Autore: Vobby


Biografia


Contatti

MSN:


Tutti i post di Vobby


Segni di pace

postato il 8 Gen 2013 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

In natura come in civiltà, la velocità è strumeto di offesa e difesa.
L’evoluzione ha prodotto predatori sempre più specializzati nell’eseguire rapidissimi scatti e agguati, o capaci di estenuanti inseguimenti, tali di sfiancare la più caparbia delle prede. Allo stesso modo queste ultime, le vittime designate di leoni e lupi d’ogni genere, hanno preso a correre sempre più in fretta per conquistarsi il loro diritto all’esistenza.
La proverbiale prova di forza cui le specie sono continuamente sottoposte assume sempre più spesso, nel corso delle ere, le sembianze di una fatale gara di velocità.
Specularmente, gli stati e gli imperi militari si fronteggiano misurando le loro possibilità d’offesa in termini di rapidità d’attacco e contrattacco.
Dalla rapidità di manovra che decretava le vittorie dei legionari si è passati alla travolgente carica di cavalleria, all’inarrestabile volo del proiettile, alla Blitzkrieg, alla first strike capability, ai caccia supersonici.
Che tu sia predatore o preda, invasore o invaso, dalla rapidità dei tuoi colpi e dalla reattività delle tue difese dipenderà la tua sopravvivenza.
Esiste tuttavia una creatura che osa sfidare l’ineluttabile destino della velocità. Non le chiocciola, animale ancestrale e inevoluto, residuo di epoca in cui il falco e il ghepardo erano ancora di là da venire.
Niente di tutto questo; esiste oggi un animale che ha scelto di sottrarsi alla tirannia della corsa, evolvendo il suo corpo e le sue abitudini in una direzione radicalmente ostinata e contraria.
Questo glorioso pigrone non ha certo guadagnato la sua vita fuggendo più velocemente di altre prede, no, tutt’altro, egli si è completamente sottratto alla tenzone stessa, allontanandosi il più possibile dal terreno di gara, difendendosi dai predatori semplicemente vivendo il più possibile lontano da essi, opponendo loro, se proprio necessario, una resistenza esclusivamente passiva.
Scegliere la pace significia scegliere la lentezza, e viceversa. Questo è il sentiero del bradipo.
Più del pacifismo nella società, che solo a fatica riesce ad andare oltre la testimonianza della possibilità di scelte diverse, e che pur sempre si misura in contese all’interno dell’agone politico, il bradipo, nella natura, esprime il successo della pratica della quiete, della serenità e della placidità.
In occasione del nuovo anno, scambiamoci bradipi di pace.

Lo scioperato o la riappropriazione del capitale finanziario

postato il 21 Nov 2012 in Main thread
da Vobby

Guidati dal valoroso ******, detto il Rosso, famoso rivoluzionario di professione, il folto gruppo di Minatori si appropinquava alla casa di *****, noto Scioperato.
Era costui un individuo davvero particolare, che aveva scelto di vivere ai piedi di una collina, ai margini della civiltà, a causa di alcuni problemi di socializzazione: non si spiegava affatto perché la gente si ostinasse a lavorare qualcosa che non fosse la terra. Ai suoi occhi, in effetti, niente di diverso dal cibo, dal sonno o da altri bisogni basilari era degno di nota.
Il Rosso era amico di vecchia data della famiglia dello Scioperato, che si era distinta per alcune eroiche imprese compiute nei tempi andati, come quando diversi suoi membri di erano impegnati per scacciare dall’estremo occidente le multinazionali del carbone o in occasione della temibile invasione degli Sciacalli, avvenuta in seguito all’esondazione del fiume orientale, cui opposero strenua resistenza.
Le intenzioni del Rosso furono subito chiare: il suo proposito era di reclutare lo Scioperato in un’azione rivoluzionaria di cruciale importanza, destinata a cambiare le sorti della regione. Si trattava di una missione che sarebbe stata svolta da soli avanguardisti scelti, ovvero il gruppo dirigente del sindacato dei Minatori, il Rosso (la cui presenza era però richiesta anche su altri fronti di lotta) e lo Scioperato stesso.
Quest’ultimo, in principio, era piuttosto scettico: non aveva mai avuto remore nel vantarsi dell’eroismo dei suoi antenati, ma non ne aveva mai dato prova egli stesso. Il Rosso, tuttavia, insisteva nel volerlo includere, mosso da un’inspiegabile fiducia in lui.
Il richiamo dell’avventura prevalse. D’altro lato, essa si prospettava straordinaria, ed era impossibile non aderire alla giusta causa dei sindacalisti: il loro nemico, una potentissima banca d’affari proveniente dalle capitalistiche lande del Nord, si era impossessato dell’impresa pubblica M.O.M., Miniera d’Oro della Montagna, la cui gestione era precedentemente organizzata secondo i progressisti criteri della Mitbestimmung. I manager della Banca, corrompendo il burocrati locali e finanziando alcuni sindacati gialli, avevano dapprima diffuso perizie false sull’esaurimento dei filoni e, successivamente, sulla base di esse avevano convinto il governo a intraprendere la strada della privatizzazione, di cui si era ovviamente avvantaggiata, distribuendone la proprietà ai suoi soci. Appropriatasi della Miniera con l’inganno, la Banca aveva poi finanziato l’acquisto di nuovi, distruttivi impianti e macchinari altamente inquinanti, che avevano letteralmente divelto la Montagna permettendo comunque all’azienda di licenziare tre quarti dei dipendenti, incrementando ulteriormente i profitti. Infine, la Banca aveva speculato sull’attivo della miniera, vendendo derivati e cartolarizzando eventuali esternalità negative, piuttosto che reinvestire i profitti che in attività che avrebbero permesso ai Minatori licenziati di tornare a lavorare. I vari manager ormai si erano disinteressati della miniera, passando gran parte del loro tempo a contare le pile di denaro che continuavano ad accumularsi nei loro forzieri, che avevano imparato a conoscere a menadito, godendone avidamente.
Insomma, un gran brutto affare multimiliardario.
La faccenda forniva però un’inaspettata occasione ai nostri sindacalisti rivoluzionari: se fossero riusciti a violare il caveau della Banca, situato nella profondità della Montagna stessa, i cui cuniculi essi conoscevano come le loro tasche, avrebbero potuto impossessarsi di una ricchezza straordinaria, destinata a finanziare per decenni la lotta di classe nel paese.
Le difficoltà che i nostri eroi dovettero affrontare non possono essere raccontate in dettaglio, ma meritano almeno una rapida carrellata.
Durante il viaggio di andata verso la Montagna, essi si trovarono a dover combattere le temibili orde dei Crumiri (che certe saghe successive chiameranno “Crumiretti”), i quali continuavano a lavorare nelle montagne nonostante lo sciopero generale indetto dai sindacalisti rivoluzionari, ricevendo così piccoli favori dai padroni.
Grandi difficoltà ideologiche furono date loro dall’incontro con extracomunitari di colore, che pure continuavano a servire i padroni pur di ottenere un salario da fame, per nutrire le loro povere famiglie. I sindacalisti opposero loro una rocciosa resistenza.
Grandi problemi furono dati loro dagli Hippie, ecologisti profondi che vivevano nei fitti boschi nei pressi della Montagna, i quali riuscirono a trattenere a lungo i minatori, corrompendo il loro fiero spirito con le loro feste a base di liquori artigianali e cannabis, tutta naturale e coltivata indoor.
In tutti questi frangenti fondamentale fu il ruolo dello Scioperato il quale, inaspettatamente, seppe trovare un proprio ruolo risvegliando l’eroismo del suo sangue. Il suo aspetto innocuo lo tenne sempre alla larga di sguardi indiscreti, dandogli così la possibilità di reperire quante più informazioni possibili sui sistemi di difesa che la Banca utilizzava per proteggere il suo tesoro. Venne così a conoscenza di una grossa falla nelle difese informatiche della banca stessa, che avrebbe potuto fornire ghiotte occasioni di attacco da parte dei Minatori, se solo essi fossero stati abili a muoversi nella rete.
Essenziale si rivelò quindi l’alleanza con ****, un popolare giovanotto con la passione della pirateria informatica.
Fu lui a violare le difese che la Banca, troppo sicura di sé, da tempo dimenticava di aggiornare. Inutile dire che la sua partecipazione all’impresa contribuì non poco a rinsaldare l’alleanza fra le organizzazioni tradizionali di lotta e il mondo dei social network.
La vittoria dei Minatori, del Rosso e dello Scioperato sulla malvagia Banca d’affari diede i risultati sperati: come insegnano le appendici di saghe più recenti, il capitale di cui i minatori si erano riappropriati fornì effettivamente un sostegno non indifferente alla rivoluzione mondiale, consentendo di erigere più solide difese di fronte al Male che, presto, si sarebbe riaffacciato all’orizzonte.

Death from above

postato il 18 Ago 2012 in Main thread
da Vobby

Fantasticare sul tema dell’esclusione mi ha portato a riflettere sulla condizione esistenziale dei cetacei. La frase appena scritta è idiota, mi rendo conto, ma pensateci un attimo: come deve essere trascorrere la propria intera, lunga esistenza sulla superficie di un mondo, nel quale ci si può sì immergere, ma mai a lungo, se non al costo di una morte certa e preceduta da una dolorosa agonia? Il mare è un ambiente in cui i cetacei possono cacciare, ma non respirare; questo secondo me li mette in una situazione del tutto particolare, che può portare a conseguenze interessanti nell’evoluzione delle specie.
Piccola premessa: non siate scettici leggendo di condizioni mentali dei cetacei, i loro cervelli sono i più grandi del mondo animale. Sono molto più stupidi di noi, ovviamente, ma fanno progressi, specialmente alcuni di loro. Specialmente alcuni fra i più fichi di loro, in effetti, come ad esempio le orche. Questi magnifici predatori hanno sviluppato un linguaggio che non solo è complesso, ma è anche verbale, e leggermente differenziato a seconda dei pod (il nome dei loro gruppi) e delle diverse aree geografiche.
Queste tre caratteristiche del linguaggio delle orche sono importanti. La verbalità della comunicazione infatti è il presupposto fondamentale per lo sviluppo di qualcosa che assomigli a una cultura. Per intenderci, con un ferormone puoi dire “scopami”, ma solo con un suono puoi dire che è stato proprio bello, spiegare perché e raccontarlo agli amici. La possibilità di raccontarlo è cruciale: significa che a ogni generazione i membri del gruppo si comporteranno in modo diverso non semplicemente in base a come il loro corpo si adatta alle condizioni ambientali, ma anche a seconda delle esperienze accumulate dal gruppo stesso! E le orche, pare, sanno farlo. Sanno dire dove si trovano le prede, come cacciarle. E mentre lo fanno si chiamano per nome. Per nome! In un mondo in cui non puoi usare il naso per sentire gli odori, non puoi semplicemente affidarti all’aspetto per distinguare gli individui fra loro. Devi usare dei nomi. Notevole no?
Inoltre: vivere in acqua ed avere un bel po’ di grasso in corpo significa poter andare ovunque, e infatti le orche lo fanno, e l’accoppiamento più o meno costante fra membri di diversi pod e diverse “popolazioni” evita la fioritura di sottospecie. Ma permette il continuo scambio di informazioni e la continua evoluzione del linguaggio. Al momento, per esempio, è stata documentata una sola orca capace di cacciare gli elefanti marini in un certo modo, muovendosi fra gli scogli e nascondendosi fra le alghe. Quanto ci metterà a insegnarlo ai suoi figli? E i suoi figli a raccontarlo in giro?
Tutte queste cose qui, di nuovo, sono di cruciale importanza per la formazione di una cultura e per il futuro della specie, perché saper pronunciare un nome, ricordarlo, associarvi determinate azioni compiute in passato, saperlo raccontare, sono tutte capacità sulle quali l’uomo ha fondato la nascita della storia, il senso del trascorrere del tempo.
Il senso della storia è alla radice di quel tipo di esclusione che è del tutto umana, cioè quella dalla contingenza. Con il racconto della storia l’uomo ha creato una propria linea temporale, partendo per la tangente dell’eterno cerchio che è il trascorrere del tempo nella natura. Nessun altro animale, a parte l’uomo, sa che sono esistiti membri della propria specie che hanno preceduto quelli che lui stesso a conosciuto, perché solo l’uomo è capace di associare dei nomi a delle azioni, e di raccontare come è andata. A questa esclusione dalla contingenza stanno incredibilmente approdando anche le orche.
Il punto d’arrivo del discorso dovrebbe essere che secondo me fra le orche, o almeno fra gli odontoceti, potrebbe sorgere una nuova specie dominante. Linguaggio e cultura non bastano, direte voi, e tanti primati sono almeno un po’ più intelligenti, e alcuni felini quasi altrettanto promettenti. Vero, ma a favore della mia tesi interviene l’esclusione. A me sembra che la dominazione di una specie su tutte le altre implichi la postura della prima su un piano completamente diverso dalle seconde: quando la preda homo si è ribellata, costruendo le prime lance e organizzandosi per usarle, ha smesso di lasciarsi cacciare. Ha iniziato a prendere tutto dal suo ambiente, senza dargli nulla in cambio. Da scimmietta a leone. Poi ha iniziato a distruggere l’ambiente, in effetti, con la nascita delle civiltà storiche, piuttosto che a vivere al suo interno. Da preda a predatore, da predatore a solitario dominatore. Alzandosi su due gambe ha iniziato a guardare il mondo dall’alto e ha avuto le mani libere per modificarlo a suo piacimento.
Nulla esclude che i prossimi a farlo siano gorilla o leoni, ma nel loro ambiente le orche hanno un vantaggio non indifferente: il loro mondo lo hanno sempre visto solo dall’alto e non potrebbero fare altrimenti. Non solo: non potendo respirare sott’acqua, loro sono già su un piano completamente differente rispetto alle specie con cui abitualmente interagiscono. Esistenzialmente, come si diceva, loro sono già “altro” rispetto al mare. E stanno già, da sempre, al suo apice. Per l’ultimo dei calamari come per il grande squalo bianco, le orche sono stranieri minacciosi. Minacciosi, perché cacciano tutto ciò che riescono a toccare. Stranieri, perché non nuotano mai al loro fianco.
Fuori dal tempo della natura, all’apice del loro spazio. Date loro qualche centinania di migliaia di anni: appena le orche saranno appena un po’ più consapevoli il mondo potrebbe veder nascere una nuova stirpe di veri dominatori.

In un batter d’ali

postato il 10 Lug 2012 in Main thread
da Vobby

Buio.
Respiro. Spingi, buio, spingi, buio, luce, spingi, luce luce, apri le ali.
Sbatti le ali, vola, fame, vola vola, fiore, vola, fiore, cibo, mangia.
Vola, sazietà, desiderio, cerca, cerca, vola, cerca cerca.
Vespa, paura, scappa scappa scappa, vespa, paura, scappa, vespa, paura, scappa scappa, lontano, desiderio.
Cerca cerca cerca, trovata, vola vola vola, presa, desiderio desiderio, amore.
Stanchezza, vola, fame, vola vola, fiore, cibo, stanchezza, stanchezza, vespa, paura, vola, stanchezza, vespa.
Dolore, vespa, paura paura, dolore, ves…

Chi mi ha insegnato che Libertà è piccola e bionda

postato il 20 Giu 2012 in Main thread
da Vobby

Un secchione come me, appassionato di letteratura greca, che si tratti di quella arcaica come di quella classica, impegnato lettore di poemi epici e tragedie, appena ha appreso quale fosse il nuovo argomento del mese non ha potuto fare a meno di pensare al potente eroe Hercules, inquadrato durante le mitiche scene di allenamento con il satiro Filottete, suo maestro. Poi subito dopo a Mulan, nella parte altrettanto emozionante dell’allenamento, condotto dal giovane e aitante capitano Shang. Colpevolmente, devo ammettere di non aver pensato subito a Kung Fu Panda, nonostante fosse piuttosto ovvio (“vuoi tu apprendere il kung fu? Allora io sono il tuo Maestro!”).
Successivamente mi è venuto in mente Socrate, che rappresenta la figura ideale del maestro, immagine che ha attraversato tutta la storia occidentale, quella del sapiente, anziano e barbuto filosofo, coerente con i suoi insegnamenti fino alla morte, continuamente dedito al miglioramento e alla penetrazione dei suoi fortunati discepoli.
Da Socrate sono passato a pensare ad Eschilo, il primo dei tre grandi tragediografi, l’autore che i suoi concittadini, sopra tutti, ritenevano il migliore dei maestri, colui che aveva insegnato e diffuso le antiche virtù all’interno della polis.
L’età classica è maestra per chiunque decida di avvicinarvisi, inevitabilmente, e io stesso devo molto di quello che sono, e che so, alle sue tragedie. Ma non è Eschilo l’autore che preferisco.
Che cos’è l’età classica se non la sua tragedia? Che cos’è la tragedia se non il miglior mezzo di espressione e di insegnamento possibile, grazie al perfetto connubio fra gli spiriti e le potenzialità della lettera e dell’estetica? Con il dialogo e con la musica la tragedia insegnava, trasmettendo un messaggio che potesse toccare nel medesimo istante e con la stessa efficacia le corde della ragione e del cuore.
L’autore che preferisco è Charles Monroe Schultz, il quale era un tragediografo, non un poeta, sebbene quest’idea abbia avuto una certa eco. La poesia trasmette attraverso i versi, che possono descrivere immagini vivide, ma non possono rappresentarle. La tragedia mette in scena la vita con la sua plasticità. Il fumetto è eminentemente votato alla tragicità, perché rappresenta materialmente fatti e concetti, esattamente come farebbe un pittore, senza rinunciare al mezzo letterario.
I fumetti si leggono, eppure non sono dei libri più di quanto non siano dei quadri. Dovrebbe esistere un verbo apposito per descrivere la fruizione del tragico, che metta insieme l’osservazione dell’immagine e la lettura del testo. Mi chiedo ora se i greci dicessero di andare a vedere, o ad ascoltare, la rappresentazione teatrale.
I Peanuts sono incredibilmente tragici. Nel senso moderno, è evidente, ma anche in quello classico: cinquant’anni di pubblicazioni quotidiane hanno conferito agli episodi, continuamente ripetuti, seppur mai identici, la stessa potenza del mito, rappresentato nel rituale religioso e civico. Di sicuro, come sicuri sono l’estate e l’inverno, l’eroe subirà i suoi tormenti. Spesso dovrà morire. O almeno farà una gran bella caduta, quando Lucy gli sfilerà il pallone invece di tenerlo fermo. E perderà la prima, e l’ultima, e qualunque altra partita della stagione. E verrà abbattuto dal Barone Rosso, e subirà le minaccia di vedere la propria coperta gettata nella caldaia, e non riuscirà mai a conquistare l’affascinante pianista.
Il mito è racconto, talvolta allegorico, talvolta istruttivo, sempre ripetuto. Ha una funzione rituale, e a questa funzione assolvevano le tragedie antiche. Anche per questo Schultz è un grande tragediografo, perché la ritualità è una buona chiave di lettura per le sue strisce. Charlie Brown non vincerà MAI, perché il rituale catartico ed educativo richiede che lui perda. Può sembrare che lui abbia vinto, quanto effettivamente la sua squadra vincerà un paio di partite. La prima volta però la partita venne annullata, per vie di un affare di scommesse. Scommessa di Replica\Ripresa, l’ultimo Van Pelt, con Snoopy. 5 cent. Cosa ci compri oggi con 5 cent? Snoopy aveva scommesso contro, per inciso. La seconda volta il capitano della squadra avversaria, una bambina, gli confiderà di averlo lasciato vincere, per un misto di tenerezza e pietà.
La reiterazione della rappresentazione è una colonna dell’insegnamento, dal momento che infinite sono le sfaccettature dei sentimenti che è possibile provare. Charlie Brown, l’irragiungibile ragazzina con i capelli rossi, Patty che la vede e si dispera per la sua bellezza, con la quale non potrà mai competere, mi hanno insegnato molto su come ci si deve innamorare, e tutto su come ci si strugge.
Schultz è il miglior fumettista, fra quelli che conosco, ad interpretare il senso del tragico. Lo fa con inaspettata leggerezza, preferendo cullare l’anima guidandone dolcemente i movimenti, piuttosto che scuoterla. Eppure sa fare anche questo, e a volte lo fa.
Schultz è stato il maestro che ha dato una forma più vivida alle emozioni, ai sentimenti, al loro scorrere e al loro continuo riesplodere, diversi e uguali ogni volta. I suoi personaggi sono il micrococosmo interno di ognuno.
Altri insegnano altro, di altrettanto fondamentale. L’amicizia con una tigre, o com’è cattiva la gente.
La magia dei Caraibi, dell’Irlanda, del Sahara. La verità irriducibile che si trova ai margini dell’impero, e l’ottusità che regna al suo interno. Senza disdegnare un bel po’ di tette.
Fidatevi se vi dico che il fumetto dell’asino d’oro merita meno di quello di Apuleio solo perché non è l’originale. Nessuna parola non può essere migliorata venendo accompagnata da un disegno.
Se poi i disegni sono di Manara…

E solo il silenzio…

postato il 18 Mag 2012 in Main thread
da Vobby

Devo ammettere che non conosco abbastanza queste due canzoni per commentarle seriamente, e che non conosco abbastanza la musica in generale per commentare alcunché. Però sono una buona scusa per postare finalmente anche su Alabama! Poi sulla fine conto di scrivere altro, restate sintonizzati.

La fine di Gaia

Povera Gaia
anche i Maya vogliono la tua taglia
pure la massaia lo sa, per la fifa tartaglia
decifra una sterpaglia di codici ma il 20-12
non incide se non nei cinematografi.
Uomini retti che sono uomini rettili
con pupille da serpenti
più spille da sergenti
vogliono la tua muta, Gaia
ti vogliono muta, Gaia
la bomba è venuta a galla adesso esploderà.

Reti di rettiliani, andirivieni d’ alieni
velivoli di veleni, tutti in cerca di ripari ma

La fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!

Anche E.T. è qui, mamma che condanna!
E’ un pervertito, ha rapito Gaia per fecondarla
con alieni adepti che scuoiano coniglietti
e li mostrano alle TV spacciandoli per feti extraterrestri.
C’è chi vuole farsi Gaia con fumi sparsi in aria
da un aereo che la ingabbia come all’Asinara.
Si narra che gaia sniffi,
abbaia anche Brian Griffin.
E’ Clyro come i Biffy che gaia Gaia non è.
Tra San Giovanni, Nostradamus e millennium bug
sulla sua bara chiunque metterebbe una tag.

Ma la fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!

Né con i passi di Godzilla né coi passi della Bibbia,
Gaia sopravviverà
a questi cazzo di asteroidi che non hanno mai schiacciato
neanche una farfalla.
Sei tu che tratti Gaia come una recluta a naja
ami il petrolio ma la baia non è una caldaia
la tua mannaia lima l’aria mica l’Himalaia!
Gaia si salverà, chi salverà il soldato Ryan?

Non i marziani ma te dovrò respingere
non i marziani ma te dovrò respingere e vedrai..

La fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!
2012: nemmeno un temporale!

Noi non ci saremo

Vedremo soltanto una sfera di fuoco,
più grande del sole, più vasta del mondo;
nemmeno un grido risuonerà e solo il silenzio come un sudario si stenderà
fra il cielo e la terra, per mille secoli almeno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

Poi per un anno la pioggia cadrà giù dal cielo
e i fiumi correranno la terra di nuovo
verso gli oceani scorreranno e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
e in alto nel cielo splenderà l’arcobaleno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E catene di monti coperte di nevi
saranno confine a foreste di abeti:
mai mano d’ uomo le toccherà, e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
e in alto, lontano, ritornerà il sereno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E il vento d’estate che viene dal mare
intonerà un canto fra mille rovine,
fra le macerie delle città, fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà,
fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E dai boschi e dal mare ritorna la vita,
e ancora la terra sarà popolata;
fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni e ancora il mondo percorrerà
gli spazi di sempre per mille secoli almeno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo,
ma noi non ci saremo…

Ancora sui luoghi comuni

postato il 8 Mag 2012 in Main thread
da Vobby

Questo post è un commento al post di Deluded Wiseman sui luoghi comuni, del quale si consiglia un’attenta lettura. Era diventato un po’ troppo lungo perché venisse letto come commento e si era parzialmente discostato dal tema originale proposto dal collega Autore

Non so se è svolgere la nostra personalità che ci rende umani. E’ una bella immagine quella dell’uomo considerato come unica creatura vivente capace di volta in volta di decidere dove, come, quando, perché e cosa fare. Questo ritratto può essere un ideale a cui tendere, e forse è anche questo il senso del post di Deluded Wiseman, che però non descrive la realtà dell’essere umano. Restando sui luoghi, così come le anatre migrano a sud durante l’inverno, così come i gatti defecano lontano da dove mangiano, così come le foche (sì, le foche, hasta siempre) devono stare a terra per trombare e rotolare e in acqua per cacciare, dimostrando la loro natura di implacabili predatori, così gli uomini di ogni epoca hanno diviso gli spazi fra i luoghi di lavoro, di allevamente dei figli, svago e tutto il resto. Possiamo vederla come una tendenza fisiologica all’irregimentarsi, non necessaria oggi che non siamo costretti a seguire le migrazioni dei mammuth per poterci nutrire, però c’è sempre stata, e, quindi, direi che è una cosa molto umana.
La cosa che condivido, è che questo forse non ci rende vivi. Perché, sì, la vita naturale, meramente fisiologica dell’uomo, è inscindibile (o almeno non è mai stata scissa) da una più o meno rigida separazione degli spazi. Tuttavia esiste una vita diversa, una vita caratterizzata, che è propria dell’uomo soltanto, che diverse epoche e luoghi non hanno mai conosciuto, che è la vita comunitaria, l’aspetto… politico della nostra esistenza. Perché io posso anche indossare un kilt e suonare la cornamusa sotto il pesco di quattro giornate, ma la piazza resterà la stessa, servirà sempre a far ubriacare i turpi e far passare le macchine, e, diciamocelo, ogni civiltà ha conosciuto i suoi scemi del villaggio, in fondo anche loro hanno sempre avuto il loro “spazio”.
Comunitariamente, però, io posso decidere che fare della piazza, decidere il paesaggio. E’ vero che tutte le creature viventi contribuiscono a modificare il paesaggio in cui si trovano, però la maniera in cui l’uomo è capace di farlo assume proporzioni troppo diverse per non essere definite uniche. Il paesaggio urbano ( o anche rurale, perché no) che si modifica in base alle scelte collettive di una comunità è la dimostrazione di una vita veramente viva e veramente umana al suo interno.
Non affiderei il cambiamento delle funzioni del luoghi alle nostre singolarità, perché io avrò sempre bisogno di mangiare e sempre voglia di trombare, e dovrò comunque dividere gli spazi di queste due nobili attività, perché non tutti potrebbero apprezzare che si scopasse a mensa, e poche fanciulle apprezzerebbero che si mangiassero polpette durante l’amplesso. Ciò che crea e modifica il paesaggio e la sua divisione sono le necessità e le volontà collettive, ed è la collettività che rende l’uomo umano.
Naturalmente collettivi, naturalmente comunitari. Forse non così tanto naturalmente, perché, ripeto, in fondo solo una piccola minoranza di civiltà ha deciso di dedicare spazi a un’agorà che decidesse come modificarli. Però se vogliamo cercare qualcosa di diverso dalla vita da schiavi addomesticati che svolgiamo per la maggior parte del nostro tempo, nella maggior parte dei luoghi in cui ci troviamo, chiusi nella nostra affollata solitudine, allora dobbiamo per forza riferirci alla nostra vita da uomini liberi, che invece esiste solo in una dimensione pubblica.
D’altra parte l’articolo 2 è chiaro, per non parlare dell’articolo 3: è nelle formazioni sociali che si deve svolgere liberamente la nostra personalità, e il pieno sviluppo della persona umana sarebbe impensabile senza “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, dei luoghi che siamo chiamati a condividere.

20 Novembre 1820, Pacifico

postato il 24 Apr 2012 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

Respiro.
Piccole gocce mi piovono sul capo, sospinte da un vento leggero.
Trascorrono i minuti.
Respiro.
Onde basse si infrangono sul mio dorso. La schiuma scivola fra le rughe della mia coda, fra le numerose cicatrici della mia fronte.
Respiro.
Una debole corrente mi carezza il ventre, l’acqua è tiepida.
La corrente potrebbe essere impetuosa e l’acqua potrebbe essere gelata.
E io me ne accorgerei appena.
Mi sveglio, respiro.
I battiti dei miei simili hanno turbato il mio riposo, il desiderio d’incontrare una femmina è irresistibile.
Anche alla mia età.
Nuotando in queste calde acque ho sentito diversi gruppi in movimento. Gruppi di giovani maschi, la forza della mia voce li ha fatti allontanare.
Sono irrequieto.
So che manca poco al momento di combattere.
Come decine di altre volte, mi preparo a sentire sulle mie zanne la carne dei miei rivali, a macchiare il mare del loro sangue.
Ho smesso da anni di ricordare la mia ultima sconfitta. E’ passato così tanto tempo, che oramai mi chiedo se sia mai avvenuta.
Respiro.
Non ha importanza: non perderò mai più.
Nessuno è più grande di me, nessuno è più forte di me.
Sento gli schiocchi di una voce maschile. La furia monta nel mio petto alla sola idea che un maschio non si sia allontanato, sentendo martellare il mio ruggito!
Ma va bene così. Non è giovane, è piccolo. La sua voce mi porterà dal gruppo di femmine.
Respiro.
Il vento si fa più forte in questa calda mattinata.
Sono affamato.
Le femmine sono ancora lontane, e nessuno le raggiungerà prima di me. E’ tempo di andare a caccia.
Respiro. Respiro. Inspiro.
Sbatto la coda sulla superficie e mi tuffo nel profondo.
Precipito.
Passano i minuti.
La luce si fa lontana.
Passano i minuti.
Sono immerso nella profondità delle tenebre. Smetto di vedere e comincio a sentire.
Schiocco.
Schiocco.
Odo il suono della mia stessa voce, che ritorna per raccontarmi ciò che ha incontrato.
Immense scogliere, indescrivibili canyon e colossali montagne.
Il mio regno. I suoi abitanti, le mie prede.
Vibro codate poderose e allargo le pinne nell’insostenibile peso del buio.
Posso andare molto più in basso.
Paralizzati dalla mia mera presenza, aggredisco i banchi di molluschi.
Ne divoro a decine.
Potrebbero essere centinaia, e comunque faticherebbero a saziare la mia fame.
Il mio immenso appetito.
Le femmine.
Altri appetiti mi dicono che non vorrò immergermi di nuovo.
E’ passata un’ora.
Potrebbero essere due.
Accelero, cercando pasti più sostanziosi.
Schiocco.
Schiocco.

Schiocco.
Lo sento.
Mi sente.
Fra gli anfratti rocciosi cerca di nascondere la sua colossale figura.
Sono l’unica creatura che è costretto a temere.
E ha ragione di farlo.
La mia venuta interrompe d’un tratto la sua dominazione in questi abissi.
Mio timido vassallo, affrontami.
Questi miseri sassolini non possono che graffiarmi.
Spalanco le terribili fauci e gli sono addosso.
Divello il suo nascondiglio e affondo le zanne nella sua molle carne.
Si avvinghia sulla mia testa.
Con il becco e gli artigli apre ferite sulla mia pelle.
Come se ormai ci facessi caso.
Non può resistere, lo ingoio che ancora si dibatte.
Lo schiaccio nella mia gola.
La sazietà, l’ennesima vittoria.
Schiocco, mi oriento.
Ascendo.

Passano i minuti.
Ascendo.
Zittisco, mentre i miei occhi tornano a vedere.
Emergo.
Soffio, inspiro: respiro.
La luce torna a riflettersi sulla mia bianca maestà.
Respiro.
Respiro.
Sazio, respiro.
L’altro appetito. Mi muovo nella direzione delle voci femminili.
Mi aspettano con ansia.
Passano le ore.

Respiro.
Avvisto il branco, il branco mi vede.
Avendo sentito del mio arrivo, nessun altro maschio ha provato ad avvicinarsi.
I piccoli dovranno imparare a temermi, ma per ora lascio che mi osservino incuriositi.
Le signore si lasciano avvicinare.
Ce n’è per tutte.

Non siamo soli.
Le orche non oserebbero attaccare ME.
Libero il più forte dei miei ruggiti, tale da atterrire i più giovani e stordire le madri.
La creatura sembra ignorare la mia voce.
Non posso crederci.
Nessuno è più grande di me.
Tranne la creatura.
Quest’essere mi oltraggia. Era da mezzo secolo che non avevo paura.
Mi avvicino con circospezione, fendendo il branco cerco di mostrare tranquillità.
La mia presenza. Tranquillizza tutti i presenti.
Ma non impaurisce la creatura.
L’abominevole essere scivola sull’acqua, poggiandosi su di essa come farebbe un albatro.
Sembra privo di peso, ma la sua massa è sconfinata. I fianchi solidi, bruni, mentre dal dorso, che non riesco a vedere, si spalancano ali gigantesche.
Mi provoca con un insopportabile brusio, mentre continua a ignorare la mia voce.
Dalla creatura si separano, come partorite, creature di dimensioni minori.
A loro volta, ignorano la mia voce. Una di loro mi si avvicina.
CHI SEI!?
Un’altra delle creaturine ha già raggiunto uno dei piccoli, che con naturalezza si era lasciato avvicinare.
Prima ancora che arrivino a toccarsi, vedo sgorgare il sangue.
Dal cielo becchi d’aquila più duri della roccia si conficcano nella mia schiena.
Le femmine sono sconvolte.
E’ più grande di me.
E’ più grande di me.
La madre del piccolo colpito emette un cupo lamento, e già sanguina a sua volta.
NESSUNO E’ PIU’ FORTE DI ME!
Mi precipito furiosamente sull’essere che ho di fronte. La mia testa sfonda le sue costole, i miei denti cercano di masticare questa durezza sconosciuta. Non sembra riuscire a reagire.
Nessuno è più forte di me!
Dal basso, mi scaglio sulla seconda piccola creatura. La forza della mia coda la riduce a brandelli.
Il mare si riempie di piccole e rumorose bestie che non so da dove siano venute.
Non importa.
Ho dominato troppe volte l’ombra dell’abisso per ritirarmi di fronte a questo coriaceo e immane sconosciuto.
Perché nessuno è più forte di me.
Oppongo morsi, colpi di testa e di coda alle spine che continuano a trafiggermi.
Temo per la mia vita.
Al mondo non sembra esserci nulla, se non il fragore della battaglia.


Respiro.
Sanguino.
Vittorioso, vivo.
Il mostro che affonda mi lascia nuove cicatrici.
La promessa di nuove battaglie.
Prevarrò.
Perché io sono Cachau il Grande Dente e sarò per sempre il re del mare!

Quella storia per cui il sonno della ragione genererebbe mostri

postato il 31 Mar 2012 in Main thread
da Vobby

Avevo in mente un certo articolo, non avevo in mente di scriverlo ora, alle fottute 3 di notte quando ho un treno fra 3 ore, eppure. Magari se sono svelto dormirò un’ora perché, no, non dormirò in treno, perchè (sì, ho deciso che non ce la faccio a mettere é al posto di è alla fine del perchè, è troppo pesante) se ho capito bene e se il tipo di cui avrei dovuto capire bene il comportamento leggerà un biglietto davanti camera sua, nel suddetto treno dovrei stare in compagnia.
Questo post, dicevamo.
“Il sonno della ragione genera mostri (El sueño de la razón produce monstruos) è un’acquaforte e acquatinta realizzata nel 1797 dal pittore spagnolo Francisco Goya e facente parte – è il foglio n° 43 – di una serie di 80 incisioni ad acquaforte chiamata Los caprichos (I capricci) pubblicata nel 1799” (Wikipedia) e, secondo me, è qualcosa da porre in termini problematici piuttosto che accettarla passivamente.
Cerchiamo di visualizzare l’immagine (facile): un uomo, che rappresenta la ragione, addormentato sulla scrivania, è circondato di pipistrelli, gufi e, sembrerebbe, una lince.
Per prima cose bisognerebbe far notare all’osservatore disattento che nessuna di queste creature è un mostro, anzi, gufi e felini per la loro capacità di vedere al buio, per l’intensità del loro sguardo e per altra roba sono stati considerati da diverse culture come simbolo di saggezza. Poi sono simpatici, dai, tutti amano gufi e pantere varie. I pipistrelli no, lo ammetto, sono sorci volanti, posso accettare che vengano considerati mostruosi (si vedano le geniali origini di Batman), ma ricorderei che hanno anche un radar che tutta la ragione di Goya non avrebbe mai capito, alla sua epoca.
Poi vorrei soffermarmi un minuto sulla figura della ragione: perchè è maschio? La razòn è femminile anche in spagnolo. La verità secondo me è che Goya, che un paio di cose di letteratura classica le conosceva, aveva consapevolmente deciso di porsi nel solco della tradizione greca, all’interno del cui pantheon la dea che rappresentava la ragione strumentale, Atena, era nata per gemmazione dalla testa del Dio Padre. Questo fatto fece infuriare Hera e altre divine donzelle, e giustamente, perchè una ragione nata in questo modo fondava esplicitamente una cultura, uno spirito del tempo, che aveva deciso di tagliare i ponti con ogni passato fondato sulla femminile maternità della terra. La ragione maschile, quella appisolata nell’immagine di Goya, è una ragione certamente efficace e portatrice di progresso (ma di quale progresso, sarebbe il caso di chiederci, e in effetti ci chiederemo tra un po’, se mi ricordo, ma spero di sì), ma porta i gravi difetti di una presunzione che sfocia nella tracotanza, che può evitare di chiamarsi Hybris solo perchè ha una fondazione divina. Atena nata dal cervello del padre è dea di una ragione che deliberatamente dimentica sentimenti e sensazioni, a causa di eccessiva lucidità. Non è una dea della conoscenza, divinità tali sono Dioniso e Apollo, e entrambi in fin dei conti preferivano comunicare attraverso la musica, il dialogo e l’ebbrezza, collettiva nel primo e privata, sacerdotale, nel secondo caso. Atena appisolata su quel tavolino è più che altro la logica, dotata certamente di enorme dignità, ma incapace di vedere l’insieme delle cose. Gufi, linci e pipistrelli, non a caso, appaiono alle sue spalle e nel buio. La loro, evidentemente, è una ragione diversa (lo so che la Nottola sta sulla spalla di Minerva/Atena, ma che ci posso fare, forse Goya non la sapeva tanto lunga come dicevo prima…).
Quindi, di che ragione stiamo parlando? Quale civiltà è generata dal suo trionfo? Quale progresso? Ma sì, è evidentemente la luminosa ragione dell’illuminismo, altrimenti non si capirebbe perchè i mostri sono solo creature associate alla notte. La ragione illuministica che spazzò le tenebre del misticismo e della tirannia (cit. 300) dal nostro glorioso Occidente, ecco il nostro eroe. E’ uno strano eroe, il nostro bell’addormentato: volle eliminare dagli ordinamenti degli stati tutto ciò che non fosse conforme a ragione, a quel certo tipo di ragione strumentale, in sè stessa economica ed economicista, che voleva un mercato autoregolato dalla ragione dei suoi attori integrato in uno stato razionalmente ordinato da burocrazie efficienti e impersonali. Una grande macchina, si ridusse ad essere il nostro ormai ben sveglio eroe, una grande e sconfinata macchina insieme organizzativa e tecnologica, strategica e potente, capace di muoversi con tutta la forza del fuoco e dell’acciaio, con tutta la decisione e la chiarezza dell’ordine scritto e formalizzato. Una macchina così potente e pervasiva da fare degli individui i suoi veri ingranaggi, capace di annichilire, piuttosto, ciò che di umano e illogico c’era negli umani.
Sì vostro onore, ma stavo semplicemente eseguendo gli ordini.
Cos’era in fondo Eichmann, se non il perfetto ingranaggio inconsapevole di una macchina che a sua volta era inconsapevole di cosa la spingesse? Quanta lucidità nel suo agire, quanta perfetta logica nella burocrazia dei suoi atti?
Tanta, tutta.
Alla luce di questo, chi è il mostro ora?

Freeronin deve combattere

postato il 3 Mar 2012 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

Il titolo del post dice tutto. Ho semplicemente deciso di dare rilevanza pubblica a una vecchia disputa riguardante me e la mia amica. Siamo tutti d’accordo sul fatto che sia velocissima, alteticissima, che il suo personaggio in un certo senso, ormai, richieda che lei continui a correre. Eppure io, che con lei ci ho lottato tante volte, credo di conoscere perfino meglio di lei il suo potenziale e so che deve combattere. E’ compito di ogni essere umano arrivare fino al limite delle proprie possibilità ma lei, nonostante la sua acuta intelligenza, persiste in un atteggiamento di ottusa ostinazione che le impedisce anche solo di provare ad allargare i suoi orizzonti sportivi. In questo momento ho addosso i lividi che mi sono stati inflitti da una piccoletta, in palestra, qualche ora fa. Nei suoi occhi, nella sua concentrata, sofferta ma combattiva espressione ho visto chiaramente Freeronin (notando questa cosa mi sono distratto, venendo ulteriormente percosso).
So, lo sappiamo tutti, che lei picchierebbe molto più forte di chiunque altra. Perciò visto che da solo non ci riesco, smuoviamola insieme, e incitiamola tutti! Freeronin, combatti!

 

Fatal error: Class 'AV\Telemetry\Error_Handler' not found in /membri/.dummy/apps/wordpress/wp-content/plugins/altervista/early.php on line 188