Capitolo IV: Strambi ricordi

postato il 28 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da Cerbs

Fu allora che Andrea iniziò a ricordare non poche cose.

Giacarta, 1619

«Boom!»
«I cannoni! Sono gli olandesi! Presto, dobbiamo muoverci!»
Il bisnonno di Andrea si era trovato in una situazione così scottante ben poche volte nella sua vita: forse l’unico momento peggiore era stato quella volta che aveva perso a «dadi pirata» tutto, comprese le mutande, nella bettola locale. Egli era per l’appunto un affermato pirata, di quelli con le spade e le bende sull’occhio: pertanto, quando la Compagnia delle Indie aveva ben pensato di espandere i suoi interessi nella sua zona preferita di scorribande, la sua presenza era diventata, diciamo, mal tollerata.
Seguì la sua banda di manigoldi in una fuga precipitosa per le strade della città, mentre tutt’intorno crollavano edifici e si sollevavano nel cielo i fumi delle distruzioni.
«Forza, per di qui!» gridò uno dei tagliagole. Si infilarono in un angusta viuzza lastricata, per poi svoltare in una ben più fangosa discesa.
«Da qui potremo arrivare alla nave, e fuggire!» continuò quello, con il classico tono speranzoso che taluni cacciano fuori nelle difficoltà.
Purtroppo, la vita non è un film, e le cose possono andare male: fu infatti in quel momento che la nostra amata ciurma fu sorpresa da un manipolo di soldati armati, intenti a dare fuoco agli edifici circostanti: «Non deve rimanere vivo nemmeno il più piccolo fiore, nemmeno il più orrendo scarafaggio! Bruciate questi schifosi!»
«Oh no! Cristo, dobbiamo darcela a gambe!» urlò il bisnonno.
«Ehi! Un branco di quegli stronzi! Pestiamoli!» fu la frase che sancì l’inizio di un aspro e violento combattimento.
Il nonno di Andrea, che in fondo alla pellaccia ci teneva, appena si disfece del suo avversario colse l’occasione per tagliare la corda: si lanciò verso un muretto lì vicino, lo scavalcò, attraversò una piazza (o quel che ne rimaneva) facendosi strada fra la gente che fuggiva e che urlava, salì una scala e si lanciò dalle mura della città, atterrando in un cespuglio.
«Devo lasciare subito questa zona…ma cosa faccio? Il mare è impraticabile, la nave è quasi sicuramente perduta….forse la cosa migliore da fare è cercare un luogo sicuro nei dintorni, e fuggire col favore dell’oscurità!» pensò, cosicchè iniziò a correre lontano e si diresse verso una infossatura del terreno, una sorta di caverna, che aveva intravisto. Vi entrò, si fece strada pian piano a tastoni, finchè non scivolò lungo un tunnel.
«Accident…ma cosa???»
Si trovava in una specie di grandissima sala, scavata all’interno della roccia, sulla cui parete più grande si ergeva un immenso portale dorato. Siccome l’insegnamento «non toccare», il primo che si fa ai bambini, è anche il primo che viene rimosso dai ragazzi e dagli adulti, il malconcio pirata vi si appropinquò e…..

«Non mi interessa cosa è successo prima che quel fetente del tuo bisnonno giungesse qui! Voglio sapere cosa è accaduto dopo!»  sbraitò irritatissima Zeugma.
«Quindi anche lui… è stato qui?»
«Sono io che faccio le domande!» urlò, mollandogli uno sganassone.
«Ahia!»
«Anzichè facilitare le cose con il siero della verità, avremmo potuto torturarti, solo per il nostro divertimento! Medita sulla mia clemenza, e sbrigati a dirmi ciò che voglio sapere!»

In effetti, il bello doveva ancora venire. A quanto sembrava dalle successive visioni, il bisnonno di Andrea aveva conosciuto, dopo essere stato proiettato nel suo mondo, una giovane e stupenda Zeugma, che, manco a farlo apposta, militava con degli altri lestofanti in una banda di corsari contrabbandieri. Poteva egli mai ripudiare la sua natura? Certo che no! Ritenendo infatti che fosse troppo pericoloso, ed anche inutile, tornare indietro nel suo mondo, decise di unirsi a loro. A quest’altra ciurma una mano in più non poteva che fare bene,e le sue referenze erano d’altronde buone (bandana piratesca, benda, segni di ferite, spada), quindi fu bene accetto.
Col tempo, iniziò sempre più ad essere affascinato da quel personaggio femminile, così bello e dolce nei lineamenti, eppure così forte e risoluto. Notò altresì che indossava una particolarissima collana, da cui non si separava mai, in cui era incastonato nel corpo centrale uno strano sigillo, una sorta di pietra rossa.

«Da quanto ricordo, mi sembra che mio nonno si fosse interessato a te parecchio!»
«Quell’infame mi sedusse, e quando gli parve più opportuno, se ne scappò rubando la mia collana! Magari pensava fosse solo preziosa…»
«E invece?» ribattè Andrea, cercando di indurre Zeugma a parlare, rivelando la verità, puntando sulla sua ira.
«E invece….??? Ancora non hai capito nulla, razza di idiota? Quella collana dona l’immortalità!»
«Ma cosa…?»
«Quell’imbroglione me l’ha rubata tempo fa, ed è per questo che ora sono una vecchia decrepita! Ha rubato la mia giovinezza e la mia vita stessa!»
«Continuo a non capire cosa c’entro io, e perchè sto vivendo i ricordi di mio nonno. Peraltro, se lui ha davvero rubato la collana, perchè è morto?»
«La collana dona l’immortalità dell’anima, l’eterna giovinezza, ma non l’invulnerabilità. Il tuo dannato bisnonno è morto in un incidente quando è tornato al tuo mondo, senza rivelare a nessuno dove avesse nascosto la collana! Noi l’abbiamo cercata per molto tempo, ma non siamo riusciti a cavare un ragno dal buco…»
«E perchè io vedo i suoi ricordi?»
«Perchè la collana può anche non riuscire ad impedire una tua morte accidentale, ma ti rende pur sempre immortale. Tu sei la reincarnazione di tuo nonno! La tua anima ed i suoi ricordi sono come impiantati in te!»
«Wow, proprio come in Assassin’s Creed!» pensò Andrea, ricordando uno dei suoi giochi preferiti.
«Motivo per cui tu adesso ci dirai dove è quel gioiello; dopodichè, io vi incastonerò sopra il Sigillo….»
«Sigillo…?»
«Una piccola aggiunta che il bastardo non è riuscito a rubarmi. E’ un manufatto che conferisce qualche potere in più, abbinato ad essa, ma non sono fatti tuoi! Io la rivoglio indietro, reimpossessarmi del suo potere, ed eliminarti per il mio gusto personale!»
«Cazzo!» pensò stavolta il nostro giovane (?) eroe. Ma la sorte ha voluto che questa storia non finisse in modo così miserevole qui.

«Crash!»
«Cosa è stato?»
«Ahahah! Guarda chi si vede! La piratessa Zeugma, l’impavida!» esclamò un uomo in alta uniforme, appena passato attraverso un buco causato da una esplosione.
«Tu? Che ci fai qua?»
«Che domande…faccio a pezzi la tua ridicola nave, arresto te e la tua misera ciurmaglia e mi prendo il ragazzo!»
«Mai! Uomini, alla riscossa!»
La confusione che ne seguì fu paragonabile solo a quella geniale rissa visibile alla fine del film «Lo chiamavano Trinità». La necessità aguzza l’ingegno, anche quello di una persona solitamente poco sveglia come Andrea, il quale afferrò una bottiglia da un tavolo e la fracassò sulla testa della vecchia, mentre tutt’intorno volavano pugnali, cazzotti, sedie e persone. Il valoroso fracassatore si rintanò sotto al suddetto tavolo, quando si accorse  di una particolare pietruzza rossa appesa al collo di Zeugma.
«Potrebbe servirmi per contrattare, in futuro!» pensò, per cui gliela tirò via, se la nascose nella scarpa (chissà come mai, tutti ritengono che sia l’ultimo posto dove i cattivi vadano a controllare qualora tu abbia qualcosa da celare) e cercò un modo per cavarsela.
«Prendetelo!» urlò il tizio in uniforme.
«Oh-oh!»
Non c’era più tempo per riflettere. Andrea si lanciò nel bel mezzo della confusione, sperando di seminare i suoi inseguitori; tuttavia, essi si dimostrarono più tenaci del previsto e non lo persero di vista. Accortosene, egli prese un corridoio, si lanciò nella prima porta che trovò e cercò di bloccarla alla bell’e meglio. Aprì dunque l’oblò, e, facendosi non poco coraggio, uscì in coperta: una volta lì, esaminò le varie opzioni:
1) Nascondersi. Equivaleva a ritardare la cattura.
2) Farsi strada combattendo. Sì, e con cosa?
3) Saltare!!!

Prese una bella rincorsa, e…via! Si lanciò dal Granchio sul «molo» a cui era attaccato, riuscendo ad aggrapparvisi per poco; si tirò su, e prese a scappare nel Mercato.
Ma, all’improvviso, fu tutto nero.

Andrea si risvegliò nel letto di casa sua, in pigiama. Si alzò con non poca fatica, andò in bagno, si recò in cucina a prendere dell’acqua, e poi fece per tornarsene a pisolare.
«Ma che sogno del menga!»
Stava già pregustando la morbidezza del suo piumone, quando udì, d’improvviso, un clamore impetuoso provenire dalla strada: corse quindi ad affacciarsi alla finestra. Era difficile descrivere che momento della giornata fosse, perchè c’era quella sorta di maltempo che rende le sette del mattino uguale alle 10 di sera; ma tutto questo entra in secondo piano nel momento in cui ti accorgi di una flotta di almeno 50 navi alate che veleggia sopra la tua città.
«Oh no, no, no!» gemette Andrea, prima di correre a controllare una cosa nelle sue scarpe.

*             *             *

Chiedo scusa sia per il mio ritardo nel postare sia per le eccessive fesserie che mi sono dovuto inventare, ma purtroppo ero in una situazione senza via di scampo :P Ad ogni modo, ecco gli argomenti per i prossimi eroi che si cimenteranno nel raccontare le gloriose gesta del nostro Andrea:

La corruzione

Le sbadatezze

Le alleanze

Per veri arditi – parole e digressioni:

Consenso

Fogna

Gelato

Menhir

Ritorno

Per coloro che vogliono eccedere in eroicità:

– Inserire almeno tre delle parole fornite nello stesso periodo

– Scrivere il post facendo sì che le lettere iniziali delle parole con cui farete iniziare ogni capoverso (o dialogo) compongano a loro volta, prese in ordine, una parola di senso compiuto (se lunga e buffa, come “turpiloquio”, è meglio.

Al solito, se ciò dovesse costituire una forzatura troppo eccessiva per il vostro racconto, fa niente, sarà per un’altra volta.

Il contraddittorio

postato il 28 Nov 2010 in Cazzi e mazzi personali
da Azazello

Volevo fare un post sul contraddittorio già da qualche tempo, ma oggi ho visto che Chinaski l’ha fatto molto meglio di come avrei potuto pensare di farlo io, quindi vi incollo uno spezzone e il link al suo post (leggetelo! è lungo ma merita)

1. I dati da lei riportati non tengono conto dei miei dati che non tengono conto dei suoi.
link: http://chinaski77.splinder.com/post/23656888

Grazie

postato il 25 Nov 2010 in Senza categoria
da Azazello

Grazie a Nigredo che ha partorito il nome e il link allo SQUALLOROPODE DANZERINO!

I Sette Pilastri della Saggezza

postato il 25 Nov 2010 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

No, vabbè, è più una curiosità, guardate qui:

Lunedì           Monday          Montag
Martedì         Tueasday       Dienstag
Mercoledì    Wednesday   Mittwoch
Giovedì         Thursday       Donnerstag
Venerdì        Fryday            Freitag
Sabato           Saturday        Samstag
Domenica    Sunday            Sonnstag

Probabilmente avrete notato una certa somiglianza fra i giorni della settimana in inglese e tedesco, ma se avete fatto attenzione di certo non vi è sfuggita una interessante analogia fra i significati dei giorni di queste due lingue germaniche con l’italiano.

Lunedì è il giorno della Luna, come monday (moon) e montag (mon)

Martedì ha questo nome in onore del dio Marte, Dienstag dovrebbe significare qualcosa come “giorno di lavoro”, e l’analogia c’è perchè marte era innanzitutto un dio dell’agricoltura, per quanto riguarda Tuesday francamente non ricordo.

Mercoledì è Mercurio, ma non pensate al dio dei ladri, piuttosto ricordate quello della poesia e dell’astronomia, così vi verrà in mente Woden, Wednesday, il giorno di Odino. Mittwoch significa banalmente “metà settimana”.

Giovedì prende in nome dal tonante Giove, Thursday ha la stessa radice di Thor, e Donner significa direttamente Tuono, pensate un po’.

Venerdì deriva da Venere, che non è dea solo dell’amore, ma è in origina una divinità sanguinaria e violenta, e così infatti la venerava Silla. Fryday e Freitag vengono da Freya, non a caso cioè dalla principale divinità femminile del pantheon norreno.

Sabato non mi ricordo, temo sia un nome dato dai cristiani. Però non è arduo capire che Saturday viene da Saturno (il che è strano, anche Saturno è assimilabile a Odino, in quanto padre del dio del tuono). Samstag non lo so, il traduttore di google non mi è d’aiuto, prometto che mi informo.

Domenica è decisamente un nome cristiano, ma il significato non cambia: Dominus è il signore , il dio cristiano, si, ma sun e sonn significano Sole, nient’altro cioè che il signore del cielo. Ecco un’ennesima testimonianza dello sporco gioco dei cristiani, che mantengono la forma dei culti pagani per appagare il popolino mutando però la sostanza del credo.

Tutto questo si spiega solo in parte con la dominazione latina dell’Europa, dal momento i romani mai superarono il Reno, e che quindi non avrebbero dovuto influire su un elemento di cultura così basilare come i nomi dei giorni della settimana dei germani, neppure durante le invasioni germaniche e i regni romano-barbarici. Anche perchè venerdì, per esempio, non è venerdien ma Freitag: le due parole non hanno alcuna assonanza, non sono frutto di un’assimilazione culturale di vocaboli stranieri.

Il significato dei nomi qui è essenzialmente religioso, e le analogie sembrano dare credito all’ipotesi di una singola antichissima religione dalla quale si sono originate sia quella romana che quella norrena. Anche il numero stesso dei giorni potrebbe essere dovuto a cause religiose (non ditemi che avete già scordato i fratelli di Achille!). Sono pronto a scommettere che si troverebbero somiglianze simili anche andando a cercare i nomi dei giorni ebraici ed egiziani.

Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ciao a tutti e buone cose!

Capitolo III: Non fare troppe domande se sai che non ti piaceranno le risposte

postato il 22 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da VaMina

Andrea udì a stento le  parole pronunciate dalla vecchia: il dolore si era fatto insostenibile, e lo costrinse in ginocchio. L’ultima cosa che sentì prima di svenire fu una risata disumana, sdentata, e poi fu nel mondo dell’incoscienza. Smetteremo quindi per un attimo di occuparci di lui e osserveremo la scena circostante. I marinai reclutati da poco, abbastanza scossi, fissavano il buco al centro del ponte, che di nuovo vorticò, e videro sostituirsi alle navi altre immagini, altri cieli, altre persone, finché non si dovettero allontanare, spinti dall’impulso a vomitare. I lupi di mare, fedeli alla vecchia, evidentemente abituati a uno spettacolo simile, si erano voltati a guardare il cielo, che anziché rossastro come in precedenza era pallido, e sgombro, come invece non si poteva dire fosse prima. Rassicurati da questa visione, berciando e intonando canzoni piratesche, tornarono alle loro precedenti occupazioni. La vecchia, dopo aver cessato la sua sguaiata risata, aveva ordinato a Maria di trascinare senza troppi complimenti Andrea nella sala grande della nave, ed era tornata al timone. Maria aveva punto eseguito gli ordini, e aveva gettato Andrea su una branda che si trovava nell’enorme sala rivestita di legno. Ed è qui che ritroviamo il nostro eroe, poco tempo dopo. Lo svegliò un odore penetrante, che la sua vista appannata associò a dei sali alla lavanda, racchiusi in un sacchetto cencioso. Questa fu la prima cosa che vide, e non ci stupisce, perchè il sacchetto era proprio davanti alla sua faccia. Aldilà dei sali vide l’energumeno Maria, intento ad allacciargli una cintura dalla quale penzolavano coltelli, pistole e diverse armi che sembravano difficili da maneggiare. Oltre il suo corpo spesso, vide la giovane accompagnatrice della vecchia mentre cercava qualcosa in un baule dall’aspetto in tutto e per tutto simile ai forzieri dei film pirateschi per bambini. Avendo sentito la voce di Andrea biascicare qualcosa del tipo

«Cosa succede buco perchè armi non mi toccare»

Lei si girò, e avvicinandosi alla branda sorrise in modo incerto, porgendo una bottiglia lunga e stretta al nostro malcapitato, il quale, giustamente spaventato da bevande e cibo, afflitto da un gran mal di testa e con gli arti diventati più pesanti di parecchio, riuscì a mormorare:

«Cos’è? Non voglio altre schifezze pellicano vomitare riso dolore»

La ragazza rise.

«E’ solo rum» disse «Ti farà solo stare bene, e non ti farà parlare più così»

La sua voce, forse perchè quasi da bambina, forse perchè inedita, forse perchè l’unica amichevole sentita finora, fece svegliare definitivamente Andrea, e lo mise in condizione di reagire. Prese la bottiglia e ci si attaccò voracemente, fino a quando Maria non gliela strappò di mano. Il nostro si lamentò, ma ricevette dall’omone un secco

«Ora basta, tra poco dovrai combattere, abbiamo solo guadagnato tempo»

e alla donna disse

«Anja, spiegaglielo tu, io vado di sopra»

Quindi si allontanò, facendo tremare e scricchiolare le assi di legno della stanza e poi delle scale.

Andrea era sempre più confuso, i suoi arti erano sempre più gravosi, ma la curiosità per la sua interlocutrice lo mise sull’attenti.

«Ti chiami Anja? Che vuol dire che abbiamo guadagnato tempo? Cosa diavolo era quel coso?»

Lei lo guardò con una strana espressione, prese una sedia, la trascinò attraverso la stanza e si sedette al suo fianco, poi, dopo un lungo sospiro, parlò.

«Sì» annuì «mi chiamo Anja. Abbiamo guadagnato tempo perchè abbiamo fatto un piccolo salto temporale. Solo di poche ore. Ma se ne accorgeranno, e verranno altre navi, dovremo affrontarle, per questo sei armato. Per “coso” credo che tu intenda il vortice. Non posso dirti molto, ma contiene i momenti futuri e passati, e il nostro mondo e gli altri mondi, compreso il tuo»

«Questo vuol dire che mi trovo in un altro stupido mondo?» gridò Andrea «che voi eravate strani l’avevo capito, ma che diavolo è? E che vuol dire che ci sono i momenti lì dentro? Potete saltare da un momento all’altro come vi pare e piace?»

«Per prima cosa calmati, altrimenti non ti dirò più nulla. No, non lo possiamo fare. Lo può fare solo Zeugma, la mia padrona, e solo al crepuscolo. E’ il momento in cui puoi scatenare tali poteri, e sì, certo che siamo in un altro mondo, ti aspettavi che il Granchio Volante potesse sorvolare casa tua senza che nessuno se ne accorgesse? Certo che sei scemo»

In quel momento un fragore sconquassò il sopracitato Granchio Volante (questo il nome del nostro vascello).

«Ci hanno trovati» disse Anja «sei pronto a combattere?»

«Aspetta, cosa c’era nel cibo? Devi dirmelo»

«Un siero di verità, ma agirà tra un bel po’»

«Ma io non so nulla, l’ho già detto!»

«Lo ricorderai, ora andiamo!»

Lo afferrò con una forza che lo sorprese, dato il suo aspetto esile, e cominciò a portarlo sulla scala. Quando furono fuori, videro ciò che stava accadendo.

Erano di nuovo circondati da navi dai palloni argentati, dalle quali però adesso spuntavano le bocche di innumerevoli cannoni. Era iniziato l’attacco. E sulla nostra nave, imperversavano gli ordini della vecchia  Zeugma. Il Granchio Volante fu all’improvviso irto di sottili cannoni, sconvolto da persone armate o che trasportavano barili di polvere da sparo e di rum o che portavano sottili ponti uncinati, fitti di chiodi. Andrea non ebbe neanche il tempo di rendersi conto della situazione, che la battaglia era già in pieno svolgimento, e lui  era stato  coinvolto in quel caos. Alcuni dei colpi di cannone avevano provocato delle falle nella nave, e un colpo particolarmente fortunato aveva danneggiato uno dei palloni pieni di gas che la sorreggevano. L’intraprendente Granchio, da parte sua, si difendeva più che bene, considerando  che era uno contro parecchie navi. Infatti i suoi cannoni non erano rimasti per nulla inattivi, e Zeugma con un abile colpo di timone era riuscita ad avvicinarsi ad uno dei velieri, permettendo all’equipaggio di gettare uno dei ponti chiodati sulle tavole di legno della prua della nemica, trasformando una battaglia aereo-navale in una parziale battaglia di terra. Qui i marinai nerboruti della vecchia stavano avendo la meglio, essendo avvantaggiati nella sfida corpo a corpo. Ma abbiamo parlato della prua di un solo veliero, e gli altri accerchiavano minacciosi la nave già provata. Da questa vennero gettati ancora altri ponti, alcuni ebbero successo, altri caddero nel vuoto, con conseguenze, possiamo immaginare, disastrose per il mondo sottostante, ma di cui non ci occuperemo. Andrea si era trovato ad attraversare uno dei ponti urlando e agitando le armi come i compagni, decisamente eccitato dalla prospettiva della battaglia, che tanto gli ricordava quelle partorite dalla sua mente, e si gettava sui nemici, stupito delle sue stesse azioni.

Tuttavia, nonostante le parziali vittorie, lo scompenso era troppo grande, e nel complesso i nostri eroi stavano avendo la peggio. Il  Granchio Volante cercava di battere in ritirata quando arrivarono. Il cielo ancora si oscurò e da un coagulo di nubi temporalesche uscirono sfrecciando alcune navi sulle quali svettava la bandiera dei pirati, e anche fornite di pirati in piena regola, anche questi urlanti e agitanti coltelli e pistole.

Le navi pirata accerchiarono quelle dello stato, che dovettero affrontare una situazione completamente ribaltata. I ponti furono ritirati e crebbe il fuoco. Dopo alcuni tentativi di rispondere ai colpi, quando le loro golette cominciarono a subire troppe perdite, gli uomini di legge furono costretti a fuggire.

A questo  punto i vincitori, bevendo, cantando e sbraitando, fecero rotta verso il porto più vicino, dove quella settimana si teneva il Mercato di Sopra.

Sulle navi ci fu ancora del movimento per attraccare le navi ai moli, funi gettate, passerelle calate, e poi in poco tempo furono tutti sulla terraferma.

Andrea camminava spaesato in mezzo alla ciurma, e ogni tanto era interrotto nei suoi pensieri da sonore e dolorose pacche sulle spalle che gli venivano appioppate dai marinai , come complimento per il virile coraggio dimostrato durante la battaglia, e che lui accettava passivamente ma di buon grado, sentendosi accettato. Il mercato era enorme e lo spiazzava,  con gli occhi cercava Anja, l’unica che forse potesse chiarirgli la natura di questo strano luogo. Vedeva lunghi banchi dove gente di ogni forma e  colore vendeva e comprava, strillando e contrattando, ogni tipo di merce, uccelli vivi, lunghe spade, carne essiccata di qualsiasi tipo, enormi assi di legno, bombole di gas, libri grandi come sedie, nocciole e pinoli e altri generi di conforto, strane torce che galleggiavano nell’aria. Mentre vagava con la testa che si muoveva, pensava, in modo indipendente, da destra a sinistra e dall’alto verso il basso e viceversa, guardando ad occhi spalancati, sbattè contro un ostacolo. Un ostacolo parlante.

«Cosa stai facendo, sciocco?» gridò Zeugma «non stare da solo, che poi ti perdi e ti dobbiamo cercare e ci dai solo altre rogne!»

«Ma dove siamo? Che ci facciamo qui?» chiese il ragazzo, confuso, ma quasi contento di vedere una faccia conosciuta, fosse pur quella, in mezzo a tale bolgia.

«Questo è il Mercato di Sopra, il mercato sospeso. Dobbiamo sostituire le parti danneggiate della nave, e io devo comprare un paio di cosette» rispose la vecchia, con un sorriso inquietante. Ma Andrea era ancora sconcertato.

«A proposito della battaglia, contro chi abbiamo combattuto? E chi erano quegli altri?»

«Ci siamo scontrati con gli uomini dell’ammiraglio» rise «una vecchia questione per la colonizzazione dei cieli. I nostri erano contrabbandieri. E ora vai, fermati da qualche parte, trova qualcuno, io ho da fare. Non comprare niente». Se ne andò correndo e spingendo, lasciando Andrea sballottato dalle mille persone che erano al mercato, travolto da mille pensieri.

Eccone alcuni: lui non aveva soldi per comprare niente, non vedeva più nessuno di conosciuto, sapeva di aver mangiato una cosa che avrebbe dovuto fargli confessare una verità di cui non aveva idea, aveva appena lottato rischiando la vita, e tutto quello che potevano dirgli è che erano gli “uomini dell’ammiraglio”. L’esaltazione era ormai lontana, e restava solo il suo malumore. Continuò a trascinarsi tra la gente cercando un gradino, un qualcosa per sedersi. Non trovò nulla di simile, sempre che non sia simile a qualcosa dove sedersi un angolo sporco, che aveva come unica caratteristica quella di non essere calpestato da nessuno. Ma ormai era diventato poco schizzinoso, e si buttò a terra senza pensarci troppo. Dopo quelle che gli sembrarono ore qualcuno si chinò su di lui. Era un uomo sporco, con un mantello di un colore incerto tra il marrone, il nero e il rosso sangue, dal volto olivastro e gli occhi scintillanti.

«Io lo so cosa vuoi sapere. Tu vuoi sapere la Verità» sibilò, e il suo alito sapeva di stantio.

«Io te la posso dire» continuò alzando un poco la voce, che tuttavia era ancora un mormorio «io ti rivelerò il Verbo». Si chinò ancora di più, avvicinandosi al suo orecchio…

«Vattene, schifoso, lascialo stare» comandò la voce infantile di Anja, che mal si sposava con una parola come “schifoso”. L’uomo sporco fu spinto via dalle mani di Maria, mani così grandi da non sembrare appartenenti ad un essere umano.

«Aveva ragione Zeugma, non ti sai gestire da solo» disse la ragazza, e lo aiutò ad alzarsi.

«Ora dobbiamo andare, tra poco il siero farà effetto, e dovrai essere sulla nave»

«Senti…» le disse Andrea a mezza voce, per non farsi sentire da Maria. Ma lei lo bloccò.

«Maria, lasciaci un attimo soli» Quello obbedì, scostandosi di un poco, ma non abbastanza da non riuscire a vederli.

«So quello che vuoi chiedermi. Per prima cosa, quello era solo un pazzo, non ti avrebbe detto quello che ti interessa. Poi, Zeugma rivuole solo la sua giovinezza. Da molto tempo. E la sua collana, quella con la fiala. Non è cattiva. Non proprio almeno»

Girò la testa dallo sguardo implorante che le veniva rivolto, e chiamò: «Maria, portaci a bordo»

Quello annuì, e li abbracciò, se così si può dire, per tenerli lontani dalla folla. Andrea quasi lacrimava per il fetore delle sue ascelle, ma il gigante non li mollò, e in questa bizzara posizione raggiunsero la nave. Giunti a poppa Maria lasciò Anja, ma non l’altro passeggero, che scortò personalmente fino alla ormai familiare sala del lampadario. Qui lo aspettava la vecchia, che teneva in mano una lanterna ricurva e sinuosa.

«Il siero avrà fatto effetto» ridacchiò Zeugma, e indicò a Maria una sedia, su cui lui spinse l’inconsapevole. L’anziana donna poi chiuse la porta a chiave, e ritornata presso il tavolo, puntò la luce verso Andrea.

«Ora ci dirai tutto, bastardo»

*  *  *

Ora, un paio di parole. Vi accorgerete del fatto che ho messo un bel po’ di cose in mezzo, e ho paura di non essere stata chiara ed esplicativa (i miei professori al liceo mi abbassavano sempre i voti dicendo che ero schematica, io sono sicura sia un difetto e  ho provato a risolvere la cosa un paio di volte, poi ho lasciato in pace le cose che scrivevo). Se il prossimo a continuare ha dei dubbi, può dirmelo, e io glieli chiarirò di buon grado. Spero anche che qualcuno VOGLIA continuarlo, nonostante io l’abbia messo in una difficile situazione! Ah, Azazello all’inizio ha scritto di non voler scadere in un ricettacolo di assurdo. Temo un po’ di averlo fatto io, ma indietro non si torna!

Azazello, se vuoi cambiare i trattini per la continuità letteraria puoi farlo, ovviamente non puoi cambiare altro :D

Penso di aver detto tutto.

Adesso, ciò che vi serve:

Argomenti:

Il tempo

Il passato

I mondi

Per veri arditi – parole e digressioni

Fiore

Bottiglia

Scarpa

Tortura

Rissa

Per gli eroi definitivi (anche io lo sconsiglio, se deve inficiare la validità del racconto):

Scrivere tutto in prosa assonanzata (so che non è una tecnica molto approfondita, scusate)

Scrivere tutto in ottonari

Capitolo II: Non mangiare curry quando vieni rapito dai pirati

postato il 21 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da ad.6

Andrea si diede da fare, nonostante la sua più che giustificabile inettitudine ai lavori manuali, nobile e spesso dannosa qualità dei giovani della sua età e del suo tempo. Ciononostante, fin dai primi giorni seppe dimostrare, vuoi per spirito di rassegnazione, vuoi per un insperato senso del dovere, cosa impossibile in una situazione diversa da quella, una discreta operosità ed una più che discreta capacità di apprendere, il che lo portò a scalare in fretta i più alti vertici del potere su quella nave volante: da che aveva dovuto lavorare come un forsennato strisciando per terra assieme al panno lercio che Maria gli aveva gentilmente gettato ai piedi, adesso poteva contare sull’ausilio di una stortissima mazza di scopa, tra l’altro impossibile da impugnare. Questa è la dura legge del mare, se di mare possiamo parlare.

Fu così che nei primi giorni di “viaggio” Andrea ebbe tanto da lottare contro la fatica, la sporcizia, gli improperi della vecchia e dell’equipaggio, l’inarrestabile beccheggio cui la nave era costantemente sottoposta e la propria malcelata volontà di non sapere, da non poter pensare ad altro. Fu solamente nei secondi giorni, quelli che seguirono alla sua acquisizione di potere, che poté finalmente tornare a ragionare.

«Cosa sto facendo? Dove mi trovo? Quanto tempo è passato? E come si impugna questa scopa?», questi i pensieri che lo assalirono non appena si riscosse, subito seguiti da «Ed ho una fame incredibile! Cosa mi hanno fatto mangiare in questi giorni?». Gli ci volle un poco per ricordare di essere stato nutrito, abusando abbondantemente del termine, con pezzi di formaggio ammuffito e gustosa acqua. Capì subito perché gli era stato così difficile ricordare e decise di non farlo mai più.

Approfittò allora della ritrovata coscienza e fece il suo primo giro di perlustrazione per la nave. Dovevano essere le tre del pomeriggio e sul ponte aleggiava una brezza calda e tranquilla che portava con sé nient’altro che la propria voce sommessa ed un lieve odore salmastro: tutto taceva, fuorché la brezza, ovviamente. Andrea iniziò a camminare sulle assi di legno quasi luccicanti e si diresse verso il bordo della nave, verso il cielo, ed una volta giunto vicino alla grande fune che reggeva uno dei quattro immensi palloni aerostatici che egli immaginava sorreggessero l’imbarcazione sporse cautamente la testa verso il basso. Il vuoto. E poi il mare infinito, sì, ma principalmente il vuoto. Si ritirò immediatamente affannando, immobilizzato dalle forti vertigini di cui aveva dimenticato di soffrire. Chiuse gli occhi cercando di pensare ad altro e proprio in quel momento un po’ come beffa, un po’ come aiuto, arrivò lontano e sicuro uno stonatissimo accordo di chitarra (come tale la riconobbe il nostro giovane amico) immediatamente seguito da una voce baritonale che cantava fiera: «Bella, sì, bella la vita sui maaaar / la peggior cosa che può capitar / è che s’impari perfino a nuotar! / Bella, sì, bella la vita sui maaaar! / Gi-ro-diii-chiglia no! Gi-ro-diii-chiglia sì! / Tanto è uguaaal! / La vita sui maaar!» Andrea, se forse non fu rincuorato da questo orgoglioso motivetto, ne fu almeno divertito abbastanza da poter abbandonare anche quella recentissima esperienza, per quanto possibile, nel luogo dei ricordi da non ricordare. Proseguì così la sua ispezione, sempre restando ad una distanza più che apprezzabile dal baratro, passando accanto al marinaio che poco prima lo aveva aiutato e che adesso discuteva animatamente, russando, con la brezza. Teneva tra le mani una chitarra di fattura assolutamente industriale, molto malridotta e priva di una corda, ed accanto a lui una ciotola di latta che ancora ricordava, affamata, il pranzo che le era stato tolto avidamente di bocca.

«Povera ciotola», pensò Andrea quasi, irragionevolmente, allegro. Continuò allora la sua perlustrazione della nave, da prua a poppa, che chiaramente in poco tempo fu del tutto esaurita, dato che, come si può ben immaginare, Andrea aveva escluso dal suo itinerario il bordo della nave ed ogni cosa adiacente a questo nel raggio di 3 metri, ogni albero, gli interni e la zona al centro del ponte che ospitava un vuoto cui ancora non era pronto, si diceva. A dire il vero ci fu una parte della nave che egli non visitò pur non avendola esclusa: le ali, elementi che per posizione ed accessibilità non avevano bisogno di essere esclusi da lui per risultargli inaccessibili, ammesso e non concesso che avesse voluto salire su quella ferraglia traballante tra vento e vento, resa ancora più instabile dalla presenza di due paia di alettoni, anch’essi presenti con chi sa quale funzione, in tutto quel caos di cianfrusaglie.

«Sei di una superficialità e di una debolezza che mi fa ribrezzo. Orrore ed onta, ecco cosa sei!»

La vecchia era tornata e tra i tanti versi cui si lasciava andare si potevano distintamente cogliere solo gli insulti e gli improperi.

«Cosa diamine fai ancora lì immobile con quella scopa? Il vento dell’altro ieri ha portato tanta di quella sabbia e di quello schifo che Dio solo sa perché non lo sto maledicendo come si deve! CORRI!» ed Andrea corse. Passò il panno sulle perenni incrostature del ponte aizato dagli scongiuri della vecchia che continuava ad abbaiare contro di lui e contro il mondo, quando, senza che potesse veramente accorgersene, si ritrovò ansimante e spossato sotto il cielo del tramonto appoggiato distrutto al manico della nostra scopa (o forse era lei ad essere appoggiata a lui: la sua stortura permette entrambe le interpretazioni).

«Pelandrone! Già riposi, eh? Ma non sai quante scudisciate ti darei! Oh, se solo… Ah, eccoli! Ladri, manigoldi, avidi! Avranno ciò che si meritano!»

Inutile dire che Andrea era molto perplesso per queste ultime parole, soprattutto per il fatto che non vedeva nessuno né vicino né all’orizzonte. Guardò la vecchia. Era rimasta con lo sguardo quasi compiaciuto fisso in un punto dell’orizzonte di fronte a lei ed annuiva sicura e divertita con la testa. Stettero così immobili per qualche minuto, quasi in attesa di ciò che lei già sapeva.

«Navi in vista!» tuonò allora la vedetta rompendo il silenzio «Navi in vista ad ore nove! No, signora, navi in vista ad ore nove e ad ore due! Ma cosa… Che il cielo ci protegga!»

«E sarà il cielo a proteggerci, pivellino idiota!» lo fulminò la vecchia brutalmente. La ciurma era in subbuglio e, ora fuori di coperta correvano in giro chiedendosi cosa fare. Maria, immenso ed immobile in quel caos, era arrivato o forse era sempre stato al fianco della vecchia. «E voi, maledetti! Non vi ho raccattato dalle più lorde cloache dell’inferno per vedere questi gridolini e questi piagnistei! Tornate sotto coperta e preparate la cena speciale! Di corsa!». La voce della vecchia risuonò stentorea ed imperiosa sopra il clamore generale e Maria riuscì a sincronizzare talmente la propria composta potenza con le parole di lei, associando al “maledetti” uno sguardo indecifrabile, al “più lorde cloache dell’inferno” un nerboruto braccio teso a fermare la corsa di uno sventurato in preda al panico, al “piagnistei” l’aver sollevato da terra come un giocattolo il marinaio appena fermato e alla parola “speciale” l’averlo scaraventato contro un altro gruppo di persone poco distante di lì, il tutto in maniera talmente adeguata al contesto, da far scemare in ognuno qualunque dubbio e qualunque paura, men che quella di finire nelle braccia del candido e sovrumano Maria.

«Ragazzo, stasera mangerai con la ciurma!»

Andrea era senza parole, non capiva nulla di tutto ciò che gli stava accadendo attorno, ma la cosa incominciava a piacergli, forse. Seguì gli altri sotto coperta.

La nave volante era al centro del cielo sconfinato, sopra il mare ugualmente sconfinato, un minuscolo puntino grigio scuro nello sconfinato blu marino. Il caos era nato nei cuori dei marinai in seguito ad un’inquietante constatazione: era nato un secondo, più alto orizzonte nel cielo. Raggi che tornano, come inghiottiti, dal punto da cui provengono, tempesta che avvolge il mondo e che piove inevitabilmente contro il centro della terra, allo stesso modo una miriade di navi volanti, da ogni direzione, convergeva senza soluzione di continuità verso il centro del cielo: verso la nostra nave. Ogni veliero aveva sei palloni argentati ed ogni pallone aveva, sulla cima, una bandiera indistinguibile a questa distanza, ma chi fa questo mestiere da tanti anni vi potrà dire che quella è l’effige dello Stato, della legalità organizzata, dell’ultimo baluardo di vita sicura e calma, cose che un vero uomo non potrebbe in alcun modo volere, in un mondo normale.

Ed ecco, allora, che l’orizzonte si fa più spesso, più distinto, più vicino e, mentre il cappio si stringe attorno al collo del condannato, si fa sempre più largo, fino ad avvolgerlo tutto e a negargli la luce del sole, perché non si tocchino fibra e fibra di quella letale ed implacabile fune. Questa era la situazione fuori coperta ed il solo a poterla vedere fu la vedetta che sicuramente ne racconterà per filo e per segno tutti i particolari senza che nessuno gli creda minimamente. Sotto coperta era stato inconsciamente applicato il modo di dire “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” e si procedeva alla preparazione della cena. Questa fu pronta in una mezz’ora scarsa ed in cinque secondi scarsi si erano tutti selvaggiamente avventati sulle vivande; tutti, ad onor del vero, tranne Andrea che aveva tutti i motivi di questo mondo per non avere fame in un momento del genere, tranne Maria che evidentemente viveva del suo stesso potere, tranne la vecchia, che guardava stranamente compiaciuta Andrea.

«Ragazzo, tu sia dannato, mangia qualcosa», esclamò divertita. «Non vedi che oggi abbiamo messo da parte le gallette ed il formaggio per mangiare qualcosa di più tipico? Tie’, vai! Della carne salata di gabbiano con salsa!» e Maria presentò lesto sotto il naso di Andrea questo piatto fornito di qualche pezzetto di carne, della salsa maleodorante ed al centro un grande becco aperto in un ultimo grido di dolore post mortem. «O Dio. No, guardi, non ho fame», fece Andrea distogliendo lo sguardo. La vecchia sorrise: «Allora prenderai della carne essiccata di pellicano!» e, quasi che nella vita non avesse mai fatto altro, Maria portò sotto lo sguardo già abbastanza disgustato di Andrea un piatto pieno di filettini di carne grigiastra, tutti attorno ad un paio di poderose ali di pellicano, pronte a spiccare l’ultimo volo, invano. Andrea si portò una mano alla bocca assolutamente disgustato. La vecchia si prodigò in un sorriso sincero, malevolo e sdentato; gli occhi le brillavano.

«Eppure lo abbiamo preso apposta per te! Maria, prendogli il “suo” piatto! Gli piaceva molto, sai?»

Rapido come il lampo Maria gli aveva presentato davanti un piatto sinceramente decente, costituito approssimativamente di riso condito con una sorta di salsa speziata e giallastra, che Andrea, causa l’odore penetrante e convincente, causa l’insistenza dell’odiosa vecchia, non volle rifiutare: dopotutto non toccava cose veramente commestibili da tempi immemorabili.

Ingoiò il primo boccone. La vecchia andò in uno sdentatissimo visibilio.
«Basta! Basta mangiare, porco! Usciamo di qui! Maria, prendi il ragazzo e il piatto. E voi restate qui!»

Andrea, visibilmente adirato per una serie di motivi ovvi e giustissimi, si sentì sollevare di peso sotto lo sguardo di tutti, mentre il suo stomaco sentiva che non avrebbe toccato del cibo simile per ancora molto tempo. Sbraitando per l’irragionevolezza della vecchia e, come sempre accade, prendendosela ancor di più con l’irragionevolezza del mondo, fu trascinato fuori coperta e lì ammutolì. A zittrlo fu la scena che, ripetuta con lentezza straziante per troppi minuti, aveva già regalato la vedetta al mondo dei sogni: la nave era avvolta in un immenso ed immobile uragano di vascelli volanti che non lasciava trasparire nulla al di fuori di esso. Maria, le mani ancora occupate dai due leggerissimi fardelli, si avvicinò finalmente, al grande buco al centro della nave. Andrea tremava dalla paura, dall’orrore, dalla meraviglia, dal terrore e da una serie di altri imponderabili e più che spiegabili fattori. Maria arrivò in prossimità del bordo di quello e spinse con volontà e dolcezza Andrea verso il parapetto eccessivamente basso. La testa di Andrea era sul buco, sul vuoto e lì vi rimase, immobile in eterno, senza che il cuore facesse un battito solo. Vedeva una voragine profonda come il cielo ed ampia quanto il mare, che insieme conteneva entrambi e tutto il resto del mondo e il vuoto e il nulla. Vedeva una distesa celeste sterminata, le nuvole e gli uccelli che volavano sopra di lui e sotto le nuvole, poi sotto i suoi occhi il mare, la terra (la sua terra!) ed ancora il cielo.

«Dannazione, smettila ché mi fai venire il capogiro! Maria, presto!».
Ma Maria aveva già agito ed il piatto era stato scaraventato nell’orrido oscuro e celeste.

Accadde in un instante: gli alberi si piegarono verso il ponte, la prua verso la poppa, la nave si accartocciò su se stessa verso il baratro; il mondo, la flotta di navi, il cielo ed il mare furono respinti e sfocarono nel bianco, mentre tutto il resto, poca cosa, veniva ingurgitato. Andrea ebbe il tempo di ricordare che anche lui sarebbe dovuto morire, un giorno, e che quel giorno era arrivato; vide Maria, impassibile, vide la vecchia, la bocca distorta in un sorriso che finiva dove l’abisso iniziava.

E furono dall’altra parte.

Andrea era vivo, gli occhi di nuovo e per sempre fissi sul vuoto del precipizio, nel quale un occhio meno sconvolto del suo avrebbe notato distintamente una grandissima, per quanto non immensa rispetto al resto, colonna di vascelli, tutti immobili, tutti fermi, tutti intatti e sconvolti da fatti così incredibili.

Andrea fu preso da un forte spasmo.

«Mi sento male. Sto malissimo! Davvero, aiutatemi!»

E la vecchia rise di gusto: sapeva che il ragazzo non era afflitto da un dolore fisico e che quest’ultimo non era dovuto a quel salterello nel vuoto.

«Questo è quello che volevo! Questo! Figlio d’un cane ed io so di cos’altro! Adesso che hai mangiato non potrai tirarti indietro! Restituirai la collana che sottraesti a me e la vita che sottraesti a tuo nonno! Forse stavolta riusciremo a farti morire una volta per tutte. Insieme!»

*   *   *

Per cominciare mi scuserei non con gli eventuali lettori che, insomma, se leggono certe cose un po’ di colpa avranno, ma con gli autori che, volendo postare su questo argomento dopo di me saranno costretti a sorbirsi questo interminabile elenco di stramberie!
Ok, passiamo alle cose serie.

Gli argomenti:

La giovinezza

La guerra

Il crepuscolo

Per veri arditi – Parole e digressioni:

Lavanda

Colonizzazione

Il Verbo

Zeugma

Pinolo

Per eroi votati alla morte:

Scrivere tutto senza nominare mai Andrea e Maria (easy mode)

Scrivere tutto solamente con soggetti sottintesi (hard mode)

Come Azazello anch’io sconsiglio di seguire ciecamente la via dell’eroismo , soprattutto se così facendo si rinuncia alla fruibilità e più generalmente alla godibilità del testo.

Racconto di fantasia

postato il 21 Nov 2010 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

Ogni riferimento a nomi, persone o fatti realmente avvenuti è assolutamente casuale, dal momento che questa storia è del tutto inventata.

Potrebbe mai essere reale l’episodio di un preside a caso di un istituto comprensivo a caso,  situato nell’hinterland di una città scelta a caso, che entra in un’aula colma di donne adulte, madri e nonne, che si urlano addosso pronte a venire alle mani e che si zittiscono intimidite appena notano chi ha appena varcato la soglia, comportandosi come una indisciplinata e un po’ vigliacca classe delle elementari?

Le donne, ancora rosse in faccia, si calmano, prendono posto, e il preside cerca di dare una forma a questo incontro scuola-famiglie: “ora ognuno, uno per volta, dice quali sono i suoi problemi, io ascolto tutti e poi rispondo, e cerchiamo di venire incontro a tutte le esigenze.”
“Eh no preside, facciamo in fretta, veniamo al dunque!”
“Tutto questo è dunque. Su, una per volta”.

I problemi riguardano l’orario,

(“Io capisco che voi tornate stanche dal lavoro fra l’una e le due, ma se la scuola finisce alle 3 e mezza non potete venire in massa a prendere prima i figli, è bene che loro seguano tutte le lezioni, che non si crei confusione, se l’orario è questo ci sono dei motivi..”- “Ma mia figlia vuole vedere uomini e donne!” “ma io abito lontano!” “devo cucinare!” “ma io voglio vedere uomini e donne!”- “si, va bene, ora cerchiamo di stabilire un orario che vada bene per tutti, basta che poi lo rispettiate”)

si discute poi della mensa,

(“facciamo il possibile per migliorare il servizio e..”-“ma fa schifo!” “la pasta è scotta!” “mio figlio ha vomitato” “si sente male” “è allergico”-“..ovviamente chi preferisce può far portare al figlio un thermos, o un panino”-“ma come faccio a fare il panino preside! devo scendere di casa alle 7 a pigliare il pane?!? “lo si può scongelare..” “ma non ci piace a mia figlia! quella già non magna  niente, già è secca, come a voi..” “io sono cresciuta a panini scongelati. Andiamo avanti”)

ma la signora frettolosa di prima di tutto questo se ne sbatte, gliene frega solo del sabato libero: “signora, ma se rendiamo il sabato libero anche per le medie bisognerebbe poi istituire la mensa anche per loro, perchè gli altri giorni si uscirebbe dopo, e molti genitori hanno difficoltà a..” “ma mi scoccio di venirlo a prendere il sabato!” “capisco, ma altri..” “ma che palle gli altri!”

e vabbè. Giunte alla fine di questo cordiale incontro  di un’ora e mezza alcune delle partecipanti si avvicinano al preside per un’ultima raccomandazione o un’altra richiesta [nota per il lettore: la fantasia dell’autore si allontana adesso ancor di più dalla realtà]:

“Preside, lo so che lei fa del suo meglio, ma com’è possibile che non si riesce ad aiutare un po’ di più mio nipote*? luice la fa anche a studiare, ma in classe tutti lo sfottono, gli hanno anche messo le mani addosso a volte..”

“Preside, e mo secondo lei con questa** che dovrei farci? pagarla? haha”

“Preside, ma allora per il sabato.. eh, gli altri… si,ma che palle..”

“Preside, allora mio figlio.. si quello piccolo.. può restare un po’ dopo l’orario di uscita ad aspettare che lo venga a prendere vero? grazie, grazie, se no saprei come fare.. sisi.. grazie ancora!”***

[lettore fai attenzione, per fare chiarezza su quegli asterischi l’autore fa ricorso a spiegazioni così fantasiose che potrebbero risultarti disturbanti]

*il nipote qui è un ragazzino diversamente abile. A una settimana dall’inizio della scuola disse al preside:” Preside, io penso questo, che qui mi sento troppo solo, ecco”. Il giorno dopo trovò scritto a caratteri cubitali sul banco “LOTA”, e si mise a piangere.

**la bolletta dell’enel

*** la signora non può venire a prendere il figlio di 5 anni in tempo perchè deve lavorare molto. Ha 35 anni e 5 figli, fra i 20 e i 5 anni, il più grande sta in galera, uno è agli arresti domiciliari,la prima figlia lavorava in nero per un supermercato, scaricava casse di prodotti, lavoro tipicamente femminile, si è ammalata per colpa del lavoro e quindi lo ha perso, gli altri non so.

Ma tranquilli, è tgutto inventato! Gioite, tutto questo non succede davvero! Va tutto bene! Allegria!

Capitolo I: Non ascoltare la musica mentre cammini

postato il 19 Nov 2010 in Giocoaperitivo
da Azazello

[Ho provato più volte, e a più riprese, a dedicarmi alla narrativa, non di rado con la convinzione che la mia capacità di raccontare migliorasse al passo di quella di descrivere, convincere e spiegare, ma sempre con l’inevitabile disillusione che accompagna un lettore che si improvvisa scrittore. Ho deciso, comunque, di cimentarmi un’ultima (ma chi voglio prendere in giro?) volta nella produzione di un racconto, cercando di mantenere un certo grado di coerenza e di non scadere in un facile ricettacolo di assurdo che i lettori meno avveduti potrebbero scambiare per arguto stratagemma narrativo.]

Andrea non era assolutamente adatto alla scuola. Non poteva sopportare l’idea che tutto fosse così tristemente reale e statico: lo annoiavano i malinconici capoluoghi piemontesi, i temi sulla mamma, le poesie di Carducci da mandare a memoria, le tabelline e le divisioni, le lezioni di storia sull’evoluzione dell’uomo delle caverne; eppure subiva la tortura di 5 ore di scuola ogni giorno, intrappolato tra quattro mura grigie, lontano dall’avventura e dall’azione. Fu così che Andrea scoprì che dove non potevano arrivare le sue gambette poteva arrivare la sua fantasia, e presto i fiumi del Piemonte coi loro stupidi affluenti furono scenario di incredibili battaglie, vie di transito favorita dai contrabbandieri di cioccolato che transitavano quotidianamente sul Po, alla mamma dei temi cominciarono a crescere prima i peli, poi i denti, le ali e gli artigli, le poesie di Carducci improvvisamente venivano interrotte da una sparatoria o da un arrembaggio, gli insopportabili uomini delle caverne fuggivano all’impazzata, terrorizzati da mastodontici mammut. Naturalmente con la fantasia arrivarono i problemi (principalmente per quella storia della mamma alata), con i problemi gli ostacoli, con gli ostacoli ulteriore alienazione… e così, tra un ostacolo e una fantasia, l’adolescenza. Diciamo che nessuno avrebbe scommesso un soldo su di lui: barbuto, svogliato, con la testa fra le nuvole, sempre a leggere storie fantastiche e a inventarne di più deliranti, mentre Agamennone nelle sue versioni veniva spedito in Svizzera e Kant diventava un vecchiaccio scontento di tutto con grande orrore della sua professoressa di filosofia. Ed è proprio qui che inizia (e finisce) la nostra storia: precisamente in un giorno a caso del suo ultimo anno di liceo, alle nove meno venti circa di un mattino qualsiasi, al ritmo disordinato dei suoi passi di ritardatario consapevole e rassegnato, lungo la strada che decise imprevedibilmente di percorrere proprio in quel giorno, come aveva fatto negli ultimi 4 anni.

Andrea non si era accorto, probabilmente a causa della battaglia tra elfi e orchi che si stava perpetrando a tempo di musica nella sua testa, che già da qualche metro due donne basse e dalla pelle scura lo stavano seguendo, quindi potete immaginare il suo sgomento quando la più anziana delle due gli afferrò il braccio urlando qualcosa, con voce non esattamente aggraziata:

«Eh?» chiese perplesso il ragazzo, sfilandosi l’auricolare

«Mi hai sentito! mi hai rubato la collana, disgraziato!» gli rispose esauriente la donna

«Ma che dice? mi lasci stare!»

Divincolatosi dalla stretta della vecchia, Andrea affrettò il passo e si decise a ignorare le due donne che continuavano a seguirlo biascicando qualche insulto ogni tanto e maledicendo più o meno tutto il creato, e in un primo momento la strategia si rivelò efficace, perché le seminò in poco tempo. Questo incontro acquistò una reale rilevanza solo più avanti nel tempo (diciamo quattro ore dopo, mentre tornava a casa), quando si trovò accerchiato da quattro ragazzoni robusti dalla pelle scura e dal vestiario peculiare, che lo invitarono cortesemente a deviare dalla sua solita strada per fare una passeggiata di qualche ora in loro compagnia, offerta che lui non si sentì di rifiutare e che lo portò di nuovo al cospetto delle due donne, all’interno di un capiente camion contenente un po’ di sedie, un frigo da automobile, qualche cassa e un tavolo.

«Sei un ladro e la pagherai! restituiscimi la collana!», gli intimò ancora la più anziana

«Non so di cosa parla! Davvero!»

«Certo che non lo sai, razza di cretino! Dopo ottant’anni in quello stato, come potresti? Questo non cambia la tua responsabilità di ridarmi la mia collana, però, quindi da oggi torni a stare con me»

Ad Andrea sarebbe piaciuto molto ribattere, ma sembra che l’improvviso dolore alla nuca e il buio l’avessero distratto da quest’idea perlomeno fino al suo risveglio, circa sei ore dopo, quando urlò:

«Ma lei è pazza! lasciatemi andare!»

Ad un energumeno che evidentemente non aveva assolutamente questa intenzione, o almeno così poteva sembrare a giudicare dalla lunga striscia di metallo appuntito e affilato che si prolungò rapidamente dal suo braccio fino al collo del giovane.

«Bene, sei sveglio. Andiamo», sentì dire seccamente da una voce profonda, mentre il corpo estraneo veniva rinfoderato.

«Dove…?»

«Di sopra», rispose l’omone mentre lo strattonava per un braccio senza troppi complimenti.

Solo in questo momento Andrea si preoccupò di dare uno sguardo intorno a sé, cosa che lo portò alle seguenti osservazioni: si trovava in una cabina di dimensioni piuttosto ristrette, dalle pareti, i pavimenti e il soffitto in metallo color cinabro, senza finestre; riusciva a intravedere i punti di congiunzione delle lastre, strettamente saldati da rivetti grossi come carote; era stato delicatamente sollevato da una specie di branda piuttosto scomoda; aveva dolore alla nuca; l’intera stanza sembrava oscillare lentamente avanti e indietro; questi dettagli, il suo grande acume e il fatto che il suo compagno aveva una maglietta a righe e un discreto tatuaggio sull’enorme avambraccio scuro gli fecero balenare in mente l’idea bizzarra di essere su una nave.

Andrea ebbe modo di approfondire la sua idea attraversando un corridoio simile alla stanza da cui proveniva, tappezzato di ritratti e bandiere di vari paesi, illuminato da una serie di candelabri dorati e inframezzato da porte di legno dalla cima arrotondata, fino a raggiungere una scala a chiocciola che salì per sbucare in una sala parecchio più grande della sua stanza e interamente rivestita di legno. Qui la prima cosa che notò fu l’enorme, vergognosamente barocco lampadario d’oro che avrà contenuto almeno un centinaio di candele; la seconda fu un grosso tavolo cosparso di grandi fogli, righelli, compassi e strumenti strani; la terza fu la maledetta vecchia di qualche ora prima, vestita in modo indescrivibile (sembrava indossare abiti gitani, ma aveva una specie di maschera da sub alzata sulla fronte e degli stivaloni che avevano l’aria di pesare almeno un paio di chili l’uno) e intenta a scribacchiare su uno dei fogli, sempre accompagnata dalla sua silenziosa e giovane accompagnatrice, che assisteva seduta in disparte; l’ultima cosa che vide, prima che la sua attenzione fosse di nuovo monopolizzata dalla donna, fu tanto, tanto azzurro attraverso un finestrone largo quanto l’intera sala alle spalle del tavolo e della sua ospite.

«Ah, eccoti qui. Maria ti mostrerà di cosa ti occuperai durante il viaggio»

Ad Andrea vennero in mente, tutto d’un tratto, tutte le incongruenze di questi eventi: si trovava in un luogo sconosciuto, probabilmente in mare, con persone mai viste prima (ma armate e decisamente non amichevoli) e, come ebbe modo di scoprire proprio mentre rifletteva su questi aspetti, non aveva più il telefono, le chiavi e il portafogli, come d’altra parte i pantaloni e la camicia che indossava quel mattino, sostituiti da una maglietta e un pantalone di almeno due taglie più grandi e sicuramente più grezzi nella fattura. La quantità di informazioni poco gradevoli che gli affollava la testa era grande, il che forse spiega perché si limitò a chiedere:

«Viaggio?»

«Sì, viaggio, per la miseria! Nemmeno il tuo bisnonno era sveglio, ma tu al confronto sei un maledetto bradipo!»

Bisnonno? La porzione di memoria che Andrea aveva riservato al suo bisnonno conteneva le uniche due informazioni che erano riuscite ad attecchire nella sua mente di bambino irrequieto: il bisnonno era morto giovane; il bisnonno aveva una bandiera dei pirati appesa in camera. A questo punto potete capire che la mente di Andrea stava vagando libera e felice per le strade dell’assurdo: già vedeva un omaccione barbuto, con la benda sull’occhio e vestito da pirata che urlava qualche frase piratesca con accento improbabile mentre sparava all’aria ridendo sguaiato, già lo vedeva accendere micce e puntare cannoni, lanciare rampini e andare all’arrembaggio…

«No, tuo nonno era un piccolo bastardo irriconoscente come te, spelacchiato e lento»

Andrea, che effettivamente non aveva detto niente, era interdetto e anche un po’ offeso.

«Te l’avevo detto che sarei tornata a prenderla anche fra cent’anni, la mia collana, anche a costo di tormentare tutti i suoi discendenti fino alla fine del mondo. Ora so dov’è la collana, ma sembra che solo tu possa prenderla, il che rende il nostro incontro molto fortuito per me e molto più spiacevole per te»

Andrea era pronto ad obiettare, ovviamente, che lui non sapeva di nessuna collana, ma la vecchia continuò:

«E ti assicuro che sai tutto, stupida imitazione di pirata che non sei altro, devo solo tirartelo fuori»

A questo punto il ragazzo, sbloccato forse dal momento di instupidimento, strillò stizzito:

«Ma insomma! Io non so di che state parlando! Cosa volete da me?!»

«In questo momento», rispose pacatamente l’ospite, tornando alle sue attività, «Dato che devo cercare di imbrigliare il libeccio prima che diventi troppo forte e ci faccia capovolgere e morire tutti, direi che non voglio niente di speciale. Maria, accompagnalo»

L’energumeno, che a quanto pare si chiamava proprio Maria, accompagnò gentilmente il braccio di Andrea (che si sentì in dovere di seguire il suo arto) ad una porta che dava sulla parete opposta a quella del finestrone, la spalancò con un calcio e lo trascinò con sé sul ponte della nave, dove gli mise in mano uno straccio e un secchio commentando:

«Attento a non cadere: è un bel volo da quassù»

Il ragazzo si guardò ancora intorno ed ebbe modo di notare i tre grossi alberi con le vele spiegate, molti altri marinai dalla pelle scura e l’aria poco amichevole, varie botti, un grosso buco al centro del ponte, scale di corda che congiungevano gli alberi alle balaustre ai lati del ponte e quattro giganteschi palloni aerostatici che sembravano… reggere la nave. Non ebbe bisogno di sporgersi per capire che la nave stava volando poco sotto le nuvole.

«Il ponte è grande, farai bene a darti da fare»

*   *   *

Alcune note prima di terminare il post: 1) doveva essere più lungo e più chiaro su alcune cose, per come l’avevo pensato, ma alla fine è venuto fuori questo per la fretta e la mancanza di ispirazione 2) i temi sono stati rispettati, anche se voi non ve ne siete accorti perché non capite quello che scrivo, ma non certo perché io non sono riuscito a esprimermi 3) ok, il cinabro ce l’ho messo un po’ a caso. Forse anche i candelabri. Dovevano avere entrambi il loro spazio (il cinabro sarebbe stato giustificato durante la spiegazione della lega metallica di cui era fatta la nave e i candelabri sarebbero stati oggetto di un simpatico momento di ilarità).

Per quanto riguarda chi scriverà il prossimo pezzo, direi che i suggerimenti sono abbastanza evidenti nell’ambito del testo, ma voglio esplicitare quelli che secondo me sono più importanti per la prosecuzione della storia in una direzione che mi piace più di altre:

1. L’occultismo

2. L’immortalità

3. La supremazia

Per veri arditi – Parole e digressioni:

a. Alettone

b. Stagno

c. Curry

d. Chitarra

e. Pellicano

Solo per veri eroi (che vorrei scoraggiare fortemente, visto che difficilmente potranno non pregiudicare la qualità complessiva del racconto [che già inizia come inizia, insomma]):

I. Il post deve essere un unico, lungo palindromo

oppure

II. Il post deve contenere due storie, una accessibile leggendo il post normalmente e l’altra leggendo solo le righe dispari

Scusate il ritardo, la lunghezza e l’inadeguatezza.

Le gioie di studiare Anatomia II

postato il 18 Nov 2010 in Cazzi e mazzi personali
da Cerbs

In vero, sono ben poche. Tuttavia, questa ha fatto sì che io ridessi per una buona decina di minuti, annaspando per il salotto, mentre il mio compagno di studio Giuliani cadeva dalla sedia sul pavimento, tenendosi la pancia.

Mi sembrava doveroso postarla in ” CAZZI e mazzi personali”. Nella vecchia edizione del libro c’è scritto “asta virile”, come se non bastasse.

Scusa

postato il 17 Nov 2010 in Cazzi e mazzi personali
da Vobby

Lellida, perdonami, non ho fatto in tempo a postare sulle maschere, quindi ho retrodatato il post. Non me ne ne volere, era proprio un bell’argomento.

 

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