Quella storia per cui il sonno della ragione genererebbe mostri

postato il 31 Mar 2012 in Main thread
da Vobby

Avevo in mente un certo articolo, non avevo in mente di scriverlo ora, alle fottute 3 di notte quando ho un treno fra 3 ore, eppure. Magari se sono svelto dormirò un’ora perché, no, non dormirò in treno, perchè (sì, ho deciso che non ce la faccio a mettere é al posto di è alla fine del perchè, è troppo pesante) se ho capito bene e se il tipo di cui avrei dovuto capire bene il comportamento leggerà un biglietto davanti camera sua, nel suddetto treno dovrei stare in compagnia.
Questo post, dicevamo.
“Il sonno della ragione genera mostri (El sueño de la razón produce monstruos) è un’acquaforte e acquatinta realizzata nel 1797 dal pittore spagnolo Francisco Goya e facente parte – è il foglio n° 43 – di una serie di 80 incisioni ad acquaforte chiamata Los caprichos (I capricci) pubblicata nel 1799” (Wikipedia) e, secondo me, è qualcosa da porre in termini problematici piuttosto che accettarla passivamente.
Cerchiamo di visualizzare l’immagine (facile): un uomo, che rappresenta la ragione, addormentato sulla scrivania, è circondato di pipistrelli, gufi e, sembrerebbe, una lince.
Per prima cose bisognerebbe far notare all’osservatore disattento che nessuna di queste creature è un mostro, anzi, gufi e felini per la loro capacità di vedere al buio, per l’intensità del loro sguardo e per altra roba sono stati considerati da diverse culture come simbolo di saggezza. Poi sono simpatici, dai, tutti amano gufi e pantere varie. I pipistrelli no, lo ammetto, sono sorci volanti, posso accettare che vengano considerati mostruosi (si vedano le geniali origini di Batman), ma ricorderei che hanno anche un radar che tutta la ragione di Goya non avrebbe mai capito, alla sua epoca.
Poi vorrei soffermarmi un minuto sulla figura della ragione: perchè è maschio? La razòn è femminile anche in spagnolo. La verità secondo me è che Goya, che un paio di cose di letteratura classica le conosceva, aveva consapevolmente deciso di porsi nel solco della tradizione greca, all’interno del cui pantheon la dea che rappresentava la ragione strumentale, Atena, era nata per gemmazione dalla testa del Dio Padre. Questo fatto fece infuriare Hera e altre divine donzelle, e giustamente, perchè una ragione nata in questo modo fondava esplicitamente una cultura, uno spirito del tempo, che aveva deciso di tagliare i ponti con ogni passato fondato sulla femminile maternità della terra. La ragione maschile, quella appisolata nell’immagine di Goya, è una ragione certamente efficace e portatrice di progresso (ma di quale progresso, sarebbe il caso di chiederci, e in effetti ci chiederemo tra un po’, se mi ricordo, ma spero di sì), ma porta i gravi difetti di una presunzione che sfocia nella tracotanza, che può evitare di chiamarsi Hybris solo perchè ha una fondazione divina. Atena nata dal cervello del padre è dea di una ragione che deliberatamente dimentica sentimenti e sensazioni, a causa di eccessiva lucidità. Non è una dea della conoscenza, divinità tali sono Dioniso e Apollo, e entrambi in fin dei conti preferivano comunicare attraverso la musica, il dialogo e l’ebbrezza, collettiva nel primo e privata, sacerdotale, nel secondo caso. Atena appisolata su quel tavolino è più che altro la logica, dotata certamente di enorme dignità, ma incapace di vedere l’insieme delle cose. Gufi, linci e pipistrelli, non a caso, appaiono alle sue spalle e nel buio. La loro, evidentemente, è una ragione diversa (lo so che la Nottola sta sulla spalla di Minerva/Atena, ma che ci posso fare, forse Goya non la sapeva tanto lunga come dicevo prima…).
Quindi, di che ragione stiamo parlando? Quale civiltà è generata dal suo trionfo? Quale progresso? Ma sì, è evidentemente la luminosa ragione dell’illuminismo, altrimenti non si capirebbe perchè i mostri sono solo creature associate alla notte. La ragione illuministica che spazzò le tenebre del misticismo e della tirannia (cit. 300) dal nostro glorioso Occidente, ecco il nostro eroe. E’ uno strano eroe, il nostro bell’addormentato: volle eliminare dagli ordinamenti degli stati tutto ciò che non fosse conforme a ragione, a quel certo tipo di ragione strumentale, in sè stessa economica ed economicista, che voleva un mercato autoregolato dalla ragione dei suoi attori integrato in uno stato razionalmente ordinato da burocrazie efficienti e impersonali. Una grande macchina, si ridusse ad essere il nostro ormai ben sveglio eroe, una grande e sconfinata macchina insieme organizzativa e tecnologica, strategica e potente, capace di muoversi con tutta la forza del fuoco e dell’acciaio, con tutta la decisione e la chiarezza dell’ordine scritto e formalizzato. Una macchina così potente e pervasiva da fare degli individui i suoi veri ingranaggi, capace di annichilire, piuttosto, ciò che di umano e illogico c’era negli umani.
Sì vostro onore, ma stavo semplicemente eseguendo gli ordini.
Cos’era in fondo Eichmann, se non il perfetto ingranaggio inconsapevole di una macchina che a sua volta era inconsapevole di cosa la spingesse? Quanta lucidità nel suo agire, quanta perfetta logica nella burocrazia dei suoi atti?
Tanta, tutta.
Alla luce di questo, chi è il mostro ora?

Da un secolo all’altro attraverso il simbolo

postato il 15 Ago 2010 in Main thread
da Vobby

Quando ho chiesto ad Azazello di fare quel casino coi post spostati e modificati, avevo idea di scrivere un post sul ruolo e i miccanismo dei simboli nelle religioni mediterranee. Possibili titoli erano “La grammatica del mito”, “la svastica”,”visita al castello a spirale”, ” Caer Arianrhod” e “capodanno fiammeggiante”.
Alla fine ho deciso di parlare di tutt’altro.

La carboneria è una setta, una società segreta presumibilmente nata in francia e trasferitasi in italia durante il dominio napoleonico e poi prosperata nel meridione dopo il fallimento della repubblica partenopea del 1799 e la restaurazione dei Borbone, ed ebbe qui nel sud  un tale successo da essere sembrata  autoctona ad alcuni storici nostrani.
Il suo scopo era quello di difendere le riforme dell’epoca murattiana dalle forze della reazione, e si proponeva di realizzare una nuova rivoluzione liberale appena si fosse verificata l’opportunità.

I carbonari avevano ben chiari i motivi del fallimento del ’99: la difficoltà di convertire le plebi cittadine alla causa rivoluzionaria, la distanza sia geografica che intellettuale dalle campagne, l’incredibile capacità di proselitismo del basso clero e l’attaccamento del popolino in generale alla paternalistica monarchia borbonica avevano segnato la sconfitta dei patrioti.

Da questa consapevolezza nacquero importanti cambiamenti nella teoria e nella pratica rivoluzionaria della carboneria, che orientò i suoi sforzi in un’efficace opera di proselitismo, grazie alla quale, negli anni 20 del XIX secolo, la diffusione delle sedi della setta era diventata capillare quasi quanto quelle delle chiese. Attraverso cosa un movimento di matrice illuministica, intellettuale, borghese e rivoluzionaria era riuscito a radicarsi così imponenente in un territorio così culturalmente arretrato ed economicamente misero come il meridione italiano? Attraverso i simboli.

E’ un momento importante per la cultura politica europea: Napoleone aveva esportato gli ideali illuministici nell’intero continente e se da un lato questo era piaciuto a parte della borghesia progressista di paesi più arretrati come appunto l’Italia, la Spagna, la Prussia, d’altro lato tutti coloro che avevano applaudito a questa ventata rivoluzionaria dovettero riconoscere che quelle napoleoniche furono innanzitutto guerre di conquista, in niente diverse da quelle dell’ancien regime (per avere un’idea dei sentimenti contraddittori che la figura di Napoleone ispirò in quegli anni, si pensi al caso esemplare di Foscolo).
In questo clima si mescolavano, in modo diverso a seconda del paese, la dottrina illuministica del cosmopolitismo e il tema dell’indipendenza nazionale, l’universale ragione e il personale sentimento patriottico. Il passaggio da ‘700 a ‘800 è scandito in italia proprio da questo cambio di rotta politico-culturale. Prendiamo ad esempio l’ideologia mazziniana: in primo luogo egli professa gli illuministi ideali della repubblica e dei diritti civili, che appartenevano alla generazione di intellettuali italiani vissuti sotto il dispotismo illuminato, come Verri e Genovesi, ma in secondo luogo a questo sistema di valori, che potremmo definire riformistico, aggiunge il sogno romantico dell’indipendenza nazionale, dell’unità dei popoli divisi da confini artificiali imposti da potenze straniere, ed è influenzato, nel suo pensiero, da Fichte ed Hegel più che da Voltaire e Rousseau. In breve, se nella cultura delle potenze imperiali che hanno sconfitto napoleone il romanticismo è la letteratura della reazione, nei paesi ancora divisi e\o dominati da potenze straniere il romanticismo non si oppone, ma si somma alla filosofia illuministica, e da questa unione si articola la visione mazziniana di popoli uniti, organizzati in Stati nazionali indipendenti l’uno dall’altro, razionalmente organizzati e fra di loro pacifici.

Nella carboneria accade qualcosa del genere: per radicare la setta nella società civile, che diventa sempre più un importante attore politico, si decide di concedere qualcosa alla monarchia e alla religione che tanto stavano a cuore ai meridionali. Lo scopo non è più la realizzazione della repubblica, ma la monarchia costituzionale, sul modello inglese. Nemico non è più il cristianesimo, non più considerato come residuo dogmatico e superstizioso dei secoli bui, ma la Chiesa come istituzione alleata del trono. Anzi, la carboneria reinterpreta e fa propri i temi della passione e della salvezza. Il nuovo adepto alla setta partecipa a una serie di rituali in cui si identifica con cristo, definito “il sedizioso”, il rivoluzionario catturato e ucciso “dalle guardie”, affronta e sconfigge i nemici politici come in una moderna via crucis e infine perviene “alla salvezza”, la conoscenza di come funziona il mondo e di come bisogna renderlo più giusto. Nei testi carbonari di questi anni sono mescolati i vangeli e Rousseau, Mably e l’apocalisse. Nei loro stemmi e nelle loro bandiere sono raffigurati insieme il berretto frigio, il fulmine del tonante Giove che incendia il trono, e la corona di spine.

I carbonari insomma fanno un uso sapiente del simbolo: lo usano per comunicare a un popolo che parla una lingua diversa (il dialetto) e che non capisce la scrittura. Usano un linguaggio simbolico suggestivo, le raffigurazioni religiose sia pagane che cristiane, dove il linguaggio verbale non può funzionare. Il metodo si rivela efficace nel radunare nel regno delle due sicilie una discreta forza militare e finanziaria pronta ad essere utilizzata nei moti degli anni 20, 30, e infine nel ’48. E questo metodo si rilevò efficace perchè il simbolo non era usato solo per suggestionare il popolo ignorante, come hanno sempre fatto le gerarchi ecclesiastiche di ogni luogo e tempo, bensì per educare una nazione ad essere tale, per introdurre, mediante la reinterpretazione e non la negazione di una cultura tradizionale, ideali nuovi e moderni in un territorio culturalmente arretrato.

 

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