Chi mi ha insegnato che Libertà è piccola e bionda

postato il 20 Giu 2012 in Main thread
da Vobby

Un secchione come me, appassionato di letteratura greca, che si tratti di quella arcaica come di quella classica, impegnato lettore di poemi epici e tragedie, appena ha appreso quale fosse il nuovo argomento del mese non ha potuto fare a meno di pensare al potente eroe Hercules, inquadrato durante le mitiche scene di allenamento con il satiro Filottete, suo maestro. Poi subito dopo a Mulan, nella parte altrettanto emozionante dell’allenamento, condotto dal giovane e aitante capitano Shang. Colpevolmente, devo ammettere di non aver pensato subito a Kung Fu Panda, nonostante fosse piuttosto ovvio (“vuoi tu apprendere il kung fu? Allora io sono il tuo Maestro!”).
Successivamente mi è venuto in mente Socrate, che rappresenta la figura ideale del maestro, immagine che ha attraversato tutta la storia occidentale, quella del sapiente, anziano e barbuto filosofo, coerente con i suoi insegnamenti fino alla morte, continuamente dedito al miglioramento e alla penetrazione dei suoi fortunati discepoli.
Da Socrate sono passato a pensare ad Eschilo, il primo dei tre grandi tragediografi, l’autore che i suoi concittadini, sopra tutti, ritenevano il migliore dei maestri, colui che aveva insegnato e diffuso le antiche virtù all’interno della polis.
L’età classica è maestra per chiunque decida di avvicinarvisi, inevitabilmente, e io stesso devo molto di quello che sono, e che so, alle sue tragedie. Ma non è Eschilo l’autore che preferisco.
Che cos’è l’età classica se non la sua tragedia? Che cos’è la tragedia se non il miglior mezzo di espressione e di insegnamento possibile, grazie al perfetto connubio fra gli spiriti e le potenzialità della lettera e dell’estetica? Con il dialogo e con la musica la tragedia insegnava, trasmettendo un messaggio che potesse toccare nel medesimo istante e con la stessa efficacia le corde della ragione e del cuore.
L’autore che preferisco è Charles Monroe Schultz, il quale era un tragediografo, non un poeta, sebbene quest’idea abbia avuto una certa eco. La poesia trasmette attraverso i versi, che possono descrivere immagini vivide, ma non possono rappresentarle. La tragedia mette in scena la vita con la sua plasticità. Il fumetto è eminentemente votato alla tragicità, perché rappresenta materialmente fatti e concetti, esattamente come farebbe un pittore, senza rinunciare al mezzo letterario.
I fumetti si leggono, eppure non sono dei libri più di quanto non siano dei quadri. Dovrebbe esistere un verbo apposito per descrivere la fruizione del tragico, che metta insieme l’osservazione dell’immagine e la lettura del testo. Mi chiedo ora se i greci dicessero di andare a vedere, o ad ascoltare, la rappresentazione teatrale.
I Peanuts sono incredibilmente tragici. Nel senso moderno, è evidente, ma anche in quello classico: cinquant’anni di pubblicazioni quotidiane hanno conferito agli episodi, continuamente ripetuti, seppur mai identici, la stessa potenza del mito, rappresentato nel rituale religioso e civico. Di sicuro, come sicuri sono l’estate e l’inverno, l’eroe subirà i suoi tormenti. Spesso dovrà morire. O almeno farà una gran bella caduta, quando Lucy gli sfilerà il pallone invece di tenerlo fermo. E perderà la prima, e l’ultima, e qualunque altra partita della stagione. E verrà abbattuto dal Barone Rosso, e subirà le minaccia di vedere la propria coperta gettata nella caldaia, e non riuscirà mai a conquistare l’affascinante pianista.
Il mito è racconto, talvolta allegorico, talvolta istruttivo, sempre ripetuto. Ha una funzione rituale, e a questa funzione assolvevano le tragedie antiche. Anche per questo Schultz è un grande tragediografo, perché la ritualità è una buona chiave di lettura per le sue strisce. Charlie Brown non vincerà MAI, perché il rituale catartico ed educativo richiede che lui perda. Può sembrare che lui abbia vinto, quanto effettivamente la sua squadra vincerà un paio di partite. La prima volta però la partita venne annullata, per vie di un affare di scommesse. Scommessa di Replica\Ripresa, l’ultimo Van Pelt, con Snoopy. 5 cent. Cosa ci compri oggi con 5 cent? Snoopy aveva scommesso contro, per inciso. La seconda volta il capitano della squadra avversaria, una bambina, gli confiderà di averlo lasciato vincere, per un misto di tenerezza e pietà.
La reiterazione della rappresentazione è una colonna dell’insegnamento, dal momento che infinite sono le sfaccettature dei sentimenti che è possibile provare. Charlie Brown, l’irragiungibile ragazzina con i capelli rossi, Patty che la vede e si dispera per la sua bellezza, con la quale non potrà mai competere, mi hanno insegnato molto su come ci si deve innamorare, e tutto su come ci si strugge.
Schultz è il miglior fumettista, fra quelli che conosco, ad interpretare il senso del tragico. Lo fa con inaspettata leggerezza, preferendo cullare l’anima guidandone dolcemente i movimenti, piuttosto che scuoterla. Eppure sa fare anche questo, e a volte lo fa.
Schultz è stato il maestro che ha dato una forma più vivida alle emozioni, ai sentimenti, al loro scorrere e al loro continuo riesplodere, diversi e uguali ogni volta. I suoi personaggi sono il micrococosmo interno di ognuno.
Altri insegnano altro, di altrettanto fondamentale. L’amicizia con una tigre, o com’è cattiva la gente.
La magia dei Caraibi, dell’Irlanda, del Sahara. La verità irriducibile che si trova ai margini dell’impero, e l’ottusità che regna al suo interno. Senza disdegnare un bel po’ di tette.
Fidatevi se vi dico che il fumetto dell’asino d’oro merita meno di quello di Apuleio solo perché non è l’originale. Nessuna parola non può essere migliorata venendo accompagnata da un disegno.
Se poi i disegni sono di Manara…

Et voilà!

postato il 4 Giu 2012 in Main thread
da freeronin

Ed eccovi servito, in ritardo e con un’introduzione di pessima fattura, l’argomento di questo mese

No, non il karate, bensì i maestri.
A volte ci imbattiamo in persone che, volontariamente o in maniera assolutamente casuale, ci danno insegnamenti che non dimentichiamo più, su piccole o grandi verità (ad esempio, il noto “non attraversare davanti ai pullman ché vengono fuori i motorini da dietro e non li vedi”, di mia nonna).
A volte non si tratta nemmeno di persone in cui ci imbattiamo, ma di persone che in un modo o nell’altro riusciamo a osservare e prendiamo a modello. Certo, è un’abitudine sempre meno diffusa, ma  credo non definitivamente tramontata: intimamente ispirarsi, almeno in qualche piccola cosa, a personalità più o meno folgoranti, nutrendo nei loro confronti quel particolarissimo tipo di affetto misto a timore reverenziale.
A volte nemmeno si tratta strettamente di persone, ma di personaggi, figure inventate. Sarebbe riduttivo dire che il maestro in questo caso sia creatore del personaggio, perché spesso, a partire da una frase che l’autore gli fa dire, o da un atteggiamento che gli fa tenere, il personaggio prende vita propria nella nostra immaginazione, e ha qualcosa da insegnarci.
Beh, se poi volete parlare del maestro di Karate Kid (o di Yoda, so che volete farlo) fate pure, sarà sicuramente costruttivo.

 

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