Metafora dell’ignavia

postato il 30 Dic 2010 in Main thread
da Azazello

[Attenzione: quello che segue è un post introspettivo, probabilmente noioso e di certo sconclusionato di cui non andrò fiero già dal momento della sua pubblicazione e di cui mi vergognerò proprio già fra un paio di settimane, pertanto la lettura ne è caldamente sconsigliata a chiunque ritenga il giudizio dell’autore su se stesso un buon indice del suo valore.

A.S.: ci sono state delle… ehm, difficoltà di carattere editoriale, per cui il post si vedeva una lota. Ringraziate Wordcess per iPhone]

In linea di massima la possibilità di scegliere è una cosa che le persone apprezzano. Più generalmente si può dire che le persone non sono contente quando viene negata loro la possibilità di scegliere, ma il succo della faccenda resta sempre: scegliere è meglio che non scegliere.

Fermo restando questo, la pressione della scelta non è cosa che tutti possono sopportare, tanto è vero che alcuni la rifuggono, credendo di preferire l’effimera quiete dell’inerzia alla responsabilità del cambiamento.

Di fronte alla scelta, questi individui deboli e codardi si rifugiano nelle piccole cose cercando una distrazione che giustifichi la loro inadempienza, trovano conforto e protezione nell’alienazione che può dar loro una canzone sofferta ascoltata al caldo delle coperte o la lettura di un giornale immersi nel mondo ovattato delle fragranze di un bar alle prime ore del mattino.

Sono persone che cercano di nascondere il mondo alla propria percezione attraverso la falda bucherellata di un cappello estivo o la ripetitiva certezza di uno schermo, persone che, troppo spaventate dalla quantità di realtà da cui sono circondate per affrontarla tutta insieme, cercano di non vedere ciò che potrebbero avere per non dover scegliere di prenderlo: meglio guardare il pavimento che rischiare di desiderare il cielo.

Può sembrare che si perdano, assordati dal tintinnare delle monete che contano assorti per appropriarsi di un altro momento di distacco, accecati dalle luci del carosello di finzione a cui si dedicano con tanta dedizione, insensibili al grido d’aiuto di un futuro sprecato eppure così accorti al benessere di un mondo stilizzato in cui non potrebbero comunque riconoscersi; in effetti spezzettano la propria esistenza, vivono ogni momento per se stesso, dedicandosi ad un’attività solo fintantoché non sono costretti a scegliere se continuarla; tra un accordo sporco ed un acuto strozzato si trascinano verso la sera e su quest’ultima si adagiano, distrutti, offrendosi al mondo in tutta la loro ignavia, nel triste vorticare di una porzione di spaghetti in brodo virtuale, traendo un sospiro di sollievo al pensiero di tutte le scelte che non hanno dovuto compiere.

Eppure, triste ma vero, in realtà sono ben consci di stare scegliendo con grande dovizia, un rinvio alla volta, la strada della loro disfatta.

 

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