Compilation random: baffi.

postato il 26 Mag 2012 in Il rubricone musicone rotolone
da Deluded Wiseman

Baffi, sì.  Magari non ci pare, ma i baffi sono fondamentali.  Storia, filosofia, videogiochi, arte visuale e non:  sotto il segno del baffo si sono compiute le peggiori aberrazioni, sono nati i migliori capolavori dell’umanità, si sono pestate orde e orde di funghi e tartarughe. Volanti.

Ovviamente, come i più arguti di voi potrebbero aver già immaginato vedendo in che sezione del blog sono(per gli altri, un bon-bon di consolazione da ritirarsi all’uscita), ovviamentre andrò a parare sul fatto che anche nella musica il baffo è stato marchio di fabbrica di pezzacci e carriere intere non indifferenti, anzi, pure ragguardevoli.

Ciancio alle bande: ecco le 5 canzoni che me lo danno più a livello di baffo. Non riesco a incorporare i vidii/forse ora ho capito ma mi scoccio di riprovarci adesso. Se vi interessa vedere i baffi, cliccate sul link.  Se non vi interessa,  mi fate un baffo.

 

5) Red Hot Chili Peppers- Factory of Faith

Non si tratta di un baffo storico, qui. Diciamo che il proprietario dei baffi in questione è sempre stato celebre per altro (l’alternare la  semi-nudità e abiti raccattati alla fiera del creaturo sgargiante di Dos Palos, Nevada).  Ma  appunto per questo ho preferito inserire questi baffo nella compilation, preferendolo a baffi di portata storica più rilevante (tipo un qualsiasi gruppo rock americano a cavallo fra i ’70 e gli ’80),  perchè penso che si debba dare un po’ di rilievo al baffo che avanza, trattandosi, oltretutto,  di un baffo che ha scandalizzato molti, in quanto di totale rottura col ventennale look medio-sbarbato del buon Anthony Kiedis.

Inoltre, bisogna sfatare il mito che il nuovo dei RHCP è brutto, solo perchè hanno dato via un chitarro epico per uno un po’ gne. Quindi ciapàtevi sta canzone dall’ultimo e ineditamente baffuto dei californomaniaci

Ps: ne avrei volentieri messa un’altra, ma è un singolo in heavy rotation quasi ovunque, e invece io voglio farvi sentire questa che non è mainstream come l’altra, e la sentite solo qui, sul Rubrico Rotolone, only tonitght, sold out. Però se non avete mai sentito Monarchy of Roses,  youtubbate ora, stronzi.

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4)Santana- Gypsy Queen/Oye Como Va

Aahh, Carlos, Carlos.  Santana è uno di cui in linea  di massima non ascolto roba preso a caso dalla sua discografia così, a cuor leggero: è bella corposa, e c’è molto sfoggio di latinoamericanismo fatto un pò a caso, o collaborazioni con Joss Stone.  Però in certe cose è inarrivabile, nessuno come lui, e io gli voglio tanto tanto bene, uno zio baffone e tamarrozzo che è uno dei motivi, probabilmente, per cui suono. Ricordo che quando ancora mi ponevo ardue domande circa l’effettiva messa in atto di un rapporto sessuale(insomma, pensate che ancora non c’avevo l’internetto), fu il primo chitarrista ad impressionarmi davvero, per le palate di melodie cremose e calienti che tesseva con le sue dita dorate da mangiatore di burrito, palate che non riuscivo a riscontrare in tutti gli altri eroi della guitarra che stavo imparando a conoscere.

Senza contare il ritmo. Ragazzi, che ritmo. Quando farò la classifica “le 5 canzoni che mi fanno venire più voglia di ballare in preda ai fumi degli acidi, vestito solo di bandana e maglietta scolorita”, beh, Santana sarà anche lì,  proprio sotto Toto Cutugno. Ma questa, l’è un’altra storia.

Qui, in un esibizione recente, il buon Carlos e i suoi FANTASTICI musici accompagnatori, ci dilettano con un medley fra la celebre “Oye como va” e una parte strumentale tratta da “Black Magic Woman”, in cui l’orgasmico sound latino del Nostro risalta in tutto il suo splendore. E se leggendo “Black magic woman” NON avete pensato “perchè non ha scritto  “l’altrettanto famosa?’ “..di FILATO a sentire il capolavoro “Abraxas” (1970).

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3)Queen-Princes of the universe

Forse qualcuno si aspettava i virili baffi dell’iconico e compianto Freddie  in cima alla classifica. Beh, no, con tutto l’affetto per l’iconico perchè compianto Freddie.

Prima mi sono dilungato su Santana perchè molti credono sia un peone discretamente abile alla chitarra che elemosina in giro collaborazioni con cantanti vari, incapace di trovarne uno proprio. Invece penso che sui Queen, e sul livello di iconicità che dopo la morte del povero Freddie lui e i suoi baffi hanno raggiunto, sia inutile spendere molte parole.  Allo stesso modo, credo che tutti, dopo aver visto Freddie sbarbato e in tutina, sappiate quanto la presenza dei baffi sia servita a trasportare definitivamente i Queen nell’Olimpo del rock. Sappiate, ad ogni modo. che la canzone è tratta da “A Kind of Magic”(1986), colonna sonora di Ailander. Lo noterete, forse, dal zarrissimo video a base di capelloni in kilt  ed esplosioni assortite. Sì, l’ho messa apposta per uscire dal solito triangolo we will rock you/we are the champions/bohemian rhapsody. No, non amo i Queen al punto da metterne una davvero ignota. E poi questa è bellerrima, e mi ricorda i tempi lontanissimi in cui non avevo notato che “Princes”  aveva una sola “s”. In quel tempo, usavo spesso chiedermi se non bastasse fare della proprio omosessualità un manifesto tramite il video en travestì di “I want to break free”, e se ci fosse proprio bisogno di cantare “sono la principessa dell’universo”

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2)Frank Zappa-Muffin Man

Forse quelli che non si aspettavano il buon Freddie in cima alla classifica, si aspettavano che fosse l’eclettico guitarrista a dominare, in guisa di dittatore baffuto (nella miglior tradizione) questa classifica.  Certo che voi,  un Wembley Stadium di cazzi vostri mai, eh. Il fatto, vedete, è che io con Zappa ho un rapporto conflittuale, perchè non sono mai riuscito a conoscerlo e ad apprezzarlo fino in fondo, non so neanche bene perchè,  pur riconoscendone l’immensa genialità e apprezzandone diverse canzoni. Una di queste  è Muffin Man dall’album. Qui ho inserito la versione in studio, ma conisglio la visione di uno spettacolare video live che si trova facilmente  sul Tubo. Perchè non ho messo quella? Oh, ma voi proprio come gli sceriffi, eh. Sentitevi prima la canzone in studio, e poi vi vedete il live con gli assoloni eccetera, su.  Io, intanto, colgo l’occasione di ripropormi l’abbordaggio a qualche disco intero di Zappa.

 

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1)) Black Sabbath-Sweet Leaf

Eccolo qua. Magari sarà un baffo meno celebre come baffo, ma sti gran cazzi. Per me il re del moustache-rock è lui. Inarrestabile, marziale, imperturbabile mentre dalle sue mani martoriate profonde colate di metallo incandescente, per me Tony Iommi, chitarrista e fondatore dei BS e un pò dell’heavy metal tutto, è un tutt’uno con la sua Sg nera e con i suoi baffi.  Quando sento quel lento e implacabile incedere di accordi pesanti come macigni che è il marchio di fabbrica dei Black Sabbath, me lo vedo lì, vestito di nero, la croce appesa al collo, ondeggiare senza troppa foga quella massa nera che, fra capelli e baffi, e la sua testa.

Sono riff baffuti i suoi. Avanzano lenti ma implacabili verso di te, cupi e imperscrutabili come un uomo baffuto di cui riesci a percepire le intenzioni malevole, ma senza che la sua espressione, occultata dal baffo, ti possa dare le conferme che cerchi.

Qui per voi, tralasciando i soliti pezzacci immortali che tutti conoscerete,  in regalo una gustosissima e oltremodo badass Sweet Leaf.

 

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Visto che non sono stato in grado di trovare un video che esaltasse il baffo, eccolo a voi in tuta la sua maestosità.

 


Tutta quella città…

postato il 19 Mag 2012 in Main thread
da freeronin

La leggenda del pianista sull’oceano

Tutta quella città… non si riusciva a vederne la fine… La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? Era tutto molto bello su quella scaletta… e io ero grande, con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c’era problema. Non è quello che vidi che mi fermò, Max. È quello che non vidi. Puoi capirlo? Quello che non vidi… In tutta quella sterminata città c’era tutto tranne la fine. C’era tutto. Ma non c’era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo. Tu pensa a un pianoforte: i tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono ottantotto, e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro. Tu sei infinito, e dentro quegli ottantotto tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace. In questo posso vivere. Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai – e questa è la verità, che non finiscono mai – … Quella tastiera è infinita. Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche soltanto le strade, ce n’erano a migliaia! Ma dimmelo, come fate voialtri laggiù a sceglierne una? A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è. Ma non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quella enormità, solo a pensarla, a viverla? Io ci sono nato su questa nave. E, vedi, anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave, tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato a vivere in questo modo. La terra… è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Non scenderò dalla nave. Al massimo, posso scendere dalla mia vita.

E solo il silenzio…

postato il 18 Mag 2012 in Main thread
da Vobby

Devo ammettere che non conosco abbastanza queste due canzoni per commentarle seriamente, e che non conosco abbastanza la musica in generale per commentare alcunché. Però sono una buona scusa per postare finalmente anche su Alabama! Poi sulla fine conto di scrivere altro, restate sintonizzati.

La fine di Gaia

Povera Gaia
anche i Maya vogliono la tua taglia
pure la massaia lo sa, per la fifa tartaglia
decifra una sterpaglia di codici ma il 20-12
non incide se non nei cinematografi.
Uomini retti che sono uomini rettili
con pupille da serpenti
più spille da sergenti
vogliono la tua muta, Gaia
ti vogliono muta, Gaia
la bomba è venuta a galla adesso esploderà.

Reti di rettiliani, andirivieni d’ alieni
velivoli di veleni, tutti in cerca di ripari ma

La fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!

Anche E.T. è qui, mamma che condanna!
E’ un pervertito, ha rapito Gaia per fecondarla
con alieni adepti che scuoiano coniglietti
e li mostrano alle TV spacciandoli per feti extraterrestri.
C’è chi vuole farsi Gaia con fumi sparsi in aria
da un aereo che la ingabbia come all’Asinara.
Si narra che gaia sniffi,
abbaia anche Brian Griffin.
E’ Clyro come i Biffy che gaia Gaia non è.
Tra San Giovanni, Nostradamus e millennium bug
sulla sua bara chiunque metterebbe una tag.

Ma la fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!

Né con i passi di Godzilla né coi passi della Bibbia,
Gaia sopravviverà
a questi cazzo di asteroidi che non hanno mai schiacciato
neanche una farfalla.
Sei tu che tratti Gaia come una recluta a naja
ami il petrolio ma la baia non è una caldaia
la tua mannaia lima l’aria mica l’Himalaia!
Gaia si salverà, chi salverà il soldato Ryan?

Non i marziani ma te dovrò respingere
non i marziani ma te dovrò respingere e vedrai..

La fine di Gaia non arriverà
la gente si sbaglia
in fondo che ne sa.
E’ un fuoco di paglia
alla faccia dei Maya e di Cinecittà.
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!
La fine di Gaia non arriverà!
2012: nemmeno un temporale!

Noi non ci saremo

Vedremo soltanto una sfera di fuoco,
più grande del sole, più vasta del mondo;
nemmeno un grido risuonerà e solo il silenzio come un sudario si stenderà
fra il cielo e la terra, per mille secoli almeno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

Poi per un anno la pioggia cadrà giù dal cielo
e i fiumi correranno la terra di nuovo
verso gli oceani scorreranno e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
e in alto nel cielo splenderà l’arcobaleno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E catene di monti coperte di nevi
saranno confine a foreste di abeti:
mai mano d’ uomo le toccherà, e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
e in alto, lontano, ritornerà il sereno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E il vento d’estate che viene dal mare
intonerà un canto fra mille rovine,
fra le macerie delle città, fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà,
fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E dai boschi e dal mare ritorna la vita,
e ancora la terra sarà popolata;
fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni e ancora il mondo percorrerà
gli spazi di sempre per mille secoli almeno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo,
ma noi non ci saremo…

Nemo turista in patria est

postato il 17 Mag 2012 in Main thread
da Lalla

L’altra mattina, assonnata e sfatta come al solito, trascinandomi una stracolma borsa e un giubbino ovviamente troppo caldo per la giornata di simil-agosto cittadino, salivo le scale dell’università. Guardavo a terra, verso i gradini, un po’ per controllare di non inciampare, un po’ perché lo sforzo di alzare la testa mi sarebbe stato fatale. Ma ecco. Quel momento. Il momento in cui perdi il conto delle rampe e che ti costringe a sollevare lo sguardo verso la targa del piano. A fatica compio l’erculeo sforzo, e nella mia visuale appare qualcosa di insolito: uomo e donna sui 40 anni e bambina sui 7. Una famiglia! In un università? Avrò sbagliato palazzo? (Non sottovalutate questo rischio solo perché il governo non ci ha fatto una campagna promozionale. Prevenire è meglio che curare.) Poi osservo meglio. Berretti, scarpe da tennis , cartina (non pensate a male!) e MACCHINE FOTOGRAFICHE. Turisti! Turisti sorridenti che ruotano il cranio a destra e sinistra lungo le scale che percorro ogni mattina. Fotografano le volte del soffitto, ammirano il panorama dalla finestra sul cortile, si lasciano estasiare dalle crepe, riflettono sulle influenze filosofiche che avranno portato l’architetto alla scelta di quel colore grigio topo e sulla possibilità che le macchie di umidità celino messaggi esoterici. Poi mi scorgono, mi guardano. E sorridono. Sembrano pensare :”Beata te che ogni giorno hai la fortuna di vedere un luogo del genere!” Ed hanno ragione. Quanti luoghi ogni giorno vediamo, percorriamo, abitiamo senza degnar loro della minima attenzione. Ormai ridotti a tappe mentali di un’automatica rotta. Palazzi storici, stazioni della metro, chiese e conventi e monumenti d’ogni tipo accompagnano il nostro percorso e la nostra giornata. Piazze e vicoli a volte meravigliosi, a volte un po’ meno, fanno da cornice ai nostri passi strascicati. Eppure ce ne rendiamo conto solo quando vediamo un giappotedespagnolandese puntarci contro un obiettivo.

Che cosa manca agli uomini affinché possano godere del piacere del tempo e del luogo?”

“Questo è quel che mi stupisce, fratello. Non sono forse dotati di mente e anima?”

(Nagib Mahfuz, Notti delle mille e una notte)

Ancora sui luoghi comuni

postato il 8 Mag 2012 in Main thread
da Vobby

Questo post è un commento al post di Deluded Wiseman sui luoghi comuni, del quale si consiglia un’attenta lettura. Era diventato un po’ troppo lungo perché venisse letto come commento e si era parzialmente discostato dal tema originale proposto dal collega Autore

Non so se è svolgere la nostra personalità che ci rende umani. E’ una bella immagine quella dell’uomo considerato come unica creatura vivente capace di volta in volta di decidere dove, come, quando, perché e cosa fare. Questo ritratto può essere un ideale a cui tendere, e forse è anche questo il senso del post di Deluded Wiseman, che però non descrive la realtà dell’essere umano. Restando sui luoghi, così come le anatre migrano a sud durante l’inverno, così come i gatti defecano lontano da dove mangiano, così come le foche (sì, le foche, hasta siempre) devono stare a terra per trombare e rotolare e in acqua per cacciare, dimostrando la loro natura di implacabili predatori, così gli uomini di ogni epoca hanno diviso gli spazi fra i luoghi di lavoro, di allevamente dei figli, svago e tutto il resto. Possiamo vederla come una tendenza fisiologica all’irregimentarsi, non necessaria oggi che non siamo costretti a seguire le migrazioni dei mammuth per poterci nutrire, però c’è sempre stata, e, quindi, direi che è una cosa molto umana.
La cosa che condivido, è che questo forse non ci rende vivi. Perché, sì, la vita naturale, meramente fisiologica dell’uomo, è inscindibile (o almeno non è mai stata scissa) da una più o meno rigida separazione degli spazi. Tuttavia esiste una vita diversa, una vita caratterizzata, che è propria dell’uomo soltanto, che diverse epoche e luoghi non hanno mai conosciuto, che è la vita comunitaria, l’aspetto… politico della nostra esistenza. Perché io posso anche indossare un kilt e suonare la cornamusa sotto il pesco di quattro giornate, ma la piazza resterà la stessa, servirà sempre a far ubriacare i turpi e far passare le macchine, e, diciamocelo, ogni civiltà ha conosciuto i suoi scemi del villaggio, in fondo anche loro hanno sempre avuto il loro “spazio”.
Comunitariamente, però, io posso decidere che fare della piazza, decidere il paesaggio. E’ vero che tutte le creature viventi contribuiscono a modificare il paesaggio in cui si trovano, però la maniera in cui l’uomo è capace di farlo assume proporzioni troppo diverse per non essere definite uniche. Il paesaggio urbano ( o anche rurale, perché no) che si modifica in base alle scelte collettive di una comunità è la dimostrazione di una vita veramente viva e veramente umana al suo interno.
Non affiderei il cambiamento delle funzioni del luoghi alle nostre singolarità, perché io avrò sempre bisogno di mangiare e sempre voglia di trombare, e dovrò comunque dividere gli spazi di queste due nobili attività, perché non tutti potrebbero apprezzare che si scopasse a mensa, e poche fanciulle apprezzerebbero che si mangiassero polpette durante l’amplesso. Ciò che crea e modifica il paesaggio e la sua divisione sono le necessità e le volontà collettive, ed è la collettività che rende l’uomo umano.
Naturalmente collettivi, naturalmente comunitari. Forse non così tanto naturalmente, perché, ripeto, in fondo solo una piccola minoranza di civiltà ha deciso di dedicare spazi a un’agorà che decidesse come modificarli. Però se vogliamo cercare qualcosa di diverso dalla vita da schiavi addomesticati che svolgiamo per la maggior parte del nostro tempo, nella maggior parte dei luoghi in cui ci troviamo, chiusi nella nostra affollata solitudine, allora dobbiamo per forza riferirci alla nostra vita da uomini liberi, che invece esiste solo in una dimensione pubblica.
D’altra parte l’articolo 2 è chiaro, per non parlare dell’articolo 3: è nelle formazioni sociali che si deve svolgere liberamente la nostra personalità, e il pieno sviluppo della persona umana sarebbe impensabile senza “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, dei luoghi che siamo chiamati a condividere.

Luoghi comuni

postato il 8 Mag 2012 in Main thread
da Deluded Wiseman

[Probabilmente questo post sarà pieno di errori, ma ora mi scoccio di rileggerlo, e ho paura che se non lo posto ora non lo posto più. E considerando che è il post del mese scorso, forse è pure ora. Correggerò poi. ]

Il problema dei luoghi, almeno secondo me, è che c’è un luogo per ogni cosa, un po’ come le App (prendo dieci euro dalla Apple, per questa battuta). L’Università per studiare, il pub per magnà e beve, la discoteca per ballare, la palestra per lo sport, la piazza per ciondolare senza scopo, il muffoso antro che all’età di 20 anni ancora alcuni chiamano cameretta per, uh, tipo tutto: studiare, leggere, copulare, suonare o coltivare un qualsiasi altro hobby. Il tutto non sembra dimostrare particolari problematiche, se tralasciamo che per svolgere buona parte di queste attività paghiamo un servizio nullo o quasi, consistente, alla fine, nella sola messa a disposizione di un luogo che potrebbe benissimo essere sostituito dalla cantina della nonna. Ma, più di questo, mi colpisce una questione solo parzialmente analoga: se c’è un luogo per ogni cosa, è anche vero che il più delle volte per ogni cosa c’è un solo luogo. Coerente? Forse sì. Ma se si considera che passiamo buona parte della nostra giornata, e conseguentemente della nostra vita, in luoghi con un vincolo di destinazione, come il posto di lavoro o la scuola, anche il lettore più tardo realizzerà (o sono pazzo io) che, a conti fatti è ben poco il tempo e lo spazio che possiamo dedicare “a noi stessi”, per dirla in termini semplici, o, per usare un’immagine presa dalla Costituzione, immagine che estrapolerò e stravolgerò nel suo significato ma che secondo me rende bene e mi piace un sacco, per “svolgere la nostra personalità”. Mi piace perché mi sembra una descrizione abbastanza vaga e omnicomprensiva, ma al tempo stesso dotata di una certa precisione, di quello che rende l’uomo..uomo? Vivo?Insomma, penso parli bene da sé, ove io invece mostro difficoltà anche a pensare cosa sto scrivendo.

Qualunque sia il modo in cui vi piace “svolgere la vostra personalità”, per farlo vi tocca sicuramente aspettare fino a fine giornata, e probabilmente anche pagare qualcuno che vi metta i mezzi a disposizione.

Io penso, innanzitutto, per quanto che dovremmo imparare a gestire meglio i tempi, soprattutto noi cciovani che spesso, più che nei nostri doveri, siamo intrappolati nei tempi morti e nelle attese fra un dovere e l’altro, ore preziosissime (Pdp docet) che capita di buttare grattandosi lo scroto a parlare di gnocca nella stessa aula che ci vedrà studenti per le successive quattro ore (e ogni tanto ci può stare, dai), o fissando la pubblicità delle mutande di fronte alla pensilina del pullman(e forse pure questo..). Sarebbe bello cercare di riempire gli interstizi dei muri di impegni che costituiscono l’edificio della nostra giornata di quello che ci piace, invece di trascorrerla rimbalzando fra fatica e inerzia: leggere un libro o prendere una birra con gli amici durante lo spacco, disegnare poggiati sulle gionocchia mentre si aspetta il pullman, qualunque cosa appartenga a quel genere di cose che abbiamo quasi paura di fare davanti agli altri, quasi fosse un sacrilegio distogliersi dal beneamato binomio corsa frenetica-attesa che anima la metropoli.

Ma, più che imparare a gestire i tempi, soprattutto penso che si debba imparare a vivere i luoghi nei quali spendiamo le nostre vite, perché io trovo, senza esagerare, avvilente pensare che -se non fosse per questa mia linea di pensiero che sto confusamente esponendo (che immagino sia, coscientemente o meno, condivisa da alcuni di voi)- io assocerei la maggior parte degli scenari che fanno da sfondo al mio quotidiano esclusivamente a ricordi e sensazioni non voglio dire negative, perché di certo non posso dire che correre verso la metro o studiare e seguire i corsi siano faccende negative. Ma posso dire tranquillamente che si tratta di rituali imposti, faticosi, ansiogeni e quant’altro. Per questo penso che possa essere quasi “terapeutico” impadronirsi, in senso buono, di un luogo della nostra vita di tutti i giorni, vivendolo tramite una di quelle attività che sono tradizionalmente confinate altrove e che sentiamo nostre. Mi si passi l’immagine un po’ sdolcinata, ma è un po’ come piantare un bell’albero fiorito in un campo arido, o pieno di barbabietole, una cosa che per carità, ma non si vive di sola barbabietola. L’albero rimane lì, bello e florido, anche quando vai per barbabietole. Andare a ballare all’università invece che pagare 25 euro per un casermone stroboscopico a Via Culo, suonare la chitarra nello slargo antistante la biblioteca dove butti il sangue sui libri invece che a casa, non sedersi al bar ma prendere la birra e schiattarsi sulle panche dei giardinetti della metro che la mattina ti vedono perennemente in ritardo; sono cose che possono cambiare, e non solo per una sera, la concezione di un luogo, il modo di guardarlo e di sentirselo addosso, come un vestito fatto su misura invece che il monomisura-unisex del mercatino. Certo, non è necessario, ma visto che a pacche al vento non si può andare, tanto vale fare qualcosa per farsi andare meglio i suddetti indumenti. E se proprio ci va bene, possiamo rendere questo servizio anche a qualcun altro. Non voglio azzardarmi a pensare che la visione di me che fricchettoneggio con la chitarra possa rendere felice chi frequenta una piazza, però qualcosa del genere è possibile: per esempio, credo che la roba dell’albero di cui sopra, mi sia venuta pensando a una brutta giornata risollevata di punto in bianco dalla visione di un pesco fiorito (o comunque un coso coi petali rosa) piantato nelle squallide aiuolette di Quattro Giornate. Magari lo ha messo il Comune, ma forse no, e a me piace pensare che un tizio con l’hobby del giardinaggio un giorno si sia svegliato, abbia guardato il suo bel prato verde (cit.) e abbia detto “Meh. Oggi vado a piantare alberi per la via.”, e così facendo abbia sputato su di un po’ di grigiume urbano e migliorato la giornata di qualcuno. Tipo la mia, per esempio.

Ma poi, diciamolo, condividere qualcosa è sempre meglio che farla per se stessi; io sono convinto che il giorno che qualcuno ha inventato la musica, non l’ha inventata perché fosse suonata con la lucina puntata sul leggio, seduto con lo strumento in mano(ehm) in mezzo alla stanza. Io penso che chi ha inventato la musica lo abbia fatto per suonarla su una scogliera al tramonto, su un prato alpino in primavera, o su una gradinata medioevale. Lo stesso vale per i libri ,per il pallone; dio che tristezza i ragazzini che tirano calci in salotto, con tutto che io odio passare in mezzo ai creaturi che giocano il pallone.

Certo non sono certo parole nuove, le mie. Magari vi viene in mente il tripudio di liberazioni di spazi, e riappropriazioni varie che si fanno in nome di questo o quello. Mi preme, a questo punto, fare un distinguo con quello dicevo prima. Senza scendere nei dettagli, penso sia presuntuoso affermare di aver “liberato” uno spazio, quando di fatto lo si è sottratto a una parte di coloro che ne potrebbero usufruire, allo scopo di renderlo conforme all’idea di spazio dei “liberatori”(a meno che non si tratti di spazi sottratti al nulla e liberati dalla fatiscenza). E lo dico pur non facendo certo parte, la maggior parte delle volte, di coloro che si sentono depauperati dall’occupazione di uno spazio pubblico. Ma su questo di dovrebbe mettere su una vera discussione, io di certo non voglio affidare ad una piccola parentesi inserita in un post che parla d’altro il mio parare su una questione così spinosa. Il concetto di “vivere” un luogo, come comunità, è ben diverso, e si basa sulla possibilità che tutti possano proiettare qualcosa di loro stessi in uno spazio condiviso, senza che alcuno debba essere escluso dalle “proiezioni” altrui. Si può coesistere rispettosamente (a Piazza Quattro giornate, nei pomeriggi di primavera, ci trovi di tutto, e nessuno sembra disturbare), si può fare a turno (ci si potrebbe stupire a vedere cosa si agita certe sere nei cortili di alcuni palazzi universitari che il giorno dopo sono pieni di studenti e professori), si può fare un po’ in tutti i modi. Più triste è, come a Piazza Quattro Giornate (è una piazza grande, c’è zona e zona!), quando un gruppo di turpi rende perennemente sozza e invivibile un’area comune.

Non è che vengo qui a scrivere queste belle cose sperando che nessuno possa aversene a male neanche per un istante se io faccio una festa in una facoltà, o se suono i bonghi in piazza, ma secondo me sarebbe bello se si riuscisse a contemperare un minimo gli interessi, senza agitare qualche spauracchio ad hoc (Risse! Droga! Rapine!) ed evocare prontamente i guardiani del pubblico silenzio, uccidendo a volo a volo un’occasione di socialità e mandando tutti su facebook a passare le serate in cui non hai soldi per un pub davanti a FB a commentare il Grande Fratello in differita di 0,15 secondi. Ma soprattutto. Che cazzo ci faccio davanti al computer?

 

 

 

Fine di…?

postato il 4 Mag 2012 in Main thread
da Cerbs

Ho postato con 3 giorni di buffer perchè, visto il ritardo con cui era stato introdotto il precedente argomento, ho preferito concedere qualche altra possibilità ad eventuali impavidi eroi di dire la loro. Almeno un altro post è uscito, a dispetto della svogliatezza e della pigrizia che han di solito prevalso sui buoni propositi.
Davanti la seguente situazione, è con amarezza che ho deciso di scegliere quale prossimo argomento la “Fine”.
A voi le interpretazioni.

E no, non sono stato ispirato dalla celebre “sorpresa”! :P

I ruderi di una fabbrica

postato il 3 Mag 2012 in Main thread
da freeronin

Affacciatosi per la prima volta da Posillipo, mio cugino conclude: «eh, bel panorama che tenete: i ruderi della fabbrica…».
Difficile dargli completamente torto, però è innegabile che i resti dell’Italsider di Bagnoli siano ormai – forse irreversibilmente – parte del luogo: per me, che sono nata appena venti anni fa, sono sempre stati lì, già ruderi. Personalmente, però, non riesco a pensare che siano solo qualcosa di brutto, come di solito mi capita di pensare di certi edifici moderni che sbucano dietro scorci di paesini antichi o palazzoni enormi e sgraziati costruiti sulle coste.
Quello che vedo, una larghissima estensione di terra nuda con poche costruzioni, massicce ed elementari, ha, per me, un che di arcaico, mi sembra antico quanto la natura intorno, naturale come mi sembrerebbero naturali le pietre di Stonehenge o i nuraghe in Sardegna.
Trovo in un certo senso giusto che sia lì. Non lo trovo ameno, però mi ipnotizza il modo in cui quel mare e quegli scogli mozzafiato messi vicino a una fabbrica in disuso siano in profonda sintonia con l’anima piena di contraddizioni del territorio napoletano.
È strano: un paesaggio costruito dall’uomo appare più immobile della natura intorno, sempre maestoso e sempre uguale a se stesso. E la cosa più amaramente strana è che il mare appare tanto invitante, tanto gioioso nelle giornate di sole, tanto puro quando il cielo grigio ne esalta il blu intenso, ma proprio lì è ancora malato, contaminato.
L’immobilità stessa di quel luogo è in realtà il risultato di un movimento incessante, un intreccio di progetti di riqualificazione, di chiacchiere, di camorra, di sano attivismo politico e civile, un fare e disfare continuo, un movimento che ancora non conduce da nessuna parte: “facite ammuina”.

Giovinò mi fate sedere?

postato il 1 Mag 2012 in Main thread
da Bread

[Chiudiamo l’argomento del mese con un post del cazzo, che però almeno è un post, dato che non posto da troppo tempo posto questo post anche se è un post del cazzo e visto che l’argomento l’ho scelto io dovevo postare un post, visto che il post introduttivo è stato postato in ritardo, ora la smetto di dire post giuro. Lo faccio solo un’ultima volta: post!]

Vi sono dei luoghi che esistono davvero, altri che esistono solo nelle leggende e nell’imaginario collettivo e la cui esistenza non è verificata né riconosciuta dai più: luoghi come il Paradiso, l’Inferno, Asgard, Atlantide, il Valhalla.. o il C33. Le leggende narrano di quest’ultimo come di un pullman che porti da uno stazionamento che nessuno ha mai avvistato (le antiche cronache parlano di piazza Leonardo, ma nessuno vi ha mai trovato tracce del leggendario pullman) sino a Monte Sant’Angelo [Una sede dell’università, nel caso qualcuno non di Napoli abbia la sfortuna di leggerci]. Vi sono fermate che hanno sul tabellone la scritta “C33”, quelle più tecnologiche riportano anche l’orario a cui dovrebbe palesarsi ma, giunta quell’ora, la scritta scompare magicamente. Del pullman nessuna traccia.
C’è chi perde la speranza e va via scegliendo percorsi alternativi, chi prende altre linee. Ma c’è chi resta perché nutre la profonda convinzione che il C33 esista. Ebbene il C33 esiste.. io l’ho visto! Ci sono salito più volte, e vi narrerò di ciò che ho potuto vedere e sentire in questo luogo meraviglioso.
Le specie che popolano il Pullman sono fondamentalmente tre: “i vecchi”, “gli universitari in ritardo” e “i casi umani”.

-I vecchi. Dovete immaginarveli un po’ come gli zombie di un film splatter: salgono ad orde dimenando goffamente bastoni e carrelli della spesa colpendo chiunque e producendo bizzarri versi. Alcuni di questi sono stati decifrati e tradotti nella nostra lingua e suonano come “Un momento!”, “Faciteve chiù allà”, seguono poi diverse imprecazioni su “i giovani d’oggi”. C’è solo una frase che sanno pronunciare nella lingua corrente:”giovinò mi fate sedere?”. Se sentite questa frase, siete fottuti. Le alternative sono due: a) rispondere “sì” e farvi tutto il viaggio in piedi per cedere il posto a un vecchio che scenderà alla prossima fermata, b) rispondere “no” e venire divorati da un’orda di zombie inferociti, perché gli zombie non chiedono il posto.. lo pretendono!

-I casi umani. Questi sono di diverse specie che vanno dagli individui semplicemente bizzarri, a quelli completamente pazzi. In genere i pazzi si aggirano sul confine vomero-soccavo. Queti individui, nati da chissà quale amore incestuoso, parlano la stessa lingua degli zombie ed alcune volte si fermano a parlare imprecare con loro, maledicendo il conducente o il resto del mondo.

-Gli studenti universitari in ritardo. Questa categoria (che pure si divide nei suoi sottogruppi), così come le altre due, brama una sola cosa: il posto a sedere. Questi però hanno la sfortuna di non poter pretendere nulla, ma sfruttano la loro intelligenza superiore (superiore a quella degli zombie e dei pazzi, capirai..) per escogitare tattiche che li porteranno ad essere seduti. Due sono le strategie principali:

-Il posto alternativo. Vengono assaltati posti come, la ruota del pullman, oppure lo spazio tra l’ultimo sedile e la cabina del conducente, qualsiasi cosa può rivelarsi un potenziale sedile per l’universitario assonnato.[I posti alternativi, seppure scomodi, hanno il vantaggio di essere inattaccabili dai vecchi]

-La marcatura a uomo. Questa tecnica consiste nell’individuare la figura seduta che ha l’aria di scendere prima e piazzarsi lì vicino aspettando che questa scenda. Il successo di questa tecnica dipende dalla capacità dello studente di discernere “il tipo di via Epomeo” da quello del Vomero e del Parco san Paolo, capacità che si affina con gli anni.

Al ritorno il leggedario pullman fa un percorso diverso da quello dell’andata (probabilmente per far perdere le proprie tracce) e passa per il leggendario Rione Traiano, terra di spacciatori e cammoristi, di povera gente e di bambini tammarri. Questi ultimi salgono spesso sul pullman molestando i passeggeri con la musica tamarra dei loro cellulari.

Terminato il giro, il C33 torna nell’ombra: gira l’angolo ed è svanito. Non puoi dire se lo rivedrai mai più, ma sai per certo che esiste e che le voci al riguardo non sono solo leggende. Forse un giorno vivremo in un mondo in cui i C33 passano e la gente riesce ad arrivare in orario all’Università!

 

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