Egli

postato il 31 Gen 2011 in Main thread
da ad.6 e VaMina
Egli era immerso nella nebbia. Da sempre. Egli vagava come in sogno, non aveva meta e non ne cercava alcuna, perché Egli era felice. Da tutti nominato, spesso acclamato e ancor più spesso deriso, viveva molte vite e, per questo, nessuna. Facendosi strada tra la fitta coltre, percorreva, guidato dal destino (e perché non dal caso?), un sentiero indefinito, canticchiando un motivetto spensierato.


Dopo qualche tempo la strada lo condusse ad un bivio: ecco che la nebbia si fendeva in due parti, rivelando, con la sua assenza, due diverse possibilità. Ma ad Egli non importava, il fato avrebbe scelto per lui, come tante altre volte, passate e future. Egli si incamminò così per la strada di sinistra. Ma Egli, ci si perdoni l’inesattezza, provò per la prima volta incertezza e per la prima volta scelse, aprendo la propria vita al Caso, in contrasto con quanto deciso per lui, con quanto Egli era stato fino a quel momento.


Una volta scelto il sentiero, la via divenne presto più ripida e rocciosa, ma continuò ad avanzare, senza voltarsi indietro. Il percorso si faceva sempre più arduo e scosceso e più in alto arrivava, più la nebbia si diradava, lentamente. Ed ecco che nella foschia, improvvisamente, cominciò a delinearsi la figura indistinta di quello che ad Egli parve un felino. Curioso, le si avvicinò, ma rimase impietrito allorché distinse gli inconfondibili contorni di una lince. Non ebbe dubbi: si voltò indietro e corse. Ma la lince con un unico salto gli fu davanti, bloccandogli la via di fuga. A quel punto Egli, quasi irragionevolmente, seppe cosa fare e scelse ancora una volta: l’affrontò a viso aperto, saldo, guardandola negli occhi che rilucevano nel biancore. “Sono qui” disse e la nebbia, quasi governata dalle sue parole, si disfece, lasciando trasparire per la prima volta i raggi del sole. Negli occhi della lince fu il bagliore di un attimo e si avviò in alto verso la fine del sentiero.


Egli, accecato da quella luce nuova e accattivante, la seguì. Presto furono su un altopiano erboso, dal quale lo sguardo spaziava, finalmente. Lo sguardo di Egli, perso nei cieli e nei campi mai immaginati, non si accorse che la lince era scomparsa.





Era solo, per la prima volta, ed era una cosa straordinaria, non tanto perché fosse solo, ma perché era. E se ne stupì: “Chi sono?”. Egli. “Chi è Egli? È forse qualcuno, uno dei tanti, nessuno? Un nome cangiante che non si addice ad una persona sola quale io sono. Ma lo sono? Volete forse dire che non sono unico, che altri rispondono al mio nome e agiscono per conto mio, senza che io lo sappia o lo voglia?”. Sentite queste parole, il cielo iniziò a piovere di una pioggia leggera e insistente, pur essendo sgombro da nubi. E a chi avesse voluto scorgere le differenze tra il pianto dell’uomo, il pianto del mondo e il pianto degli dei che li avevano creati sarebbe stato impossibile, perché in quel momento era indistinguibile ed Egli piangeva per aver trovato se stesso, quelli per averlo perso.


Lambito dalla pioggia e smarrito tra tanti pensieri, avanzò a passo incerto sul terreno fangoso fino a quando non dovette arrestarsi davanti ad una pozzanghera d’acqua piovana. Allora, lo sguardo basso di chi è assorto nei propri tormenti, Egli intravide in quella la propria immagine e scoprì con spavento che stava guardando nient’altro che una sagoma d’argilla. Messo di fronte alla sua vera natura, Egli la comprese e parimenti comprese di non avere forma, di essere pronto ad assumerne di diverse secondo diversi stampi, di essere tanti e nessuno. Ma non più: ora Egli voleva un nome, un corpo, una forma.


Smise di piangere e la pioggia, ormai altra da lui, cominciò a detergere il suo viso, scavando nell’argilla, fino a trovare i lineamenti di un uomo. Egli, per la prima volta, sorrise e il suo sorriso si stagliò su un cielo limpido: ora finalmente sapeva chi era. Il sole, come partecipando alla sua gioia, brillò illuminando la punta di una lancia, conficcata nel terreno poco distante da Egli. Spinto da nuovo impeto, corse sulla terra bagnata ed afferrata la lancia ambo le mani Egli la divelse.





Voi! Assisi sui beati seggi, voi che dagli scranni eburnei tirate le fila delle mie sorti, novelle Moire, qualunque sia il filo del mio destino da voi ordito io lo recido”. Disse brandendo la lancia nel candido limbo nel quale adesso si trovava, conseguenza delle sue parole e delle sue azioni più che del nostro volere. E rivolgendosi nuovamente a noi Egli esclamò: “D’ora innante rigetto la molteplicità e l’ignavia che mi avete imposto nei tempi che furono, forti del vostro potere immane e della immane alterigia vostra. ” Di quale potere parli, Egli? Noi ti creammo vincolato ai nostri desideri e al tuo mondo, costretto tra i legami della felicità. Sei veramente sicuro di volerla abbandonare? Noi che forgiammo la tua terra da un pensiero e te da mera idea, noi apparteniamo al mondo cui tu vorresti appartenere. È libero, caotico e reale, privo d’un destino certo e certo solo nella morte. “ Benché le vostre parole altitonanti si riversino su di me come divine strali che con il loro bagliore nefasto lacerano la nera coltre della notte, esse sbiadiscono dinanzi alla mia determinazione. Assieme a ciò che dite, anche ciò che siete scompare. Io la luce, voi null’altro che ombre. E io, dall’ombra alla luce, vi dico che Egli è morto, mettendo al mondo me, Ilge .”





Svenni. Mi svegliai in un campo desolato, disteso nella neve, lo sguardo rivolto al cielo plumbeo. Il vento mi sferzava la pelle nuda e per la prima volta conoscevo il freddo che con il violento impeto della vita mi dava alla luce. Il mio corpo era indolenzito e il mio stomaco vuoto. Dopo che con grande sforzo mi fui alzato, tentai con tutte le mie forze di scorgere una figura all’orizzonte, sempre che di orizzonte si possa parlare, immerso com’ero nel turbine ghiacciato.


Spinto dalla fame e dalla disperazione cominciai a farmi strada nella tormenta, arrancando nella neve cedevole, senza una direzione precisa, cercando cose e persone che non avevo mai visto. Avanzando nella bianca distesa, ogni passo mi portava avanti e nel mio travagliato cammino e in nuove incertezze. Avevo fatto bene a scegliere il sentiero che mi ha condotto alla rivolta? Avevo fatto bene a impugnare la lancia della ribellione? Preso da quelle dei miei pensieri non mi accorsi delle asperità del percorso e caddi. In preda allo sconforto mi voltai indietro e vidi come il mio inesorabile incedere avesse creato un solco nella neve, benché doloroso e lento.


I miei passi avevano scoperto la terra a lungo rimasta celata, dalla quale spuntavano, timidi, dei piccoli fiori. Curioso, mi avvicinai loro, ricalcando le mie orme con i piedi ormai divenuti insensibili, e mi chinai sul terreno per osservarli. Erano scossi dal vento, colpiti dalla furia del cielo, esposti alle intemperie perché ormai spogliati del manto innevato che li proteggeva. Eppure resistevano, senza mostrare cedimenti, anzi quasi a proprio agio, dinanzi a una potenza tanto più grande di loro. E in un attimo, il bianco dei loro petali, così simile eppure così diverso dal violento bianco della neve in tempesta, mi si impresse nella mente con la chiarezza di un baleno. Quel bianco era la speranza, come i fiori che lo indossavano. I miei dubbi furono fugati da quella e compresi finalmente che desideravo di vivere davvero.


Gradualmente la bufera cominciò a placarsi e sottili raggi di sole filtravano tra le nubi. Guardai ancora i fiori e la striscia di terra che li accoglieva in grembo sembrò più nitida di quanto era parsa.





Dopo poco tempo il cielo si schiarì del tutto e l’aria, ormai sgombra dal nevischio, si fece tiepida e tersa. Finalmente vidi l’orizzonte e all’orizzonte vidi un paesello circondato da orti e campi, verso il quale mi diressi incespicando sulla neve soffice, sperando in un aiuto. Dopo che fui a lungo avanzato a passi doloranti, giunto ormai in prossimità del paese, mi mancarono le forze e caddi stremato al suolo. Troppo debole per parlare, sentii avvicinarsi dei passi, venni coperto e sollevato da braccia forti, che mi portarono al caldo, su di un morbido giaciglio. Mi offrirono del vino e del cibo per restituirmi le forze e l’ultima cosa che mi chiesero prima che piombassi in un sonno profondo fu il mio nome. “Fui nessuno, ora sono Ilge.” Il mio sonno fu sereno e sognai un uomo felice, solo in un nebbioso universo.


Aprii gli occhi e fui abbagliato dalla luce del sole che entrava dalla finestra. “Ti sei svegliato!” disse l’uomo che mi sedeva accanto. “È incredibile che tu sia vivo.” Mi fissava benevolo e senza farmi domande mi porse dei vestiti. “Dove mi trovo?” “In Provenza. E tu da dove vieni? Qual è la tua meta?” “Molta strada ho dovuto percorrere per arrivare fin qui, eppure solo qui comincerà il mio viaggio. Ora che sono pronto e determinato, che vedo in me un uomo quale tu sei, ora mi appresto a ringraziarti e a non arrecarti ulteriore disturbo. Non è più tempo che io dorma.”


Mi portai all’uscio e spalancai la porta: fuori il sole splendeva indifferente ma glorioso sul viavai di persone indaffarate, sulle strade polverose e sui tetti delle case. Sorrisi, raccogliendo la gloria del sole, e seppi cosa fare. Vivrò. Girerò il mondo, incontrerò genti diverse in luoghi diversi, vedrò le piramidi d’Egitto e sedrò sul trono dei faraoni, camminerò lungo la Grande Muraglia in Cina e mi schiererò a fianco dei guerrieri di terracotta, osserverò la Grecia che fu dalle colonne del Partenone e correrò da Maratona come Fidippide. Ed inizierò dalla Francia, questa Francia di cui mi accingo a calcare il suolo, che è la mia libertà, terra di rivoluzioni e di menti eccelse.
LolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLolLol

Sigaretta

postato il 28 Gen 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Le gioie di un non fumatore che ha una gran voglia di tirare fuori il pacchetto di sigarette che non ha; e accendersene una.

Attac

postato il 26 Gen 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

http://www.italia.attac.org/spip/spip.php?article1

Come avete letto, attac è un’organizzazione che si batte contro il neoliberismo e la globalizzazione. L’ho conosciuta leggendo di un ex partigiano francese che in un libretto da poco pubblicato (indignez vous!) suggeriva, fra le altre cose, di avvicinarsi ad organizzazioni di questo tipo per difendere le conquiste sociali e democratiche del dopoguerra dalle supposte esigenze dell’economia contemporanea neoliberal. Poche pagine più in là c’era anche la risposta datagli da un filosofo (più che altro giornalista, immagino) il quale, oltre a contestare l’utilità dell’indignazione, che è un po’ il centro del libro, sosteneva che alcuni esempi addotti dal partigiano come segni detestabili dell’età odierna, come la riforma delle pensioni in francia o l’aumento dei prezzi del pane in africa del nord, altro non sono se non necessarie conseguenze delle leggi del mercato globalizzato. “Voi no global” scrive alla fine dell’articolo ” avete scelto la strada sbagliata per sostenere il benessere mondiale e collettivo”, o qualcosa del genere. Trovate tutto sull’ultimo numero dell’Internazionale, comunque.

Che ne pensate voi di neoliberismo, globalizzazione, no global? Io mi son fatto un’opinione abbastanza precisa al riguardo, mi piacerebbe integrarla con le vostre (parlo anche ai lettori esterni al blog! commentate!).

Sergej Cetkovic

postato il 24 Gen 2011 in Senza categoria
da Bread

L’altro giorno vagando su Youtube mi sono imbattuto in questo video, scoprendo così questo grandioso artista che è Sregej Cetkovic. Un uomo dalle abilità canore insuperabili, un’espressività, una tecnica, una capacità di trasmettere emozioni degna di uno scarafaggio coreano adulto. Alcuni critici lo hanno definito “Il Gigi d’Alessio russo”, altri come “Una cosa insostenibile”, altri ancora come “Che è sta merda!?”. Dunque oggi vi proponiamo un brano che ha scalato le classifiche dello squallore internazionale: “Ako te nije pronasla”, che, come saprete, vuol dire ” Ti scopo nella pronasla”. La pronasla è una tipica casa chiusa russa.

Sergej Cetkovic – Ako te nije pronasla ljubav

Il complotto dell’orribile John Horner

postato il 21 Gen 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

“Attualmente fra i paleontologi, l’americano John Horner è uno dei più attivi nel sostenere l’ipotesi di un tirannosauro non solo fondamentalmente saprofago, ma addirittura esclusivamente spazzino, analizzando soprattutto la struttura ossea delle gambe, le cavità craniche e la resistenza dei denti. Il dibattito è quindi ancora molto vivo.”

Questo è in parte falso, perchè Horner non è un paleontologo, bensì uno sfigato. Tuttavia la sua mente malata ha costruito un articolato piano atto a minacciare la felicità del genere umano tutto. Sto indagando per cercare di scoprire in che modo wikipedia sia coinvolta in questa sordida vicenda. Vi riporterò intanto i dati in mio possesso.

John Horner nacque in una TRISTISSIMA e minuscola cittadina del Midwest americano, figlio non voluto di due contadinotti ignoranti che praticavano sesso non protetto non tanto per compiacere dio quanto per allergia al lattice.
Brutto già da bambino, storpio e strabico, con le orecchie a sventola e la forfora, trascorse un’infanzia TRISTISSIMA nella fattoria dei genitori, trascorrendo gran parte del suo tempo facendosi beccare dai polli, cagare addosso dalle mucche e inseguire dai maiali.
All’età di 13 anni (i genitori non sapevano contare dal 7 in poi quindi non ricordavano bene quanti anni avesse il figlio) cominciò a frequentare le scuole medie in una cittadina vicina, appena un pochino meno triste. Qui ebbe il suo primo impatto con altri essere umani al di fuori dei suoi familiari e del pastore del paese, e in particolare conobbe il genere femminile (la madre aveva dei folti baffi neri e si chiamava Mario, ndV). Dato il suo aspetto rivoltate, i modi goffi, la stupidità immensa e l’odore di sterco, le ragazze lo rifiutavano e i bambini lo perculavano. Era così odiato che i ragazzi della sua classe gli infliggevano anche scherzi piuttosto pesanti: un giorno, durante la lezione di biologia, sostituirono la rana morta che doveva vivisezionare con vivissimo serpente a sonagli. John, che era cretino, non si accorse della differenza e appena provò a infilzare il corpo del crotalo con il coltellino venne morsicato ripetutamente, fra l’ilarità generale dei compagni e del professore.
Purtroppo sopravvisse.
Impaurito dalla possibilità di altri contatti umani, preferì proseguire gli studi da solo nella fattoria di famiglia. Essendo scemo, non imparò assolutamente nulla.
I genitori, costernati dalla creatura che avevano prodotto, pensarono fosse il caso di dare un senso alla sua esistenza. Dal momento che il figlio sembrava non avere proprio nessuna qualità, stavano giusto per sopprimerlo, incitati a gran voce da tutto il paese, quando il vecchio bue di famiglia si ammalò e morì. Perciò decisero che il figlio, prima di essere abbandonato nel deserto, avrebbe potuto rendersi utile trainando l’aratro. Nei due anni che seguirono, John tirò l’aratro, continuamente frustato dal padre, infuriato per la sua debolezza. Gli vennero 3 ernie.
Decise allora che era il caso di cambiare vita. Fuggì dalla fattoria e si rifugiò in un call center in un villagio a pochi chilometri di distanza, dove lavorò come lettiera del gatto del direttore. Una volta lì, volle dare una svolta alla sua vita sociale, e provò a iscriversi a facebook. Ma i centralinisti, che già lo odiavano, gli giocarono un brutto tiro:gli propinarono un contratto farlocco, con il quale egli si impegnava a combattere un match di wrestling con uno scimpanzè nano con la rabbia, armato di cavatappi.
John sopravvisse ancora una volta, ma perse un occhio, e non solo: scendendo dal ring, inciampò e si fratturò un’anca. In preda alla più totale disperazione, semi impazzito, corse e corse, caracollando, e fuggì da tutti e da se stesso e arrivò fino al mare. Si sdraiò sulla riva, sperando che l’acqua potesse portar via le sue sofferenze. Si addormentò. Al risveglio si trovò una balena spiaggiata sulle palle.
Aveva ormai sviluppato un odio particolare nei confronti degli animali.
Nella città dove si trovava in quel momento arrivò il circo. Quella particolare compagnia circense era divenuta eccezionalmente famosa per il bellissimo numero di Jumbo, l’elefante addestrato più simpatico e giocoso mai visto prima. Ebbeno, John decise che avrebbe ucciso quella bestia, subito prima della sua entrata in scena! Avrebbe rovinato la giornata a tutti quegli spettatori, la cui felicità gli riusciva insopportabile! Dunque, armato, si intrufolò fra le gabbie degli animali. Lo trovano un quarto d’ora dopo, masticato e poi sputato, per l’orribile sapore, nella gabbia dei leoni.
“Non era possibile -realizzò- che io riuscissi a fare del male a un elefante: sono troppo insulso!”.
Ma non si diede per vinto!
Rimuginò a lungo su come ottenere la sua vendetta sull’uomo e l’animale, che tanto fino ad allora lo avevano bistrattato.
La sua folle mente partorì il malvagio proposito: “Ci sono! so come fare! – urlava raggiante – riuscirò a rendere triste e vuota la vita delle persone, e lo farò umiliando il più amato animale di sempre: il Tirannosaurus Rex!”.
Ebbe la pessima idea di pronunciare questa frase ad alta voce; il suo corpo, così schifoso, rischiò di non reggere la magnificenza compresa nelle ultime due parole, e John quasi morì d’infarto.
Ma, purtroppo, sopravvisse ancora.
Ed è vivo ancora oggi! Ha dedicato la sua vita al più riprorevole degli scopi, sta cercando di danneggiare l’immagine del Tirannosauro, convincendo tutti che la magnifica belva non assaliva e squartava prede vive, preferendo invece nutrirsi di carogne!
Questo è EVIDENTEMENTE sbagliato! Solo una mente così intrinsecamente sofferente e patetica poteva partorire un simile errore! Non si hanno zanne di trenta centimetri per nutrirsi di cadaveri, per dio! Gli studiosi di tutto il mondo, che hanno a cuore la felicità della gente e la miticità della preistoria, stanno dedicando i loro sforzi alla confutazione di queste immorali teorie.
Guardatevi dall’individuo abietto che è John Horner! Non lasciatevi contagiare dalla sua tristezza!
L’idea di un T-Rex spazzino sarebbe davvero scandalosa.

Berlusconi.

postato il 20 Gen 2011 in Senza categoria
da Vobby

Ecco lo squallore di Stato, mi pareva giusto pubblicarlo qui.

Otototoi

postato il 19 Gen 2011 in Cazzi e mazzi personali
da VaMina

Questo sarà un post molto breve. Vi parlerò di una cosa che mi ha colpita/sconvolta/divertita (?) traducendo Eschilo. Ho annunciato la brevità di questo post perché ora non voglio dilungarmi su un argomento che può portare con sé tante parole, come Eschilo, e anche perché non ne ho nemmeno il tempo.

Ordunque , traducevo Eschilo, e per la precisione I Persiani, e mi sono imbattuta in MOLTE (e se dico molte intendo molte, altrimenti avrei usato poche, occasionali, e così via), molte espressioni di lamento e sconforto e  tristezza e dolore. Come il mio professore ha fatto notare, non c’è dubbio che negli ascoltatori provocassero grande impressione, ma noi siamo poveri studenti, e quando lui ha detto questa cosa, al decimo “ototototoi”, abbiamo pensato che in realtà nessuno avrebbe pianto sentendo “ototototoi”. Oltre che con “ototototoi”, il mio preferito, secondo nella classifica onomatopeica dopo il verso delle Erinni nelle Eumenidi (che se non mi sbaglio era “mumumumumu”), la sofferenza dei poveri Persiani era resa evidente da molti “aiai” e una cinquantina di parole diverse che significano tutte disgraziato, sventurato, infelice, e soprattutto da una cosa che ora vi illustrerò.  Infatti in tre versi vi era una concentrazione di ben tre parole che significavano tutte “grido”. So che vi interessano molto, quindi eccole: “boan”, “ian”, “iakhan”. No, non seguono riflessioni sulla natura di queste parole o sul dolore dei Persiani, ma ho detto tutto questo solo per dire che io amo queste cose, le studio, le rispetto, mi piace anche Eschilo, ma sapere che dovrò passare un altro paio di giorni a tradurre vari sinonimi di sventura, pianto e grido, inoltre non abbastanza in fretta, mi fa venire voglia di usarli, magari non tutti, ma alcuni, posizionati in momenti strategici di disperazione.

v 256 : “Cose dolorose, cose dolorose, mali inauditi e nemici”

v 909 : “Aimé, me sventurato, che mi sono imbattuto in questo destino odioso, impossibile da prevedere”

vv 935 e seguenti : ” Manderò manderò come saluto del ritorno a te il grido di cattivo augurio, l’urlo di cattivo destino, il grido dalle molte lacrime dell’intonatore Mariandino” (Pare che fossero bravi a lamentarsi)

vv 947 : “Piangerò il lamento lacrimosissimo del lamentatore” (Questo verso è meraviglioso)

Sorpresa!

postato il 18 Gen 2011 in Main thread
da cupnudeln

C’è una sorpresa, però è segreta! chi sarà il primo a scoprire la nostra nascosta novità?

Indizio: non è il nuovo tema.

A proposito, vi piace il nuovo tema? finora ho sentito opinioni contrastanti, quindi sentitevi liberi (tutti! davvero!, soprattutto voi, lettori silenziosi!) di dirci cosa ne pensate.

MA! (e non mi ero assolutamente dimenticato di annunciare una cosa DI TALE RILEVANZA) Avrete notato la presenza di un nuovo autore, che ci ha anche già concesso l’onore di ben un post e mezzo! Sì, sto parlando di freeronin, l’inimitabile e velocissima, che coi suoi polpacci d’acciaio e il suo giurismo non teme rivali! perfino il suo più acerrimo nemico, Cerbs, ne ha grande rispetto e cauto timore!

Ah, ci scusiamo anche per aver reinserito il CAPTCHA, ma purtroppo lo spam ci stava uccidendo :(

Detto ciò, buon proseguimento!

Branduardi – Il giocatore di biliardo

postato il 17 Gen 2011 in Senza categoria
da Azazello

È una canzone che ha avuto un grande impatto sulla mia vita da quando la conosco¹, possiamo quasi dire che mi abbia formato.

Soltanto l’erba sull’altopiano
è verde un po’ di più
ma non c’è da pensarci su
non c’è da stenderci su la mano
cercando di capire
qual’è il punto dove colpire
tic-tac tic-tac
per ogni geometria
tic-tac tic-tac
ci vuole fantasia
C’e una luce che luna non è
in un buio che notte non è
e una voce che voce non è
che non parla ma parla di me

D’improvviso mi brucia la mano
l’aria verde del panno sul piano
tic-tac
ed il gioca si porta via
rotolando la vita mia

Ecco perchè si trattiene il fiato
finchè si resta giù
e per sempre vuol dire mai più
tic-tac tic-tac
per ogni geometria
tic-tac tic-tac
ci vuole fantasia

C’e una luce che luna non è
in un buio che notte non è
e una voce che voce non è
che non parla ma parla di me

e di colpo mi sfiora la mano
l’erba verde di questo altopiano
tic-tac
ed il gioco si porta via
rotolando la vita mia

¹ più o meno da due giorni

Rogo e cosmogonia!

postato il 17 Gen 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

A ottobre ad Atene si festeggiava la festa delle Apaturie, che decretava l’ingresso dei giovani nelle Fratrie. La città si riuniva in questo collettivo rito di rigenerazione, accogliendo in sé giovani corpi e nuove intelligenze. Il mito eziologico della festa raccontava di una scaramuccia (di cui non esistono tracce da documenti storici e archeologici) avvenuta al confine con la Beozia. Tradizionalmente erano gli efebi, gli uomini più giovani, a presidiare i confini, e fu proprio uno di loro, Melanthos, a vincere gli assalitori guidati da Xantos. Nella battaglia, ricevette aiuti e suggerimenti da tale Dioniso Melainaghis,il dio caprone dal manto nero.
Neanche due settimane prima Atene era in lutto per la morte dell’uva, il dio dell’anno ormai non ha più la forza per mantenere rigogliosi i boschi dopo la calura estiva, la natura si chiude in sé stessa e attende le nevi, il caprone invernale balla sul corpo del biondo sole, trionfante.

Dicembre finisce e nasce il fanciullo divino! Trascorrono i giorni e il sole riprende il suo posto in cielo, squarciando le nubi coi suoi raggi! Dall’Attica al Lazio il mondo è alla rovescia, i padroni servono gli schiavi nei Saturnali, e mesciono loro il vino appena stillato! Sono le antiche Dionisie, le feste delle botti!

Il vino, nato dalla morte, urla che la fine non è così amara. Il Cosmo è sconvolto, il tempo perde ogni significato, possono uscire i morti dalle loro tombe. E’ Caos primordiale! Ci si chiude in casa, si ricoprono le porte di pece nera, si raccoglie il biancospino.

Le forze del caos vanno sconfitte, i morti placati. Si offrono loro corpi provvisori, e cortei di maschere sfilano per la via principale. I cittadini trainano il carro del sole, restauratore della luce. Il carnevale impazza! Mamurio Veturio, vestito con pelli di capra, corre per le strade inseguito e fustigato! I contadini bruciano e annegano il fantoccio del passato.

Piaciuto il racconto? E’ solo una piccola parte, lui lo racconta meglio:

 

Fatal error: Class 'AV\Telemetry\Error_Handler' not found in /membri/.dummy/apps/wordpress/wp-content/plugins/altervista/early.php on line 188