise.

«E’ solo rum» disse «Ti farà solo stare bene, e non ti farà parlare più così»

La sua voce, forse perchè quasi da bambina, forse perchè inedita, forse perchè l’unica amichevole sentita finora, fece svegliare definitivamente Andrea, e lo mise in condizione di reagire. Prese la bottiglia e ci si attaccò voracemente, fino a quando Maria non gliela strappò di mano. Il nostro si lamentò, ma ricevette dall’omone un secco

«Ora basta, tra poco dovrai combattere, abbiamo solo guadagnato tempo»

e alla donna disse

«Anja, spiegaglielo tu, io vado di sopra»

Quindi si allontanò, facendo tremare e scricchiolare le assi di legno della stanza e poi delle scale.

Andrea era sempre più confuso, i suoi arti erano sempre più gravosi, ma la curiosità per la sua interlocutrice lo mise sull’attenti.

«Ti chiami Anja? Che vuol dire che abbiamo guadagnato tempo? Cosa diavolo era quel coso?»

Lei lo guardò con una strana espressione, prese una sedia, la trascinò attraverso la stanza e si sedette al suo fianco, poi, dopo un lungo sospiro, parlò.

«Sì» annuì «mi chiamo Anja. Abbiamo guadagnato tempo perchè abbiamo fatto un piccolo salto temporale. Solo di poche ore. Ma se ne accorgeranno, e verranno altre navi, dovremo affrontarle, per questo sei armato. Per “coso” credo che tu intenda il vortice. Non posso dirti molto, ma contiene i momenti futuri e passati, e il nostro mondo e gli altri mondi, compreso il tuo»

«Questo vuol dire che mi trovo in un altro stupido mondo?» gridò Andrea «che voi eravate strani l’avevo capito, ma che diavolo è? E che vuol dire che ci sono i momenti lì dentro? Potete saltare da un momento all’altro come vi pare e piace?»

«Per prima cosa calmati, altrimenti non ti dirò più nulla. No, non lo possiamo fare. Lo può fare solo Zeugma, la mia padrona, e solo al crepuscolo. E’ il momento in cui puoi scatenare tali poteri, e sì, certo che siamo in un altro mondo, ti aspettavi che il Granchio Volante potesse sorvolare casa tua senza che nessuno se ne accorgesse? Certo che sei scemo»

In quel momento un fragore sconquassò il sopracitato Granchio Volante (questo il nome del nostro vascello).

«Ci hanno trovati» disse Anja «sei pronto a combattere?»

«Aspetta, cosa c’era nel cibo? Devi dirmelo»

«Un siero di verità, ma agirà tra un bel po’»

«Ma io non so nulla, l’ho già detto!»

«Lo ricorderai, ora andiamo!»

Lo afferrò con una forza che lo sorprese, dato il suo aspetto esile, e cominciò a portarlo sulla scala. Quando furono fuori, videro ciò che stava accadendo.

Erano di nuovo circondati da navi dai palloni argentati, dalle quali però adesso spuntavano le bocche di innumerevoli cannoni. Era iniziato l’attacco. E sulla nostra nave, imperversavano gli ordini della vecchia  Zeugma. Il Granchio Volante fu all’improvviso irto di sottili cannoni, sconvolto da persone armate o che trasportavano barili di polvere da sparo e di rum o che portavano sottili ponti uncinati, fitti di chiodi. Andrea non ebbe neanche il tempo di rendersi conto della situazione, che la battaglia era già in pieno svolgimento, e lui  era stato  coinvolto in quel caos. Alcuni dei colpi di cannone avevano provocato delle falle nella nave, e un colpo particolarmente fortunato aveva danneggiato uno dei palloni pieni di gas che la sorreggevano. L’intraprendente Granchio, da parte sua, si difendeva più che bene, considerando  che era uno contro parecchie navi. Infatti i suoi cannoni non erano rimasti per nulla inattivi, e Zeugma con un abile colpo di timone era riuscita ad avvicinarsi ad uno dei velieri, permettendo all’equipaggio di gettare uno dei ponti chiodati sulle tavole di legno della prua della nemica, trasformando una battaglia aereo-navale in una parziale battaglia di terra. Qui i marinai nerboruti della vecchia stavano avendo la meglio, essendo avvantaggiati nella sfida corpo a corpo. Ma abbiamo parlato della prua di un solo veliero, e gli altri accerchiavano minacciosi la nave già provata. Da questa vennero gettati ancora altri ponti, alcuni ebbero successo, altri caddero nel vuoto, con conseguenze, possiamo immaginare, disastrose per il mondo sottostante, ma di cui non ci occuperemo. Andrea si era trovato ad attraversare uno dei ponti urlando e agitando le armi come i compagni, decisamente eccitato dalla prospettiva della battaglia, che tanto gli ricordava quelle partorite dalla sua mente, e si gettava sui nemici, stupito delle sue stesse azioni.

Tuttavia, nonostante le parziali vittorie, lo scompenso era troppo grande, e nel complesso i nostri eroi stavano avendo la peggio. Il  Granchio Volante cercava di battere in ritirata quando arrivarono. Il cielo ancora si oscurò e da un coagulo di nubi temporalesche uscirono sfrecciando alcune navi sulle quali svettava la bandiera dei pirati, e anche fornite di pirati in piena regola, anche questi urlanti e agitanti coltelli e pistole.

Le navi pirata accerchiarono quelle dello stato, che dovettero affrontare una situazione completamente ribaltata. I ponti furono ritirati e crebbe il fuoco. Dopo alcuni tentativi di rispondere ai colpi, quando le loro golette cominciarono a subire troppe perdite, gli uomini di legge furono costretti a fuggire.

A questo  punto i vincitori, bevendo, cantando e sbraitando, fecero rotta verso il porto più vicino, dove quella settimana si teneva il Mercato di Sopra.

Sulle navi ci fu ancora del movimento per attraccare le navi ai moli, funi gettate, passerelle calate, e poi in poco tempo furono tutti sulla terraferma.

Andrea camminava spaesato in mezzo alla ciurma, e ogni tanto era interrotto nei suoi pensieri da sonore e dolorose pacche sulle spalle che gli venivano appioppate dai marinai , come complimento per il virile coraggio dimostrato durante la battaglia, e che lui accettava passivamente ma di buon grado, sentendosi accettato. Il mercato era enorme e lo spiazzava,  con gli occhi cercava Anja, l’unica che forse potesse chiarirgli la natura di questo strano luogo. Vedeva lunghi banchi dove gente di ogni forma e  colore vendeva e comprava, strillando e contrattando, ogni tipo di merce, uccelli vivi, lunghe spade, carne essiccata di qualsiasi tipo, enormi assi di legno, bombole di gas, libri grandi come sedie, nocciole e pinoli e altri generi di conforto, strane torce che galleggiavano nell’aria. Mentre vagava con la testa che si muoveva, pensava, in modo indipendente, da destra a sinistra e dall’alto verso il basso e viceversa, guardando ad occhi spalancati, sbattè contro un ostacolo. Un ostacolo parlante.

«Cosa stai facendo, sciocco?» gridò Zeugma «non stare da solo, che poi ti perdi e ti dobbiamo cercare e ci dai solo altre rogne!»

«Ma dove siamo? Che ci facciamo qui?» chiese il ragazzo, confuso, ma quasi contento di vedere una faccia conosciuta, fosse pur quella, in mezzo a tale bolgia.

«Questo è il Mercato di Sopra, il mercato sospeso. Dobbiamo sostituire le parti danneggiate della nave, e io devo comprare un paio di cosette» rispose la vecchia, con un sorriso inquietante. Ma Andrea era ancora sconcertato.

«A proposito della battaglia, contro chi abbiamo combattuto? E chi erano quegli altri?»

«Ci siamo scontrati con gli uomini dell’ammiraglio» rise «una vecchia questione per la colonizzazione dei cieli. I nostri erano contrabbandieri. E ora vai, fermati da qualche parte, trova qualcuno, io ho da fare. Non comprare niente». Se ne andò correndo e spingendo, lasciando Andrea sballottato dalle mille persone che erano al mercato, travolto da mille pensieri.

Eccone alcuni: lui non aveva soldi per comprare niente, non vedeva più nessuno di conosciuto, sapeva di aver mangiato una cosa che avrebbe dovuto fargli confessare una verità di cui non aveva idea, aveva appena lottato rischiando la vita, e tutto quello che potevano dirgli è che erano gli “uomini dell’ammiraglio”. L’esaltazione era ormai lontana, e restava solo il suo malumore. Continuò a trascinarsi tra la gente cercando un gradino, un qualcosa per sedersi. Non trovò nulla di simile, sempre che non sia simile a qualcosa dove sedersi un angolo sporco, che aveva come unica caratteristica quella di non essere calpestato da nessuno. Ma ormai era diventato poco schizzinoso, e si buttò a terra senza pensarci troppo. Dopo quelle che gli sembrarono ore qualcuno si chinò su di lui. Era un uomo sporco, con un mantello di un colore incerto tra il marrone, il nero e il rosso sangue, dal volto olivastro e gli occhi scintillanti.

«Io lo so cosa vuoi sapere. Tu vuoi sapere la Verità» sibilò, e il suo alito sapeva di stantio.

«Io te la posso dire» continuò alzando un poco la voce, che tuttavia era ancora un mormorio «io ti rivelerò il Verbo». Si chinò ancora di più, avvicinandosi al suo orecchio…

«Vattene, schifoso, lascialo stare» comandò la voce infantile di Anja, che mal si sposava con una parola come “schifoso”. L’uomo sporco fu spinto via dalle mani di Maria, mani così grandi da non sembrare appartenenti ad un essere umano.

«Aveva ragione Zeugma, non ti sai gestire da solo» disse la ragazza, e lo aiutò ad alzarsi.

«Ora dobbiamo andare, tra poco il siero farà effetto, e dovrai essere sulla nave»

«Senti…» le disse Andrea a mezza voce, per non farsi sentire da Maria. Ma lei lo bloccò.

«Maria, lasciaci un attimo soli» Quello obbedì, scostandosi di un poco, ma non abbastanza da non riuscire a vederli.

«So quello che vuoi chiedermi. Per prima cosa, quello era solo un pazzo, non ti avrebbe detto quello che ti interessa. Poi, Zeugma rivuole solo la sua giovinezza. Da molto tempo. E la sua collana, quella con la fiala. Non è cattiva. Non proprio almeno»

Girò la testa dallo sguardo implorante che le veniva rivolto, e chiamò: «Maria, portaci a bordo»

Quello annuì, e li abbracciò, se così si può dire, per tenerli lontani dalla folla. Andrea quasi lacrimava per il fetore delle sue ascelle, ma il gigante non li mollò, e in questa bizzara posizione raggiunsero la nave. Giunti a poppa Maria lasciò Anja, ma non l’altro passeggero, che scortò personalmente fino alla ormai familiare sala del lampadario. Qui lo aspettava la vecchia, che teneva in mano una lanterna ricurva e sinuosa.

«Il siero avrà fatto effetto» ridacchiò Zeugma, e indicò a Maria una sedia, su cui lui spinse l’inconsapevole. L’anziana donna poi chiuse la porta a chiave, e ritornata presso il tavolo, puntò la luce verso Andrea.

«Ora ci dirai tutto, bastardo»

*  *  *

Ora, un paio di parole. Vi accorgerete del fatto che ho messo un bel po’ di cose in mezzo, e ho paura di non essere stata chiara ed esplicativa (i miei professori al liceo mi abbassavano sempre i voti dicendo che ero schematica, io sono sicura sia un difetto e  ho provato a risolvere la cosa un paio di volte, poi ho lasciato in pace le cose che scrivevo). Se il prossimo a continuare ha dei dubbi, può dirmelo, e io glieli chiarirò di buon grado. Spero anche che qualcuno VOGLIA continuarlo, nonostante io l’abbia messo in una difficile situazione! Ah, Azazello all’inizio ha scritto di non voler scadere in un ricettacolo di assurdo. Temo un po’ di averlo fatto io, ma indietro non si torna!

Azazello, se vuoi cambiare i trattini per la continuità letteraria puoi farlo, ovviamente non puoi cambiare altro :D

Penso di aver detto tutto.

Adesso, ciò che vi serve:

Argomenti:

Il tempo

Il passato

I mondi

Per veri arditi – parole e digressioni

Fiore

Bottiglia

Scarpa

Tortura

Rissa

Per gli eroi definitivi (anche io lo sconsiglio, se deve inficiare la validità del racconto):

Scrivere tutto in prosa assonanzata (so che non è una tecnica molto approfondita, scusate)

Scrivere tutto in ottonari

Capitolo II: Non mangiare curry quando vieni rapito dai pirati

postato il 21 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da ad.6

Andrea si diede da fare, nonostante la sua più che giustificabile inettitudine ai lavori manuali, nobile e spesso dannosa qualità dei giovani della sua età e del suo tempo. Ciononostante, fin dai primi giorni seppe dimostrare, vuoi per spirito di rassegnazione, vuoi per un insperato senso del dovere, cosa impossibile in una situazione diversa da quella, una discreta operosità ed una più che discreta capacità di apprendere, il che lo portò a scalare in fretta i più alti vertici del potere su quella nave volante: da che aveva dovuto lavorare come un forsennato strisciando per terra assieme al panno lercio che Maria gli aveva gentilmente gettato ai piedi, adesso poteva contare sull’ausilio di una stortissima mazza di scopa, tra l’altro impossibile da impugnare. Questa è la dura legge del mare, se di mare possiamo parlare.

Fu così che nei primi giorni di “viaggio” Andrea ebbe tanto da lottare contro la fatica, la sporcizia, gli improperi della vecchia e dell’equipaggio, l’inarrestabile beccheggio cui la nave era costantemente sottoposta e la propria malcelata volontà di non sapere, da non poter pensare ad altro. Fu solamente nei secondi giorni, quelli che seguirono alla sua acquisizione di potere, che poté finalmente tornare a ragionare.

«Cosa sto facendo? Dove mi trovo? Quanto tempo è passato? E come si impugna questa scopa?», questi i pensieri che lo assalirono non appena si riscosse, subito seguiti da «Ed ho una fame incredibile! Cosa mi hanno fatto mangiare in questi giorni?». Gli ci volle un poco per ricordare di essere stato nutrito, abusando abbondantemente del termine, con pezzi di formaggio ammuffito e gustosa acqua. Capì subito perché gli era stato così difficile ricordare e decise di non farlo mai più.

Approfittò allora della ritrovata coscienza e fece il suo primo giro di perlustrazione per la nave. Dovevano essere le tre del pomeriggio e sul ponte aleggiava una brezza calda e tranquilla che portava con sé nient’altro che la propria voce sommessa ed un lieve odore salmastro: tutto taceva, fuorché la brezza, ovviamente. Andrea iniziò a camminare sulle assi di legno quasi luccicanti e si diresse verso il bordo della nave, verso il cielo, ed una volta giunto vicino alla grande fune che reggeva uno dei quattro immensi palloni aerostatici che egli immaginava sorreggessero l’imbarcazione sporse cautamente la testa verso il basso. Il vuoto. E poi il mare infinito, sì, ma principalmente il vuoto. Si ritirò immediatamente affannando, immobilizzato dalle forti vertigini di cui aveva dimenticato di soffrire. Chiuse gli occhi cercando di pensare ad altro e proprio in quel momento un po’ come beffa, un po’ come aiuto, arrivò lontano e sicuro uno stonatissimo accordo di chitarra (come tale la riconobbe il nostro giovane amico) immediatamente seguito da una voce baritonale che cantava fiera: «Bella, sì, bella la vita sui maaaar / la peggior cosa che può capitar / è che s’impari perfino a nuotar! / Bella, sì, bella la vita sui maaaar! / Gi-ro-diii-chiglia no! Gi-ro-diii-chiglia sì! / Tanto è uguaaal! / La vita sui maaar!» Andrea, se forse non fu rincuorato da questo orgoglioso motivetto, ne fu almeno divertito abbastanza da poter abbandonare anche quella recentissima esperienza, per quanto possibile, nel luogo dei ricordi da non ricordare. Proseguì così la sua ispezione, sempre restando ad una distanza più che apprezzabile dal baratro, passando accanto al marinaio che poco prima lo aveva aiutato e che adesso discuteva animatamente, russando, con la brezza. Teneva tra le mani una chitarra di fattura assolutamente industriale, molto malridotta e priva di una corda, ed accanto a lui una ciotola di latta che ancora ricordava, affamata, il pranzo che le era stato tolto avidamente di bocca.

«Povera ciotola», pensò Andrea quasi, irragionevolmente, allegro. Continuò allora la sua perlustrazione della nave, da prua a poppa, che chiaramente in poco tempo fu del tutto esaurita, dato che, come si può ben immaginare, Andrea aveva escluso dal suo itinerario il bordo della nave ed ogni cosa adiacente a questo nel raggio di 3 metri, ogni albero, gli interni e la zona al centro del ponte che ospitava un vuoto cui ancora non era pronto, si diceva. A dire il vero ci fu una parte della nave che egli non visitò pur non avendola esclusa: le ali, elementi che per posizione ed accessibilità non avevano bisogno di essere esclusi da lui per risultargli inaccessibili, ammesso e non concesso che avesse voluto salire su quella ferraglia traballante tra vento e vento, resa ancora più instabile dalla presenza di due paia di alettoni, anch’essi presenti con chi sa quale funzione, in tutto quel caos di cianfrusaglie.

«Sei di una superficialità e di una debolezza che mi fa ribrezzo. Orrore ed onta, ecco cosa sei!»

La vecchia era tornata e tra i tanti versi cui si lasciava andare si potevano distintamente cogliere solo gli insulti e gli improperi.

«Cosa diamine fai ancora lì immobile con quella scopa? Il vento dell’altro ieri ha portato tanta di quella sabbia e di quello schifo che Dio solo sa perché non lo sto maledicendo come si deve! CORRI!» ed Andrea corse. Passò il panno sulle perenni incrostature del ponte aizato dagli scongiuri della vecchia che continuava ad abbaiare contro di lui e contro il mondo, quando, senza che potesse veramente accorgersene, si ritrovò ansimante e spossato sotto il cielo del tramonto appoggiato distrutto al manico della nostra scopa (o forse era lei ad essere appoggiata a lui: la sua stortura permette entrambe le interpretazioni).

«Pelandrone! Già riposi, eh? Ma non sai quante scudisciate ti darei! Oh, se solo… Ah, eccoli! Ladri, manigoldi, avidi! Avranno ciò che si meritano!»

Inutile dire che Andrea era molto perplesso per queste ultime parole, soprattutto per il fatto che non vedeva nessuno né vicino né all’orizzonte. Guardò la vecchia. Era rimasta con lo sguardo quasi compiaciuto fisso in un punto dell’orizzonte di fronte a lei ed annuiva sicura e divertita con la testa. Stettero così immobili per qualche minuto, quasi in attesa di ciò che lei già sapeva.

«Navi in vista!» tuonò allora la vedetta rompendo il silenzio «Navi in vista ad ore nove! No, signora, navi in vista ad ore nove e ad ore due! Ma cosa… Che il cielo ci protegga!»

«E sarà il cielo a proteggerci, pivellino idiota!» lo fulminò la vecchia brutalmente. La ciurma era in subbuglio e, ora fuori di coperta correvano in giro chiedendosi cosa fare. Maria, immenso ed immobile in quel caos, era arrivato o forse era sempre stato al fianco della vecchia. «E voi, maledetti! Non vi ho raccattato dalle più lorde cloache dell’inferno per vedere questi gridolini e questi piagnistei! Tornate sotto coperta e preparate la cena speciale! Di corsa!». La voce della vecchia risuonò stentorea ed imperiosa sopra il clamore generale e Maria riuscì a sincronizzare talmente la propria composta potenza con le parole di lei, associando al “maledetti” uno sguardo indecifrabile, al “più lorde cloache dell’inferno” un nerboruto braccio teso a fermare la corsa di uno sventurato in preda al panico, al “piagnistei” l’aver sollevato da terra come un giocattolo il marinaio appena fermato e alla parola “speciale” l’averlo scaraventato contro un altro gruppo di persone poco distante di lì, il tutto in maniera talmente adeguata al contesto, da far scemare in ognuno qualunque dubbio e qualunque paura, men che quella di finire nelle braccia del candido e sovrumano Maria.

«Ragazzo, stasera mangerai con la ciurma!»

Andrea era senza parole, non capiva nulla di tutto ciò che gli stava accadendo attorno, ma la cosa incominciava a piacergli, forse. Seguì gli altri sotto coperta.

La nave volante era al centro del cielo sconfinato, sopra il mare ugualmente sconfinato, un minuscolo puntino grigio scuro nello sconfinato blu marino. Il caos era nato nei cuori dei marinai in seguito ad un’inquietante constatazione: era nato un secondo, più alto orizzonte nel cielo. Raggi che tornano, come inghiottiti, dal punto da cui provengono, tempesta che avvolge il mondo e che piove inevitabilmente contro il centro della terra, allo stesso modo una miriade di navi volanti, da ogni direzione, convergeva senza soluzione di continuità verso il centro del cielo: verso la nostra nave. Ogni veliero aveva sei palloni argentati ed ogni pallone aveva, sulla cima, una bandiera indistinguibile a questa distanza, ma chi fa questo mestiere da tanti anni vi potrà dire che quella è l’effige dello Stato, della legalità organizzata, dell’ultimo baluardo di vita sicura e calma, cose che un vero uomo non potrebbe in alcun modo volere, in un mondo normale.

Ed ecco, allora, che l’orizzonte si fa più spesso, più distinto, più vicino e, mentre il cappio si stringe attorno al collo del condannato, si fa sempre più largo, fino ad avvolgerlo tutto e a negargli la luce del sole, perché non si tocchino fibra e fibra di quella letale ed implacabile fune. Questa era la situazione fuori coperta ed il solo a poterla vedere fu la vedetta che sicuramente ne racconterà per filo e per segno tutti i particolari senza che nessuno gli creda minimamente. Sotto coperta era stato inconsciamente applicato il modo di dire “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” e si procedeva alla preparazione della cena. Questa fu pronta in una mezz’ora scarsa ed in cinque secondi scarsi si erano tutti selvaggiamente avventati sulle vivande; tutti, ad onor del vero, tranne Andrea che aveva tutti i motivi di questo mondo per non avere fame in un momento del genere, tranne Maria che evidentemente viveva del suo stesso potere, tranne la vecchia, che guardava stranamente compiaciuta Andrea.

«Ragazzo, tu sia dannato, mangia qualcosa», esclamò divertita. «Non vedi che oggi abbiamo messo da parte le gallette ed il formaggio per mangiare qualcosa di più tipico? Tie’, vai! Della carne salata di gabbiano con salsa!» e Maria presentò lesto sotto il naso di Andrea questo piatto fornito di qualche pezzetto di carne, della salsa maleodorante ed al centro un grande becco aperto in un ultimo grido di dolore post mortem. «O Dio. No, guardi, non ho fame», fece Andrea distogliendo lo sguardo. La vecchia sorrise: «Allora prenderai della carne essiccata di pellicano!» e, quasi che nella vita non avesse mai fatto altro, Maria portò sotto lo sguardo già abbastanza disgustato di Andrea un piatto pieno di filettini di carne grigiastra, tutti attorno ad un paio di poderose ali di pellicano, pronte a spiccare l’ultimo volo, invano. Andrea si portò una mano alla bocca assolutamente disgustato. La vecchia si prodigò in un sorriso sincero, malevolo e sdentato; gli occhi le brillavano.

«Eppure lo abbiamo preso apposta per te! Maria, prendogli il “suo” piatto! Gli piaceva molto, sai?»

Rapido come il lampo Maria gli aveva presentato davanti un piatto sinceramente decente, costituito approssimativamente di riso condito con una sorta di salsa speziata e giallastra, che Andrea, causa l’odore penetrante e convincente, causa l’insistenza dell’odiosa vecchia, non volle rifiutare: dopotutto non toccava cose veramente commestibili da tempi immemorabili.

Ingoiò il primo boccone. La vecchia andò in uno sdentatissimo visibilio.
«Basta! Basta mangiare, porco! Usciamo di qui! Maria, prendi il ragazzo e il piatto. E voi restate qui!»

Andrea, visibilmente adirato per una serie di motivi ovvi e giustissimi, si sentì sollevare di peso sotto lo sguardo di tutti, mentre il suo stomaco sentiva che non avrebbe toccato del cibo simile per ancora molto tempo. Sbraitando per l’irragionevolezza della vecchia e, come sempre accade, prendendosela ancor di più con l’irragionevolezza del mondo, fu trascinato fuori coperta e lì ammutolì. A zittrlo fu la scena che, ripetuta con lentezza straziante per troppi minuti, aveva già regalato la vedetta al mondo dei sogni: la nave era avvolta in un immenso ed immobile uragano di vascelli volanti che non lasciava trasparire nulla al di fuori di esso. Maria, le mani ancora occupate dai due leggerissimi fardelli, si avvicinò finalmente, al grande buco al centro della nave. Andrea tremava dalla paura, dall’orrore, dalla meraviglia, dal terrore e da una serie di altri imponderabili e più che spiegabili fattori. Maria arrivò in prossimità del bordo di quello e spinse con volontà e dolcezza Andrea verso il parapetto eccessivamente basso. La testa di Andrea era sul buco, sul vuoto e lì vi rimase, immobile in eterno, senza che il cuore facesse un battito solo. Vedeva una voragine profonda come il cielo ed ampia quanto il mare, che insieme conteneva entrambi e tutto il resto del mondo e il vuoto e il nulla. Vedeva una distesa celeste sterminata, le nuvole e gli uccelli che volavano sopra di lui e sotto le nuvole, poi sotto i suoi occhi il mare, la terra (la sua terra!) ed ancora il cielo.

«Dannazione, smettila ché mi fai venire il capogiro! Maria, presto!».
Ma Maria aveva già agito ed il piatto era stato scaraventato nell’orrido oscuro e celeste.

Accadde in un instante: gli alberi si piegarono verso il ponte, la prua verso la poppa, la nave si accartocciò su se stessa verso il baratro; il mondo, la flotta di navi, il cielo ed il mare furono respinti e sfocarono nel bianco, mentre tutto il resto, poca cosa, veniva ingurgitato. Andrea ebbe il tempo di ricordare che anche lui sarebbe dovuto morire, un giorno, e che quel giorno era arrivato; vide Maria, impassibile, vide la vecchia, la bocca distorta in un sorriso che finiva dove l’abisso iniziava.

E furono dall’altra parte.

Andrea era vivo, gli occhi di nuovo e per sempre fissi sul vuoto del precipizio, nel quale un occhio meno sconvolto del suo avrebbe notato distintamente una grandissima, per quanto non immensa rispetto al resto, colonna di vascelli, tutti immobili, tutti fermi, tutti intatti e sconvolti da fatti così incredibili.

Andrea fu preso da un forte spasmo.

«Mi sento male. Sto malissimo! Davvero, aiutatemi!»

E la vecchia rise di gusto: sapeva che il ragazzo non era afflitto da un dolore fisico e che quest’ultimo non era dovuto a quel salterello nel vuoto.

«Questo è quello che volevo! Questo! Figlio d’un cane ed io so di cos’altro! Adesso che hai mangiato non potrai tirarti indietro! Restituirai la collana che sottraesti a me e la vita che sottraesti a tuo nonno! Forse stavolta riusciremo a farti morire una volta per tutte. Insieme!»

*   *   *

Per cominciare mi scuserei non con gli eventuali lettori che, insomma, se leggono certe cose un po’ di colpa avranno, ma con gli autori che, volendo postare su questo argomento dopo di me saranno costretti a sorbirsi questo interminabile elenco di stramberie!
Ok, passiamo alle cose serie.

Gli argomenti:

La giovinezza

La guerra

Il crepuscolo

Per veri arditi – Parole e digressioni:

Lavanda

Colonizzazione

Il Verbo

Zeugma

Pinolo

Per eroi votati alla morte:

Scrivere tutto senza nominare mai Andrea e Maria (easy mode)

Scrivere tutto solamente con soggetti sottintesi (hard mode)

Come Azazello anch’io sconsiglio di seguire ciecamente la via dell’eroismo , soprattutto se così facendo si rinuncia alla fruibilità e più generalmente alla godibilità del testo.

Capitolo I: Non ascoltare la musica mentre cammini

postato il 19 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da Azazello

[Ho provato più volte, e a più riprese, a dedicarmi alla narrativa, non di rado con la convinzione che la mia capacità di raccontare migliorasse al passo di quella di descrivere, convincere e spiegare, ma sempre con l’inevitabile disillusione che accompagna un lettore che si improvvisa scrittore. Ho deciso, comunque, di cimentarmi un’ultima (ma chi voglio prendere in giro?) volta nella produzione di un racconto, cercando di mantenere un certo grado di coerenza e di non scadere in un facile ricettacolo di assurdo che i lettori meno avveduti potrebbero scambiare per arguto stratagemma narrativo.]

Andrea non era assolutamente adatto alla scuola. Non poteva sopportare l’idea che tutto fosse così tristemente reale e statico: lo annoiavano i malinconici capoluoghi piemontesi, i temi sulla mamma, le poesie di Carducci da mandare a memoria, le tabelline e le divisioni, le lezioni di storia sull’evoluzione dell’uomo delle caverne; eppure subiva la tortura di 5 ore di scuola ogni giorno, intrappolato tra quattro mura grigie, lontano dall’avventura e dall’azione. Fu così che Andrea scoprì che dove non potevano arrivare le sue gambette poteva arrivare la sua fantasia, e presto i fiumi del Piemonte coi loro stupidi affluenti furono scenario di incredibili battaglie, vie di transito favorita dai contrabbandieri di cioccolato che transitavano quotidianamente sul Po, alla mamma dei temi cominciarono a crescere prima i peli, poi i denti, le ali e gli artigli, le poesie di Carducci improvvisamente venivano interrotte da una sparatoria o da un arrembaggio, gli insopportabili uomini delle caverne fuggivano all’impazzata, terrorizzati da mastodontici mammut. Naturalmente con la fantasia arrivarono i problemi (principalmente per quella storia della mamma alata), con i problemi gli ostacoli, con gli ostacoli ulteriore alienazione… e così, tra un ostacolo e una fantasia, l’adolescenza. Diciamo che nessuno avrebbe scommesso un soldo su di lui: barbuto, svogliato, con la testa fra le nuvole, sempre a leggere storie fantastiche e a inventarne di più deliranti, mentre Agamennone nelle sue versioni veniva spedito in Svizzera e Kant diventava un vecchiaccio scontento di tutto con grande orrore della sua professoressa di filosofia. Ed è proprio qui che inizia (e finisce) la nostra storia: precisamente in un giorno a caso del suo ultimo anno di liceo, alle nove meno venti circa di un mattino qualsiasi, al ritmo disordinato dei suoi passi di ritardatario consapevole e rassegnato, lungo la strada che decise imprevedibilmente di percorrere proprio in quel giorno, come aveva fatto negli ultimi 4 anni.

Andrea non si era accorto, probabilmente a causa della battaglia tra elfi e orchi che si stava perpetrando a tempo di musica nella sua testa, che già da qualche metro due donne basse e dalla pelle scura lo stavano seguendo, quindi potete immaginare il suo sgomento quando la più anziana delle due gli afferrò il braccio urlando qualcosa, con voce non esattamente aggraziata:

«Eh?» chiese perplesso il ragazzo, sfilandosi l’auricolare

«Mi hai sentito! mi hai rubato la collana, disgraziato!» gli rispose esauriente la donna

«Ma che dice? mi lasci stare!»

Divincolatosi dalla stretta della vecchia, Andrea affrettò il passo e si decise a ignorare le due donne che continuavano a seguirlo biascicando qualche insulto ogni tanto e maledicendo più o meno tutto il creato, e in un primo momento la strategia si rivelò efficace, perché le seminò in poco tempo. Questo incontro acquistò una reale rilevanza solo più avanti nel tempo (diciamo quattro ore dopo, mentre tornava a casa), quando si trovò accerchiato da quattro ragazzoni robusti dalla pelle scura e dal vestiario peculiare, che lo invitarono cortesemente a deviare dalla sua solita strada per fare una passeggiata di qualche ora in loro compagnia, offerta che lui non si sentì di rifiutare e che lo portò di nuovo al cospetto delle due donne, all’interno di un capiente camion contenente un po’ di sedie, un frigo da automobile, qualche cassa e un tavolo.

«Sei un ladro e la pagherai! restituiscimi la collana!», gli intimò ancora la più anziana

«Non so di cosa parla! Davvero!»

«Certo che non lo sai, razza di cretino! Dopo ottant’anni in quello stato, come potresti? Questo non cambia la tua responsabilità di ridarmi la mia collana, però, quindi da oggi torni a stare con me»

Ad Andrea sarebbe piaciuto molto ribattere, ma sembra che l’improvviso dolore alla nuca e il buio l’avessero distratto da quest’idea perlomeno fino al suo risveglio, circa sei ore dopo, quando urlò:

«Ma lei è pazza! lasciatemi andare!»

Ad un energumeno che evidentemente non aveva assolutamente questa intenzione, o almeno così poteva sembrare a giudicare dalla lunga striscia di metallo appuntito e affilato che si prolungò rapidamente dal suo braccio fino al collo del giovane.

«Bene, sei sveglio. Andiamo», sentì dire seccamente da una voce profonda, mentre il corpo estraneo veniva rinfoderato.

«Dove…?»

«Di sopra», rispose l’omone mentre lo strattonava per un braccio senza troppi complimenti.

Solo in questo momento Andrea si preoccupò di dare uno sguardo intorno a sé, cosa che lo portò alle seguenti osservazioni: si trovava in una cabina di dimensioni piuttosto ristrette, dalle pareti, i pavimenti e il soffitto in metallo color cinabro, senza finestre; riusciva a intravedere i punti di congiunzione delle lastre, strettamente saldati da rivetti grossi come carote; era stato delicatamente sollevato da una specie di branda piuttosto scomoda; aveva dolore alla nuca; l’intera stanza sembrava oscillare lentamente avanti e indietro; questi dettagli, il suo grande acume e il fatto che il suo compagno aveva una maglietta a righe e un discreto tatuaggio sull’enorme avambraccio scuro gli fecero balenare in mente l’idea bizzarra di essere su una nave.

Andrea ebbe modo di approfondire la sua idea attraversando un corridoio simile alla stanza da cui proveniva, tappezzato di ritratti e bandiere di vari paesi, illuminato da una serie di candelabri dorati e inframezzato da porte di legno dalla cima arrotondata, fino a raggiungere una scala a chiocciola che salì per sbucare in una sala parecchio più grande della sua stanza e interamente rivestita di legno. Qui la prima cosa che notò fu l’enorme, vergognosamente barocco lampadario d’oro che avrà contenuto almeno un centinaio di candele; la seconda fu un grosso tavolo cosparso di grandi fogli, righelli, compassi e strumenti strani; la terza fu la maledetta vecchia di qualche ora prima, vestita in modo indescrivibile (sembrava indossare abiti gitani, ma aveva una specie di maschera da sub alzata sulla fronte e degli stivaloni che avevano l’aria di pesare almeno un paio di chili l’uno) e intenta a scribacchiare su uno dei fogli, sempre accompagnata dalla sua silenziosa e giovane accompagnatrice, che assisteva seduta in disparte; l’ultima cosa che vide, prima che la sua attenzione fosse di nuovo monopolizzata dalla donna, fu tanto, tanto azzurro attraverso un finestrone largo quanto l’intera sala alle spalle del tavolo e della sua ospite.

«Ah, eccoti qui. Maria ti mostrerà di cosa ti occuperai durante il viaggio»

Ad Andrea vennero in mente, tutto d’un tratto, tutte le incongruenze di questi eventi: si trovava in un luogo sconosciuto, probabilmente in mare, con persone mai viste prima (ma armate e decisamente non amichevoli) e, come ebbe modo di scoprire proprio mentre rifletteva su questi aspetti, non aveva più il telefono, le chiavi e il portafogli, come d’altra parte i pantaloni e la camicia che indossava quel mattino, sostituiti da una maglietta e un pantalone di almeno due taglie più grandi e sicuramente più grezzi nella fattura. La quantità di informazioni poco gradevoli che gli affollava la testa era grande, il che forse spiega perché si limitò a chiedere:

«Viaggio?»

«Sì, viaggio, per la miseria! Nemmeno il tuo bisnonno era sveglio, ma tu al confronto sei un maledetto bradipo!»

Bisnonno? La porzione di memoria che Andrea aveva riservato al suo bisnonno conteneva le uniche due informazioni che erano riuscite ad attecchire nella sua mente di bambino irrequieto: il bisnonno era morto giovane; il bisnonno aveva una bandiera dei pirati appesa in camera. A questo punto potete capire che la mente di Andrea stava vagando libera e felice per le strade dell’assurdo: già vedeva un omaccione barbuto, con la benda sull’occhio e vestito da pirata che urlava qualche frase piratesca con accento improbabile mentre sparava all’aria ridendo sguaiato, già lo vedeva accendere micce e puntare cannoni, lanciare rampini e andare all’arrembaggio…

«No, tuo nonno era un piccolo bastardo irriconoscente come te, spelacchiato e lento»

Andrea, che effettivamente non aveva detto niente, era interdetto e anche un po’ offeso.

«Te l’avevo detto che sarei tornata a prenderla anche fra cent’anni, la mia collana, anche a costo di tormentare tutti i suoi discendenti fino alla fine del mondo. Ora so dov’è la collana, ma sembra che solo tu possa prenderla, il che rende il nostro incontro molto fortuito per me e molto più spiacevole per te»

Andrea era pronto ad obiettare, ovviamente, che lui non sapeva di nessuna collana, ma la vecchia continuò:

«E ti assicuro che sai tutto, stupida imitazione di pirata che non sei altro, devo solo tirartelo fuori»

A questo punto il ragazzo, sbloccato forse dal momento di instupidimento, strillò stizzito:

«Ma insomma! Io non so di che state parlando! Cosa volete da me?!»

«In questo momento», rispose pacatamente l’ospite, tornando alle sue attività, «Dato che devo cercare di imbrigliare il libeccio prima che diventi troppo forte e ci faccia capovolgere e morire tutti, direi che non voglio niente di speciale. Maria, accompagnalo»

L’energumeno, che a quanto pare si chiamava proprio Maria, accompagnò gentilmente il braccio di Andrea (che si sentì in dovere di seguire il suo arto) ad una porta che dava sulla parete opposta a quella del finestrone, la spalancò con un calcio e lo trascinò con sé sul ponte della nave, dove gli mise in mano uno straccio e un secchio commentando:

«Attento a non cadere: è un bel volo da quassù»

Il ragazzo si guardò ancora intorno ed ebbe modo di notare i tre grossi alberi con le vele spiegate, molti altri marinai dalla pelle scura e l’aria poco amichevole, varie botti, un grosso buco al centro del ponte, scale di corda che congiungevano gli alberi alle balaustre ai lati del ponte e quattro giganteschi palloni aerostatici che sembravano… reggere la nave. Non ebbe bisogno di sporgersi per capire che la nave stava volando poco sotto le nuvole.

«Il ponte è grande, farai bene a darti da fare»

*   *   *

Alcune note prima di terminare il post: 1) doveva essere più lungo e più chiaro su alcune cose, per come l’avevo pensato, ma alla fine è venuto fuori questo per la fretta e la mancanza di ispirazione 2) i temi sono stati rispettati, anche se voi non ve ne siete accorti perché non capite quello che scrivo, ma non certo perché io non sono riuscito a esprimermi 3) ok, il cinabro ce l’ho messo un po’ a caso. Forse anche i candelabri. Dovevano avere entrambi il loro spazio (il cinabro sarebbe stato giustificato durante la spiegazione della lega metallica di cui era fatta la nave e i candelabri sarebbero stati oggetto di un simpatico momento di ilarità).

Per quanto riguarda chi scriverà il prossimo pezzo, direi che i suggerimenti sono abbastanza evidenti nell’ambito del testo, ma voglio esplicitare quelli che secondo me sono più importanti per la prosecuzione della storia in una direzione che mi piace più di altre:

1. L’occultismo

2. L’immortalità

3. La supremazia

Per veri arditi – Parole e digressioni:

a. Alettone

b. Stagno

c. Curry

d. Chitarra

e. Pellicano

Solo per veri eroi (che vorrei scoraggiare fortemente, visto che difficilmente potranno non pregiudicare la qualità complessiva del racconto [che già inizia come inizia, insomma]):

I. Il post deve essere un unico, lungo palindromo

oppure

II. Il post deve contenere due storie, una accessibile leggendo il post normalmente e l’altra leggendo solo le righe dispari

Scusate il ritardo, la lunghezza e l’inadeguatezza.

Giochi…

postato il 16 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da Nigredo

Attenzione, l’argomento di questa volta non sarà quello dei Giochi, che fin troppo sarebbe affine a quello dei balocchi, bensì sarà UN gioco, che ho qui intenzione di proporre. La mia è una sorta di esercitazione retorica e concettuale, in cui ognuno, liberamente, potrà cimentarsi. Essa consiste nel proporre degli argomenti aspettando che qualcuno li raccolga e ne tiri fuori qualcosa. Inoltre, darò una lista di parole che, per i veri arditi del cimento, andranno collegate agli argomenti in maniera coerente e che non stoni con lo stile e la tematica affrontata. Eventualmente, se qualcuno di voi è addirittura tanto cinico, potrà specificare esplicitamente chi voglia che prosegua la tornata del gioco, raccogliendo le proprie parole.

Alla fine di ogni “pezzo”, ogni autore specificherà gli argomenti e le tematiche che chi ha intenzione di scrivere il pezzo successivo deve trattare.

Ora, perché la cosa abbia un proprio fascino, l’idea fondamentale è che i post, in sequenza, debbano formare un racconto, essendo parte di un unica macrostruttura coerente. Quindi, se io scrivo di Pippo Franco, è molto probabile che il nostro racconto dovrà avere lui come protagonista, e le successive lacrime amare saranno solo vostre.

Inutile dire che non voglio sottrarmi a questo gioco, quindi, una volta che gli altri avranno scritto, l’ultimo giorno dell’argomento sarò io a prendere gli ultimi argomenti e a completare la mia parte di racconto, diventando parte del cimento.

Bene allora, sbizzarritevi!

Argomenti:

I pirati

La libertà

Le maledizioni

Per veri arditi – Parole e digressioni:

Candelabro

Cinabro

Libeccio

Piemonte

Mastodonte

Per eroi finali:

Scegliete tra le due possibilità:

a) scrivere tutto il proprio pezzo senza mai usare la lettera “e” (un classico)

b) scrivere tutto il proprio pezzo come un unico periodo (se è troppo corto non vale!)

 

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