L’UMANITA’ VIAGGIA

postato il 11 Set 2011 in Main thread
da Viandante Solitario

L’umanità viaggia come

pagine sparse al vento

nelle notti invernali

e quando i sentieri

si incontrano sui monti

il solitario cammino

la salita abbandona.

E nell’abbraccio del cielo

l’uomo trova se stesso.

15 commenti to “L’UMANITA’ VIAGGIA”

  1. avatar ad.6 ha detto:

    Allora, vediamo… Mi è sorta una domanda alla quale tu forse puoi rispondermi, essendo addentro alla cosa.
    Cosa distingue, oggi, la poesia da una buona prosa?
    La questione è quella di capire se la distinzione è puramente grafica (l’andare a capo), se risiede tutta nell’inversione dell’ordine delle parole (la salita abbandona) o se c’è altro.

  2. avatar Viandante Solitario ha detto:

    Innanzitutto bisogna dire che le differenze tra poesia e prosa sono essenzialmente due: la metrica e la liberà grammaticale.
    La metrica si basa sulla misura del verso (sillabe ed accenti). Un verso in metrica ha una potenza evocativa maggiore rispetto ad un verso ametrico (un verso ametrico che segue una sua logica e non è un andare a capo senza motivo è un’altra storia) perché questa scandisce un ritmo che rende musicale la poesia (es. “quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”, Foscolo).
    Per quanto riguarda la grammatica, il poeta da una parte gioca con la struttura della frase, dall’altro invertendo il posto di determinati termini aumenta la potenza evocativa della poesia.
    Per quanto riguarda i nostri giorni, il discorso cambia. Senza dilungarmi troppo dirò che ho assistito alla lettura di una poesia durante la premiazione di un concorso. Per come la vedo io, la crisi della poesia non è dovuta solo alle case editrici che non sono seriamente interessate alla poesia, ma anche ai poeti che non sanno più scrivere poesie.

  3. avatar freeronin ha detto:

    Butto lì che l’elemento caratteristico della poesia possa essere proprio lo sforzo di essere evocativa, più che descrittiva, di comunicare qualcosa di più rispetto alla semplice parola scritta che ne rappresenta il contenuto. Poi, a seconda delle epoche e delle poetiche, si è creduto di poter assolvere a questa funzione con diverse tecniche, che possono essere tanto la metrica quanto l’assenza di metrica, tanto l’andare a capo quanto lo scrivere vicino al disegno di un palombaro, eccetera.
    In particolare, non penso che si possano bollare il verso libero o i versi sciolti, quindi buona parte della poesia del Novecento, come non-poesia o poesia poco evocativa.

    Poi mi pare che, in fondo, una buona (nel senso tradizionale del termine) prosa italiana abbia ben poco in comune con una qualsiasi poesia, anche moderna.
    La confusione è creata più che altro da una certa prosa, oggi molto diffusa, che, cercando di essere suggestiva, usa espedienti simili a quelli della poesia e/o della retorica (abolire il punto e virgola, spezzettare la frase per dare risalto a una certa parola, costruire periodi di una sola parola o paragrafi di una sola frase…).
    E, non so, forse questo ci porterà (con buona pace di Alessandro Manzoni) a dover ripensare e mettere in discussione la stessa distinzione tra poesia e prosa.

  4. avatar Viandante Solitario ha detto:

    Per quanto mi riguarda, io non bollo niente, anzi, io ho iniziato scrivendo senza metrica e credo che alcune poesie valgano come altre in metrica. Se si legge bene il mio commento io distinguo un verso ametrico con una “sua logica” ed il semplice andare a capo. Vorrei che voi leggeste una certa Anna Ruotolo, poi mi fate sapere.
    Per quanto riguarda la distinzione tra poesia e prosa, secondo te(voi) bisogna ripensarla oppure no? La mia risposta è no, ma tot homines quot sententiae.

    P.S Non è detto che la poesia del Novecento non segua la metrica. Anzi, viene nascosta molto bene mediante una certa regola.

    Es. M’illumino
    d’immenso.

    Questa poesia che conoscete tutti è in metrica oppure no?

  5. avatar freeronin ha detto:

    Allora mi fa piacere che siamo d’accordo: tu intendevi dire che solo il verso ametrico “che va a capo senza una logica” è meno evocativo, io avevo capito che parlassi del verso ametrico in generale.
    Però c’è una cosa che mi ha mandato in confusione e che ancora non ho capito: pensi che la metrica sia un elemento essenziale per distinguere la poesia dalla prosa o pensi che non lo sia?
    Hai detto che una differenza tra poesia e prosa è la metrica (l’altra è la libertà grammaticale), cioè che nella prima c’è la metrica, nella seconda no. Quindi il verso ametrico (con o senza logica) non è poesia? O è poesia? Ma se anche quello è poesia (come io penso che sia), allora la metrica non ci aiuta a distinguere la poesia dalla prosa, perché ci sono poesie senza metrica. Possiamo dire che un verso metrico è sicuramente poesia, ma non ci basta affatto.

    Per rispondere alla tua domanda, io non penso che, allo stato dell’arte, bisogni ripensare la distinzione tra poesia e prosa, anzi, penso che la cosa migliore sarebbe ritornare a una prosa che sia completamente prosa (insomma, non a Manzoni, ma a Calvino sì) e a una poesia che non vada a capo senza una logica. Però non sono io a comandare gli sviluppi della lingua italiana e penso che in futuro questi cambiamenti potrebbero esasperarsi e rendere necessario ripensare la distinzione.

    P.S. Premetto che io ho parlato di “buona parte” della poesia del Novecento.
    Ma, in ogni caso, io penso che la poesia che citi tu continui a non essere una poesia in metrica, proprio perché la metrica del settenario è stata volontariamente decostruita per farne un verso libero, altrimenti che senso avrebbe avuto andare a capo? Se vai a capo, il settenario semplicemente non c’è più.
    Poi, vabbè, c’è una poetica, come, ad esempio, quella futurista, che bandisce completamente la metrica…

  6. avatar Viandante Solitario ha detto:

    Per rendere il mio punto di vista più chiaro ho citato una certa Anna Ruotolo, ma dato che non so se hai letto qualcosa su internet, ti dico che lei è l’emblema della crisi della poesia. Lei non scrive in metrica, non segue nessun canone (e non sta in questo la sua mediocrità) ma, così facendo, la sua poesia sembra (è) una prosa versificata. Uno pensa: “Vabè, non punta sulla forma ma sulle immagini” ed è effettivamente così, peccato che le sue immagini siano insipide, intrise di moccismo e buonismo. Scrivere una poesia senza metrica è pur sempre una tecnica, ma se uno non è capace di usarla allora non deve farlo.
    Per quanto riguarda la poesia di Ungaretti che ho citato, è una poesia in metrica poiché viene usata una tecnica, la “frantumazione del verso”, che spezza il verso metrico in due sezioni. Questa tecnica più che rendere libero il testo vuole nascondere la metrica, poiché ci si è resi conto che Marinetti, non fornendo un’alternativa valida, ha fatto più danni che benefici.

  7. avatar Mario93 ha detto:

    Ciao, scusa ma non ho capito: la tua poesia in che metro è?
    Scusa l’ignoranza xD

  8. avatar Viandante Solitario ha detto:

    Sono ottonari :)

  9. avatar Azazello ha detto:

    Lungi da me risultare invadente o irritante o offensivo o qualsiasi cosa negativa, ma mi preme dire che come ottonari sono un po’ traballanti. Con un po’ di sforzo di immaginazione e di pronuncia forse tutti possono diventarlo, ma in linea di massima fai conto su dieresi e dialefe che non ci stanno o sarebbe molto meglio che non ci stessero. Senza entrare nel discorso delle due lettere uguali in fine e inizio di parola (si incontrano, salita abbandona, notti invernali) che in genere suonano meglio unite, ma sono appunto più o meno flessibili, dittonghi come l'”uo” di “uomo” e l'”ie” di “sentieri” non andrebbero spezzati perché la vocale debole si pronuncia molto poco e devi fare un certo artificio anche solo per leggerlo (ad alta voce) come l’hai usato lì. Non sono sicuro che sia considerabile un errore, ma da una lettura fluida è più facile che venga fuori come dittongo normale che come dieresi.

    Oltre a questo ci sarebbe l’accentazione che è un po’ a caso. Non so se negli anni sia cambiato, ma l’ottonario tradizionale vuole l’accento ritmico sulla terza e sulla settima sillaba, e come tutti i parisillabi prevede una lettura abbastanza ritmata. “l'(ù)manità viaggia”, “pàgine spàrse”, “e quàndo” (dando per scontato che non ci sia l’impensabile dieresi fra QU e A), “ìl solitàrio”, “È nell’abràccio”.

    A essere sincero, con le ambiguità che ci sono (tutte o quasi propendenti verso l’unione piuttosto che la divisione che servirebbe a te) e gli accenti disuguali, il ritmo è più quello di un testo in settenari che non in ottonari. Cambiando i tre versi irrimediabilmente di 8 sillabe secondo me suonerebbe meglio. Non che ti stia dicendo di cambiare una poesia finita che, per carità, è bella così, ma… ritmicamente, se vogliamo, penso che abbia questi difetti.

  10. avatar Viandante Solitario ha detto:

    L’ottonario tradizionale (vedi Lorenzo de’Medici) ha come tonica fondamentale solo la settima. L’ottonario a cui ti riferisci nasce con Carducci e cambia ancora con Pascoli. (Forse non è un caso che l’andamento di questa poesia ti ricordi più un settenario che un ottonario, dato che io scrivo essenzialmente in settenari, ottonari e novenari.) Per quanto riguarda gli accenti, dieresi e dialefe la vediamo in modo diverso; per te in molti casi sono delle scelte deboli e poco efficaci, sintomo di una poetica “traballante”, immatura ed in fieri; per me sono degli esperimenti, un’opera di “ricostruzione” che cerca di far fronte all’annichilimento metrico e poetico di Marinetti (sia chiaro, per me Marinetti è un autore molto interessante, la sua pecca sta nel non aver fornito un’alternativa valida alla poetica classica). L’analisi classicista, indubbiamente corretta, si ferma solo alla forma senza giungere al perché certe cose sembrano messe “a cazzo”. Il mio discorso potrà sembrare un’accozzaglia di “pezze a colori”, ma le cose stanno così. Spero di aver chiarito le mie scelte.

  11. avatar Azazello ha detto:

    Guarda, io non ne faccio un discorso di intenzione. Sono sicuro che tu ti sia posto delle domande nella scrittura, e che le scelte siano frutto di un ragionamento, ma sto dicendo che a mio avviso il risultato, indipendentemente dall’intento, non mi convince. Se sono “esperimenti”, a mio avviso, per quanto concerne l’aspetto ritmico potevano funzionare meglio. Gli accenti “a caso”, sebbene non siano tali PER caso, in quanto frutto di una tua maturazione poetica e metrica (cosa che non mi sogno di discutere), sono sempre A CASO nel senso che effettivamente non hanno la struttura ripetitiva caratteristica dell’ottonario, come e soprattutto piaceva a Lorenzo De’ Medici (almeno nella sua opera che più facilmente ci ricordiamo!):

    Quant’è bÈlla giovinezza,
    che si fÙgge tuttavia!
    Chi vuol Èsser lieto, sia:
    di domÀn non c’è certezza.

    Quest’è BÀcco e Arianna,
    belli, e l’Ùn dell’altro ardenti:
    perchè ‘l tÈmpo fugge e inganna,
    sempre insiÉme stan contenti.
    Queste nÌnfe ed altre genti
    sono allÈgre tuttavia.
    Chi vuol Èsser lieto, sia:
    di domÀn non c’è certezza.

    (ovviamente non ho mezzo in evidenza quello sulla penultima che tanto c’è sempre)

    Fintantoché la poesia rimane scritta questi problemi non si pongono davvero, sono fondamentalmente esercizi quasi enigmistici, ma la lettura a voce alta evidenzia queste “scomodità”, se non vogliamo dire “difetti”, che, almeno per la mia personalissima e abbastanza classica opinione in merito, spezzano la lettura. La cosa non è nemmeno un difetto di per sé, ma, sempre personalissimamente, ritengo che una poesia come questa, evocativa e suggestiva, dovrebbe far concentrare il meno possibile il lettore sulle irregolarità del ritmo, e anzi accompagnarlo con una metrica cadenzata e più o meno regolare. In questo senso dico “traballante”: che POSSANO essere ottonari non c’è dubbio, ma che per farli essere tali bisogna allungare, separare e rallentare quasi ogni verso, spesso in posti dove non ci verrebbe di farlo leggendolo normalmente, è altrettanto vero e, sempre secondo la mia personalissima opinione, poco adatto al contenuto della poesia.

    Senza nulla togliere al fatto che mi sia piaciuta! semplicemente sono un po’ fissato su questo argomento e ho un gusto per così dire antico che mi porta a vedere come difetti cose che magari non lo sono dal 1800!

  12. avatar Viandante Solitario ha detto:

    “Dònne e giovinètti amànti,
    viva Bàcco e viva Amòre!
    Ciascun suòni, balli e cànti!
    A’rda di dolcèzza il còre!”
    (Quant’è bella giovinezza, L. de’Medici, vv.53-56)

    Se l’ottonario con terza e settima tonica a Lorenzo piacevano sì tanto, allora questi versi gli fanno senz’altro schifo!
    Come ho detto nel commento precedente, ho ben capito che è una questione di gusti e “de gustibus non disputandum est”. Probabilmente se tu fossi stato un poeta/lettore dell’epoca, leggendo Rimbaud ed il verso libero in Baudelaire, avresti detto: “Ma che è sta’ roba!!”, poi magari questi due ti rivoluzionano la poesia mondiale.

  13. avatar - ha detto:

    Per amore dei cavilli, e per il salvataggio della cultura, Baudelaire NON usava il verso libero. Peste dei traduttori, il suo verso era l’alessandrino, e per di più spesso in rima baciata. Esempio un po’ sbagliato, perché Baudelaire, pienamente apprezzabile -come un po’ tutti i poeti, ahimè- nella SUA lingua, era un vero e proprio fanatico della metrica. In realtà i “maudits” erano ordinati nella metrica tanto quanto si proponevano di non esserlo nei contenuti… basti vedere “Voyelles” -vocali- di Rimbaud. Detto questo, da intruso, mi ritiro e non esprimo giudizi. Giusto una nota a margine!

  14. avatar Viandante Solitario ha detto:

    Non dico che Baudelaire scrive in versi liberi. “I fiori del male” sono per la maggior parte sonetti, ed un sonetto ha uno schema particolare molto lontano dal verso libero. Che prediliga il verso alessandrino è risaputo, e non dico che lui scrive in versi liberi; dico solo che Baudelaire ha usato il verso libero. Ti citerei il passo, ma non ricordo dove l’ho letto.

  15. avatar - ha detto:

    Mh. Sospendo il giudizio, ma avendo letto tutto di Baudelaire vorrei avere la citazione del verso, non ricordandolo io personalmente. Non per sfiducia generica, ma perché so che era un tipo metricamente equilibrato tanto quanto non lo era di cervello: metteva in rima le intestazioni delle lettere -sonetto in ottonari-. E sì, sempre per amor di cavillo! XD

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