La maschera di Achille

postato il 14 Nov 2010 in Main thread
da Vobby

L’ultima volta che dissi che Achille è un personaggio stratificato mi si rispose : “ma hai letto orgoglio e pregiudizio??”.
Accetto l’obiezione, ma continuo a pensare che l’Achille che viene di solito insegnato sia un tantino più banale di quello che è in realtà.

Mi spiego: Achille cerca la gloria, è furia pura, non sa resistere al desiderio di impugnare un’arma, è il più valoroso degli eroi, ha un punto debole abbastanza del cazzo (ma questa è una caratteristica tipica degli eroi calendariali. Ci sarebbe tanto da dire sul dionisiaco piede di toro, su Lew Law Gyffes, sui calzari di Hermes.. magari un giorno ci posterò su), eccetera eccetera.
Ma questo Achille non nasce all’inizio dell’Iliade, per quanto abbia molto in comune con l’Achille raccontato nel resto del ciclo troiano, il che dimostra come la maggior parte della mitologia riguardante l’eroe in questione sia successiva alla stesura e alla diffusione del poema epico ( nascevano miti su Achille e altri eroi ancora in età romana imperiale).

La versione che noi conosciamo di come nacque il punto debole di Achille, il suo tallone, ci arriva da Stazio. E’ lui che ci informa che Achille venne immerso nel fiume Stige dalla madre, ma non possediamo fonti greche che ci riferiscano di questo aneddoto.
Infatti diversa è la versione delle argonautiche: secondo Apollonio Rodio Teti, di giorno, ungeva il figlio nell’ambrosia, mentre di notte lo passava sul fuoco, bruciandone le parti mortali. Una notte Peleo, che aveva capito in che modo erano morti i suoi precedenti sei figli, fermò la moglie quando il rito era appena iniziato, e lei fuggì, confondendosi nelle acque per non fare più ritorno. Per questo motivo solo il tallone del piccolo era rimasto ustionato, ma il padre riuscì a curarlo con l’aiuto del centauro Chirone, che trapiantò nel piede di Achille l’astragalo (osso del tallone) del gigante Damiso (era Damisio?), che era molto valente nella corsa. Anche il nome di Achille è spiegato con questo mito, dal momento che Achille significa “senza labbra”. Il nome si riferisce al fatto che il Pelide crebbe senza venire mai allattato. Fra l’altro, Omero non fa mai riferimento all’invulnerabilità di Achille, tanto che, nei pressi dello Scamandro, egli viene anche ferito dall’eroe Asteropeo, che scagliando due lance contemporaneamente riesce a ferirlo al gomito.

Achille è il nome di un personaggio mitologico composto da miti diversi, un po’ come Odisseo, il cui mito sembra avere origini addirittura nella Britannia celtica (no, Omero nel Baltico è comunque una troiata, sto facendo riferimento a Robert Graves e al suo libro “Greek Miths”). Gli accadono diversi episodi analoghi ad altri eroi di diverse aree geografiche, ed è oggetto nella stessa Iliade di  una ripetizione (che è l’elemento tipico del mito e del rito), tuttora oggetto di studi:

http://it.wikipedia.org/wiki/Etiopide

La stessa caratteristica appartiene anche ad altri eroi: la tomba di Ettore nell’età  classica si trovava vicino tebe, e il mito eziologico di questo fatto è assai probabilmente posteriore a Omero. Paride viene chiamato indistintamente con due nomi, di cui solo il secondo, Alessandro, è di origine greca, e la stessa Ilio ha due nomi diversi.

Nella mitologia bisogna fare attenzione ai nomi più che alle storie e alle città alle quali sono legati.I miti esistono da prima di Atene, ma gli ateniesi li hanno modellati a loro piacimento. Con questo approccio possiamo notare che Apollo del topo a più a che fare con il dionisismo di tanti dionisi di miti classici, Perseo e Teseo sono lo stesso eroe, dal momento che entrambi i loro nomi derivano da “Pterseus”, distruttore, che il mito classico di Eracle, in cui l’eroe è vittima delle angherie di Era, non ha alcun senso dal momento che il nome stesso del figlio di Zeus significa “Gloria di Era”, e tante, ma proprio tante, altre cose.

Tornando ad Achille, l’eroe che tutti conosciamo e amiamo nasce solo ed esclusivamente dopo la morte di Patroclo.

Quando Fenice e Odisseo  vanno alla sua tenda per cercare di riportarlo in battaglia falliscono miseramente, e questo accade nonostante portassero innumerevoli doni, che l’eroe omerico medio accetterebbe senza problemi. Achille rifiuta le città, le donne, le armi, i tripodi, l’oro e tutto il resto, perchè è deciso nel proposito di lasciare le spiagge di Troia il giorno seguente, perchè tutti quei doni, e quella gloria che egli potrebbe conquistare a Troia, sono niente in confronto alla vita, alla moglie e ai figli che troverebbe tornando a casa.

Qui c’è un passaggio importante: dopo l’offesa ricevuta da Agamennone, Achille va a piangere a disperarsi sulla spiaggia, ed è lì che dalle acque gli appare la madre, la quale gli vaticina gloria eterna ma vita breve in guerra, l’esatto contrario a casa. Miti successivi all’Iliade fanno comparire questo episodio prima ancora dello scoppio della guerra, descrivendo così il Pelide come un individio che dal principio non desidera altro che gloria, sangue e violenza. Questo episodio però esiste nell’Iliade, e nel poema Achille sceglie la vita.

L’eroe diventa la macchina da guerra che il mondo attorno a lui gli richiede di essere solo dopo la scomparsa dell’amico. L’assedio diventa una questione personale, e poco contano onore, gloria, eroismo ed etica della vergogna.
Calcante aveva predetto che Ilio sarebbe caduta solo se il figlio di Peleo avesse preso parte alla guerra. Achille decide di indossare la sua stessa maschera, quella maschera di violenza cieca e invincibilità, solo ed esclusivamente per vendicare l’amico. Aveva scelto diversamente, stava tornando a casa! E’ un personaggio tragico prima che la tragedia nasca!

Achille è una maschera, e come tale può essere indossata da altri: ci prova Aiace, che fa una pessima fine cercando di essere all’altezza del cugino, ma ci riesce invece il figlio stesso di Achille, Pirro, soprannominato Neottolemo dai Mirmidoni una volta dimostrato il suo valore in guerra.

Pur non avendolo mai conosciuto, egli si diceva guidato dallo spettro del padre, che è un modo come un altro per dire che ne aveva indossato le vesti, quella maschera di sangue modellata per lui dal destino.

Ma le maschere più forti sono quelle che ci nascondono da noi stessi

postato il 14 Nov 2010 in Main thread
da ad.6

[Intro: Trovale tutte! Comunque cercherò di rendere meno tedioso possibile questo mio post; nel caso non ci riuscissi, prendete allora questa mia introduzione come una maschera]

INETTITUDINE?


È nato. L’uomo nasce e si consuma. Inizia la sua vita privo di qualsiasi illusione, perché percepisce solamente il mondo attorno a lui e tanto gli basta, né si può dire che potrebbe non bastargli. Alla nascita due sono i grandi traumi: il mondo e l’io, entrambi assolutamente sconoscuti al neonato. Infatti sarà del terzo grande trauma che parlerò, del sogno destinato a crescere in dimensione pari alla sua consapevolezza degli altri due traumi: la scoperta (o, se vogliamo, nei primi stadi, la percezione) del rapporto dell’io col mondo. È l’inizio (link al post) e già il mondo si impone sul nato e lo fa suo costringendolo a conoscere e ad assimilare, imponendogli la propria verità.

CONOSCENZA?

Si inizia con l’essere uguali a tutti, senza maschera alcuna, poi, lentamente, sul trasparente viso del giovane vengonno calate tante e tante maschere le quali, forse per il bisogno di dare un senso al mondo ed ancora di più a se stesso, chiamiamo personalità e carattere: parole che indicano sempre attori, maschere. Il vero scopo della maschera è, dunque, quello di creare un’identità, vuoi perché ci muove l’irrinunciabile inerzia, vuoi perché non siamo contenti, vuoi perché l’identità vera e propria non esiste.
Quando allora, dopo una certa età, il nostro piccolo amico che stiamo seguendo fin dalla nascita acquisisce il “sentire del sentire”, la consapevolezza, è portato a calarsi sul volto la prima maschera, che lo proteggerà dallo sfumare dell’uguale e che, allo stesso tempo, non gli consentirà di trovare riposo.

IO?

Ma intervistiamo il nostro giovane amico, dato che di lui stiamo parlando!

NULLA^^

– Nell’esordire in questa corrispondenza tra il mio e l’altrui parere sarebbe per me cagione di sommo gaudio il poter esprimere con tutta la giusta retorica le mie ragioni, poiché qualcuno, un tempo, disse “πάντων χρημάτων μέτρον” ἄνθρωπον εἶναι, ed in ugual guisa vorre’ io dar piglio al [parte rimossa (N.d.R.)].

CULTURA?

Mi pare tuttavia parimenti giusto ed assennato e vero (cfr Thomas Aquinas, Summa theologiae Iª q. 14 a. 9 arg. 1) l’omettere in parte o totalmente le disquisizioni meramente formali (benché quanto mai fornite del massimo supporto semantico e di senso), perché non vorrei apparire altero e perché, dopo tutto, “a posse ad esse non valet consequentia”.
Valete omnes.

MODESTIA?

Esisto ed è innegabile ed, anzi, sono assolutamente pronto a dire che della mia esistenza sono certo, non altrettanto di quella del mondo. IO percepisco il mondo, sempre io, dunque esisto.

ESISTENZA?

Adesso, invece che parlare di me, vi parlerò con tutta sincerità di ciò che più mi preme: gli altri ed il mio rapporto con essi. Vorrei però solamente spendere giusto due parole su questo mio essere sincero, comunque in accordo con quanto dobbiamo trattare. Dico semplicemente che la sincerità è la base fondante di qualunque rapporto, che il falso è male (e chi potrebbe negarlo?), che ve lo confesso perché lo credo veramente e non certo perché così sono stato educato o così voglio apparire agli altri. Ci mancherebbe.

ONESTÀ?

Tornando quindi al discorso principale, in effetti, essendo io consapevole del fatto che gli altri sono più e più veri di me, sarà proprio di loro che parlerò e non d’altro. Questo è un semplice modo per non influenzare un’osservazione puramente scientifica con dati irrilevanti e di alcun interesse. Mi si perdoni, anzi, se vi tedio ancora con questi dettagli.

INTELLIGENZA?

Gli altri, l’unica presenza di questo mondo ad essere diversi da noi. L’unica presenza di questo mondo. È forse anche per questo che ho dedicato la mia vita agli altri, prescindendo sempre dal mio interesse e dalle mie voglie, dalle mie volontà. Così ho combattuto per la loro volontà e per loro sono nato (o mi hanno fatto nascere). D’altra parte se pensassi a me sicuramente trascurerei gli altri ed in tale modo essi stessi trascurerebbero me, facendomi del male. Questo sentimento spassionato ed incondizionato è ciò che sento, che sono sicuro di sentire, che voglio sentire. Nonostante gli altri.

ALTRUISMO?

Sicuramente, però, non sono uno sprovveduto e so bene che tra di loro sono presenti gli ingrati e gli irriconoscenti, al cielo e alla terra. Gente che, per esempio, non crede nella libertà, nella vita, nei valori di un tempo, che sono anche i miei valori, per fortuna. Possono questi altri ritenersi degni del nostro rispetto? Non ne sono del tutto sicuro.

CIVILTÀ?

A questo punto il fatto che nel “mondo fuori di me” ci sia una tale coerenza nel caos e che in me ci sia un tale caos nella coerenza mi spinge, così come mi spinse allora, a non entrare nel dettaglio delle cose. Questo fu l’ottimo modo con cui riuscii a conciliare, lo dico candidamente, i valori giusti e quelli sbagliati che albergavano in me e negli altri, senza che nessuno ne risentisse. Tutto, al di fuori di me, è assolutamente uguale: uguale nel bene e nel male, tutto normale ed ovvio, tutto uguale e pleonastico. Questo è sicuramente di grande aiuto (nonché una grande verità).

INDIFFERENZA?

Ed io? Io perché sono diverso? Diverso dagli altri, intendo. Facile! Io non ho un mio carattere, una mia personaiità, faccio quello che mi si dice di fare e non ho colpe, se non la mia (e perché non globale?) irrinunciabile inerzia. Io indosso una maschera! –

MASCHERA?

Leoncavallo- “I pagliacci”: “Ridi,pagliaccio”

postato il 14 Nov 2010 in Main thread
da Viandante Solitario

Vesti la giubba,
la faccia infarina,
la gente paga e rider vuole qua
e se Arlecchin
s’invola Colombina,
ridi pagliaccio
e ognun t’applauudirà.
Tramuta in lazzi lo spasmo e il pianto,
in una smorfia il singhiozzo e il dolor,
ridi pagliaccio
sul tuo amor infranto,
ridi per quel che t’avvelena il cor!

Maschere: ovvero come infilare nello stesso post l’Uomo Ragno, Pulcinella e i Daft Punk.

postato il 13 Nov 2010 in Main thread
da Deluded Wiseman

Premessa: ci sono tante cose interessanti da dire sulle maschere, il che, a dispetto di quanto possa sembrare, costituisce un problema, visto che alcune di esse sono un po’ scontate. Però, per rispetto di tutti i soldi che ho buttato in fumetti di gente con le maschere, ho il dovere morale di scrivere qualcosa, banale o scontato che sia. Quindi, per cominciare; bè, usi pratici di una maschera: ce ne sono tantissimi(fare il fesso a carnevale, il supereroe o il pervertito sessuale, essere seppelliti con gli onori di un re miceneo, ecc.), ma molti di essi, la maggior parte direi, si possono facilmente ricondurre all’utilizzo più intuitivo e banale di una maschera, ovvero nascondere la propria identità, non essere riconosciuti.

Giusto? Sì, ma non esauriente. Qualche esempio: i Daft Punk e gli Slipknot hanno bisogno di nascondere la propria identità?  E Pulcinella e Arlecchino? Dubito che si mascherino per tema di rappresaglie da parte di fan delusi, o da parte di altri burattini vendicativi. Che Pulcinella, poi, neanche ce l’ha un’identità da nascondere, sempre con quella maschera addosso. Ma in effetti sta cosa dell’identità da nascondere, in termini più nerd “identità segreta”, è un po’ farlocca: prendiamo, qualche supereroe random, Zorro e l’Uomo Ragno, và; c’hanno bisogno dell’identità segreta? “Certo, altrimenti la famiglia  De la Vega subirebbe l’ira del governatore spagnolo, e cosa direbbe mai la povera zia May se sapesse che suo nipote è quell’orribile Uomo Ragno?” Sì, vabè, si tratta anche di questo, di un minimo di coerenza interna al racconto (chiamiamola ““realismo””, con molte virgolette), ma in realtà, diciamocelo, non gliene frega nulla a nessuno. Pensiamo a quel marcantonio volante di Superman, ad esempio, che se ne va in giro da 75 anni con il ricciolino sulla fronte e senza occhiali, e nessuno lo riconosce, manco quella che se lo scopa. E infatti, direte voi, miei perspicaci amici, Superman riesce ad essere irrealistico persino in un mondo in cui diamo per assodato possa esistere un alieno volante e dal cuore d’oro. Vero, però la gente se lo compra, e si va a vedere i film, eccetera. Segno che, la suddetta gente, oltre a non capire nulla di fumetti, in  generale se ne sbatte che il personaggio abbia l’identità segreta per proteggere la famiglia e stronzate così; dico, ci fidiamo di Don Diego, siamo sicuri che, anche se tutti sapessero che lui è Zorro(che poi, anche lì, il baffetto è inconfondibile..), in qualche maniera se la caverebbe, e la zia May potrebbe anche accettare il fatto che il nipote è un ometto, e può decidere se girare di notte per i vicoli con una calzamaglia attilata. Quello che importa a chi è affascinato da personaggi buffamente mascherati, non è il fatto che le maschere nascondano l’identità dei personaggi, ma che la annullino, che le assorbano. Non ci importa nulla che ci siano Don Diego, Bruce Wayne o Pino Mauro, ci importa del simbolo che la maschera è diventata, e di cosa rappresenta, che sia lo spirito di ribellione degli zotici losangelini, lo spirito americano, o quello napoletano, o la presunta futuristicità della musica elettronica(ricordate i Daft Punk?). Tanto che se il povero Don Diego passasse a miglior vita, qualcuno potrebbe sostituirlo, chessò, Bernardo(!) e per noi non cambierebbe nulla, Zorro rimarrebbe quello che, quello che rappresenta. Infatti è quello che succede a un sacco di personaggi dei fumetti, tipo Capitan America o Robin(di Batman&Robin): gli uomini dietro la maschera muoiono, ma quello che essa rappresenta, ovvero la supponenza americana in un caso, e la gioia di combattere il crimine in calzonicini corti, l’altro. L’esempio perfetto è questo personaggio, Phantom (tradotto durante il Ventennio nel più’ maschio e romano “Uomo Mascherato”, il che, per quanto sia orrendo, da al personaggio il diritto sacrosanto di essere nominato in questo post) che gira con una maschera(dai!) anche se sostanzialmente vive con una tribù del centro Africa sconosciuta al mondo, (lui ovviamente è bianco) e combatte contro i pirati, senza avere una vita “in borghese” o cose simili, tipo Pulcinella, insomma. Perché la maschera, allora? La maschera è il suo potere: si tramanda di padre in figlio da millemila secoli, al punto che la gente del luogo, arboricoli sempliciotti, e i criminali, notoriamente sciocchi e superstiziosi(lo dice anche Batman nell’atto di scegliere di vestirsi da topo volante per il resto della vita!), credono che Phantom sia una specie di demone immortale, e questa fama inquietante costituisce la sua più grande arma. Tutta i membri della stirpe smettono di essere umani, immolandosi alla maschera del fantasma, un simbolo, un totem, che assorbe le loro vite e le identità loro e dei loro figli.

Quindi, bambini, al prossimo carnevale, pensate che non importa tanto chi siete, ma la maschera che indossate. Dietro la maschera le facce cambiano, ma la scorza rimane la stessa, ed è quella che la gente ricorda. E se questo vuol dire che vi ricorderanno come Pulcinella o Batman a vita..cazzi vostri.

È così che va il mondo

postato il 10 Nov 2010 in Main thread
da Azazello

[Discorso che segue un filmato in cui a Falcone viene chiesto, in seguito al ritrovamento di una bomba inesplosa dove andava in vacanza, chi è a proteggerlo. Il video si conclude con Falcone che pronuncia le parole: “Questo è il paese felice dove se ti si pone una bomba sotto casa che per fortuna non esplode, la colpa è tua che non l’hai fatta esplodere”]

«Fanno davvero venire i brividi queste parole, perché è esattamente così. “Il paese felice” intende dire falcone, il paese un po’ cazzaro che pensa di poter parlare di tutto e facilmente liquidare: “Se ti vogliono ammazzare ti ammazzano”, “Ma figurati se…”. E così lo isolano [Falcone], perché Cosa Nostra di queste cose ne diventava più forte, si ingrassava: il lavoro sporco lo lasciava fare ai colleghi invidiosi, alla società civile che non sopportava quello che stava facendo Giovanni Falcone, cioè far diventare la battaglia alle mafie una battaglia culturale. E allora è molto facile, è come il sabato sera: vedi una persona che sta a terra, tu devi uscire, e quando sta a terra dici “Vabe’, ma quello se lo merita… sarà ubriaco, impasticcato”. E non lo soccorri, perché se lo soccorri ti rovini il sabato. Allo stesso modo, meglio dire che queste persone facevano carriera, che chi si occupa di queste cose lo fa per i propri soldi, per avere più donne. Meglio dirlo. Perché altrimenti, se tu credi che stanno facendo la cosa giusta, se davvero credi nel loro talento -era un essere umano, Falcone, non un arcangelo-, allora lo devi seguire; e se non lo fai sei complice. E allora meglio dire: “Ma no, se lo fa da solo”, “Se lo fa da solo quest’attentato”: il paese felice dove se non muori sei colpevole perché vivi. […]»

Questo post è una maschera. È la maschera di pessimismo, di dubbio, di malizia, di superiorità, di cecità, di ignoranza che portiamo tutti i giorni e senza cui non potremmo condurre le nostre belle, comode vite. Questa maschera è quello che distingue me e voi da persone come Saviano (che ha pronunciato le parole qui sopra) che, a costo della propria libertà (e, dio non voglia, forse della sua vita) ha voluto togliersi la maschera e affrontare la realtà senza accampare scuse. C’è bisogno di persone come lui, che si impongano sul mondo a viso aperto facendo la parte di tutti noi nella lotta al crimine, all’ingiustizia, alla corruzione, a tutto ciò che non funziona, per permettere a persone come noi di vivere un altro poco il sogno di una vita serena. Possiamo essere tutti Saviano? No, non è realistico. L’uomo vive per la conservazione di se stesso e l’inerzia è la vera motrice (bel paradosso) della società, ma questo non significa che possiamo nasconderci dietro di lui e continuare a vivere nell’inazione: lo sforzo di persone come Saviano deve servire da ispirazione e da motore, non per toglierci la maschera (che ci serve per vivere), ma per romperla un po’, staccandone un pezzettino, e così costruire pian piano, tutti insieme, un mondo dove il popolo si prende la democrazia che gli spetta, dove la minaccia, l’estorsione e la “protezione” siano il primo passo verso la disfatta, dove l’individuo sia garante del proprio benessere attraverso la socialità piuttosto che l’isolamento, dove non ci sia bisogno di maschere e ci si possa, finalmente, guardare in faccia senza vergognarsi dei propri ideali inadempiuti.

 

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