Un uomo in mare

postato il 28 Nov 2011 in Senza categoria
da Azazello

All’ascoltatore occasionale consigliamo di soffermarsi soprattutto sulla fisarmonica *_*

 

Dopo giorni di tempesta il mare piatto si girò
in un blu costaricano mentre il sole si trovò
col cuore in mano
E fu per libero arbitrio e una certa sobrietà
saltò fuori dalla nave in fuga dalla civiltà
UN UOMO IN MARE
UN UOMO IN MARE
Verso la sua libertà
Figlio dell’immensità
UN UOMO IN MARE
Nuota con caparbietà
E la nave se ne va… già…

A Nettuno son graditi sacrifici e naufraghi
ma quel giorno fu tradito da commossi brividi
PER L’UOMO IN MARE
UN UOMO IN MARE
Verso la sua libertà
Figlio dell’immensità
UN UOMO IN MARE
Luci e fanfare
Nuota con caparbietà
e la nave se ne va… già…
Fuochi e clamore e coriandoli!
Fuochi e clamore e coriandoli!
LA LALLALLA’LALLALLA’ vado dove porterà
la mia forza e la voglia di vivere
LA LALLALLA’LALLALLA’ ma ho qualcosa che non va se mi fermo a pensare..cos’è la libertà?

Il referendum è un istituto ambiguo, ma ci da dentro.

postato il 27 Nov 2011 in Cazzi e mazzi personali, Il rubricone musicone rotolone
da Deluded Wiseman

Ci sono due tipi di musicisti. Quelli che suonano ai matrimoni e fanno le caznoni a richiesta(“A saje o’latitant?” evviacosì), che se no il padre della sposa li spiezza in due, e quelli che hanno raggiunto una certa dignità artistica, e suonano quello che vogliono e nell’ordine che vogliono, per una serie di motivi. Motivi deprecabili tipo la spocchiosità da star della ceppa che non fa il classicone per dispetto ai fan occasionali andati allo show solo e unicamente per sentire quel pezzo, ecchissene se hanno pagato, occasionali o no, cinquanta soldi.  O motivi seri, tipo il fatto che anche la scelta di una scaletta,dei pezzi che la compongono e del loro ordine, può avere un senso o uno scopo precisi, che sia quello di orientare l’andamento del concerto e il coinvolgimento del pubblico dosando attentamente i pezzi veloci e i pezzi lenti o quelli famosi e quelli sconosciuti, o quello di permettere ai musicisti di arrivare più dignitosamente alla fine del set, alternanto pezzi facili a brani più logoranti; o ancora, magari con una scelta precisa si vuole comunicare qualcosa di preciso, una storia, una messaggio, o si è scelto un certo ordine per ripercorrere la storia del gruppo, o per festeggiare qualcosa, tipo l’anniversario di un album.

Per i succitati motivi, non mi piacciono molto i tizi che ogni volta che dal palco non arriva casino si mettono a cantare un pezzo o a invocarlo. Parliamoci chiaro, io sono uno che se va a un concerto e non gli fanno un pezzo che si aspettava, poi non lo ascolta per mesi. C’ho messo un anno per riascoltare Money Talks dopo gli AC/DC, e sì che lo sapevo da mesi che non era in scaletta. E quindi spesso sarei ben felice di trasformare i miei musicisti preferiti in juke-box umani(e costosi). Però poi, quando non sono in presenza di evidenti spocchiosi della ceppa(che pure è capitato) penso anche: “Ci dovrà pur essere una ragione sensata se questi gentiluomini hanno ideato questa scaletta. Lasciamo che la suonino, per Giove.”(si, nella mia testa parlo molto più signorilmente che fuori).

E poi, insomma, se uno sta suonando da due ore e tutti sono felici, e tu sei ancora lì che gli urli “O’latitant!”, si può anche risentire un po’. Io mi sa che mi risentirei un po’, paganti o non paganti. Non per niente, ma se tu fai un accordo di X e ti senti qualcuno attaccare a cantare Y, pare di deluderli, e non è bello per uno che cerca di far bene il suo.

E poi si deve calcolare che ci sono show che prevedono un preciso gioco di luci, scenografie o effetti speciali per ogni canzone. E non è che se dopo 15 pezzi con tripudi di laser, flash, scenografie apposite, fuochi d’artificio,  pupazzoni giganti, video e amenità varie, ci si può mettere a farne uno con le lucine fuori tempo tipo Sagra della Cotica di Brenzole, solo perché il pubblico lo chiede capite? Di nuovo, parliamoci chiaro, se, per dire, i Maiden suonassero Alexander the Great(pezzo figuerrimo mai suonato, ndnerd) io mi farei le pippe bulgare pure se la facessero in piedi sul tettuccio di una Fiat Punto illuminati da una torcia rotta. Però, obiettivamente, una roba così ti rovina lo show, e non so se io la farei.

Riassumendo: il confine fra i due tipi è abbastanza netto. E non lascia sconti: il secondo tipo regna. E’ quello con la pistola, e l’altro scava.

Poi però ci sono quei gruppi che scavano con la pistola in mano, quelli, tipo Modena City Ramblers o Bandabardò, che hanno un cuore grande così. Non sono juke-box ambulanti, non cantano  “Tanti auguri” se il padre della bambina si avvicina con la dieci euro, e sono gruppi che danno sempre il massimo; te lo dice il sudore di due ore di ammuina che se chiudono senza aver suonato la tua canzone preferita non è per pigrizia o spocchiosità, ma per una loro scelta di musici, condivisibile o meno. E, però, sono anche quei gruppi che magari suonano davanti a tremila persone, ma non sono certo persone arrivate lì per i passaggi su emtivì o a icsfattor, e quindi, sì, sono sempre professionisti che lavorano, ma è un po’ come se fosse una festa fra amici, magari piena di imbucati che non conosci, ma che ti stanno simpatici perché sono venuti a farti il regalo e gli auguri, quindi a pelle ti stanno simpatici. E quando senti che non uno scontento o uno che era lì per caso,  ma TUTTI ti chiedono un pezzo, che fai? Da un lato pensi che il tuo l’hai fatto, che sei distrutto, che il biglietto è pagato , lo spettacolo che avevi studiato è finito, e tutti a casa. Triste, ma legittimo. Ma dall’altro pensi che, da buon fricchettone, alla volontà popolare dovrai pur dare un peso, no? Non voglio idealizzarli troppo, sapendo di esagerare, ma voglio idealizzarli un po’, sperando di aver ragione, e quindi non accetterò commenti tipo “ma se non la facevano poi la gente non andava più ai concerti”, cosa che, oltretutto, non corrisponde al vero. E poi, se hai la fortuna di stare in prima fila, mentre il coro della vox populi monta piano piano, riesci a vedere gli occhi stanchi del lavoratore che ha finito la giornata e gli occhi innervositi del musicista che da mezz’ora sente gente attaccare a cantare un pezzo ogni volta che inizia a suonare tutt’altro, mutarsi negli occhi di quelli che pensano,”Fanculo la scaletta, se fanno tutti così, dovrà pur significare qualcosa per loro”. Alla fine, un coro così è un coro di tanto tanto amore, e come rispondi a tanto tanto amore?

Così, quando, incredulo, capisci che lo stanno proprio facendo, ti sembra un regalo. Ti sembra un regalo perché tu hai pagato per qualcosa che, buona o cattiva idea che fosse, non comprendeva questo; e se avevi apprezzato  lo show a prescindere, ti sembra proprio di aver fatto terno a lotto.

Quando il giorno dopo riesci anche a farti dire in faccia “Sì, è stato bello, si doveva fare” da uno di loro, capisci che i musicisti si dividono in due categorie, che una è superiore all’altra, ma che quando quelli con la pistola si mettono a scavare, con la pistola in tasca, è davvero bello, e lo è davvero perché è uno sforzo che vuol dire qualcosa per migliaia di persone in una stanza, paganti e pagati, sudanti e sudati, piecori e artisti.

E adesso, beccatevi i due “regali” pagati che questi attempati fricchettoni ci hanno voluto fare dall’alto della loro scioltezza:

Ubriaco canta amore

e

I Cento Passi

Un anno o qualche ora di attesa

postato il 20 Nov 2011 in Main thread
da freeronin

Un anno o qualche ora di attesa è lo stesso, quando si è perduta l’illusione di essere eterno.

Questa è una frase che Sartre fa dire a un condannato a morte; mi colpì per come rende la disperazione, il sentimento di un uomo a cui non è più dato farsi illusioni e fare progetti dando per scontato che ci sia un domani. Non tanto l’estremo sconforto, quanto, appunto, l’assenza di ogni speranza di salvezza.

Eppure, nonostante tutto, nonostante il fatto che la vita sembri insensata, essendo comunque destinata a finire, il condannato non può fare a meno di temere la morte, vuole vivere.

Ma forse le due cose non si contraddicono: nulla ci impedisce di amare una vita che finirà domani.  È anche per tutto quello che essa ha di insensato che vogliamo vivere, per le piccole gioie dell’ora e del qui, per il fatto che un momento può essere bello anche se non ha un futuro in cui proiettarsi, anche se è un’esperienza che scopriamo per la prima volta, che non rivivremo mai e che non cambierà le nostre vite.

Forse non è indifferente un anno o qualche ora di attesa, soprattutto quando si è perduta l’illusione di essere eterno.

Azione disperata

postato il 17 Nov 2011 in Main thread
da Vobby

Si intende spesso l’espressione “azione disperata” come sinonimo di “azione certamente fallimentare”. Significa che non ci sono speranze di vittoria, che moriremo tutti, che la situazione che abbiamo di fronte è tale per cui non sono possibili esiti positivi.

Si riporti la disperazione dove le compete, cioè nella testa degli agenti: l’azione è disperata perchè loro sanno di non poter vincere. Cioè non hanno speranza di vittoria, non nel senso di possibilità oggettiva di vincere, bensì di situazione soggettiva di sperarlo.

Se l’azione in questione è davvero certamente fallimentare, allora la disperazione è lo spirito giusto! Questo perchè gli speranzosi davanti a un fallimento assicurato sono scemi prima e delusi dopo.

Forse cominciate a intravedere l’illusorio ossimoro che a me è sembrato di cogliere…

Il fatto che l’azione sia disperata, in quanto è azione, presuppone che si vada avanti lo stesso. E non che si provi lo stesso a vincere perchè l’azione è, dicevamo, disperata. Perciò si capisce che l’agire disperato è preceduto da una lucida analisi della realtà in base alla quale si è capito che non si potrà riuscire nei propri intenti e, soprattutto, da una motivazione per la quale si agisce comunque. Quindi, cosa è successo? Gli intenti, che altro non sono se non una costruzione mentale, una speranza (!), sono stati brutalmente uccisi dallo studio della situazione in cui ci si trova ad operare,per venire subito sostituiti dal contrario della speranza, la disperazione (!). Quindi, disperatamente, si abbassa il tiro: non posso realizzare i miei sogni, ma le motivazioni ideali per cui volevo realizzarli sono ancora valide, perciò non mi resta altro da fare che realizzare qualcosa di meno. E’ importante, perchè quel meno è l’unica cosa che poteva essere realizzata! Meglio scheggiare la dura roccia della realtà piuttosto che rompercisi inutilmente la testa contro!

L’agente disperato è un personaggio interessante: lui non prova a vincere tutto ma sa di vincere poco, perchè ha impiegato del tempo a capire come fare. Si trova in un mondo a lui ostile, lo sa benissimo e in virtù di questa consapevolezza vi si muove con disinvoltura. E’ assolutamente lucido, ma per nulla cinico: è probabilmente mosso da nobilissimi scopi, che certamente non vedrà realizzati. Non gli importa, perchè vuole avvicinare ad essi il mondo, non sè stesso. Ha capito che l’unica via breve è quella lunga.

Si è detto dell’ostilità che circonda questo grande altruista: alla sua destra si trovano i suoi innumerevoli nemici, i cinici e i codardi, gli egoisti. Alla sua sinistra si dibatte invece la folta schiera degli stupidi, narcisisti idealisti, che pretendono di agire senza capire e che non sanno neppure cosa dicono e perchè fanno. Egli disprezza la loro inadeguatezza nel perseguire scopi che spesso condivide. Li mette continuamente al muro con le sue superiori argomentazioni, venendo a sua volta accusato di apatia e conservatorismo da chi, fornendo nient’altro che scuse alla violenza della reazione, sta inconsapevolmente danneggiando la causa.

In ultima istanza, odia le sue stesse mancanze: ignoranza e debolezza. Allenamento e studio sono le sue principali occupazioni.

Cronistoria di un risveglio

postato il 15 Nov 2011 in Senza categoria
da ad.6

Stamattina, prima di tutto, dormivo ed ero lì, nella pace dei sensi. Ad un certo punto non meglio definito ecco che suona la prima sveglia, ma, sapete com’è, sono giovane, pieno di speranze e di buoni propositi: non l’ho neppure sentita ed ho continuato il mio sonno beato. Quattro minuti più in là la trama si infittisce perché sono lì, la sera prima, a programmare la mia stessa distruzione! Infatti ecco che il cellulare mi propone la seconda sveglia, un fastidiosissimo squillo di telefono vecchio stile accompagnato dal rullo della vibrazione sul legno. Lo sento, stavolta, mi sveglio, le coperte sono troppo calde per essere lasciate, so che devo, ma, no, sono un giovane virgulto di Zeus e non voglio! Allora aspetto tra il conscio e l’inconscio che il cellulare smetta (ricordo vagamente che nel mondo reale le cose finiscono sempre, anche se sembra che questa maledetta sveglia dovrà suonare in eterno) e così è. Scivolo così in una dolce e minimamente turbata inconsapevolezza… quando ecco, sedici minuti dopo, che è come dire un istante di sonno dopo, il mio piano di me contro me stesso giunge a conclusione. Avevo sperato, avevo creduto nel fatto che ogni cosa sia passeggera ed ora, lì, brusca come (e con) una breve rullata di tamburi nel silenzio, inizia l’odiata melodia che mi riporta alla realtà.
This is the end of all hope (“O_O”)

No will to wake for this morn (“Eh”)
To see another black rose born
Deathbed is slowly covered with snow (“Esagerato, non fa tanto freddo”)

Ed è proprio in questa maniera che vengo risvegliato in triplice modo. Il mio udito è scosso dal frastuono e non mi è permesso di riaddormentarmi, da una parte, e questo è il risveglio fisico. Il risveglio simbolico, perché il testo della canzone mi fa tornare alla mente che ogni speranza di rimanere inerti a letto è ormai vana ed è così che comincia la consapevolezza di una mente sveglia. E per ultimo il risveglio allegorico, che mi suggerisce con forza inoppugnabile che è finzione della mente e della notte una speranza senza fine e senza limiti, benché motore della felicità. E ciò sancisce, solo dopo il risveglio fisico, la mia programmata e dolorosa uscita dal mondo dei sogni.

Disperazione

postato il 3 Nov 2011 in Main thread
da Spasko

Mi scuso con il ritardo, ma purtroppo in Brasile c’è il fuso orario, reso ancor più sfasato dal fatto che verso di me si nutre un comune schifo. Spero di non avervi fatti troppo disperare…DISPERAZIONE…. uhm… perché non discuterne per un mese intero? credo sia un argomento adatto, tra un brindisi e l’altro…io stesso posso dire di essere disperato in questo momento, perché non ho la minima ispirazione per fare un post decente, o perché le materie che devo studiare, e che compromettono spesso la mia attività sul blog, sembrano non finire mai…

Spero che l’argomento faccia schifo abbastanza da essere attribuibile alla mia persona.

Sommi ribrezzi

Spasko

Doing The Unstuck

postato il 1 Nov 2011 in Senza categoria
da Lalla

Doing The Unstuck – The Cure

It’s a perfect day for letting go
For setting fire to bridges
Boats
And other dreary worlds you know
Let’s get happy!
It’s a perfect day for making out
To wake up with a smile
Without a doubt
To burst grin giggle bliss skip jump sing and shout
Let’s get happy!

“But it’s much too late” you say
“For doing this now
We should have done it then”
Well it just goes to show
How wrong you can be
And how you really should know
That it’s never too late
To get up and go…

It’s a perfect day for kiss and swell
For rip-zipping button-popping kiss and well…
There’s loads of other stuff can make you yell
Let’s get happy!
It’s a perfect day for doing the unstuck
For dancing like you can’t hear the beat
And you don’t give a further thought
To things like feet
Let’s get happy!

“But it’s much too late” you say
“For doing this now
We should have done it then”
Well it just goes to show
How wrong you can be
And how you really should know
That it’s never too late
To get up and go…

Kick out the gloom
Kick out the blues
Tear out the pages with all the bad news
Pull down the mirrors and pull down the walls
Tear up the stairs and tear up the floors
Oh just burn down the house!
Burn down the street!
Turn everything red and the beat is complete
With the sound of your world
Going up in the fire
It’s a perfect day to throw back your head
And kiss it all goodbye!

It’s a perfect day for getting wild
Forgetting all your worries
Life
And everything that makes you cry
Let’s get happy!
It’s a perfect day for dreams come true
For thinking big
And doing anything you want to do
Let’s get happy!

“But it’s much too late” you say
“For doing this now
We should have done it then”
Well it just goes to show
How wrong you can be
And how you really should know
That it’s never too late
To get up and go…

Kick out the gloom
Kick out the blues
Tear out the pages with all the bad news
Pull down the mirrors and pull down the walls
Tear up the stairs and tear up the floors
Oh just burn down the house!
Burn down the street!
Turn everything red and the dream is complete
With the sound of your world
Going up in the fire
It’s a perfect day to throw back your head
And kiss it all goodbye!

 

 

 

 

Fino a sera

postato il 1 Nov 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Dove sono?

Quando ti svegli e intorno a te c’è solo il buio, è questo che ti chiedi. Poi ti rendi conto di essere steso, senti un suolo duro sotto la schiena e sai di non essere nel tuo letto. Allunghi una mano, vuoi capire cos’hai intorno, ma una parete di legno interrompe prematuramente il gesto. Col movimento ancora impresso nei muscoli ritrai il braccio e esiti per un secondo, poi, palmi spalancati, colpisci con forza la parete nera davanti a te, riprovi in altre direzioni, agiti i piedi e provi ad alzare le gambe, sbatti le ginocchia, ti dimeni, cerchi in ogni modo di allungarti in ogni microscopica frazione di spazio a tua disposizione. Urli.

Poi ti fermi con qualche graffio e un po’ di coscienza in più: sei rinchiuso. Arrivano lo sgomento, la paura, l’orrore. La rassegnazione no.

Non ti muovi, o se lo fai non te ne accorgi. Chiudi gli occhi. Sei solo. Lo capisci. Pensi ai tuoi amici, ti ricordi dei tuoi appuntamenti, anche i più inutili, pensi ai libri che stavi leggendo. Sei solo. Riapri gli occhi.

Luce.

Sei nel tuo letto, stai bene, vedi le lenzuola, puoi sentire il materasso sotto di te, avverti il rumore di fondo delle grandi città, le urla sporadiche dei negozianti al di là della tua finestra. È tutto al proprio posto: allunghi la mano, prendi il cellulare e guardi l’ora. Ti alzi, senti i tuoi genitori urlarsi qualcosa nell’altra stanza, cerchi di fare un riassunto e di ricordare a che punto sei della tua vita. Fai un po’ di confusione – a volte ti trovi più avanti di dove sei, ma più spesso sei un po’ indietro, giusto di qualche giorno. Ridisegni rapidamente una mappa dei tuoi luoghi, ti siedi, fai qualcosa di estremamente quotidiano senza nemmeno accorgertene. Ti colpisce quell’unico raggio di sole che riesce a infiltrarsi tra il palazzo di fronte alla tua finestra, le serrande un po’ abbassate e le tende. Chiudi gli occhi per non essere abbagliato. Li riapri per gettare un rapido sguardo al cellulare, allo schermo del computer, all’orario, ai messaggi, alle chiamate perse. Guardi il mondo girare senza di te, richiudi gli occhi e dormi.

Dove sono?

Solo.

 

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