Ma le maschere più forti sono quelle che ci nascondono da noi stessi

postato il 14 Nov 2010 in Main thread
da ad.6

[Intro: Trovale tutte! Comunque cercherò di rendere meno tedioso possibile questo mio post; nel caso non ci riuscissi, prendete allora questa mia introduzione come una maschera]

INETTITUDINE?


È nato. L’uomo nasce e si consuma. Inizia la sua vita privo di qualsiasi illusione, perché percepisce solamente il mondo attorno a lui e tanto gli basta, né si può dire che potrebbe non bastargli. Alla nascita due sono i grandi traumi: il mondo e l’io, entrambi assolutamente sconoscuti al neonato. Infatti sarà del terzo grande trauma che parlerò, del sogno destinato a crescere in dimensione pari alla sua consapevolezza degli altri due traumi: la scoperta (o, se vogliamo, nei primi stadi, la percezione) del rapporto dell’io col mondo. È l’inizio (link al post) e già il mondo si impone sul nato e lo fa suo costringendolo a conoscere e ad assimilare, imponendogli la propria verità.

CONOSCENZA?

Si inizia con l’essere uguali a tutti, senza maschera alcuna, poi, lentamente, sul trasparente viso del giovane vengonno calate tante e tante maschere le quali, forse per il bisogno di dare un senso al mondo ed ancora di più a se stesso, chiamiamo personalità e carattere: parole che indicano sempre attori, maschere. Il vero scopo della maschera è, dunque, quello di creare un’identità, vuoi perché ci muove l’irrinunciabile inerzia, vuoi perché non siamo contenti, vuoi perché l’identità vera e propria non esiste.
Quando allora, dopo una certa età, il nostro piccolo amico che stiamo seguendo fin dalla nascita acquisisce il “sentire del sentire”, la consapevolezza, è portato a calarsi sul volto la prima maschera, che lo proteggerà dallo sfumare dell’uguale e che, allo stesso tempo, non gli consentirà di trovare riposo.

IO?

Ma intervistiamo il nostro giovane amico, dato che di lui stiamo parlando!

NULLA^^

– Nell’esordire in questa corrispondenza tra il mio e l’altrui parere sarebbe per me cagione di sommo gaudio il poter esprimere con tutta la giusta retorica le mie ragioni, poiché qualcuno, un tempo, disse “πάντων χρημάτων μέτρον” ἄνθρωπον εἶναι, ed in ugual guisa vorre’ io dar piglio al [parte rimossa (N.d.R.)].

CULTURA?

Mi pare tuttavia parimenti giusto ed assennato e vero (cfr Thomas Aquinas, Summa theologiae Iª q. 14 a. 9 arg. 1) l’omettere in parte o totalmente le disquisizioni meramente formali (benché quanto mai fornite del massimo supporto semantico e di senso), perché non vorrei apparire altero e perché, dopo tutto, “a posse ad esse non valet consequentia”.
Valete omnes.

MODESTIA?

Esisto ed è innegabile ed, anzi, sono assolutamente pronto a dire che della mia esistenza sono certo, non altrettanto di quella del mondo. IO percepisco il mondo, sempre io, dunque esisto.

ESISTENZA?

Adesso, invece che parlare di me, vi parlerò con tutta sincerità di ciò che più mi preme: gli altri ed il mio rapporto con essi. Vorrei però solamente spendere giusto due parole su questo mio essere sincero, comunque in accordo con quanto dobbiamo trattare. Dico semplicemente che la sincerità è la base fondante di qualunque rapporto, che il falso è male (e chi potrebbe negarlo?), che ve lo confesso perché lo credo veramente e non certo perché così sono stato educato o così voglio apparire agli altri. Ci mancherebbe.

ONESTÀ?

Tornando quindi al discorso principale, in effetti, essendo io consapevole del fatto che gli altri sono più e più veri di me, sarà proprio di loro che parlerò e non d’altro. Questo è un semplice modo per non influenzare un’osservazione puramente scientifica con dati irrilevanti e di alcun interesse. Mi si perdoni, anzi, se vi tedio ancora con questi dettagli.

INTELLIGENZA?

Gli altri, l’unica presenza di questo mondo ad essere diversi da noi. L’unica presenza di questo mondo. È forse anche per questo che ho dedicato la mia vita agli altri, prescindendo sempre dal mio interesse e dalle mie voglie, dalle mie volontà. Così ho combattuto per la loro volontà e per loro sono nato (o mi hanno fatto nascere). D’altra parte se pensassi a me sicuramente trascurerei gli altri ed in tale modo essi stessi trascurerebbero me, facendomi del male. Questo sentimento spassionato ed incondizionato è ciò che sento, che sono sicuro di sentire, che voglio sentire. Nonostante gli altri.

ALTRUISMO?

Sicuramente, però, non sono uno sprovveduto e so bene che tra di loro sono presenti gli ingrati e gli irriconoscenti, al cielo e alla terra. Gente che, per esempio, non crede nella libertà, nella vita, nei valori di un tempo, che sono anche i miei valori, per fortuna. Possono questi altri ritenersi degni del nostro rispetto? Non ne sono del tutto sicuro.

CIVILTÀ?

A questo punto il fatto che nel “mondo fuori di me” ci sia una tale coerenza nel caos e che in me ci sia un tale caos nella coerenza mi spinge, così come mi spinse allora, a non entrare nel dettaglio delle cose. Questo fu l’ottimo modo con cui riuscii a conciliare, lo dico candidamente, i valori giusti e quelli sbagliati che albergavano in me e negli altri, senza che nessuno ne risentisse. Tutto, al di fuori di me, è assolutamente uguale: uguale nel bene e nel male, tutto normale ed ovvio, tutto uguale e pleonastico. Questo è sicuramente di grande aiuto (nonché una grande verità).

INDIFFERENZA?

Ed io? Io perché sono diverso? Diverso dagli altri, intendo. Facile! Io non ho un mio carattere, una mia personaiità, faccio quello che mi si dice di fare e non ho colpe, se non la mia (e perché non globale?) irrinunciabile inerzia. Io indosso una maschera! –

MASCHERA?

 

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