Autore: freeronin


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Come andrà a finire?

postato il 10 Apr 2011 in Main thread
da freeronin

Ritornare dopo tanto tempo a un gesto prima consueto dà il senso di come dalla vita non possiamo aspettarci che scorra sempre allo stesso modo.

Casa al mare in Calabria dove vai tutti gli anni: scopri che i nonni stanno per venderla, ti rassegni e ti aspetti che magari un giorno tornerai e ritroverai le sensazioni dell’infanzia. Gara sui 300m di un evento in cui corri sempre quella distanza: ti trovi a non doverla più fare, ti rassegni e ti aspetti che prima o poi tornerai a farla e correrai più o meno la stessa gara, con un tempo, si spera, più basso.

Nel momento in cui i nonni vendono la casa, nel momento in cui scopri che probabilmente per parecchio tempo non farai più quella gara, ti trovi a chiederti come saranno le tue estati senza quel mare e quelle stradine assolate, come sarà gareggiare in quella manifestazione su altre specialità… In realtà non lo chiedi, ma, nel momento in cui realizzi che quella consuetudine si è completamente persa, senti un vuoto dentro che fa proprio le veci di quella domanda a cui non sai dare una risposta.

All’improvviso ti trovi davanti al fatto che ignoto è comunque il nostro futuro; anche se normalmente ci aspettiamo che una giornata scorrerà più o meno come quella precedente, in effetti non è che una finzione, perché non sappiamo davvero come andrà a finire.

Paradossalmente, l’ignoto va a insinuarsi molto di più proprio in quella stradina secca e piena di ciottoli percorsa ogni giorno per andare a mare, nella terrazza da cui ogni sera, con il nonno, guardavi il tramonto tra gli scogli, nella distanza di cui conoscevi ogni sensazione. La vertigine è tanto più forte quando, dopo qualche tempo, scopri che affacciarti a quella terrazza non ti restituisce nulla del modo in cui vedevi quel tramonto da bambino, che gareggiare dopo anni su quella distanza non è correre la stessa gara in un tempo più basso. Anche lì c’è tanto di ignoto, tanto da scoprire.

Consuetudini, riti e abitudini ci fanno in parte dimenticare di avere a che fare quotidianamente con l’ignoto. Quando all’improvviso ci viene sottratto qualcosa che per noi era consueto e abituale, ci viene sottratta una delle poche certezze che sentivamo di avere; ed ecco che dobbiamo cominciare a visitare posti nuovi e a prendere confidenza con altre specialità, trovandoci nella situazione un po’ inquietante, ma anche appassionante, di non sapere cosa accadrà, di non sapere in anticipo come quel vuoto sarà colmato.

Non siamo in condizione di fare troppi calcoli, ma, d’altra parte, ci è anche impossibile fare a meno di pensarci al di là del qui e dell’ora. Costretti a convivere con aspettative, scaramanzie, speranze, timori, scommesse, siamo spesso costretti a fare i conti, ogni giorno e nei modi più disparati, con l’ignoto.

AAA – Cercansi genitori con fantasia

postato il 31 Mar 2011 in Main thread
da freeronin

Premetto che io spero che qualcuno, in questa vita o nell’altra, mi ricompenserà dell’onestà e dell’abnegazione che mostrerò a questo blog trattando DAVVERO l’argomento che mi è stato suggerito dai miei genitori.

Letto il post di ad.6, in data 17/3/2011 ho immediatamente chiesto l’argomento che avrei dovuto trattare… No, non parlerò della catastrofe e dell’incubo nucleare in Giappone. Ma dell’Unità d’Italia sì. Per la precisione, parlerò di come viene sentita dai giovani la tematica dell’Unità d’Italia.

Tuttavia, non essendo assolutamente capace di rendere interessante un post su quest’argomento, cercherò almeno di essere breve, limitandomi a una mia considerazione di giovane sulla grandezza della nostra Italia, che trovate di seguito.

Quale altro paese del mondo credete possa produrre un mélange tanto sublime quanto quello ideato, appunto per l’occasione del centocinquantenario dell’unità, dalla Radiotelevisione Italiana?

Distopie e newco

postato il 15 Mar 2011 in Main thread
da freeronin

L’articolo 39 della Costituzione Italiana si compone di un unico comma: L’organizzazione sindacale è libera.

Non si può dire che i Costituenti non abbiano pensato a porre un pur minimo controllo dello Stato sull’attività dei sindacati. Qualcuno parlò di vigilare sull’effettiva rappresentatività dell’associazione sindacale che firma il contratto collettivo a nome dei lavoratori, qualcuno voleva che la contrattazione collettiva tutelasse anche il lavoratore non iscritto a nessun sindacato.

Ma la pressione dei sindacati, che di controlli non volevano sentir parlare, fu insostenibile, e si dovette desistere.

Sicché sin dal 1948 il contratto collettivo tra associazioni di datori di lavoro e sindacati equivale a un contratto tra privati che, da un lato, come tutti i privati, possono autonomamente decidere dove come e quando contrattare, dall’altro, proprio per questo motivo, non possono vincolare chi non ha negoziato e firmato il contratto stesso.

Questo presupposto ha sollevato un’infinità di problemi: basti pensare che si è dovuta fare quasi una forzatura per affermare che il contratto collettivo vincoli anche solo gli iscritti alle associazioni.

Mentre dottori e giudici si arrabattano con i vuoti normativi, il brillante manager di una delle maggiori industrie italiane decide di far produrre le sue auto da un paio di compagnie, appositamente create, che non sono associate a CONFINDUSTRIA e quindi non sono vincolate dai contratti collettivi nazionali da essa stipulati.

Questo vuol dire che in quelle imprese la tutela dei diritti dei lavoratori è lasciata alla contrattazione tra un capo e relativamente pochi dipendenti, e si aggiunga che, nel caso specifico, il capo farebbe volentieri a meno dello stabilimento in questione e non aspetta altro che chiuderlo per trasferirlo dove la manodopera costa meno.

Parlando di contratti, il potere di negoziazione dei lavoratori sarebbe più o meno quello che avrebbe il negozietto di computer dietro casa mia se volesse contrattare con la Apple i prezzi dei suoi PC…

Potrebbe sembrare che io non abbia mentito, eppure vi assicuro che l’articolo 39 ha dei bellissimi commi 2, 3 e 4…

Morire per delle idee…

postato il 13 Feb 2011 in Main thread
da freeronin

[Metto le mani avanti perché mediamente ho una scarsissima sensibilità allo spoiler: non mi sento di dire che c’è uno spoiler di “Delitto e Castigo”, ma c’è un riferimento abbastanza chiaro a quella che credo essere una delle tematiche di fondo del romanzo, ma che, d’altra parte, compare all’inizio del libro]

“immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con un pugno, immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni?”

(Ivan Karamazov)

Il più delle volte non osiamo confrontarci con il fatto che la nostra vita, e quindi anche la nostra conoscenza, sia finita e circoscritta.

Non riusciamo a rassegnarci al fatto di essere destinati a perire, non tanto nel corpo, quanto nella cosiddetta anima, nella nostra individualità. Religioni, idee e valori, e la loro realizzazione nella storia umana, rappresentano per noi un modo di proiettarci in un tempo in cui non saremo più o non eravamo ancora, un surrogato dell’eternità che sentiamo esserci stata negata.

Qualcuno si sente pronto a sacrificare la propria vita  o quella degli altri, a qualcun altro non capita di uccidere o morire, ma di donare ugualmente la propria esistenza a un’idea, vivendo per essa.

Ugualmente, dal punto di vista concettuale, noi comuni mortali spesso iniziamo a parlare con una persona partendo già con l’intenzione, o addirittura con lo scopo, di convincerla della nostra idea, o, magari, più pragmaticamente, di trascinarla a una manifestazione perché faccia numero per la nostra causa. Dico ugualmente perché ugualmente in quel momento stiamo trattando l’altro, e noi stessi, come nulla più che uno strumento con cui possiamo realizzare quello che crediamo un mondo migliore.

In ognuno di questi casi, quando ci rifiutiamo di mettere in discussione in alcuna maniera la nostra idea le abbiamo offerto in sacrificio uno dei lati fondamentali del nostro essere uomini, ci siamo trovati a credere che la nostra idea valesse più dell’uomo, più della vita e della personalità umana.

Credo che se davvero in ogni momento tenessimo conto che una vita è tutto quello che abbiamo, nonché la nostra unica certezza, rifletteremmo un po’ di più prima di regalarla a un supposto valore, a un’idea creata dall’uomo che, in quanto tale, non dovrebbe poter valere più di un uomo.

Forse può valere tanti uomini, l’umanità…

[spoiler]Assumersi con piena consapevolezza la responsabilità di sacrificare anche solo una persona, ritenuta inutile o dannosa per la felicità e il benessere dell’umanità, ci farebbe vacillare, e il povero Rodion, che pure sembrava sicuro del suo ragionamento, ne sa qualcosa.[/spoiler] Noi quando anteponiamo un’idea a una persona non abbiamo nemmeno la certezza che un determinato sacrificio sia indifferente o utile al raggiungimento della felicità, della pace e dell’armonia universale.

Certo, sto portando alle estreme conseguenze un ragionamento che la maggior parte delle volte, come ho detto prima, ci porta solo ad essere spocchiosi e a non rispettare l’altro, piuttosto che ad ucciderlo davvero, ma credo anche che questo non sia del tutto privo di importanza, considerando che noi stessi e le persone che abbiamo intorno sono il riferimento etico più solido che abbiamo.

Se dio non esiste, ma è nella mente e nel cuore di chi vi crede, non possiamo solo per questo ignorare dio e vivere come se non esistesse, perché dio è costantemente presente nella nostra società, e siamo comunque quotidianamente costretti a confrontarci con questo dio. A che ci servirebbe, a quel punto, la nostra certezza matematica che dio è fisicamente e ontologicamente inesistente? A che ci servirebbe ostentare con fare irrisorio la verità che abbiamo in tasca, che dio non esiste?

Ci servirebbe solo sforzarci di trovare il modo di aprirci a questo dio e di dialogare con lui, perché, alla fine dei conti, non è in gioco una generica eternità, bensì la nostra vita e quella degli altri.

Tirannosauri al Krugel

postato il 8 Feb 2011 in Cazzi e mazzi personali
da freeronin

Freeronin: “Vobby, ma me l’hai insaporito di ribs!”

Cerbs “che schifo! È come se vi foste baciati attraverso un pezzo di carne cruda!”

[Vobby e Freeronin si avvicendavano nello spolpare l’osso di una bistecca alla fiorentina da 1.3 kg (alias i resti del fiero pasto di Cerbs)]

L’arcano segreto di Gebreselassie

postato il 17 Gen 2011 in Cazzi e mazzi personali
da freeronin

Kenioti ed etiopi sembrano detenere un dominio pressoché incontrastato nelle discipline del fondo e del mezzofondo dell’atletica leggera… ma perché?

A questo punto Vobby sta per scatenare una colta (e lunga) discussione genetico-etno-antropologica, ma prego voi tutti di non lanciarvi in vacue speculazioni prima di ascoltare la verità definitiva, proferitami qualche tempo fa da un saggio podista.

Dovete sapere che nelle tribù degli aspri altipiani africani i giovani, se volevano prendere moglie, dovevano “comprarne” una conferendo una certa dote. In particolare, essendo la mucca la loro “moneta” corrente, dovevano, appunto, fornire al padre della sposa un certo numero di vacche.

Sicché quei giovani, i quali spesso erano alquanto poveri e non disponevano di molti capi di bestiame, erano costretti ad andare a rubare qualche vacca, e non al vicino, bensì a un povero padre di famiglia residente in un villaggio distante almeno una trentina di chilometri da lì.

Naturalmente ci andavano di corsa (e come, altrimenti?) e, dopo aver compiuto il misfatto, tornavano, ovviamente, altrettanto di corsa.

Ed ecco che è stato portato alla luce l’atto di nascita dei galattici palmarès di Haile Gebreselassie e Vivian Cheruiyot.

Ricerche successive hanno portato, tra gli altri, a due importantissimi corollari.

Primo: è d’uopo che le autorità sportive comincino a programmare adeguati investimenti, in quanto i nipoti degli scippatori partenopei stanno per balzare ai vertici delle classifiche mondiali del Moto GP.

Secondo, meno noto, corollario, è che ad oggi anche i bovini della zona degli altipiani sono in grado di correre la maratona intorno ai 3’/km.

Riporto, infine, per dovere di cronaca, il commento di un perplesso ma fiducioso astante: “…ma non erano le pecore?”

N.B. Si tratta assolutamente di vita vissuta: prova ne sia il fatto che elaborare siffatta teoria sarebbe, ammetto, ben al di sopra delle mie capacità.

 

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