Capitolo II: Non mangiare curry quando vieni rapito dai pirati

postato il 21 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da ad.6

Andrea si diede da fare, nonostante la sua più che giustificabile inettitudine ai lavori manuali, nobile e spesso dannosa qualità dei giovani della sua età e del suo tempo. Ciononostante, fin dai primi giorni seppe dimostrare, vuoi per spirito di rassegnazione, vuoi per un insperato senso del dovere, cosa impossibile in una situazione diversa da quella, una discreta operosità ed una più che discreta capacità di apprendere, il che lo portò a scalare in fretta i più alti vertici del potere su quella nave volante: da che aveva dovuto lavorare come un forsennato strisciando per terra assieme al panno lercio che Maria gli aveva gentilmente gettato ai piedi, adesso poteva contare sull’ausilio di una stortissima mazza di scopa, tra l’altro impossibile da impugnare. Questa è la dura legge del mare, se di mare possiamo parlare.

Fu così che nei primi giorni di “viaggio” Andrea ebbe tanto da lottare contro la fatica, la sporcizia, gli improperi della vecchia e dell’equipaggio, l’inarrestabile beccheggio cui la nave era costantemente sottoposta e la propria malcelata volontà di non sapere, da non poter pensare ad altro. Fu solamente nei secondi giorni, quelli che seguirono alla sua acquisizione di potere, che poté finalmente tornare a ragionare.

«Cosa sto facendo? Dove mi trovo? Quanto tempo è passato? E come si impugna questa scopa?», questi i pensieri che lo assalirono non appena si riscosse, subito seguiti da «Ed ho una fame incredibile! Cosa mi hanno fatto mangiare in questi giorni?». Gli ci volle un poco per ricordare di essere stato nutrito, abusando abbondantemente del termine, con pezzi di formaggio ammuffito e gustosa acqua. Capì subito perché gli era stato così difficile ricordare e decise di non farlo mai più.

Approfittò allora della ritrovata coscienza e fece il suo primo giro di perlustrazione per la nave. Dovevano essere le tre del pomeriggio e sul ponte aleggiava una brezza calda e tranquilla che portava con sé nient’altro che la propria voce sommessa ed un lieve odore salmastro: tutto taceva, fuorché la brezza, ovviamente. Andrea iniziò a camminare sulle assi di legno quasi luccicanti e si diresse verso il bordo della nave, verso il cielo, ed una volta giunto vicino alla grande fune che reggeva uno dei quattro immensi palloni aerostatici che egli immaginava sorreggessero l’imbarcazione sporse cautamente la testa verso il basso. Il vuoto. E poi il mare infinito, sì, ma principalmente il vuoto. Si ritirò immediatamente affannando, immobilizzato dalle forti vertigini di cui aveva dimenticato di soffrire. Chiuse gli occhi cercando di pensare ad altro e proprio in quel momento un po’ come beffa, un po’ come aiuto, arrivò lontano e sicuro uno stonatissimo accordo di chitarra (come tale la riconobbe il nostro giovane amico) immediatamente seguito da una voce baritonale che cantava fiera: «Bella, sì, bella la vita sui maaaar / la peggior cosa che può capitar / è che s’impari perfino a nuotar! / Bella, sì, bella la vita sui maaaar! / Gi-ro-diii-chiglia no! Gi-ro-diii-chiglia sì! / Tanto è uguaaal! / La vita sui maaar!» Andrea, se forse non fu rincuorato da questo orgoglioso motivetto, ne fu almeno divertito abbastanza da poter abbandonare anche quella recentissima esperienza, per quanto possibile, nel luogo dei ricordi da non ricordare. Proseguì così la sua ispezione, sempre restando ad una distanza più che apprezzabile dal baratro, passando accanto al marinaio che poco prima lo aveva aiutato e che adesso discuteva animatamente, russando, con la brezza. Teneva tra le mani una chitarra di fattura assolutamente industriale, molto malridotta e priva di una corda, ed accanto a lui una ciotola di latta che ancora ricordava, affamata, il pranzo che le era stato tolto avidamente di bocca.

«Povera ciotola», pensò Andrea quasi, irragionevolmente, allegro. Continuò allora la sua perlustrazione della nave, da prua a poppa, che chiaramente in poco tempo fu del tutto esaurita, dato che, come si può ben immaginare, Andrea aveva escluso dal suo itinerario il bordo della nave ed ogni cosa adiacente a questo nel raggio di 3 metri, ogni albero, gli interni e la zona al centro del ponte che ospitava un vuoto cui ancora non era pronto, si diceva. A dire il vero ci fu una parte della nave che egli non visitò pur non avendola esclusa: le ali, elementi che per posizione ed accessibilità non avevano bisogno di essere esclusi da lui per risultargli inaccessibili, ammesso e non concesso che avesse voluto salire su quella ferraglia traballante tra vento e vento, resa ancora più instabile dalla presenza di due paia di alettoni, anch’essi presenti con chi sa quale funzione, in tutto quel caos di cianfrusaglie.

«Sei di una superficialità e di una debolezza che mi fa ribrezzo. Orrore ed onta, ecco cosa sei!»

La vecchia era tornata e tra i tanti versi cui si lasciava andare si potevano distintamente cogliere solo gli insulti e gli improperi.

«Cosa diamine fai ancora lì immobile con quella scopa? Il vento dell’altro ieri ha portato tanta di quella sabbia e di quello schifo che Dio solo sa perché non lo sto maledicendo come si deve! CORRI!» ed Andrea corse. Passò il panno sulle perenni incrostature del ponte aizato dagli scongiuri della vecchia che continuava ad abbaiare contro di lui e contro il mondo, quando, senza che potesse veramente accorgersene, si ritrovò ansimante e spossato sotto il cielo del tramonto appoggiato distrutto al manico della nostra scopa (o forse era lei ad essere appoggiata a lui: la sua stortura permette entrambe le interpretazioni).

«Pelandrone! Già riposi, eh? Ma non sai quante scudisciate ti darei! Oh, se solo… Ah, eccoli! Ladri, manigoldi, avidi! Avranno ciò che si meritano!»

Inutile dire che Andrea era molto perplesso per queste ultime parole, soprattutto per il fatto che non vedeva nessuno né vicino né all’orizzonte. Guardò la vecchia. Era rimasta con lo sguardo quasi compiaciuto fisso in un punto dell’orizzonte di fronte a lei ed annuiva sicura e divertita con la testa. Stettero così immobili per qualche minuto, quasi in attesa di ciò che lei già sapeva.

«Navi in vista!» tuonò allora la vedetta rompendo il silenzio «Navi in vista ad ore nove! No, signora, navi in vista ad ore nove e ad ore due! Ma cosa… Che il cielo ci protegga!»

«E sarà il cielo a proteggerci, pivellino idiota!» lo fulminò la vecchia brutalmente. La ciurma era in subbuglio e, ora fuori di coperta correvano in giro chiedendosi cosa fare. Maria, immenso ed immobile in quel caos, era arrivato o forse era sempre stato al fianco della vecchia. «E voi, maledetti! Non vi ho raccattato dalle più lorde cloache dell’inferno per vedere questi gridolini e questi piagnistei! Tornate sotto coperta e preparate la cena speciale! Di corsa!». La voce della vecchia risuonò stentorea ed imperiosa sopra il clamore generale e Maria riuscì a sincronizzare talmente la propria composta potenza con le parole di lei, associando al “maledetti” uno sguardo indecifrabile, al “più lorde cloache dell’inferno” un nerboruto braccio teso a fermare la corsa di uno sventurato in preda al panico, al “piagnistei” l’aver sollevato da terra come un giocattolo il marinaio appena fermato e alla parola “speciale” l’averlo scaraventato contro un altro gruppo di persone poco distante di lì, il tutto in maniera talmente adeguata al contesto, da far scemare in ognuno qualunque dubbio e qualunque paura, men che quella di finire nelle braccia del candido e sovrumano Maria.

«Ragazzo, stasera mangerai con la ciurma!»

Andrea era senza parole, non capiva nulla di tutto ciò che gli stava accadendo attorno, ma la cosa incominciava a piacergli, forse. Seguì gli altri sotto coperta.

La nave volante era al centro del cielo sconfinato, sopra il mare ugualmente sconfinato, un minuscolo puntino grigio scuro nello sconfinato blu marino. Il caos era nato nei cuori dei marinai in seguito ad un’inquietante constatazione: era nato un secondo, più alto orizzonte nel cielo. Raggi che tornano, come inghiottiti, dal punto da cui provengono, tempesta che avvolge il mondo e che piove inevitabilmente contro il centro della terra, allo stesso modo una miriade di navi volanti, da ogni direzione, convergeva senza soluzione di continuità verso il centro del cielo: verso la nostra nave. Ogni veliero aveva sei palloni argentati ed ogni pallone aveva, sulla cima, una bandiera indistinguibile a questa distanza, ma chi fa questo mestiere da tanti anni vi potrà dire che quella è l’effige dello Stato, della legalità organizzata, dell’ultimo baluardo di vita sicura e calma, cose che un vero uomo non potrebbe in alcun modo volere, in un mondo normale.

Ed ecco, allora, che l’orizzonte si fa più spesso, più distinto, più vicino e, mentre il cappio si stringe attorno al collo del condannato, si fa sempre più largo, fino ad avvolgerlo tutto e a negargli la luce del sole, perché non si tocchino fibra e fibra di quella letale ed implacabile fune. Questa era la situazione fuori coperta ed il solo a poterla vedere fu la vedetta che sicuramente ne racconterà per filo e per segno tutti i particolari senza che nessuno gli creda minimamente. Sotto coperta era stato inconsciamente applicato il modo di dire “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” e si procedeva alla preparazione della cena. Questa fu pronta in una mezz’ora scarsa ed in cinque secondi scarsi si erano tutti selvaggiamente avventati sulle vivande; tutti, ad onor del vero, tranne Andrea che aveva tutti i motivi di questo mondo per non avere fame in un momento del genere, tranne Maria che evidentemente viveva del suo stesso potere, tranne la vecchia, che guardava stranamente compiaciuta Andrea.

«Ragazzo, tu sia dannato, mangia qualcosa», esclamò divertita. «Non vedi che oggi abbiamo messo da parte le gallette ed il formaggio per mangiare qualcosa di più tipico? Tie’, vai! Della carne salata di gabbiano con salsa!» e Maria presentò lesto sotto il naso di Andrea questo piatto fornito di qualche pezzetto di carne, della salsa maleodorante ed al centro un grande becco aperto in un ultimo grido di dolore post mortem. «O Dio. No, guardi, non ho fame», fece Andrea distogliendo lo sguardo. La vecchia sorrise: «Allora prenderai della carne essiccata di pellicano!» e, quasi che nella vita non avesse mai fatto altro, Maria portò sotto lo sguardo già abbastanza disgustato di Andrea un piatto pieno di filettini di carne grigiastra, tutti attorno ad un paio di poderose ali di pellicano, pronte a spiccare l’ultimo volo, invano. Andrea si portò una mano alla bocca assolutamente disgustato. La vecchia si prodigò in un sorriso sincero, malevolo e sdentato; gli occhi le brillavano.

«Eppure lo abbiamo preso apposta per te! Maria, prendogli il “suo” piatto! Gli piaceva molto, sai?»

Rapido come il lampo Maria gli aveva presentato davanti un piatto sinceramente decente, costituito approssimativamente di riso condito con una sorta di salsa speziata e giallastra, che Andrea, causa l’odore penetrante e convincente, causa l’insistenza dell’odiosa vecchia, non volle rifiutare: dopotutto non toccava cose veramente commestibili da tempi immemorabili.

Ingoiò il primo boccone. La vecchia andò in uno sdentatissimo visibilio.
«Basta! Basta mangiare, porco! Usciamo di qui! Maria, prendi il ragazzo e il piatto. E voi restate qui!»

Andrea, visibilmente adirato per una serie di motivi ovvi e giustissimi, si sentì sollevare di peso sotto lo sguardo di tutti, mentre il suo stomaco sentiva che non avrebbe toccato del cibo simile per ancora molto tempo. Sbraitando per l’irragionevolezza della vecchia e, come sempre accade, prendendosela ancor di più con l’irragionevolezza del mondo, fu trascinato fuori coperta e lì ammutolì. A zittrlo fu la scena che, ripetuta con lentezza straziante per troppi minuti, aveva già regalato la vedetta al mondo dei sogni: la nave era avvolta in un immenso ed immobile uragano di vascelli volanti che non lasciava trasparire nulla al di fuori di esso. Maria, le mani ancora occupate dai due leggerissimi fardelli, si avvicinò finalmente, al grande buco al centro della nave. Andrea tremava dalla paura, dall’orrore, dalla meraviglia, dal terrore e da una serie di altri imponderabili e più che spiegabili fattori. Maria arrivò in prossimità del bordo di quello e spinse con volontà e dolcezza Andrea verso il parapetto eccessivamente basso. La testa di Andrea era sul buco, sul vuoto e lì vi rimase, immobile in eterno, senza che il cuore facesse un battito solo. Vedeva una voragine profonda come il cielo ed ampia quanto il mare, che insieme conteneva entrambi e tutto il resto del mondo e il vuoto e il nulla. Vedeva una distesa celeste sterminata, le nuvole e gli uccelli che volavano sopra di lui e sotto le nuvole, poi sotto i suoi occhi il mare, la terra (la sua terra!) ed ancora il cielo.

«Dannazione, smettila ché mi fai venire il capogiro! Maria, presto!».
Ma Maria aveva già agito ed il piatto era stato scaraventato nell’orrido oscuro e celeste.

Accadde in un instante: gli alberi si piegarono verso il ponte, la prua verso la poppa, la nave si accartocciò su se stessa verso il baratro; il mondo, la flotta di navi, il cielo ed il mare furono respinti e sfocarono nel bianco, mentre tutto il resto, poca cosa, veniva ingurgitato. Andrea ebbe il tempo di ricordare che anche lui sarebbe dovuto morire, un giorno, e che quel giorno era arrivato; vide Maria, impassibile, vide la vecchia, la bocca distorta in un sorriso che finiva dove l’abisso iniziava.

E furono dall’altra parte.

Andrea era vivo, gli occhi di nuovo e per sempre fissi sul vuoto del precipizio, nel quale un occhio meno sconvolto del suo avrebbe notato distintamente una grandissima, per quanto non immensa rispetto al resto, colonna di vascelli, tutti immobili, tutti fermi, tutti intatti e sconvolti da fatti così incredibili.

Andrea fu preso da un forte spasmo.

«Mi sento male. Sto malissimo! Davvero, aiutatemi!»

E la vecchia rise di gusto: sapeva che il ragazzo non era afflitto da un dolore fisico e che quest’ultimo non era dovuto a quel salterello nel vuoto.

«Questo è quello che volevo! Questo! Figlio d’un cane ed io so di cos’altro! Adesso che hai mangiato non potrai tirarti indietro! Restituirai la collana che sottraesti a me e la vita che sottraesti a tuo nonno! Forse stavolta riusciremo a farti morire una volta per tutte. Insieme!»

*   *   *

Per cominciare mi scuserei non con gli eventuali lettori che, insomma, se leggono certe cose un po’ di colpa avranno, ma con gli autori che, volendo postare su questo argomento dopo di me saranno costretti a sorbirsi questo interminabile elenco di stramberie!
Ok, passiamo alle cose serie.

Gli argomenti:

La giovinezza

La guerra

Il crepuscolo

Per veri arditi – Parole e digressioni:

Lavanda

Colonizzazione

Il Verbo

Zeugma

Pinolo

Per eroi votati alla morte:

Scrivere tutto senza nominare mai Andrea e Maria (easy mode)

Scrivere tutto solamente con soggetti sottintesi (hard mode)

Come Azazello anch’io sconsiglio di seguire ciecamente la via dell’eroismo , soprattutto se così facendo si rinuncia alla fruibilità e più generalmente alla godibilità del testo.

2 commenti to “Capitolo II: Non mangiare curry quando vieni rapito dai pirati”

  1. avatar Azazello ha detto:

    Come ho già detto: bello! bello e divertente! ti dirò che mi è piaciuto così tanto che potrei leggere tutto il prosieguo della storia fatto solo da te. In particolare ho apprezzato la cosa del vuoto (che nella mia testa era solo un accesso per un montacarichi), l’evoluzione del personaggio di Maria (a cui ho dato un nome per sbaglio, ma non ho mai sbagliato così bene) e l’immortalità di lui (nella mia testa era un’altra cosa, ma non lo scriverò qui perché sarebbe sbagliato)

  2. avatar ad.6 ha detto:

    Grazie mille^^! In effetti per l’immortalità avevo pensato ad un’altra cosa più deducibile, in qualche vago modo, dalla prima parte della storia, ma poi ho pensato che una cosa del genere sarebbe stata ugualmente interessante!
    Ah, per quanto riguarda la latta: l’ho aggiunta ed è lì, ferma ed affamata sotto forma di lega.

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