Capitolo VI: Non accettare caramelle dagli sconosciuti

postato il 2 Set 2011 in Giocoaperitivo
da Banshee

Andrea non avrebbe mai potuto neanche sognare, nella sua mite vita di tutti i giorni, di doversi ritrovare a fare i conti con gli errori del più temerario dei suoi avi. Per giunta in una situazione così macabra e paradossale, nella quale era giunto persino a rinnegare e dubitare del primo fondamento dell’approccio con il diverso: la coscienza del proprio essere.
Così, in quel momento, avrebbe potuto asserire solo di trovarsi in una sorta di studio insufficientemente illuminato da un’abat-jour e da una finestrella dal vetro opaco, circondato da una decina di volti sconosciuti di uomini tanto anziani quanto apparentemente eruditi ed intenti ad osservarlo. Aderbale era riuscito ad estorcergli la verità intorno al luogo dove si trovasse l’agognata collana, ma a chi avrebbe giovato quest’informazione? Andrea fin ora non ne era neanche lucidamente a conoscenza, dal momento che la verità era sepolta nel suo inconscio corrispondente all’anima del nonno misteriosamente defunto. Come avrebbe dovuto muoversi? Aveva appena consegnato un prezioso tesoro nelle mani di inaffidabili sconosciuti? Se fino a quel momento aveva deciso di fidarsi del “Capo della confraternita degli Astrologi”, ora iniziavano a sorgergli innumerevoli dubbi.
Mentre il nostro protagonista si tormentava con quesiti di questo genere, entrò nello studio una donna dagli arruffati capelli bianchi ed il volto segnato da profonde rughe, che prese a fissarlo con sguardo spiritato, incuriosito eppur serissimo. Senza dire una parola si avvicinò lentamente a lui e, sorridendogli garbatamente, gli afferrò saldamente il polso per poi stendergli il braccio ed iniettargli in una vena, con una piccola siringa che teneva nascosta nell’altra mano, un dosaggio sub anestetico di quel che si può definire “siero della verità”. Andrea entrò subito in uno stato di para ipnosi, sudando freddo e avvertendo lievi e incostanti palpitazioni dettate dalla paura. “Se questi uomini fossero stati davvero interessati a sapere solo dove si trovasse la collana per nobili fini, non avrebbero indugiato oltre … ” : questo fu l’ultimo pensiero che gli stava scivolando nella mente prima di mettere a tacere la coscienza.
Aderbale aspettò pochi minuti per poi iniziare ad estorcere, a quella mente ricca di aneddoti e conoscenze del passato miste a quelle del presente, le vicende del passaggio della collana dell’immortalità dalle mani di Muzio (tale era il vero nome del nonno di Andrea) alla cassaforte del Palazzo Centrale dello Stato.

Così, sfruttando la propria persuasiva capacità dialettica, disse con il più pacato dei toni: “In questo momento tu sei vulnerabile e pronto a rivelarmi ogni dettaglio di cui ti domanderò. Neppur più un corpo possiedi, Muzio, ed ingannare il tuo giovane ed ingenuo nipotino è stato tanto semplice quanto la sua reazione scontata e puerile, e tutti l’avevamo già previsto. Non sono qui per parlarti di come io e le altre menti eccelse che mi circondano adopereremo quel che era il tuo prezioso gioiello, ma sappi solo che il possesso del suddetto coronerà centinaia di anni di ipotesi, studi ed infiniti calcoli. Risponderai a tutto ciò che ti chiederò pur andando contro i tuoi princìpi, è così?”

La voce di Andrea rispose: “Certo, sì.”

Compiaciuto, Aderbale continuò: “Ottimo, non mi sarei capacitato di una risposta contraria. Dal momento che tra un’ora e quarantotto minuti ti risveglierai e cesserò di avere il totale controllo della tua mente, mi affretto a chiederti quanto più. Bene, dunque, come entrasti in possesso della collana? Illustrami le dinamiche dell’evento, immagino fu un giorno speciale per te, di certo ricorderai molto.”
Fissando il vuoto davanti a se, l’ipnotizzato Andrea asserì: “Era il 25 aprile del 1893. Mia sorella Teresa, costretta a farsi monaca di clausura all’età di 18 anni, per merito, devozione e sacrificio era diventata la madre superiora del monastero. La precedente direttrice le lasciò in eredità la collana dell’immortalità -non ritenendo di poterla usare per scopi personali poiché aveva fretta di raggiungere il Signore e la beatitudine eterna- che custodì per soli due mesi poiché le minacce di morte ed i ricatti anonimi che riceveva quasi quotidianamente tramite missive portate da colombe notturne erano troppe. Sull’orlo della depressione mia sorella m’inviò una lettera nella quale mi disse che avrei dovuto farle il favore più grande della sua vita: custodire la collana al posto suo, anche dal momento che non considerava nessun’altra monaca all’altezza dell’incarico. All’alba di tre giorni successivi l’avrebbe gettata dalla finestra ed io sarei dovuto trovarmi lì per raccoglierla. Così feci. Tornato a casa la misi del baule dei gioielli di mia moglie, che conservavamo sotto il mucchio di vecchi manuali nel solaio, il punto più alto e inaccessibile della casa …


mi gira molto la testa … il solaio … l’almanacco di botanica, sul cofanetto … mi sento mancare … le chiavi … il letto …”

Andrea sembrava star fissando un ricordo con gli occhi sgranati, le labbra improvvisamente serrate in una smorfia di inquietudine, un braccio tremante ed il respiro affannoso tipico di un matto sull’orlo di una convulsione nervosa.
Aderbale, per niente scosso dalla reazione del giovane, cercò di mitigare la situazione in modo diplomatico: “Ecco, qui arriva la parte interessante. Su, da bravo, raccontaci della sparizione della collana e tra poco sarà tutto finito, ti lasceremo tornare alla tua vita e di aver fatto la nostra piacevole conoscenza ti parrà solo un sogno. Lo facciamo perché la scienza senza questo campione non avrebbe più possibilità di uscire dalla fase di stallo in cui si trova. E sai perché ci preme tanto ottenere proprio quella collana? Perché un tempo era nostra, e contiene l’unico esemplare di perla classificata da noi, nel ‘400, “Lambit S+”. Ci fermammo a capire che fosse introvabile in natura ed attribuimmo a combinazioni astrali il suo potere, quando oggi con il progresso scientifico potremmo razionalizzare il suo processo di conservazione della vita e analizzarne la composizione con precisione impeccabile. Ora ci dirai cosa ricordi fino alla sua perdita”.
Superato il panico, dopo una leggerissima iniezione di pochi millilitri di estratto di Valeriana in soluzione, Andrea proseguì con la sua estrema confessione in stato ipnotico: “M-m-mi svegliai di soprassalto alle 5 del mattino, bussavano insistentemente alla porta e così andai ad aprire. Ricordo che avevano dei volti così scuri … entrarono d-dicendo di essere della polizia e di dover fare un’urgente p-perquisizione . Io chiesi chi fosse stato a denunciarmi e dissi che ero un uomo pulito, che non avevo nulla da nascondere. Senza darmi retta proseguirono inoltrandosi nella mia dimora, e più sicuri di quanto non lo sarei stato io stesso se avessi voluto dare un’occhiata al mio patrimonio, si fiondarono su per la rampa di scale di marmo e raggiunsero il s-solaio. Aprirono il baule di mia moglie, che ignara di tutto dormiva come una lattante al pianterreno, rubarono la preziosissima collana che avevo in affidamento dal monastero e, dicendo che l’avrebbero dovuta custodire loro, la portarono via in fretta e furia.”
Aderbale annotava su un quaderno rilegato ogni singola parola che usciva dalla bocca della vittima di quella manipolazione. Sperando che la caducità dell’effetto del siero fosse simile alla ripresa dei sensi e la vividezza delle immagini oniriche verso il risveglio, esordì: “Non può finire così. Come sei venuto a conoscenza dell’attuale posizione del nostro gioiello? Com’è finita nello scrigno dello Stato? Presto andiamo, che l’effetto sta per svanire e di ulteriori sieri siamo a corto”
Andrea, che stava già riprendendo il controllo motorio di qualche articolazione, rispose: “In sogno. Dormii molto profondamente quella notte, perché tutto il giorno avevo ricercato informazioni sulla fonte principale del saccheggio in giro per la città, e mi ero dannato l’anima senza trarne alcuna conclusione. Avevo sognato il Palazzo Centrale dello Stato, ed una ragazzina che vendeva succo di limone in un piccolo chiosco proprio lì, quasi annesso alla porta principale. Vidi me nel sogno, dall’esterno come se mi trovassi in un quadro, mentre intingevo una stilo in un bicchierino di quell’aspro succo … allora ai primi chiarori dell’alba mi destai e corsi verso quel Palazzo, e lì dove nel mio sogno c’era il chiosco trovai una parete liscia e linda. Accesi un fiammifero per illuminare meglio quel che avevo intorno poiché a quell’ora del mattino di luce ce n’era ben poca. Notai subito che su quella parete all’avvicinarsi del mio fiammifero si scuriva qualcosa in modo discontinuo, non come quando bruci dell’intonaco, ma ecco si formavano dei simboli. Allora intuì che fosse inchiostro simpatico. Qualcuno aveva scritto un codice su quella parete, e si era servito solo di succo di limone per non attirare l’attenzione dei passanti all’indomani. Doveva essere un piano ben calibrato, ad ogni modo entrai e … sì, ricordo, salii le scale verso le sale private contenenti gli archivi. Avrei voluto tentare di arrivare alla cassaforte … fu temerario da parte mia, che sono un uomo così abitudinario … ma sragionavo per quel gioiello, per il suo luccichio, per la responsabilità del suo possesso. Spinto dalla fiducia che avevo nel vivido sogno di quella notte, stavo per consegnare il codice che avevo letto sul muro ai due funzionari di guardia per le porte del tesoro, quando qualcuno mi sparò alle tempie, alle mie spalle.”
Queste furono le ultime parole che Muzio pronunciò attraverso suo nipote, al che il suo corpo di quest’ultimo si svegliò e riprese coscienza, ora ignaro del vero carattere di quell’incontro e delle intenzioni di Aderbale. Quest’ultimo continuò a persuaderlo del fatto che il gioiello servisse a lui e agli altri per combattere la corruzione dello Stato e le scorribande dei pirati, persistendo nell’inganno. Quando il portavoce del gruppo degli eruditi si alzò, seguito dagli altri, si congedò dicendo: “Andrea, dobbiamo consultarci intorno le misure da prendere per affrontare la faccenda alla luce di queste nuove informazioni. Spero tu possa capire e attendere qui fino al nostro ritorno, che sarà al massimo tra una mezz’ora. Fuori c’è un mondo pericoloso, lo facciamo per te, qui sei al sicuro”.

La porta si chiuse alle spalle dell’ultimo uomo barbuto, e Andrea ci mise qualche ora a rendersi conto di esser stato ingannato e abbandonato in uno stanzino con scarso ossigeno e la porta blindata.

* * *

Salve! Non rispolveravate questo racconto da un po’ di tempo, eh? Spero vi piaccia questa mia versione dell’avventura o che almeno abbiate apprezzato il mio tentativo di continuarla! Gli altri capitoli mi sono piaciuti moltissimo, quindi mi sono proprio divertita a scriverne il VI.

Per i prossimi autori, gli argomenti saranno:
La malattia
La rivalsa
La solidarietà

Per veri arditi – parole e digressioni:
Psicolabile
Acme
Etilico
Placido
Strudel
Marino

Proprio per chi non ha altro da fare nelle sue giornate e vuole dimostrarsi eroico:
Far sì che il titolo sia un palindromo molto personalizzato. Nel senso che dev’essere un neologismo coniato da voi!
Scrivere tutto il post adoperando solo parole contenenti un massimo di tre vocali

 

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