Vamina non è brava nella corsa e perde gli autobus.

postato il 22 Lug 2011 in Main thread
da VaMina

Vamina potrebbe parlare anche di cose interessanti, riguardo alla competizione, come Aiace che diventa folle perché gli viene preferito Ulisse come erede delle armi di Achille, come il fatto che nei testi greci viene esaltato il valore di un uomo indicandolo come “vincitore di gare”, come il curioso costume dei Sanniti, tra i quali si selezionavano i dieci giovani e le dieci fanciulle migliori, e la prima andava in sposa al primo, la seconda al secondo, e così via. Tutte cose interessanti, ma Vamina parlerà di sé.
Prima cosa perché Vamina è un’inguaribile egocentrica, poi perché è incredibilmente più semplice che parlare di Aiace, anche se interessa di più perfino me. In ultima analisi sono una persona ostinata, e mi sono ostinata a fare del blog la succursale del mio psicologo, allo stesso modo in cui mi ostino a indossare i costumi di mio padre come pantaloncini per andare a mare, nonostante mi diano un aspetto poco rassicurante*. Dunque, cosa c’è da dire su Vamina e la competizione?
Io, davvero, odio la competizione. Sempre odiata. Quando ero piccola facevo nuoto e mi rifiutai di fare le gare, essendomi già chiaro allora che non poteva andarmi bene in nessun caso: se arrivo prima, sento comunque di non meritarlo più degli altri, mi sento in colpa e mi dispiace per loro; se arrivo ultima, mi dispiace per me; se conquisto un posto diciamo centrale, o sono salva dalle paranoie, oppure si uniscono tutte insieme in un miscuglio mortale e implodo.
Ai giochi da tavolo io perdevo sempre. Mia madre però aveva fatto tanto un buon lavoro nel suo lavaggio del cervello stile “vincere non è importante”, che perdevo con impressionante disinvoltura, per essere una bambina. Il problema a quel punto sorgeva nella circostanza di una mia vittoria. Quanto bisogna esaltarsi? Bisogna mostrarsi dispiaciuti o sembra che stai prendendo per il culo l’avversario? Bisogna complimentarsi con lui per la bravura? Ma se è tipo UNO**, ha senso complimentarsi? Questi e molti dilemmi mi si ponevano.
Ricordo con orrore una volta che una mia amichetta mi diede la sua catena portafortuna mentre giocavamo al Gioco dell’Oca. Io, da brava bambina scettica, l’avevo accettata con poca convinzione, forse solo per la bizzarra passione per le catene che mi ha portata ad essere, a 14 anni, un negozio di ferramenta ambulante. Bando alle ciance, vinsi. A questo punto ci fu una scena alla Shining con lei che gridava che era merito della catena e che cercava di strapparmela di dosso. Forse non posso darle torto, una mia vincita equivaleva all’allineamento dei pianeti. Era la prima volta che vincevo. O forse ricordo solo quella perché estremamente traumatica. Adesso però vinco, tipo a Risiko, abbastanza spesso. Però non ho ancora capito come si vince, quindi in genere mi lascio andare a inopportune manifestazioni di gaudio tipo trionfo di Augusto a Roma.
Passiamo oltre la parentesi sport, attività competitiva per eccellenza, dato che più che sembrare un sacco di patate o un elefante, sembro un sacco di elefanti che rotola.
Il peggio, se parliamo di competizione, è il parentame. Basta che ci sia un tuo coetaneo in famiglia, solo uno, e ogni occasione, festiva e non, si trasforma in una sorta di mostra canina. E non sulle cose positive, eh. Tutt’oggi mia zia fa a gara a chi tra me e mia cugina è più sfortunato con i professori o chi si ammazza di più all’università. Posso fare anche Storiagrecoromanaconarcheologiaapplicataeconseguaenteanalisipaleografica, mia cugina farà Storiagrecoromanaconarcheologiaapplicataeconseguaenteanalisipaleograficaunitaadastrofisicaeanalisimatematica (fa qualcosa sul giornalismo, n.b.). Io studio su cinque libri? Lei su sei. Mia madre se la prende un sacco.
In tutto ciò noi ci vogliamo bene, giuro.
Vado a trovare i professori del liceo e loro “Ma Bla Chacha era meglio di te”. Ma io vi buco le ruote.
Il mio psicologo mi propina lunghi discorsi sul fatto che questo è un problema mio, che non devo considerarmi in competizione, che devo fregarmene degli altri. Io mangio la foglia perché ci credo.
Cioè, sono convinta che lui abbia ragione, ma resta in me l’idea segreta e paranoica che c’è qualcuno in uno studio oscuro e preferibilmente dentro una caverna alla Batman, che conserva delle cartellette con i miei voti, divisi per discipline. Maledetti bastardi.

P.s. Dichiaro il post in questione fuori gara, per cui se sarò l’unica a postare, non vincerò per abbandono.

*Leggi: sembra che abbia il pacco.
**Se esce che qualcuno è BRAVO a giocare ad Uno, semplicemente gli alieni arrivano sulla terra per ballare il Limbo.

L’incombere del Tempo.

postato il 3 Feb 2011 in Main thread
da Bread

Rimuginando sull’argomento del mese ho avuto una strana sensazione, più di una strana sensazione. Ansia, inquietudine e tante altre brutte cose. A dirla tutta il tempo non mi è mai piaciuto troppo. Può essere un argomento interessante, affascinante se esaminato sotto un profilo specifico; sia esso filosofico o scientifico. Si poterbbe discutere ore, giorni, mesi, anni..secoli.. e così via.. sul concetto di Tempo e sul suo significato.E’ appunto di questo che eviterò di parlare (dato che non ho secoli da perdere).Voglio parlare, invece, della sensazione che mi dà il tempo, di come mi fa sentire, di come io mi pongo nei confronti di esso. Come vi dicevo.. non mi è mai piaciuto particolarmente pensare al tempo,mi ha sempre messo ansia pensare che gli eventi si susseguono incessantemente, e che un momento una volta trascorso, è andato per sempre. Non c’è modo di farlo tornare, se non con la memoria; ma questa non fa altro che rammentare che ciò che è passato è passato. Mi dà inquietudine pensare che il tempo scorre inesorabile. E avete voglia a contraddirmi voi tenaci sostenitori delle teorie di Alberto, perchè tanto per me questa cosa è vera.. e basta. Credo che quest’inquietudine mi venga soprattutto dal fatto che c’è una scadenza; a tutto, alle azioni, ai pensieri, alla vita. Una scadenza in data da destinarsi.. potrebbe essere tra molti anni(si spera), o tra un mese, o anche tra un’ora(Dio me ne scampi). Non è angoscia della morte la mia; certo non faccio i salti di gioia all’idea di dover morire, ma ciò che mi inquieta nel profondo è dover invecchiare, e ( ecco che si arriva al cuore della mia angoscia) vivo nel terrore di invecchiare senza aver combinato niente di buono nella mia vita. Perché rendersi conto di non aver raggiunto nessun obiettivo quando si è ormai troppo vecchi per fare alcunché, sarebbe, a mio modestissimo giudizio, la più triste delle sorti per un essere umano.

Chiedo venia se ho tediato voi lettori con uno sfogo personale così triste ed aggiungo un paio di appunti al post
1) Prima ho scritto che c’è una scadenza a tutto azioni,vita, pensieri.In realtà c’è da dire che il pensiero in molti casi è l’unica cosa che resiste nel tempo, se ve ne è testimonianza; e questa è una bellissima.
2) Quel Dio me ne scampi era solo un modo di dire.. non credo che Dio possa salvarmi dal morire tra un’ora, né che esista un dio.
3) Per chi non mi conosce personalmente: non passo le mie giornate a tormentarmi pensando all’incedere del tempo.E’ solo che quando penso al tempo penso alle cose di cui sopra. Ci tenevo a precisarlo :°°D
4) Con i(le?) tags ho esagerato di proposito perché lo trovavo divertente
5) Si, lo so che 5 sono più di “un paio”

 

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