Il commento è mio, la poesia è, credo, di un allievo che non conosco. Mi sento una persona migliore dopo averla letta.
Lungo la via Aurelia Sanremo, 30 marzo 2005
(Tra Ospedaletti e Bordighera)
Gli alberi,
sulla vetta del monte,
dialogano
con le nuvole
in un paradiso
che a me
è precluso
…
Dal momento in cui la si legge, anche solo di sfuggita, non si può dubitare dell’estrema modernità di quest’opera. Nulla della sua forma è lasciato al caso, il significante assume un ruolo centrale che permette al lettore di comprendere al meglio il significato. La mia impressione è che il componimento sia costituito di versi così brevi perché il fruitore possa, anzi debba, leggerli singolarmente, assumendo a piccoli passi il messaggio della poesia, obbligato com’è a riflettere su ogni parola e sul suo perché.
Percorriamo dunque il cammino che il poeta ha tracciato per noi.
Gli alberi. Così isolata sulla pagina bianca la parola alberi ci porta a pensare a una poesia naturalistica, ad atmosfere dionisiache, nelle quali un Bardo, un Aedo, superiore a noi per studio e per natura, mosso da somma generosità, ci accompagna paziente, iniziandoci a segreti che non potremo e non potremmo mai possedere del tutto perché noi, porci così occupati a mangiar ghiande e rotolarci nel fango, non siamo tutt’uno con la Natura, siamo distanti dalla sua divinità, possiamo assaporarne la bellezza e la perfezione solo per brevi istanti, solo se aiutati dal Genio altrui.
Subito dopo scopriamo che gli alberi si trovano “sulla vetta del monte”, e questo istilla in noi il dubbio: questo elemento non è puramente descrittivo del paesaggio, perché altrimenti non sarebbe messo in risalto fra due virgole, allora qual è il significato che dobbiamo trarre da questo messaggio? La vetta è per sua natura lontana, solitaria, difficilmente raggiungibile; il Maestro ha dunque deciso di lasciarci al limitare del bosco, lontano dalla conoscenza, perché è stanco di essere circondato da individui non degni di lui? Ci sta dicendo,disgustato dall’idiozia che gli sta intorno, di star lontani da lui, dal regno in cui solo pochi eletti possono entrare? O forse, forse, possiamo permetterci il lusso di un dubbio all’apparenza feroce e maligno, ovvero: che la vetta sia lontana dal poeta stesso? Questo cambierebbe tutto!
Ecco un passaggio davvero fondamentale. Gli alberi dialogano! Essi hanno riconosciuto qualcuno o qualcosa come loro pari, degno di ricevere insegnamenti ma anche di impartirne. Come abbiamo potuto dubitare del genio del Poeta? La vetta è tale solo per noi. Al lettore non resta che chinare la testa con espressione contrita, versando lacrime colme di vergogna e risentimento, unici sentimenti dei quali è all’altezza.
E’ con le nuvole che gli alberi dialogano, e il lettore sprofonda nell’angoscia. Cosa significa questo, egli si chiede? Perché le nuvole, della vetta ancor più lontane e irraggiungibili? Perché l’autore vuol costruire ancor più solide mura fra noi, maiali, e Lui, il Genio? Perché tanta crudeltà, schiantata fragorosamente davanti ai nostri occhi ancor rossi dal pianto? La vista della nostra miseria ti è così insopportabile, sommo, che godi nel vederci disperati? Lo meritiamo, ma ti imploriamo di usare clemenza!
In un paradiso! Questo crescendo ci è insopportabile! “Basta, smettila!” urliamo all’unisono! Non è colpa nostra questo fango, non è merito tuo quella luce! Tu, poeta, ti permetti l’arroganza di guardare il sole con le palpebre ben spalancate, stai osando la conquista dell’Empireo, mosso dall’impetuoso furore di cui ti senti pervaso non ti accontenti della vetta del monte, della tua condizione di Orfeo capace di far danzare piante e rocce, di ammansire le belve, no! Ti odiamo, perché non lo stai facendo per noi! Per te stesso ora hai abbracciato il culto di dei luminosi, e stai per toccare con mano l’assoluto!
Il “me” si impone presuntuoso sulla scena, e ci obbliga alla sua ingombrante presenza!
A te cosa?!? Vuoi narrarci del nettare e della fragrante ambrosia che Ebe versa direttamente nella tua tracotante bocca? Accomodati!
No –diciamo tutti sommessamente- non ci credo. Vedo il fango scivolare via dal mio corpo, il suo fetore si perde nell’oblio. Siamo uomini adesso!
Altri hanno ignorato il sudore della fronte e la dignità della fatica, l’umanità è stata rappresentata con tinte cupe, sozza e lercia, agli angoli del quadro, mentre Eroi, Poeti, Indovini e Saggi , in grandi piazze o sulle prue delle navi, affermavano la loro superiorità. Ma tu no, poeta, tu preferisci abbandonare la vuota maestà di troppi tuoi predecessori, vuoi urlare al mondo che gli uomini son tutti uguali.
I punti sospensivi sono il cardine dell’opera. Ci si aspettava di trovarli, dopo questa manifestazione di umiltà. Comprendiamo che non siamo umili per la nostra incapacità di raggiungere le nuvole, ma perché tentavamo l’impresa sbagliata. Capiamo quel che stai facendo ora.
Sconfitto dall’altezza della vetta e dalla distanza del cielo, comprendi la verità e il tuo sbaglio. Volti le spalle alla luce divina, e così facendo vedi il tuo prossimo. Lì è la gloria, la Gloria dell’Uomo.
Porgi la mano a chi tentava la scalata subito dietro di te, e gli riveli che il verbo non è presso dio, che il paradiso era in terra e che lì si deve ricostruire.