L’armatura e l’orecchino, l’aedo e il politico

postato il 4 Gen 2011 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

L’Iliade, l’Odissea e il racconto epico in generale sono densi di errori e stranezze: la spiegazione del perchè la tomba di un eroe chiamato Ettore si trovi a Tebe e non sulla costa anatolica non è convincente, Omero non aveva idea di come fossero usati in battaglia i carri da guerra, ci sono curiose analogie fra il mito di Odisseo e quello di Giasone, a Itaca non è mai stata trovata traccia alcuna di importanti insediamenti umani nè tantomeno di palazzi reali, si raccontano eventi che secondo secondo gli stessi greci avvennero fra il 1300 e il 1200 a.C., ma viene descritta una civiltà che non ha niente a che fare con quelle Micenea all’epoca presente nell’Egeo, e si potrebbe continuare a lungo. Tuttavia il ciclo Troiano, più che un insieme riordinato di miti e leggende preesistenti, più che il ricordo confuso di una o più guerre avvenute fra diverse città e diversi regni egei, è innanzitutto il mito fondativo di un popolo, è il testo che racchiude lo spirito e il genio di quest’ultimo, è “enciclopedia tribale”, nel senso che contiene i precetti morali, i valori e principi ai quali ogni uomo, nell’ottica del tempo, dovrebbe adeguarsi, da quale sia il giusto codice di comportamento da osservare in battaglia a quale sia il rituale corretto per celebrare funerali.

Questa narrazione (che la maggior parte dei greci riteneva veritiera, almeno nella sostanza) è, come la maggior parte delle opere di letteratura del passato, lo specchio idealizzato nella quale si vedeva riflessa la classe dirigente; l’Iliade, in particolare, vuole essere “un deliberato guardare indietro a una perduta età eroica” dal cui ricordo i moderni avrebbero dovuto trarre insegnamento, dalla quale però “aspetti del mondo contemporaneo venivano esclusi come argomento di poesia”: si tratta di Demetra e Dioniso.
E’ importante a questo proposito riflettere sul significato stesso del termine “narrazione”: l’atto di narrare è innanzitutto quello di discernere fra gli argomenti rilevanti e non, scegliere fra tutti i temi efficaci a trasmettere un messaggio. Nel passato esistevano certamente Dioniso e Demetra, certamente li conosceva l’autore dei poemi, ma al fine di narrare proprio quel passato eroico non è fondamentale nominare quelle due divinità,se non di sfuggita, ed è anzi perfettamente lecito escluderle dall’Olimpo.
Esistono due differenti ordini di motivi per i quali Omero non parla di quei due dei. Il primo è il più immediato, ma proprio per questo forse banale e non del tutto corretto: il poeta avrebbe preferito dare rilevanza a certe divinità, come Zeus, Apollo e Atena, perchè esse sono più funzionali di altre a giustificare un certo ordine gerarchico della società. Più acuta è quest’altra osservazione: l’epos sorvola su Demetra e Dioniso non perchè si tratta di divinità nuove o rustiche, ma perchè esse fondano in modo specifico la prassi della vita politica, in quanto la prima è il centro del ritualismo femminile cittadino, in particolare attraverso la religione dei misteri, e in quanto il secondo sperimenta un diverso rapporto con il divino attraverso il pathos della rappresentazione teatrale, che fu sempre considerata un importante momento pedagogico. Dare troppo spazio a queste due “potenze” sarebbe stato incoerente con quel “deliberato guardare indietro” di cui sopra.
Per “narrazione” dunque non si deve intendere fedele narrazione di fatti passati o presenti, bensì racconto poetico, metaforico, irreale, ma soprattutto precettistico, istruttivo. Si tratta di considerare solo alcuni elementi di una realtà in cui ve ne sono molteplici e presentarli come coerentemente organizzati e indipendenti da quelli esclusi, in modo tale che il fruitore possa riconoscersi come sostenitore e partecipe della realtà rappresentata, così che il suo agire uniformi la realtà davvero presente a quella del racconto.

E ora…

Nichi Vendola, durante i suoi numerosi e appassionati comizi fa un largo uso dei termini “narrazione” e “racconto”. A causa di questo suo linguaggio ispirato, aulico e metaforico è stato criticato da alcune personalità politiche che invece fanno vanto della loro concretezza e praticità, come ad esempio Massimo d’Alema, il quale grazie alla sua chiara e precisa visione della realtà politica e sociale è riuscito a perdere brillantemente tutte le competizioni elettorali con il leader di Sel.
“Costruire il racconto di un’Italia diversa” è molto di più di uno slogan politico, e corrisponde abbastanza precisamente alla frase “dare voce all’Italia migliore”, che è il presupposto per creare effettivamente un paese più civile, onesto, vivibile. Queste due frasi, che ad alcuni sono sembrate messaggi demagogici privi di spessore e vuoti di significato, a me sembrano sembrano osservazioni piuttosto riuscite: oggi parlare di uomini vecchi e laidi che vanno a puttane, ascoltare notizie di case e ville non pagate, di trasferimenti di patrimoni in paradisi fiscali, di trattative fra mafiosi sulla gestione dei gasdotti, significa parlare di politica. Chiunque denunci questo stato di cose, ogni giornalista o semplice osservatore che esprima il suo disgusto per il degrado della situazione politica diviene irrimediabilmente oggetto di insulti e critiche personali, che vogliono dimostrare che chi critica lo fa per interesse proprio e non pubblico, che anche lui è un furbo, che sono tutti uguali, tutto questo secondo il meccanismo della “macchina del fango” che altri hanno spiegato meglio d come potrei fare io.
Il punto è che NON E’ VERO che sono tutti furbi ricattatori, disonesti collusi, sporchi corruttori, egoisti, anzi, non “sono”, non è vero che lo SIAMO. Questo _racconto_ non corrisponde alla _realtà_ ,solo che a sentirlo ripetere tanto spesso e sempre uguale, si rischia di convincersi che invece è proprio così, e si finisce per agire di conseguenza, sentendosi fessi a pagare le tasse o ingenui a credere in principi solidaristici. Quelle due frasi hanno portata rivoluzionaria: se restiamo fedeli a noi stessi, a nostri desideri di giustizia e bellezza, in ogni nostro gesto, senza cedere alla tentazione di uniformarci e ciò che non è realtà, ma che rischia di diventarlo, avremo la possibilità di essere noi la normalità, e verranno tempi migliori.

La maschera di Achille

postato il 14 Nov 2010 in Main thread
da Vobby

L’ultima volta che dissi che Achille è un personaggio stratificato mi si rispose : “ma hai letto orgoglio e pregiudizio??”.
Accetto l’obiezione, ma continuo a pensare che l’Achille che viene di solito insegnato sia un tantino più banale di quello che è in realtà.

Mi spiego: Achille cerca la gloria, è furia pura, non sa resistere al desiderio di impugnare un’arma, è il più valoroso degli eroi, ha un punto debole abbastanza del cazzo (ma questa è una caratteristica tipica degli eroi calendariali. Ci sarebbe tanto da dire sul dionisiaco piede di toro, su Lew Law Gyffes, sui calzari di Hermes.. magari un giorno ci posterò su), eccetera eccetera.
Ma questo Achille non nasce all’inizio dell’Iliade, per quanto abbia molto in comune con l’Achille raccontato nel resto del ciclo troiano, il che dimostra come la maggior parte della mitologia riguardante l’eroe in questione sia successiva alla stesura e alla diffusione del poema epico ( nascevano miti su Achille e altri eroi ancora in età romana imperiale).

La versione che noi conosciamo di come nacque il punto debole di Achille, il suo tallone, ci arriva da Stazio. E’ lui che ci informa che Achille venne immerso nel fiume Stige dalla madre, ma non possediamo fonti greche che ci riferiscano di questo aneddoto.
Infatti diversa è la versione delle argonautiche: secondo Apollonio Rodio Teti, di giorno, ungeva il figlio nell’ambrosia, mentre di notte lo passava sul fuoco, bruciandone le parti mortali. Una notte Peleo, che aveva capito in che modo erano morti i suoi precedenti sei figli, fermò la moglie quando il rito era appena iniziato, e lei fuggì, confondendosi nelle acque per non fare più ritorno. Per questo motivo solo il tallone del piccolo era rimasto ustionato, ma il padre riuscì a curarlo con l’aiuto del centauro Chirone, che trapiantò nel piede di Achille l’astragalo (osso del tallone) del gigante Damiso (era Damisio?), che era molto valente nella corsa. Anche il nome di Achille è spiegato con questo mito, dal momento che Achille significa “senza labbra”. Il nome si riferisce al fatto che il Pelide crebbe senza venire mai allattato. Fra l’altro, Omero non fa mai riferimento all’invulnerabilità di Achille, tanto che, nei pressi dello Scamandro, egli viene anche ferito dall’eroe Asteropeo, che scagliando due lance contemporaneamente riesce a ferirlo al gomito.

Achille è il nome di un personaggio mitologico composto da miti diversi, un po’ come Odisseo, il cui mito sembra avere origini addirittura nella Britannia celtica (no, Omero nel Baltico è comunque una troiata, sto facendo riferimento a Robert Graves e al suo libro “Greek Miths”). Gli accadono diversi episodi analoghi ad altri eroi di diverse aree geografiche, ed è oggetto nella stessa Iliade di  una ripetizione (che è l’elemento tipico del mito e del rito), tuttora oggetto di studi:

http://it.wikipedia.org/wiki/Etiopide

La stessa caratteristica appartiene anche ad altri eroi: la tomba di Ettore nell’età  classica si trovava vicino tebe, e il mito eziologico di questo fatto è assai probabilmente posteriore a Omero. Paride viene chiamato indistintamente con due nomi, di cui solo il secondo, Alessandro, è di origine greca, e la stessa Ilio ha due nomi diversi.

Nella mitologia bisogna fare attenzione ai nomi più che alle storie e alle città alle quali sono legati.I miti esistono da prima di Atene, ma gli ateniesi li hanno modellati a loro piacimento. Con questo approccio possiamo notare che Apollo del topo a più a che fare con il dionisismo di tanti dionisi di miti classici, Perseo e Teseo sono lo stesso eroe, dal momento che entrambi i loro nomi derivano da “Pterseus”, distruttore, che il mito classico di Eracle, in cui l’eroe è vittima delle angherie di Era, non ha alcun senso dal momento che il nome stesso del figlio di Zeus significa “Gloria di Era”, e tante, ma proprio tante, altre cose.

Tornando ad Achille, l’eroe che tutti conosciamo e amiamo nasce solo ed esclusivamente dopo la morte di Patroclo.

Quando Fenice e Odisseo  vanno alla sua tenda per cercare di riportarlo in battaglia falliscono miseramente, e questo accade nonostante portassero innumerevoli doni, che l’eroe omerico medio accetterebbe senza problemi. Achille rifiuta le città, le donne, le armi, i tripodi, l’oro e tutto il resto, perchè è deciso nel proposito di lasciare le spiagge di Troia il giorno seguente, perchè tutti quei doni, e quella gloria che egli potrebbe conquistare a Troia, sono niente in confronto alla vita, alla moglie e ai figli che troverebbe tornando a casa.

Qui c’è un passaggio importante: dopo l’offesa ricevuta da Agamennone, Achille va a piangere a disperarsi sulla spiaggia, ed è lì che dalle acque gli appare la madre, la quale gli vaticina gloria eterna ma vita breve in guerra, l’esatto contrario a casa. Miti successivi all’Iliade fanno comparire questo episodio prima ancora dello scoppio della guerra, descrivendo così il Pelide come un individio che dal principio non desidera altro che gloria, sangue e violenza. Questo episodio però esiste nell’Iliade, e nel poema Achille sceglie la vita.

L’eroe diventa la macchina da guerra che il mondo attorno a lui gli richiede di essere solo dopo la scomparsa dell’amico. L’assedio diventa una questione personale, e poco contano onore, gloria, eroismo ed etica della vergogna.
Calcante aveva predetto che Ilio sarebbe caduta solo se il figlio di Peleo avesse preso parte alla guerra. Achille decide di indossare la sua stessa maschera, quella maschera di violenza cieca e invincibilità, solo ed esclusivamente per vendicare l’amico. Aveva scelto diversamente, stava tornando a casa! E’ un personaggio tragico prima che la tragedia nasca!

Achille è una maschera, e come tale può essere indossata da altri: ci prova Aiace, che fa una pessima fine cercando di essere all’altezza del cugino, ma ci riesce invece il figlio stesso di Achille, Pirro, soprannominato Neottolemo dai Mirmidoni una volta dimostrato il suo valore in guerra.

Pur non avendolo mai conosciuto, egli si diceva guidato dallo spettro del padre, che è un modo come un altro per dire che ne aveva indossato le vesti, quella maschera di sangue modellata per lui dal destino.

 

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