L’esperienza della forza

postato il 28 Gen 2012 in Main thread
da freeronin

Chissà cosa vuol dire sollevare un bilanciere di 472,5 kg; penso non si possa dire che in proporzione l’abbiamo provato, perché in casi del genere la proporzione salta: non si tratta solo di avere un’enorme potenza, ma anche di saperla utilizzare proprio tutta in quel momento e in quel gesto. È un’esperienza che solo una persona ha vissuto, e che, anche per lei, è per lo più irripetibile. Immagino si tratti di momenti in cui la concentrazione e la fatica lasciano un segno indelebile, pur collocandosi in un universo assolutamente distante da quello della vita di tutti i giorni: la pedana, le divise, la solennità delle procedure di gara, il pubblico, i giudici…
Usare la forza ci cambia, quando diamo fondo alle nostre capacità fisiche sembra di capire qualcosa in più di noi stessi: c’è stato un tempo in cui vivere era camminare per lunghe ore, correre, superare gli ostacoli, tirare la lancia, portare a casa la preda… ma adesso non sappiamo più che cosa significhi. Quando si comincia a vedere il limite delle proprie energie si ritrova un frammento di questa sensazione, una minima parte di quello che doveva essere la lotta per la sopravvivenza: il pugile che viene messo a tappeto non rischia davvero la vita con quell’incontro, ma intanto ha imparato a non dare per scontata l’integrità del proprio naso.
È incredibile quanto tutte queste sensazioni ci siano lontane. Adesso per noi il nostro proprio corpo è un mistero, non sappiamo precisamente fino a che punto ci possiamo fare affidamento, non abbiamo quasi mai provato a vederne i limiti.
I campioni, quelli che sanno guardare in faccia la fatica e vincerla tutti i giorni, probabilmente sanno molte cose che non sappiamo, e le nascondono dietro più o meno timidi sorrisi alla stampa. Ma anche, senza tante pretese, le vecchiette calabresi che fino a cinquant’anni fa camminavano 40 km per portare il pesce al paese. Certo, tutti abbiamo visto Phelps fare il record del mondo, ma non sappiamo, e probabilmente non sapremo mai, cosa lui abbia visto mentre il fiato gli terminava e doveva ricacciare comunque la testa in acqua. Nonostante avesse potuto disporre di un allenatore competente e di un intero staff di scienziati e di tecnici, era l’unico ad essersi mai davvero trovato in quella situazione. Sarà stato molto solo, non gli sarà rimasto che dialogare con le proprie fibre muscolari, trovarle stanche e convincerle a continuare a spingere, chissà come. Le avrà sentite dolere e avrà sopportato il dolore, avrà accettato il dolore e l’avrà affrontato continuando a esprimere forza, come se il dolore fosse ormai parte di lui.
Ed era forza gratuita, perché nessun bisogno vitale lo spingeva, pura e gratuita espressione di forza, che ci dimostra che parte di noi stessi ha ancora bisogno di quell’esperienza.

 

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