Una forza insolita

postato il 8 Feb 2012 in Main thread
da Azazello

La forza di decidere, tanto per cominciare. Con cui intendiamo, naturalmente, non solo la capacità di costringere se stessi a scegliere tra diverse possibilità, quanto la forza materiale di supportare questa scelta e quella psicologica di rivendicarla con orgoglio – perché una scelta che non possiamo giustificare innanzi tutto a noi stessi sarà sempre una scelta sbagliata, indipendentemente dalle alternative tra cui l’abbiamo selezionata.

Poi la forza di accettare. Accettare la realtà per come è, senza lasciarci influenzare dalla sbiadita immagine di un sé ideale, ma soprattutto liberi dalla paura di non poter dimostrare a noi o agli altri la realtà di cui abbiamo preso atto. Un’accettazione attiva, che non sia mossa dalla disperazione per l’insuperabilità di un’inadeguatezza, ma dalla propulsione a edificare su una solida base di oggettività e consapevolezza un futuro che sia vivibile con serenità, un futuro accogliente.

Quindi, la forza di ammettere. Non un’ammissione sociale, ma formativa, che corrisponda al superamento della barriera opposta da pigrizia e modestia all’accettazione di noi stessi. Un’ammissione universale, ma anche specifica in ogni suo aspetto, che sia proiezione nel mondo della coscienza di sé e solo incidentalmente pubblicità per un pubblico poco introspettivo.

A questo punto, la forza di agire. Il vero e proprio superamento dell’inerzia, distruzione della cappa di stasi che si mostra tanto più placida e rassicurante quanto più deve nascondere i nodi con cui lega ogni cosa in una fermezza assoluta. Capacità, quindi, di superare l’illusione di stabilità continuamente presentata dallo status quo; di discriminare il futuro, ignoto perché ancora privo di definizione e limiti, dal prossimo presente, ignoto per ignoranza o per il rifiuto di accettarlo, e di scegliere il primo con forza, apprezzandone l’incertezza con il proposito di direzionarne lo svolgimento qualora necessario, senza il vincolo della pigrizia e dell’insicurezza.

Infine, la forza di essere. Perché non è facile costruire un futuro che sia soddisfacente o un sé che sia comodo, ma più che mai è difficile essere ciò che si è, al di là del tempo e dell’umanità. E senza essere, come si fa a diventare?

Ritorno.

postato il 30 Lug 2010 in Cazzi e mazzi personali
da Lellida

Ecco, sto scrivendo da una postazione un po’ inconsueta… sono in una casa nella quale non entravo da circa tre anni. Una casa di sempre, di vacanze, dove sono cresciuta passando le mie estati con i nonni al mare mentre mia madre lavorava e tornava la sera del venerdì. Per cause non piacevoli, ovviamente, esterne, motivi di astio intrafamiliare dovuto a sconosciute donne che vogliono impossessarsi dell’equilibrio (già precario) di una famiglia.* Dicevo, da quando il mio nucleo familiare ha costruito una casetta ad Alfedena, ad Ischia non siamo più venuti. Ho provato una strana sensazione nel rientrare e sapere che quella non era più anche la mia casa. Quando abbiamo fatto il trasloco delle cose che solitamente venivano lasciate, già sapevo che non sarei più tornata, che quella non era mai stata “casa” mia, e nonostante ogni anno vi ritornassi da un lato con piacere e curiosità di ritrovare le cose lasciate l’estate precedente, cose che odorano di chiuso, di abitudine, di riciclo, e dall’altro con noia, poichè sapevo che alla spiaggia dove andavamo sempre, dove ormai la mia nonna aveva gli amici con i quali fare partite a carte non avrei trovato divertimento. Ma ogni estate mi inventavo qualcosa di nuovo da fare e la passavo così come sempre avevo fatto. Ora ho provato una sensazione diversa; non era come quando abbiamo “traslocato”, in quel momento stai abbandonando un luogo di sempre, stai togliendo i tuoi ricordi materiali e mettondoli da un’altra parte. Era strano, non c’era più la scrivania nella mia stanzetta, il mobile con lo specchio nella stanza da letto di mia mamma… alcuni dettagli erano modificati. Appena entrata nella stanza per posare la valigia e la borsa ho provato un senso di vuoto, mancava una pezzo grosso da lì dentro… (era una semplice tavola di compensato poggiata su dei piedi di ferro pieghevoli, ma era molto grande). Una cosa insignificante di nessun valore, almeno monetario, non c’era.

E’ strano vedere il declino. Le cose non spariscono semplicemente dalla tua vita, se ne vanno piano piano, un pezzetto alla volta, pensando che tu non te ne accorga. Ma se ti fermi un istante ti rendi conto di quanto sia strano ritornare in un luogo che è in pratica abbandonato dai tempi di felicità, di infanzia, non avendone più alcun legame. Sentirsi estranei in un luogo che da quando si è nati si è sempre sentito proprio.

*mi riferisco ad una donna in particolare che però fa’ talmente ribrezzo dal punto di vista umano che non merita nemmeno di essere menzionata…

 

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